Aspettando di entrare nel Cara di Caltanissetta, la vita nelle baracche / Video


Pubblicato il 10/04/2014                          
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Syed ogni giorno aspetta dietro la rete di recinzione del Cara di Pian del Lago a Caltanissetta un segnale dai suoi amici: quando nessuno li vede, i richiedenti asilo escono e riempiono il suo carrello di taniche d’acqua e di pasta. Anche Syed, 40 anni, scappato dal Pakistan, ha chiesto protezione al nostro Paese, ma non abita nel Cara: la sua casa è il vecchio centro sportivo Michelangelo Cannavò, il cosiddetto Pian del Lago 2. E’ lì che per anni centinaia di persone hanno trovato un tetto in attesa di essere identificate e di poter entrare nel centro costantemente sovraffollato.

Pian del Lago 2. Il palazzetto è diventato un piccolo Cara ma senza bagni né riscaldamenti: il Comune ha staccato acqua e luce per cercare di mandare via i migranti. Gli unici che pensavano a loro sono i “fratelli” di Pian del Lago, una solidarietà nata nella disperazione che va oltre le appartenenze religiose e etniche.

Dentro al palazzetto hanno sistemato dei materassi, uno accanto all’altro per ripararsi dal freddo. In fondo, poco lontano dall’area dove consumavano i pasti, hanno dipinto una parete con immagini di fedeli in preghiera: è la loro moschea ma anche la loro chiesa, dove ognuno prega il suo Dio. Chi non trovava posto lì, dorme sotto il cavalcavia che costeggia la strada provinciale 5: hanno costruito delle baracche con cartoni e teli.

Lo sgombero. Nel marzo 2014 le ruspe hanno svegliato Syed e gli altri: la Polizia ha sgomberato il palazzetto. Hanno distrutto tutto: i materassi, il grande specchio scheggiato posto all’entrata dove si facevano la barba, i cuscini della loro piccola moschea, i carrelli con cui facevano rifornimento al Cara. Sono stati portati tutti a Pian del Lago o nei centri di prima accoglienza della zona.

Dopo mesi, le procedure per la richiesta d’asilo potranno iniziare il loro corso e Syed potrà essere ascoltato dalla Commissione che decide se concedere o meno lo status di rifugiato. La prima cosa che ci ha detto Syed quando lo abbiamo incontrato è che loro non sono delle “cattive persone”. Lui ha lasciato sua moglie e sui figli in Pakistan per trovare un lavoro in Italia.

La maggior parte di loro, tutti uomini di origine pakistana e afghana, ha vissuto di elemosina: compravano la farina per il pane e lo cucinavano sul fuoco acceso con la legna che raccoglievano.

Muhammad invece ha più di 50 anni: lui al Cara era già stato, ma dopo era finito comunque a dormire in una baracca. Lavorava in un maneggio finché un giorno non è caduto e da allora trascina a fatica una gamba. Il proprietario l’ha licenziato immediatamente: “Tutto quello che voglio è mantenere la mia famiglia”, ci aveva detto mentre stringeva la sua stampella. “Puoi lavorare solo con la mafia qui”. Dopo lo sgombero, di Muhammad non si hanno più tracce.

Il Cara. Gli altri, invece, hanno finalmente oltrepassato il labirinto di cancelli, sbarre e muri alti 4 metri che nascondono il Cara alla vista. Accanto al centro sorge quello di prima accoglienza e il Cie, centro identificazione ed espulsione. Dal primo ottobre 2013 a gestire tutti e tre i centri è la cooperativa Auxilium, dei fratelli Chiorazzo, ente gestore anche del Cara di Bari e del Cie di Ponte Galeria. Hanno vinto l’appalto con una cifra di 25 euro al giorno per ciascun ospite, 10 euro in meno rispetto a quello che percepiva la precedente cooperativa Albatros.

Il Cara, progettato inizialmente per accogliere 96 persone, ha ora una capienza di 450 posti. Attualmente vi vivono quasi 500 persone che restano lì anche per un anno. Il costo mensile è di 375.000 euro, 12.500 euro al giorno. Ai richiedenti asilo viene data una chiavetta ricaricabile con cui comprare bevande e cibo ai distributori automatici del centro. Non possono neanche disporre liberamente dei 2,50 euro al giorno che gli spetterebbero.

Davanti al Cara l’ente gestore ha sistemato dei container: chi non trova alloggio dentro la struttura in muratura dorme lì. I cancelli sono costantemente chiusi: un operatore all’entrata segna chi esce e chi entra. La redazione di Borderline Sicilia Onlus ha più volte denunciato la scarsità del cibo, l’assistenza medica limitata e le condizioni di estremo degrado dei servizi igienici.

Per ora il palazzetto di Pian del Lago 2 resta vuoto. Le baracche sotto al cavalcavia non ci sono più. Ma in realtà poco è cambiato: i posti dell’accoglienza per i richiedenti asilo sono sempre gli stessi e al prossimo sbarco, un altro Syed aspetterà di dividere un piatto di pasta con il suo sconosciuto fratello del Cara.

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