Minori lasciati da soli nel Palazzetto di Augusta/ Foto


Pubblicato il 10/04/2014                          
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Nel Palajonio, il palazzetto dello sport di Augusta, ifi, un ragazzino di 14 anni, guarda i suoi coetanei arrivare con i borsoni in spalla, le scarpe da ginnastica firmate, i capelli alzati con il gel. Non è lì per giocare né per vedere la partita di calcetto. Ai piedi ha delle scarpe di tela, indossa dei jeans logori e una maglietta di cotone. Da qualche giorno, questa tensostruttura è la sua casa, sua e di altri 160 minori non accompagnati arrivati in Italia dal Gambia, dalla Siria, dall’Egitto, dall’Eritrea.

Dovrebbero restare lì poche ore, il tempo necessario per essere collocati in una comunità per minori. Invece passano anche trenta giorni prima che vengano trasferiti. Lo scorso mese ne sono arrivati 300, più di mille dall’inizio dell’anno. Quando c’è qualche partita di calcetto, le brandine vengono smontate e i minori si siedono in tribuna.

Minori ad Augusta

Minori ad Augusta
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“Questi ragazzini sono completamente abbandonati a loro stessi. Dormono al freddo, non hanno vestiti adeguati, nessuno gli spiega perché sono lì, quali sono i loro diritti. Li ammassano semplicemente nel palazzetto”, racconta Samantha Papiro che fino alla scorsa settimana era una volontaria del Palajonio. Aveva anche lasciato il lavoro da informatico per occuparsi dei “suoi ragazzi”, come li chiama. “Dopo gli ultimi sbarchi, però, ho deciso di andare via. La situazione era insostenibile, mi sentivo impotente”, afferma.

“Alcuni minori siriani mi hanno pregata di comprare con i loro ultimi risparmi delle coperte, piangevano per il troppo freddo. Anche io mi sono ammalata più di una volta lì dentro. La notte non c’è nessuno che dorme con loro. Molti durante il sonno avevano delle crisi, urlavano dalla paura. Sono dei bambini che scappano da guerra, hanno visto morire la loro famiglia, hanno bisogno dell’affetto di mamma e papà. Ne ho conosciuto uno di 11 anni: quando nessuno lo vedeva, si metteva in un angolo a succhiarsi il pollice. Alcuni di loro, invece,  decidono di scappare”. Nessuno sa dove finiscono: scavalcano la rete e diventano degli invisibili, soli al mondo. Il rischio è che la criminalità organizzata trovi terreno fertile nella loro disperazione.

A prendersi cura di quelli che restano ci sono solo una decina di poliziotti, 4 dipendenti comunali che si occupano della distribuzione dei pasti, tre persone della Protezione civile e tre assistenti sociali che lavorano giorno e notte per cercargli una collocazione. E poi ci sono loro, i volontari come Samantha, i medici dell’ospedale, padre Giuseppe e i parrocchiani di Augusta che ogni giorno donano cibo e soprattutto vestiti.

Una situazione inaccettabile anche per Legambiente: “Augusta è la nuova Lampedusa. La struttura non ha i requisiti minimi indispensabili per consentire la permanenza dei minori in condizioni accettabili e dignitose di igiene, di comfort e di rispetto della persona umana. Freddo, umidità e carenza di vestiario non sono sopportabili troppo a lungo”, denuncia l’associazione in un comunicato.

Non è così per Cosimo Licciardello, responsabile della protezione civile del Comune di Augusta,  sciolto per infiltrazioni mafiose un anno fa.  “Noi diamo a questi ragazzi tute, scarpe, ciabatte e k-way. Facciamo di tutto per rispettare gli standard dell’accoglienza. Inoltre, tra poco la tensostruttura dovrebbe essere chiusa. Stiamo cercando altre soluzioni. Legambiente dovrebbe venire a dare una mano invece di parlare”.

Giovanni Santanello, presidente dell’associazione sportiva di Augusta e gestore della struttura racconta: “Nessuno ci dà un euro per accoglierli. Abbiamo una squadra di calcio a 5 in serie A, per questo non abbiamo voluto che il palazzetto chiudesse. Solo gli allenamenti dei bambini sono stati sospesi, perché a volte i minori arrivano con malattie come la scabbia e la tubercolosi e i genitori si preoccupano. Da gennaio abbiamo perso 15.000 euro di entrate. La tensostruttura era utilizzata anche per le assemblee delle scuole e gli anziani la mattina venivano ad allenarsi. Chiederemo i danni”.

Nel frattempo Sifi rimane lì. Per ora del nostro Paese sa questo: deve sempre ubbidire agli uomini in divisa, quando vede arrivare i ragazzini con i borsoni, deve correre fuori e aspettare che la partita finisca oppure sedere in tribuna. E poi sa che fa freddo, tanto freddo. Quando lo incontriamo, corre veloce verso di noi, attento a non farsi vedere dalla polizia. Dietro la rete di recinzione domanda: “Lo sapete che cosa mi succederà?”.

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