Rimborsi lenti, norme regionali diverse frenano il senza glutine nei supermercati

foto (4)Trentadue anni dopo la firma della legge che lo ha istituito, il buono per i celiaci è al centro del dibattito, perché se da un lato garantisce una copertura adeguata per la costosa dieta senza glutine, dall’altro limita la concorrenza della grande distribuzione che potrebbe contribuire alla diminuzione dei prezzi, ancora troppo alti. Nel 1982, l’Italia, seconda in Europa dopo la Norvegia, ha approvato una legge che concede a ogni malato diagnosticato un buono mensile di circa cento euro. Un ticket spendibile solo nelle farmacie e rivendite autorizzate dal sistema sanitario e che varia in base alla regione di residenza.

Competenza delle Regioni è anche stabilire le regole che permettono ai supermercati di accettare i buoni spesa. Una possibilità concordata nel 2001 quando il decreto Veronesi ha aperto le porte dei rimborsi anche per la grande distribuzione. A distanza di vent’anni sono ancora pochissimi i punti vendita convenzionati al sistema sanitario e non tutte le regioni hanno hanno sfruttato questa possibilità. A rimetterci sono soprattutto i celiaci che da tempo chiedono una “demedicalizzazione” degli alimenti senza glutine o detto in altre parole: fare la spesa al supermercato.

Marina Pellizzari

Marina Pellizzari

Nell’estate del 2013 ha fatto scalpore una petizione lanciata online da Marina Pellizzari, madre di un bambino celiaco, dove si chiede al ministro della Salute di estendere la spendibilità del ticket nei supermercati anche in Veneto, dove questo ancora questo non è possibile. “I prodotti gluten free – si legge nel testo della petizione – non sono medicinali! I prezzi di questi prodotti sono molto alti ma nei supermercati sono più convenienti. Molti prodotti che si trovano in farmacia, al supermercato hanno un prezzo inferiore”. Da anni celiaci e familiari si lamentano dei costi stellari, ma a far clamore questa volta è stata l’adesione in pochissimi giorni di circa 20.000 persone che sono diventate poi quasi 60.000.

L’impresa della grande distribuzione è ostacolata da tre fattori: il costo degli alimenti, la loro deperibilità e la frammentazione normativa che varia da regione a regione.

Un esempio è quello del Gruppo Gabrielli, catena di supermercati del centro Italia, che dopo aver convenzionato tre punti vendita in Abruzzo, ha esteso l’ esperimento anche alle Marche: ma qui ha dovuto fare i conti con un groviglio burocratico. “Il problema – spiega Claudia Rasicci, responsabile del gruppo – è che le norme sono fatte ad hoc per le farmacie e adeguarsi per le grandi catene diventa difficilissimo. Le aziende sanitarie locali complicano l’iter per convenzionarsi e scoraggiano l’iniziativa della grande distribuzione: nelle Marche c’è una trafila lunghissima rispetto all’Abruzzo”. Nonostante che la Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche segnali sul suo sito che nel territorio sono presenti anche supermercati convenzionati, in realtà soltanto a Senigallia i celiaci marchigiani possono far la spesa in due coop convenzionate, per il resto devono rivolgersi alle farmacie e ai negozi specializzati.

Le uniche regioni italiane dove si è creata una forte sinergia tra grandi catene di supermercati e sanità sono Toscana, Liguria, Piemonte ed Emilia Romagna. Qui il gruppo Coop è stato lungimirante e dopo aver inaugurato già nel 2005, quando ancora il giro d’affari era marginale, una linea di prodotti per celiaci, ha disegnato una rete di punti vendita dove è possibile spendere il buono mensile. Ma nel resto d’Italia per i celiaci è ancora difficile fare la spesa “al supermercato”. “Per i prodotti senza glutine – afferma Barbara Lega, portavoce di Coop Italia – l’azienda ha scelto di adottare una politica di prezzi bassi, soprattutto per quelli a marchio Coop. Per quanto riguarda i prodotti che noi vendiamo, tendenzialmente hanno un marchio diverso rispetto alla farmacia anche nel caso di uguale fornitore. In generale però il divario che si riscontra tra grande distribuzione e farmacia dipende dalla politica di prezzo che si sceglie di seguire”. A parte la Coop, anche Auchan e Esselunga stanno provando a convenzionarsi con i sistemi sanitari locali, ma ancora l’esperimento è limitato.

In una segnalazione del gennaio 2013 il Garante della concorrenza e del mercato ha rilevato come l’utilizzo di alcuni software in dotazione alle farmacie e agli enti sanitari locali, avrebbe potuto svantaggiare i supermercati e limitarne la concorrenza.

Inoltre un aspetto non chiaro è l’esistenza di un listino creato da Associazione italiana celiachia, nato come servizio ai consumatori, dove sono riportati i prezzi di vendita di alcuni prodotti “mutuabili”. Nel preambolo viene specificato che dalla lista sono esclusi i prodotti venduti solo nella grande distribuzione. La presenza di un listino diminuisce la concorrenza e a dirlo sono i richiami dell’Antitrust come quelli del 2007 sul pane e sulla pasta. “La pubblicazione di un listino – afferma il Garante – può essere sintomo di un’intesa tra le aziende produttrici”.

barillaIntesa o no, fatto sta che nonostante l’arrivo di nuovi marchi, i prezzi restano alti. Tanto per dare un’idea un chilo di pasta ai cereali può costare anche 20 euro, 50 euro un chilo di panini di riso e 23 uno di pasta all’uovo. Prezzi solo parzialmente giustificati dalle spese per le materie prime, il grande dispendio per adeguare la filiera produttiva e i cospicui investimenti in ricerca e sviluppo delle aziende più importanti per migliorare i prodotti.

A risanare il mercato potrebbero pensarci i grandi marchi dell’industria alimentare come Barilla, che a novembre ha lanciato la sua linea di pasta senza glutine a 1,79 euro per 400 grammi sia in farmacia che nei supermercati o le catene di supermercati come Conad, Coop e Auchan che sempre più stanno investendo in quello che agli occhi di tutti è un mercato in espansione.

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