La terra dei veleni » cic http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura Wed, 23 Apr 2014 14:39:15 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni no Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni » cic http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Il filone amministrativo: per il Comune “siti inquinati”, via all’analisi del rischio http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/17/289/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/17/289/#comments Thu, 17 Apr 2014 16:21:07 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=289 “Il sito può definirsi potenzialmente contaminato”. È la formula che viene usata per le analisi svolte su richiesta del Comune di Crotone per tutti i 18 siti posti sotto sequestro dalla procura nel 2008 e che esprime i risultati della caratterizzazione di queste aree.

Difatti, il filone giudiziario della questione ‘black mountains’ è stato affiancato da uno amministrativo, portato avanti d’accordo tra Comune e ministero dell’Ambiente. L’azione istituzionale prevede tre fasi: la caratterizzazione dei siti, l’analisi del rischio ed eventualmente la bonifica delle aree, se i risultati dei due livelli precedenti dovessero far emergere l’inquinamento di queste zone.

La prima fase – quella della caratterizzazione – si è da poco conclusa. Il laboratorio Tecnoparco ha vinto l’appalto comunale per le analisi di questi siti. I suoi dati sono stati poi confermati dall’Arpa Calabria. Così il Comune ha potuto elaborare un documento di sintesi che evidenzia le caratteristiche delle aree incriminate.

E la formula per tutti i 18 siti è molto simile: “Sulla scorta dei dati esposti, avendo riscontrato dei superamenti delle Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) nella matrice suolo per la specifica destinazione del sito e nella matrice acqua sotterranee, ai sensi dell’art. 240 del decreto legislativo 152/2006, il sito può definirsi ‘potenzialmente contaminato’. Inoltre si osserva come in più punti il materiale prelevato non risulti conforme ai requisiti fissati per il recupero dei rifiuti come sottofondo stradale o per la formazione di rilevati, in particolari ai limiti per il test di cessione”.

Il documento redatto dal Comune evidenzia, inoltre, nelle sue conclusioni, tutti gli aspetti più critici. Si parte dalla valutazione dei terreni: “Tutti i siti investigativi presentano superamenti delle Csc per la specifica destinazione d’uso”, recita il documento.

Discorso molto simile viene fatto per i test di eluizione (la cessione in acqua deionizzata): “Tutti i siti presentano superamenti dei valori limite fissati per la conformità del materiale al suo utilizzo come rilevato e sottofondo stradale”.

Per quanto riguarda le acque sotterranee,invece, si ha un responso non molto diverso, ma limitato dalla possibilità di prelevare i campioni in tutte le aree analizzate. Il documento redatto dal Comune parla infatti di “tutti i siti nei quali è stato possibile prelevare campioni”, spiegando come essi “presentano superamenti delle Csc, ad eccezione del sito n. 18 (cabina Enel del Comune di Capo Rizzuto)”.

Questa parte delle conclusioni del Comune comprende anche la tabella in cui vengono riportate, per ogni sito e per ogni matrice, le percentuali di superamento rispetto ai campioni analizzati:

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Il superamento dei limiti per i metalli pesanti sito per sito

Le ultime righe del documento il Comune di Crotone le usa per fare una sintesi di quanto emerso dalle analisi: “Tra i siti investigati spiccano, per l’elevato numero di superamenti rilevati sulla matrice suolo”, i piazzali della ditta Graziani, della Casillo e della Crotonscavi, ma anche quello della scuola San Francesco e dell’Istituto di ragioneria ‘Lucifero’. Il sito “meno compromesso in tutte le matrici”, invece, è quello dell’Aterp, le case popolari della località Margherita, alla periferia di Crotone.

Le ultime parole del documento sono, infine, dei consigli. Prima di tutto, il suggerimento di effettuare “un’analisi di rischio sanitario ambientale dei siti che dovrebbe essere svolta con parametri ottenuti sperimentalmente”. E poi quello di dare il via a “monitoraggi periodici dello stato di qualità delle acque sotterranee per verificare eventuali variazioni dovute a fattore idrodinamici e geochimici”.

Leggi il documento di caratterizzazione dei siti stilato dal Comune

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“Caso da riaprire, ma la colpa è politica”: l’accusa dell’ex presidente della provincia http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/caso-da-riaprire-ma-la-colpa-e-politica-laccusa-dellex-presidente-della-provincia/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/caso-da-riaprire-ma-la-colpa-e-politica-laccusa-dellex-presidente-della-provincia/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:01:45 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=38 Ci sono casi giudiziari in cui anche gli indagati che sono stati prosciolti credono che le cose sarebbero dovute andare diversamente. Ed è esattamente quello che è accaduto a Sergio Iritale, ex presidente della provincia di Crotone dal 2004 al 2009, nel caso ‘black mountains’, le montagne nere accumulate nell’ex Pertusola Sud e poi utilizzate per costruire alcuni piazzali nella zona del crotonese. “Sarei poco credibile se dicessi che la questione giudiziaria andava chiusa così”: è il commento di Iritale, indagato per omesso controllo, al maxi-proscioglimento da parte del Gup, Gloria Gori.

Iritale

Sergio Iritale, ex presidente della provincia di Crotone dal 2004 al 2009

Ma per l’ex presidente della Provincia il punto principale è quello politico e non quello giudiziario: “C’è stata una grande responsabilità di chi ha inquinato ma anche un atteggiamento temperato di chi dovrebbe reagire – spiega Iritale – c’è la responsabilità dello Stato che non è intervenuto con decisione e tempestività, i ritardi di Governo e Regione sono stati il male peggiore, più dell’inquinamento”.

Secondo Iritale, comunque, uno dei punti principali è quello che riguarda i cittadini: “Ci vuole una conclusione molto più convincente per la gente , bisogna tranquillizzarla – continua l’ex presidente della provincia – se non ci dovesse essere inquinamento ci vogliono delle carte che lo dimostrino, dei certificati, questo è un fatto politico, non giudiziario”. A dover rassicurare i cittadini dovrebbero essere il ministero dell’Ambiente e la Regione, secondo Iritale. Infatti, è proprio la politica che deve “continuare in questa causa e certificare quanto successo tramite personalità in campo scientifico che non hanno coinvolgimento diretto nella vicenda”, punto su cui continua a insistere l’ex presidente della provincia.

Cosa si dovrebbe fare ora? Per Iritale una risposta la può dare il Comune che dovrebbe avviare “un’azione politica”. Intanto Iritale non risparmia critiche né all’Eni né a chi ha condotto le indagini. Sull’Eni (proprietaria dell’ex Pertusola Sud) il giudizio dell’ex presidente della provincia è netto: “Non mi è mai piaciuta, ogni anno cambiava il mio interlocutore nell’azienda”. Ma l’ultima stoccata Iritale la lancia ai magistrati che hanno portato avanti l’accusa: “Sparare nel mucchio non serve, andavano separate le colpe delle amministrazioni locali per omesso controllo e quelle di chi ha procurato lo smaltimento illecito”.

 

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Il perito della procura: “Il caso non andava chiuso, i siti sono inquinati” / VIDEO http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-parola-al-perito-il-caso-non-andava-chiuso-i-siti-sono-inquinati/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-parola-al-perito-il-caso-non-andava-chiuso-i-siti-sono-inquinati/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:01:00 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=28 “Se esco di casa con il sacchetto dell’umido e lo butto da un’altra parte cosa faccio? Infrango una regola. È esattamente quello che è successo con il Cic a Crotone”. A dirlo è Giovanni Sindona, direttore del dipartimento di Chimica dell’Università della Calabria, nominato dalla procura di Crotone per una perizia tecnica che avrebbe dimostrato l’inquinamento dei 18 siti posti sotto sequestro dal Pm Pierpaolo Bruni nel 2008.


Giovanni Sindona: “I siti sono inquinati”

Sindona spiega: “A Crotone sono stati smaltiti dei rifiuti irregolarmente, usandoli per costruire alcuni piazzali”. Allora, secondo il perito nominato dal Pm, “questo caso non andava chiuso” come fatto dal Gup, Gloria Gori, che ha prosciolto tutti i 45 indagati. “D’altronde, se non c’era inquinamento perché tutti ora chiedono la bonifica? La bonifica si fa solo per siti inquinati”, continua Sindona.

Il coinvolgimento del professore dell’Unical in questa vicenda inizia a pochi mesi di distanza dal sequestro dei siti. La procura di Crotone lo nomina per dimostrare se in questi 18 luoghi l’inquinamento esisteva realmente. La risposta di Sindona non lascia dubbi: “Abbiamo analizzato 9 siti con 900 campioni e abbiamo rilevato che i valori dei metalli pesanti erano al di sopra di quanto consentito dalla legge. Tra i 40 e gli 80 centimetri di profondità c’erano valori enormi di zinco, ma anche di arsenico e piombo”.

La perizia di Sindona non si è fermata qui però. Il professore ha provato anche a studiare il rilascio a contatto con altre sostanze, quelle quotidianamente consumate dai bambini di una scuola elementare come quella del plesso San Francesco dell’Alcmeone. I risultati sono chiari: “Il rilascio con sostanze come aceto e coca cola è risultato particolarmente preoccupante – spiega Sindona – e il Cic non era inerte come doveva essere”.

A preoccupare il professore infatti sono state anche le condizioni dei piazzali sequestrati: “Nei primi mesi davanti la scuola elementare c’era solo la terra a separare il Cic dal contatto diretto con i bambini”. Con il rischio che il Cic si mischiasse alla terra non essendo inerte, come sostenuto dalla perizia.

Proprio sulla questione del rilascio il professor Sindona è molto critico rispetto all’analisi svolta dal perito nominato dal Gup, l’ingegnere Daniele Martelloni: “I valori risultanti dalle sue analisi sono molto simili ai nostri, se non superiori – spiega Salvatore Armentano, consulente di Sindona – ma lui ha fatto i test di cessione solo con l’acqua e non con altri elementi. Così facendo, Martelloni non ha trovato alcun nesso tra il Cic e l’inquinamento”. Si tratterebbe, però, di un problema di strumentazioni: “Martelloni avrebbe dovuto svolgere un’analisi isotopica, in questo modo sarebbe stato rintracciabile il nesso – spiega ancora il perito della procura – ma non l’ha fatto, probabilmente perché non aveva neanche gli strumenti idonei come quelli che abbiamo usato noi”.


Un tecnico del laboratorio dell’Unical spiega come sono state svolte le analisi

Giovanni Sindona sottolinea come molti elementi della sua analisi convergano con quelli della perizia di Martelloni, che ha poi permesso il maxi-proscioglimento: “Anche Martelloni segnala l’inesattezza del Codice Cer attribuito alle scorie Cubilot”, ovvero del codice con cui l’ex Pertusola Sud ha etichettato queste scorie come non pericolose. Ma secondo entrambi i periti, dunque, il codice doveva essere un altro che avrebbe identificato le scorie come nocive e quindi non smaltibili con il procedimento semplificato che è stato poi seguito.

Ultimo punto sottolineato da Sindona riguarda il modo in cui questa vicenda è stata vissuta nel territorio. In molti hanno visto e vedono ancora oggi la perizia del professore e tanti altri interventi come un modo per denigrare Crotone e far allarmare inutilmente la gente. E a farlo sono stati anche alcuni media locali. L’esempio lampante lo racconta proprio Sindona: “Nel 2011 un giornale locale ha addirittura scritto che ero morto in America, ma come si può vedere sono ancora qui”, spiega Sindona raccontando come siano state più volte messe in discussione il suo lavoro e la sua professionalità dopo la vicenda Cic.

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Scuola San Francesco: “Papà, ma allora sono malata?’” http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-sotto-sequestro-il-plesso-di-san-francesco-ancora-chiuso/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-sotto-sequestro-il-plesso-di-san-francesco-ancora-chiuso/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:37 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=26 “Mia figlia guardava la tv e mi diceva piangendo: papà, ma allora io sono malata?”. In questa frase di un padre del comitato genitori della scuola San Francesco si riassume quello che è successo nel 2008 nel plesso staccato della scuola elementare ‘Alcmeone’, dopo il sequestro del piazzale della scuola, costruito con il Cic.

La scuola elementare 'Alcmeone', plesso di San Francesco

La scuola elementare ‘Alcmeone’, plesso di San Francesco

Siamo nel settembre del 2008, all’inizio dell’anno scolastico. Il piazzale davanti il plesso di San Francesco della scuola elementare ‘Alcmeone’ viene posto sotto sequestro, con un’azione che viene definita dai genitori degli alunni come un ”blitz”. Davanti alla scuola spuntano i cartelli del Nisa (il nucleo investigativo sanità e ambiente): il piazzale è sotto sequestro. Ma la scuola no. Così, i genitori devono continuare a mandare i loro figli in quella struttura, ma la responsabilità dell’attraversamento del piazzale è loro, come spiega Rosaria Vazzano, rappresentante del comitato dei genitori. Proprio su loro spinta, il plesso viene chiuso nell’ottobre dello stesso anno. Gli alunni vengono trasferiti in parte nella sede centrale – al posto di alcuni laboratori – e altri in una sede in affitto nel centro di Crotone, come racconta il dirigente scolastico, Eugenia Garritani.

Lo stesso dirigente sottolinea: “Il Comune ha pagato un affitto da circa 100 mila euro l’anno per questa sede, quando si poteva fare una cementificazione del cortile per la messa in sicurezza con 70-80 mila euro”.

Ma il problema principale è quello dei bambini: “Gli alunni erano sotto shock, sono stati seguiti per un anno e mezzo per le loro condizioni di salute”, spiega ancora Eugenia Garritani. Una scena come quella della bambina che guarda la tv e si crede malata non è rara. Le televisioni e i media locali spiegano quello che sta succedendo. E la preoccupazione dei genitori e, ancor più dei bambini, è inevitabile.

In questa fase ha inizio lo screening del professore Sebastiano Andò, dell’Università di Cosenza. Il suo studio dimostra che i bambini che hanno frequentato quella scuola presentano nei loro corpi valori dei metalli pesanti più alti di quelli delle altre scuole del crotonese. Lo screening però si interrompe e, ancora oggi, il comitato dei genitori chiede che possa riprendere per sapere quali sono le condizioni dei loro figli.

Ad oggi, più di cinque anni dopo, il plesso è ancora chiuso e il dirigente scolastico ha riconsegnato le chiavi della scuola al Comune. Il piazzale, intanto, è ancora sotto sequestro: “Nessuno ha mai revocato l’ordinanza”, spiega la Garritani.

La sede è stata recintata e, in teoria, l’accesso al piazzale non dovrebbe essere consentito. Ma la rete si interrompe ed entrare nel piazzale è semplice. E lo fanno in molti. Alcune persone portano lì il cane a fare i bisogni. Oltrepassando la recinzione, la prima cosa che si nota è che sotto le pietre c’è un telo nero plastificato. Come spiegato anche dal comitato dei genitori, quello è l’unico elemento che dovrebbe mettere in sicurezza l’area. Un semplice telo nero. Peraltro, non in condizioni impeccabili. Sotto il telo c’è il Cic e, come dimostrato dalle analisi del professor Sindona – perito nominato dalla Procura – lì sotto ci sono metalli pesanti, come l’arsenico, presenti in valori ben superiori rispetto a quelli consentiti dalla legge. Il contatto con le persone non viene evitato: ci si può camminare sopra e il telo plastificato non sembra una messa in sicurezza sufficiente.


La recinzione del piazzale interrotta e la messa in sicurezza precaria

Il plesso della scuola è abbandonato. Come dice il dirigente scolastico “è stato vandalizzato e anche per questo non è stato mai sistemato, i costi sarebbero stati troppo alti”.

L’unica cosa in funzione ancora oggi, dopo tutti questi anni, è l’impianto elettrico. Tutte le sere le luci del piazzale e della scuola sono accese. Anche in estate. E anche se la scuola è chiusa da più di cinque anni.

Scuola luci accese

Le luci accese tutte le sere, nonostante la scuola sia chiusa da anni

 

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L’ex Pertusola Sud: una storia di ricchezza e povertà http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lex-pertusola-sud-una-storia-di-ricchezza-e-poverta/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lex-pertusola-sud-una-storia-di-ricchezza-e-poverta/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:15 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=30 Croce e delizia. Miseria e nobiltà. Tutto questo è stata la Pertusola Sud per la città di Crotone. Delizia e nobiltà per tutti gli anni Ottanta, quando Crotone era uno dei principali centri industriali del sud Italia. Croce e miseria dal momento della sua chiusura; da quando, cioè, si è iniziato a valutare anche l’inquinamento che la fabbrica ha portato in oltre 60 anni di attività e una volta dismessa, in tutta la città.

Pertusola

L’ex Pertusola Sud

La Pertusola Sud nasce nel 1928: in quell’anno inizia la costruzione di un impianto per la produzione dello zinco a Crotone. La fabbrica diverrà operativa nel 1932 e sarà uno dei due poli italiani dello zinco, insieme a quello di Portovesme, in Sardegna. Pertusola Sud operava nel settore della metallurgia e, nello specifico, si occupava della produzione di semilavorati e di leghe di zinco, partendo dal solfuro di zinco proveniente da Canada, Australia e Irlanda.

Crotone è stata conosciuta in tutta Italia proprio per la sua natura industriale. La Pertusola Sud (la più grande fabbrica calabrese) e la Montedison hanno reso negli anni la zona del crotonese uno dei più grandi centri industriali del Sud. Un gran numero di cittadini della zona ha lavorato nelle due fabbriche che hanno portato anche grossi benefici alla vita economica crotonese. Benefici che sono finiti con la chiusura della Pertusola Sud nel 1999.

Prima della liquidazione, avvenuta il 31 marzo 1998, la Pertusola era stata ceduta ad Enirisorse, nel 1997. La produzione cessa nel febbraio del 1999. Nel 2001 viene identificata – con il decreto legislativo 468/01 del ministero dell’Ambiente – come “sito di interesse nazionale da sottoporre ad attività di bonifica di aree industriali dismesse, della fascia costiera contaminata da smaltimento abusivo di rifiuti industriali e del relativo specchio di mare, di discariche abusive”.

La bonifica dei 500 ettari dell’ex Pertusola Sud viene affidata alla Syndial, la società del gruppo Eni specializzata nel campo del risanamento ambientale, ed ha inizio nell’ottobre del 2010. Ancora oggi sono in corso le operazioni di bonifica.

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Vista dell’ex Pertusola Sud dall’imbocco per Crotone dalla strada statale 106

Quello che resta oggi, però, è quasi soltanto l’inquinamento e la miseria che la chiusura della fabbrica ha lasciato in un territorio che aveva puntato tutto sull’industrializzazione, finita di colpo con la dismissione dell’ex Pertusola Sud. Arrivando in città le prime cose che si vedono prima di entrare a Crotone sono proprio le ciminiere della Pertusola, che svettano di fianco alla superstrada da cui si accede alla città. E ha lasciato guai relativi all’inquinamento: non solo quello presunto causato dallo smaltimento della scoria Cubilot come Cic per costruire 18 piazzali poi posti sotto sequestro dalla provincia. Ma anche quello che ha portato il tribunale di Milano a pronunciarsi in favore di un risarcimento da oltre 50 milioni di euro che l’Eni dovrà pagare alla presidenza del Consiglio per il danno ambientale causato nell’area di Crotone.

Per rendersi conto di quanto è avvenuto negli anni alla Pertusola Sud basta leggere una dichiarazione – rilasciata durante il procedimento ‘black mountains’ – di un ex operaio della fabbrica: “Quanto all’amianto posso riferire che fino agli inizi degli anni ’90, quando non si conosceva la pericolosità di tale materiale, addirittura mangiavamo con i colleghi utilizzando fogli di amianto come tavola”.

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Lo ‘scaricabarile’ della difesa: “Hanno sbagliato solo le imprese” http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lo-scaricabarile-della-difesa-hanno-sbagliato-solo-le-imprese/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lo-scaricabarile-della-difesa-hanno-sbagliato-solo-le-imprese/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:11 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=32 L’Eni scarica le responsabilità sui dirigenti locali e i dirigenti locali le scaricano sulle imprese che hanno usato il Cic. Questo è successo nel caso ‘black mountains’. A dimostrarlo sono le parole di Alberto Mano, avvocato difensore e figlio di uno degli indagati prosciolti, il legale rappresentante pro tempore della Pertusola Sud, Vincenzo Mano.

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L’ex Pertusola Sud, di proprietà dell’Eni

Secondo l’avvocato Mano, infatti, “se c’è stato un abuso è stato quello delle imprese che non hanno rispettato gli spessori tipici per la pavimentazione” degli spiazzi posti sotto sequestro dalla procura di Crotone nel 2008.

Mano ricostruisce i fatti a partire dagli anni Novanta: “Ci sono stati dieci anni di attività di ricerca per decidere di ‘creare’ il Cic, un catalizzatore usato per costruire mezza Norvegia – spiega il legale – e ci sono voluti tre anni per stipulare i contratti con le imprese a cui la Pertusola Sud lo ha ceduto”. La Syndial (compagnia dell’Eni che si occupa dello smaltimento), quindi, ha “stipulato contratti di vendita con due imprese dando un contributo per trasporto e posa del materiale pari a 5000 lire a tonnellata, un’inezia che non bastava neanche a coprire il carburante dei trasporti”, continua Alberto Mano.

Si arriva così al processo, nel quale la società (l’Eni) “ha provato a costituirsi parte civile per scaricare tutte le responsabilità sui dirigenti locali, non essendo citabile in giudizio per reati ambientali – racconta il legale di Vincenzo Mano – ma fortunatamente il Gup non ha accettato e lo stesso procuratore capo ha subito alzato il dito per criticare la proposta dell’Eni”.

Lo scarico di responsabilità avviene però anche da parte dei dirigenti locali: “La scoria Cubilot era un rifiuto non tossico, recuperabile con procedure semplificate – secondo Alberto Mano – se l’utilizzo del materiale non è conforme potrebbe riacquistare la qualità di rifiuto e quindi i siti interessati potrebbero essere assimilati a discariche”.

Le critiche di Mano si rivolgono in particolare al presunto abuso da parte delle due imprese nella scuola elementare di San Francesco: “Lì il Cic è stato usato in una parte asfaltata regolarmente ma anche in un’altra area verde che andava cementificata. C’era solo un po’ di terreno sopra e il Cic sotto, in un’altra parte, addirittura, non c’era né terreno né pavimentazione”.

La posizione di Mano è a difesa del Cic: “Innescato con l’acqua non è altro che un ‘pastone’ come quello per i pavimenti, il materiale diventa duro entro sei mesi e si solidifica del tutto in tre anni – continua il legale – le cessioni provate dal perito Martelloni sono conformi alla legge, che prevede che vengano fatte solo in acqua distillata, non con gli acidi come fatto dal professor Sindona”.

Se c’è qualcosa che non va, quindi, secondo Mano, è probabilmente per colpa delle imprese: “Forse il Cic è stato rullato bene solo negli strati superficiali, per questo in alcuni siti il Cic risulta meno compatto”.

L’ultimo commento di Alberto Mano riguarda la scoria Cubilot, definita come “una pallina vetrosa in cui è intrappolata la scoria che può uscire solo a contatto con acidi”.

Secondo il legale, comunque, sono state anche fatte delle prove e “nel 1999 abbiamo valutato che la scoria pura è pericolosa solo se la mangi e, ovviamente, se ne mangi 800 grammi si può anche morire, ma è normale, anche se mangi 600 grammi di sabbia puoi morire”.

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La perizia Andò. I valori sono alterati, ci sono metalli pesanti / VIDEO http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/valori-alterati-la-presenza-di-metalli-pesanti-nella-perizia-ando/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/valori-alterati-la-presenza-di-metalli-pesanti-nella-perizia-ando/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:08 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=34 Quando si scopre che il proprio figlio, un bambino di meno di dieci anni, ha nel corpo una quantità di  metalli pesanti ben superiore a quelle della media dei suoi coetanei la preoccupazione di un genitore è inevitabile. E per questo motivo tuttora – a cinque anni di distanza dalle prime analisi – questi padri e queste madri chiedono che i loro figli possano essere controllati esattamente come è stato fatto con la perizia del professore Sebastiano Andò, direttore del dipartimento di Farmacia dell’Università della Calabria.


Il professore Andò: “Metalli pesanti nei bambini della scuola San Francesco”

Andò, chiamato in causa dalla procura di Crotone, ha analizzato la presenza di metalli pesanti nei bambini che hanno frequentato il plesso San Francesco della scuola elementare ‘Alcmeone’, confrontando questi risultati con quelli di ragazzi di altre scuole di Crotone, in modo da partire dalla stessa condizione di base, ovvero l’appartenenza a un territorio comune.

La relazione del professore Andò è chiara: nei bambini della scuola di San Francesco il valore di alcuni metalli pesanti (nichel, cadmio, arsenico, zinco, piombo) è superiore a quello degli altri ragazzi presi a campione.

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Una scuola incredula: l’inquinamento all’istituto di Ragioneria Lucifero http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-incredula-linquinamento-allistituto-di-ragioneria-lucifero/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-incredula-linquinamento-allistituto-di-ragioneria-lucifero/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:49 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=36 Un anno scolastico con 45 giorni in meno e un piazzale ancora sotto sequestro ma calpestabile: queste sono le conseguenze della vicenda giudiziaria ‘black mountains’ sull’Istituto tecnico commerciale di ragioneria ‘Lucifero’ di Crotone.

L’istituto tecnico di Ragioneria ‘Lucifero’

L’istituto tecnico di Ragioneria ‘Lucifero’

Il piazzale interno della scuola, costruito con il Cic – miscela di scorie Cubilot e loppa d’altoforno – è stato posto sotto sequestro nel settembre del 2008. Da quel momento la scuola viene fatta chiudere su ordinanza del sindaco a tempo indeterminato. Il preside Sabatino Naso inizia subito la sua battaglia per la riapertura. Attacca le perizie della procura e sostiene che non c’è alcun inquinamento. “Ho forzato la mano e la provincia ha messo in sicurezza il cortile plastificando il piano – spiega Naso – così dopo 45 giorni la scuola ha riaperto”.

I danni però rimangono, soprattutto per gli studenti: “L’anno scolastico è stato convalidato con meno di 200 giorni (153), ho dovuto richiedere l’autorizzazione dal Ministero – spiega il dirigente del ‘Lucifero’ – siamo riusciti a far recuperare solo venti giorni agli studenti delle quinte classi nelle sedi dell’Università”.

ragioneria interno

Un piazzale interno della scuola

Nonostante la convinzione dell’ex dirigente scolastico, la situazione però non si è ancora sbloccata. L’attuale dirigente scolastico, nonché vicesindaco di Crotone, Anna Curatola, spiega: “Ho fatto di recente richiesta per far riaprire lo spiazzo, ma la Procura mi ha risposto pochi giorni fa dicendomi che non siamo autorizzati”. Intanto, però, tutti i piazzali intorno alla scuola sono percorribili, nonostante la mancata autorizzazione della Procura. E non ci sono recinzioni o impedimenti di alcun tipo.

Eppure, nessuno sembra preoccupato nell’istituto. Gli attuali studenti non sanno nulla dei piazzali costruiti con il Cic. I collaboratori scolastici, invece, affermano: “Qui non c’è inquinamento, non c’è niente. Un mio amico, infatti, ha chiesto di far costruire uno spiazzo davanti casa col Cic, tanto è sicuro”.

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Una scoria e la sua evoluzione: il Cubilot e il Cic http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:40 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=40 Prima commercializzate come abrasivi, poi accumulate all’esterno della fabbrica e infine utilizzate per la costruzione di piazzali: è la storia delle scorie Cubilot, derivanti dalla produzione delle ferriti di zinco dell’ex Pertusola Sud. Con queste scorie – miscelate alla loppa d’altoforno per formare il Cic – sono stati costruiti 18 spiazzi nella provincia di Crotone. Siti che sono stati posti sotto sequestro nel 2008 dal Pm Pierpaolo Bruni perché a rischio inquinamento.

Cic

Un frammento del Cic, materiale con cui sono stati costruiti i 18 piazzali sequestrati dalla Procura

La scoria Cubilot – definizione. La scoria Cubilot viene definita come un prodotto derivante “dal trattamento per via termica delle ferriti, che sono residui della produzione dello zinco a partire dal minerale ‘blenda’ che si realizzava in Pertusola Sud”.

Il forno Cubilot. La scoria deriva dalla produzione avvenuta nel forno Cubilot, messo in funzione per la prima volta nel 1972. Ha poi cessato la produzione 21 anni dopo, nel 1993. In questo periodo avrebbe prodotto, secondo alcune stime presenti nelle carte processuali, 811.215 tonnellate di scorie.

Il Pescor. Fino al 1990 questa scoria veniva smaltita regolarmente per via commerciale, creando un abrasivo per la sabbiatura venduto poi come ‘Pescor’. In sostanza, abrasivi come questo vengono usati anche per oggetti di uso quotidiano, come accade con le forchette. Nel 1990, però, alcune aziende che utilizzavano il ‘Pescor’ notano un’anomalia: nell’abrasivo il contenuto di arsenico è tale da far classificare il prodotto come un rifiuto tossico/nocivo. Per questo motivo viene levato dal mercato.

Le montagne nere. L’ex Pertusola Sud è quindi costretta, dal 1990, a smaltire diversamente le scorie Cubilot. È così che inizia l’accumulo di quello che viene considerato come rifiuto nelle cosiddette black mountains, le montagne nere presenti sul piazzale all’esterno della fabbrica. A confermarlo sono anche alcune testimonianze di operai dell’ex Pertusola Sud raccolte dal Pm, Pierpaolo Bruni.

Il codice Cer. Ogni fabbrica deve fornire al ministero dell’Ambiente un codice che identifica gli elementi risultanti dal ciclo di produzione. Nel caso delle scorie Cubilot il codice Cer attribuito dall’ex Pertusola Sud è stato 10-08-01. Ogni coppia di numeri rappresenta alcune determinate caratteristiche: il 10 identifica i rifiuti inorganici provenienti da processi termici; lo 08 i rifiuti di altri processi metallurgici non ferrosi; e lo 01 rappresenta le scorie. Però l’attribuzione di questi codici è stata da più parti criticate, soprattutto dai periti che si sono occupati del caso. Per alcuni di loro il codice che doveva essere attribuito alle scorie Cubilot era 10-05-01, dove lo 05 rappresenta un rifiuto della metallurgia termica dello zinco, in quanto il forno Cubilot era integrato nella produzione di zinco. Con questo nuovo codice Cer la classificazione della scoria cambierebbe completamente, risultando tra quelle identificate come pericolose nella tabella ministeriale. Un altro codice ancora era stato attribuito da uno dei primi periti del caso, il dottor Sanna, che aveva ipotizzato un codice Cer 11-02-07. In entrambi i casi, risultando un rifiuto pericoloso, la scoria Cubilot non avrebbe potuto aver accesso alla procedura semplificata di smaltimento che è stata poi utilizzata dall’ex Pertusola Sud.

Il Cic. Lo smaltimento della scoria si fa così più complicato dopo la fine del commercio del ‘Pescor’. La Pertusola Sud chiede consulenza anche al Ministero. Un membro del comitato tecnico-scientifico, Eleonora Fornasari, dà il suo parere a riguardo: “C’è una chiara necessità di miscelare le scorie stesse con altri materiali al fine di abbassare il tenore globale in arsenico del composto”. La spiegazione è semplice: “Tale scoria presenta problemi di tipo igienico-sanitario ed ambientale, legati sia alla sua composizione che alla capacità di cedere metalli se esposta al potere dilavante di soluzioni leggermente acide”, come risulta dalle dichiarazioni della Fornasari emerse dalle carte processuali. Lo studio della Fornasari termina col suggerimento di usare la scoria Cubilot per ‘pavimentazioni stradali’, dopo però averla “miscelata per ridurre la quantità di arsenico”. In particolare, il membro del comitato ministeriale considera la “scoria vetrosa più adatta ad essere mescolata con la ‘sabbia gialla Ciampà’”.

Un altro suggerimento dato dalla Fornasari è quello di integrare la ragione sociale della fabbrica, modificando l’articolo 4 dello Statuto sociale con un comma aggiuntivo che dovrebbe recitare: “Produzione materiale per miscele e conglomerati destinati all’edilizia e di additivi ferrosi per la produzione del cemento”. Anche questo elemento viene riportato dalle carte processuali presentate dall’accusa.

Sottofondi stradali. Nel 1997, l’ex Pertusola Sud smaltisce circa 2000 tonnellate della scoria Cubilot tramite la formulazione del ‘Cascoril’, usato per costruire rilevati e sottofondi stradali.

Il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato). Tra il 1998 e il 1999 la scoria viene usata per la produzione del Cic, destinato alle “pavimentazioni stradali”. La produzione del Cic avviene tramite la mescolazione della scoria Cubilot (50%), di sabbia silicea di cava (39%), di loppa d’altoforno (10%) e di catalizzatore calcico in polvere (1%). La Pertusola invia quindi un ordine di acquisto all’Ilva di Taranto per “loppe granulate di altoforno”. Qui sorge però un altro problema: come scritto nelle carte processuali, “l’impianto di produzione del Cic avrebbe dovuto obbligatoriamente includere una apparecchiatura per la macinazione della loppa granulare. Dalla documentazione allegata non risulta la presenza di detta apparecchiatura: se ne deve dedurre che la loppa veniva utilizzata nella forma granulare fornita dall’Ilva”. In pratica, questo vuol dire che la loppa non poteva agire da legante e si può presumere che il Cic posto nei 18 siti “non si è consolidato in una massa alimentata ma è rimasto in forma sostanzialmente granulare e/o polverosa”.

I costi di smaltimento.
Il Pm, nella sua accusa, presenta anche un calcolo dei costi derivanti da questa operazione e quelli che invece avrebbe avuto uno smaltimento diretto della scoria. Quest’ultimo sarebbe costato, secondo le stime del Pm, circa 47 miliardi di lire. Tutto il processo per la formulazione e lo smaltimento del Cic sarebbe invece costato circa 17 miliardi di lire, comprendendo anche i costi di vendita del Cic alle due imprese edili che lo hanno poi usato per la costruzione di sottofondi stradali: la Crotonscavi e la Ciampà Srl. Queste due aziende, inoltre, avrebbero anche avuto vantaggi negli appalti a cui hanno partecipato in quanto venivano pagate per avere il materiale di costruzione e quindi nettamente favorite rispetto ad altre imprese che dovevano affrontare anche i costi di produzione. Per l’ex Pertusola Sud, comunque, è stato ipotizzato dall’accusa del Pm un risparmio illecito di quasi 30 miliardi di lire. Le cifre sono state fornite dalla stessa Syndial (società dell’Eni) quando ha provato a costituirsi parte civile nel procedimento. Richiesta rifiutata dal giudice.

 

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Cinque morti, allarme in Questura http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/siti-sotto-sequestro-lallarme-in-questura/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/siti-sotto-sequestro-lallarme-in-questura/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:18 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=42 Due scuole, una banchina del porto commerciale, alcune case popolari e addirittura la Questura di Crotone: questa è solo una parte dei 18 siti posti sotto sequestro dalla Procura nel 2008 perché i piazzali di questi spazi sono stati costruiti con il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato). Oggi, quasi sei anni dopo, nessuno ha ancora dimostrato se questi spiazzi sono realmente inquinati, ma intanto ci sono alcuni dati di fatto: cinque decessi hanno colpito il personale della Questura di Crotone e due persone sono tuttora malate.

Questura

La Questura di Crotone

In un territorio come quello crotonese un fenomeno del genere non è inspiegabile, ma sicuramente fa pensare che ci possa essere un nesso tra i piazzali costruiti con il Cic e queste malattie. Di questa opinione sembra essere anche Giuseppe Marino, rappresentante regionale del Siap, il sindacato di polizia: “Non è detto che ci sia un nesso, ma questa cosa ci preoccupa. Noi possiamo constatare che in ambito lavorativo ci sono stati dei decessi”. Marino spiega anche che “forse questi problemi non sono dovuti al Cic, ma è comunque pericoloso e da lì va tolto”.

Il sindacalista regionale però non si tira indietro quando si parla di inquinamento: “È giusto che chi ha inquinato paghi  - continua Marino – per quello che abbiamo capito noi, non essendo tecnici, il rifiuto è stato messo lì in maniera anomala”.

La preoccupazione di Marino deriva anche dalla mancata conoscenza di cosa ci sia realmente sotto il piazzale: “Noi vogliamo comunque sapere qualcosa di preciso al di là dei periti tecnici – ribadisce il sindacalista della polizia – chiediamo che qualcuno si metta all’opera, che una commissione venga a verificare cosa è successo”. Unica rassicurazione, secondo Marino, è il “pavimento posto sopra il piazzale, ma a preoccupare è anche una nota della relazione Martelloni (ndr. quella del perito che ha poi portato al proscioglimento di 45 indagati) secondo cui durante le trivellazioni sono emerse, sotto il Cic, delle ferriti di zinco allo stato libero”.

Allora cosa chiede il Siap? Marino risponde: “Vogliamo la rimozione del Cic e che qualcuno ripari i danni fatti, ad esempio quelli causati dalla chiusura della scuola di San Francesco”.

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