La terra dei veleni » codice cer http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura Wed, 23 Apr 2014 14:39:15 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni no Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni » codice cer http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Il perito della procura: “Il caso non andava chiuso, i siti sono inquinati” / VIDEO http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-parola-al-perito-il-caso-non-andava-chiuso-i-siti-sono-inquinati/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-parola-al-perito-il-caso-non-andava-chiuso-i-siti-sono-inquinati/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:01:00 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=28 “Se esco di casa con il sacchetto dell’umido e lo butto da un’altra parte cosa faccio? Infrango una regola. È esattamente quello che è successo con il Cic a Crotone”. A dirlo è Giovanni Sindona, direttore del dipartimento di Chimica dell’Università della Calabria, nominato dalla procura di Crotone per una perizia tecnica che avrebbe dimostrato l’inquinamento dei 18 siti posti sotto sequestro dal Pm Pierpaolo Bruni nel 2008.


Giovanni Sindona: “I siti sono inquinati”

Sindona spiega: “A Crotone sono stati smaltiti dei rifiuti irregolarmente, usandoli per costruire alcuni piazzali”. Allora, secondo il perito nominato dal Pm, “questo caso non andava chiuso” come fatto dal Gup, Gloria Gori, che ha prosciolto tutti i 45 indagati. “D’altronde, se non c’era inquinamento perché tutti ora chiedono la bonifica? La bonifica si fa solo per siti inquinati”, continua Sindona.

Il coinvolgimento del professore dell’Unical in questa vicenda inizia a pochi mesi di distanza dal sequestro dei siti. La procura di Crotone lo nomina per dimostrare se in questi 18 luoghi l’inquinamento esisteva realmente. La risposta di Sindona non lascia dubbi: “Abbiamo analizzato 9 siti con 900 campioni e abbiamo rilevato che i valori dei metalli pesanti erano al di sopra di quanto consentito dalla legge. Tra i 40 e gli 80 centimetri di profondità c’erano valori enormi di zinco, ma anche di arsenico e piombo”.

La perizia di Sindona non si è fermata qui però. Il professore ha provato anche a studiare il rilascio a contatto con altre sostanze, quelle quotidianamente consumate dai bambini di una scuola elementare come quella del plesso San Francesco dell’Alcmeone. I risultati sono chiari: “Il rilascio con sostanze come aceto e coca cola è risultato particolarmente preoccupante – spiega Sindona – e il Cic non era inerte come doveva essere”.

A preoccupare il professore infatti sono state anche le condizioni dei piazzali sequestrati: “Nei primi mesi davanti la scuola elementare c’era solo la terra a separare il Cic dal contatto diretto con i bambini”. Con il rischio che il Cic si mischiasse alla terra non essendo inerte, come sostenuto dalla perizia.

Proprio sulla questione del rilascio il professor Sindona è molto critico rispetto all’analisi svolta dal perito nominato dal Gup, l’ingegnere Daniele Martelloni: “I valori risultanti dalle sue analisi sono molto simili ai nostri, se non superiori – spiega Salvatore Armentano, consulente di Sindona – ma lui ha fatto i test di cessione solo con l’acqua e non con altri elementi. Così facendo, Martelloni non ha trovato alcun nesso tra il Cic e l’inquinamento”. Si tratterebbe, però, di un problema di strumentazioni: “Martelloni avrebbe dovuto svolgere un’analisi isotopica, in questo modo sarebbe stato rintracciabile il nesso – spiega ancora il perito della procura – ma non l’ha fatto, probabilmente perché non aveva neanche gli strumenti idonei come quelli che abbiamo usato noi”.


Un tecnico del laboratorio dell’Unical spiega come sono state svolte le analisi

Giovanni Sindona sottolinea come molti elementi della sua analisi convergano con quelli della perizia di Martelloni, che ha poi permesso il maxi-proscioglimento: “Anche Martelloni segnala l’inesattezza del Codice Cer attribuito alle scorie Cubilot”, ovvero del codice con cui l’ex Pertusola Sud ha etichettato queste scorie come non pericolose. Ma secondo entrambi i periti, dunque, il codice doveva essere un altro che avrebbe identificato le scorie come nocive e quindi non smaltibili con il procedimento semplificato che è stato poi seguito.

Ultimo punto sottolineato da Sindona riguarda il modo in cui questa vicenda è stata vissuta nel territorio. In molti hanno visto e vedono ancora oggi la perizia del professore e tanti altri interventi come un modo per denigrare Crotone e far allarmare inutilmente la gente. E a farlo sono stati anche alcuni media locali. L’esempio lampante lo racconta proprio Sindona: “Nel 2011 un giornale locale ha addirittura scritto che ero morto in America, ma come si può vedere sono ancora qui”, spiega Sindona raccontando come siano state più volte messe in discussione il suo lavoro e la sua professionalità dopo la vicenda Cic.

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Una scoria e la sua evoluzione: il Cubilot e il Cic http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:40 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=40 Prima commercializzate come abrasivi, poi accumulate all’esterno della fabbrica e infine utilizzate per la costruzione di piazzali: è la storia delle scorie Cubilot, derivanti dalla produzione delle ferriti di zinco dell’ex Pertusola Sud. Con queste scorie – miscelate alla loppa d’altoforno per formare il Cic – sono stati costruiti 18 spiazzi nella provincia di Crotone. Siti che sono stati posti sotto sequestro nel 2008 dal Pm Pierpaolo Bruni perché a rischio inquinamento.

Cic

Un frammento del Cic, materiale con cui sono stati costruiti i 18 piazzali sequestrati dalla Procura

La scoria Cubilot – definizione. La scoria Cubilot viene definita come un prodotto derivante “dal trattamento per via termica delle ferriti, che sono residui della produzione dello zinco a partire dal minerale ‘blenda’ che si realizzava in Pertusola Sud”.

Il forno Cubilot. La scoria deriva dalla produzione avvenuta nel forno Cubilot, messo in funzione per la prima volta nel 1972. Ha poi cessato la produzione 21 anni dopo, nel 1993. In questo periodo avrebbe prodotto, secondo alcune stime presenti nelle carte processuali, 811.215 tonnellate di scorie.

Il Pescor. Fino al 1990 questa scoria veniva smaltita regolarmente per via commerciale, creando un abrasivo per la sabbiatura venduto poi come ‘Pescor’. In sostanza, abrasivi come questo vengono usati anche per oggetti di uso quotidiano, come accade con le forchette. Nel 1990, però, alcune aziende che utilizzavano il ‘Pescor’ notano un’anomalia: nell’abrasivo il contenuto di arsenico è tale da far classificare il prodotto come un rifiuto tossico/nocivo. Per questo motivo viene levato dal mercato.

Le montagne nere. L’ex Pertusola Sud è quindi costretta, dal 1990, a smaltire diversamente le scorie Cubilot. È così che inizia l’accumulo di quello che viene considerato come rifiuto nelle cosiddette black mountains, le montagne nere presenti sul piazzale all’esterno della fabbrica. A confermarlo sono anche alcune testimonianze di operai dell’ex Pertusola Sud raccolte dal Pm, Pierpaolo Bruni.

Il codice Cer. Ogni fabbrica deve fornire al ministero dell’Ambiente un codice che identifica gli elementi risultanti dal ciclo di produzione. Nel caso delle scorie Cubilot il codice Cer attribuito dall’ex Pertusola Sud è stato 10-08-01. Ogni coppia di numeri rappresenta alcune determinate caratteristiche: il 10 identifica i rifiuti inorganici provenienti da processi termici; lo 08 i rifiuti di altri processi metallurgici non ferrosi; e lo 01 rappresenta le scorie. Però l’attribuzione di questi codici è stata da più parti criticate, soprattutto dai periti che si sono occupati del caso. Per alcuni di loro il codice che doveva essere attribuito alle scorie Cubilot era 10-05-01, dove lo 05 rappresenta un rifiuto della metallurgia termica dello zinco, in quanto il forno Cubilot era integrato nella produzione di zinco. Con questo nuovo codice Cer la classificazione della scoria cambierebbe completamente, risultando tra quelle identificate come pericolose nella tabella ministeriale. Un altro codice ancora era stato attribuito da uno dei primi periti del caso, il dottor Sanna, che aveva ipotizzato un codice Cer 11-02-07. In entrambi i casi, risultando un rifiuto pericoloso, la scoria Cubilot non avrebbe potuto aver accesso alla procedura semplificata di smaltimento che è stata poi utilizzata dall’ex Pertusola Sud.

Il Cic. Lo smaltimento della scoria si fa così più complicato dopo la fine del commercio del ‘Pescor’. La Pertusola Sud chiede consulenza anche al Ministero. Un membro del comitato tecnico-scientifico, Eleonora Fornasari, dà il suo parere a riguardo: “C’è una chiara necessità di miscelare le scorie stesse con altri materiali al fine di abbassare il tenore globale in arsenico del composto”. La spiegazione è semplice: “Tale scoria presenta problemi di tipo igienico-sanitario ed ambientale, legati sia alla sua composizione che alla capacità di cedere metalli se esposta al potere dilavante di soluzioni leggermente acide”, come risulta dalle dichiarazioni della Fornasari emerse dalle carte processuali. Lo studio della Fornasari termina col suggerimento di usare la scoria Cubilot per ‘pavimentazioni stradali’, dopo però averla “miscelata per ridurre la quantità di arsenico”. In particolare, il membro del comitato ministeriale considera la “scoria vetrosa più adatta ad essere mescolata con la ‘sabbia gialla Ciampà’”.

Un altro suggerimento dato dalla Fornasari è quello di integrare la ragione sociale della fabbrica, modificando l’articolo 4 dello Statuto sociale con un comma aggiuntivo che dovrebbe recitare: “Produzione materiale per miscele e conglomerati destinati all’edilizia e di additivi ferrosi per la produzione del cemento”. Anche questo elemento viene riportato dalle carte processuali presentate dall’accusa.

Sottofondi stradali. Nel 1997, l’ex Pertusola Sud smaltisce circa 2000 tonnellate della scoria Cubilot tramite la formulazione del ‘Cascoril’, usato per costruire rilevati e sottofondi stradali.

Il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato). Tra il 1998 e il 1999 la scoria viene usata per la produzione del Cic, destinato alle “pavimentazioni stradali”. La produzione del Cic avviene tramite la mescolazione della scoria Cubilot (50%), di sabbia silicea di cava (39%), di loppa d’altoforno (10%) e di catalizzatore calcico in polvere (1%). La Pertusola invia quindi un ordine di acquisto all’Ilva di Taranto per “loppe granulate di altoforno”. Qui sorge però un altro problema: come scritto nelle carte processuali, “l’impianto di produzione del Cic avrebbe dovuto obbligatoriamente includere una apparecchiatura per la macinazione della loppa granulare. Dalla documentazione allegata non risulta la presenza di detta apparecchiatura: se ne deve dedurre che la loppa veniva utilizzata nella forma granulare fornita dall’Ilva”. In pratica, questo vuol dire che la loppa non poteva agire da legante e si può presumere che il Cic posto nei 18 siti “non si è consolidato in una massa alimentata ma è rimasto in forma sostanzialmente granulare e/o polverosa”.

I costi di smaltimento.
Il Pm, nella sua accusa, presenta anche un calcolo dei costi derivanti da questa operazione e quelli che invece avrebbe avuto uno smaltimento diretto della scoria. Quest’ultimo sarebbe costato, secondo le stime del Pm, circa 47 miliardi di lire. Tutto il processo per la formulazione e lo smaltimento del Cic sarebbe invece costato circa 17 miliardi di lire, comprendendo anche i costi di vendita del Cic alle due imprese edili che lo hanno poi usato per la costruzione di sottofondi stradali: la Crotonscavi e la Ciampà Srl. Queste due aziende, inoltre, avrebbero anche avuto vantaggi negli appalti a cui hanno partecipato in quanto venivano pagate per avere il materiale di costruzione e quindi nettamente favorite rispetto ad altre imprese che dovevano affrontare anche i costi di produzione. Per l’ex Pertusola Sud, comunque, è stato ipotizzato dall’accusa del Pm un risparmio illecito di quasi 30 miliardi di lire. Le cifre sono state fornite dalla stessa Syndial (società dell’Eni) quando ha provato a costituirsi parte civile nel procedimento. Richiesta rifiutata dal giudice.

 

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La perizia che porta al proscioglimento: nessun pericolo, ma smaltimento rifiuti illecito http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-perizia-che-proscioglie-tutti-nessun-pericolo-ma-smaltimento-rifiuti-illecito/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/la-perizia-che-proscioglie-tutti-nessun-pericolo-ma-smaltimento-rifiuti-illecito/#comments Mon, 07 Apr 2014 08:24:36 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=57 “L’attività di recupero di rifiuti costituiti da scorie Cubilot e loppe d’altoforno operata dalla Pertusola Sud è stata condotta in difformità alle norme di riferimento, in ragione delle caratteristiche dei rifiuti impiegati, non rispondenti a quelli ammessi alle procedure semplificate di cui al D.M. 5 febbraio 1998, e delle opere con esso prevalentemente realizzate, la cui tipologia – pavimentazioni stradali – era condizione necessaria per la conclusione del processo di recupero”.

Conclusioni Martelloni

Le conclusioni della perizia Martelloni

Questa è la conclusione della perizia di Daniele Martelloni, il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Gup, Gloria Gori, per valutare l’eventuale inquinamento dei 18 siti posti sotto sequestro dalla procura di Crotone perché costruiti con i residui della scoria Cubilot, prodotta dall’ex Pertusola Sud. E da questo studio sono caduti tutti i capi di imputazione ed è così nata la decisione del giudice di prosciogliere tutti gli indagati.

Ma queste conclusioni sembrano contraddire la scelta del Gup, che aveva affidato la perizia a Martelloni il 16 dicembre 2010, ponendogli tre quesiti:
1) Valutare le caratteristiche fisico-chimiche del materiale utilizzato nei 18 siti.
2) Studiare l’eventuale nocività e tossicità di questi materiali e il loro rilascio, con particolare attenzione al suolo, al sottosuolo e alla falda.
3) Analizzare il ciclo produttivo del Cic e la sua messa in opera.

Al perito sono stati concessi 180 giorni (più una proroga) per lo studio, come da lui richiesto, di 150 sondaggi per un totale di oltre 200 campioni.

Le risposte di Martelloni sembrano essere spesso critiche. Sul secondo punto, infatti, il Ctu spiega che i “campioni di materiale riconducibile a Cic mostrano comportamenti, al test di cessione, piuttosto disomogenei: i superamenti registrati attengono prevalentemente al parametro arsenico”.

Martelloni continua esprimendo dubbi anche sulla posa in opera del materiale, che potrebbe “aver determinato localmente anche l’involontaria miscelazione del Cic con terra, inerti ed altri materiali non riconducibili in modo certo ai materiali originari, così come prodotti nello stabilimento”.

I campioni di Cic, comunque, vengono valutati da Martelloni come “non pericolosi” e il codice assegnato alla scoria Cubilot (Cer 10.08.01) sarebbe “compatibile con il recupero dei rifiuti in forma semplificata disciplinata dal D.M. 5 febbraio 1998 – continua Martelloni – ma le informazioni disponibili sulla composizione della scoria hanno evidenziato che non sempre la composizione era perfettamente aderente alle specifiche indicate dalla norma”.

Martelloni però ribadisce più volte che l’impiego delle scorie “costituisce un’attività di recupero di rifiuti non autorizzato che determina il permanere della qualificazione giuridica di rifiuto”.

Altro punto su cui si sofferma il Ctu nominato dal giudice Gori riguarda la messa in opera del materiale: “Il Cic non è stato impiegato nella realizzazione di pavimentazioni stradali – spiega Martelloni nelle conclusioni – gli spessori rinvenuti, infatti, sono incompatibili con quelli di una pavimentazione stradale e, in alcuni casi, anche per quelli caratteristici dei sottofondi stradali”.

Sulla base dei risultati in mano al perito “è possibile stimare che il riutilizzo non conforme ammonta quantitativamente a circa 420 mila tonnellate, ovvero al 60,28% del quantitativo di Cic prodotto”. “In conclusione, l’attività di recupero di rifiuti costituiti da scorie Cubilot e loppe d’altoforno – recitano le ultime righe della perizia Martelloni – è stata condotta in difformità alle norme di riferimento”.

In sostanza, secondo la perizia Martelloni i siti posti sotto sequestro e la scoria Cubilot (tal quale o sotto forma di Cic) non sono realmente pericolosi, ma il loro utilizzo non sarebbe corretto dal punto di vista formale, considerando che lo smaltimento doveva avvenire come quello di un rifiuto.

Leggi le conclusioni della perizia Martelloni

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