La realtà dell’ex Montedison: inquinamento, strutture fatiscenti e degrado sociale


Pubblicato il 28/04/2014                          
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La Montedison da fuori

L’ingresso principale della ex-Montedison

FALCONARA MARITTIMA – La strada statale 16 collega Falconara Marittima a Montemarciano. Da una parte la campagna, qualche polo commerciale, un paio di benzinai. Dall’altra la raffineria Api, un concessionario di auto usate e una struttura enorme, spettrale, desolante, abbandonata. Si tratta di una delle aree ex Montedison d’Italia, incastonata tra i campi di grano – da cui la divide solo una strada – e il mar Adriatico che negli anni, lentamente, ha rosicchiato la spiaggia e oggi arriva quasi ad accarezzarla con le sue onde. Dal 1988 la Montedison non produce più i perfosfati, fertilizzanti chimici che hanno fatto la fortuna dell’azienda negli anni ’50. È ferma, ma non innocua. L’inquinamento che ha generato negli anni, infatti, non solo non è stato mai ‘debellato’ ma addirittura nel tempo sembra aumentare.

I milligrammi di piombo sono 59.626 per ogni chilo di terra, rispetto al limite legale di 100; 260 di mercurio quando il limite è 1; 10 milligrammi di Pcb su un limite di 0,06. I valori che si leggono nelle analisi fatte dall’Immobiliare Del Poggio, una delle proprietarie del sito (che nel 2007 si chiamava ancora Azienda agricola Del Poggio), in alcuni casi superano di quasi seicento volte le quantità consentite dalla legge. E si tratta di metalli pesanti cancerogeni. Nelle falde acquifere la situazione non è migliore: il piombo è presente in quantità 6 volte superiori rispetto al limite legale (63 μg/l rispetto al limite di 10 μg/l), il manganese 15 volte di più (valore massimo 780 μg/l rispetto al limite di 50 μg/l) e per il ferro si parla di una presenza addirittura 24 volte più invasiva (4895 μg/l rispetto al limite di 200 μg/l). Ecco perché il sito Falconara Marittima, che comprende la Montedison, è stato inserito nel 2006 tra i 57 di interesse nazionale per quanto concerne l’inquinamento (dal 2013 sono 39 perché 18 sono diventati d’interesse regionale).

La situazione diventa ancora più grave se si leggono questi numeri confrontandoli con quelli che nel 2001 erano stati riscontrati in una perizia decisa dalla procura della Repubblica di Ancona (leggi il documento completo). Il sito era stato sequestrato per accertare la presenza di inquinamento dopo la segnalazione di alcune anomalie nella acque di un pozzo poco distante. Nei terreni, al tempo, non c’erano idrocarburi né Pcb e nelle falde non c’erano le dosi elevate di metalli pesanti e fluoruri che oggi invece le invadono. Com’è possibile? Il sito non produce e, secondo gli esperti, è inverosimile una migrazione dell’inquinamento dalla vicina raffineria perché le due fabbriche sono divise dal fiume Esino, che passa perpendicolarmente alle strutture e arriva direttamente sul mare.

Che cosa sia successo negli anni non si sa, l’unica certezza è che la bonifica richiesta dalla perizia di Nedo Biancani nel 2002 su incarico della Procura (“L’intera area abbisogna di un intervento di bonifica e/o di messa in sicurezza in conformità al D.M. 471/99”), il cui costo al tempo era stimato in 70 milioni di euro, non è stata mai fatta (nel frattempo sono cambiate le normative in materia d’inquinamento: il decreto legislativo del 1999 è stato sostituito da quello del 2006). Nel 2005 il piano di caratterizzazione del sito era stato approvato in conferenza di servizi ma, nel 2012 a distanza di 5 anni, le richieste del Ministero per avere ulteriori analisi e riscontri non erano ancora state soddisfatte. In ogni caso, secondo la legge, dopo l’approvazione del piano di caratterizzazione ci sono sei mesi di tempo per presentare l’analisi del rischio. In questi giorni, secondo quanto sostengono le aziende propritarie della Montedison, la relazione dovrebbe essere stata inviata al Ministero. Sono passati nove anni. Inoltre, secondo fonti ben informate, la Agricola 92 – che nel 1999 divenne proprietaria del sito e tuttora ne possiede una piccola parte – ha ottenuto tutto lo stabile gratuitamente e con un ‘incentivo’ di tre miliardi di lire dall’Enichem, che però ha scaricato sui nuovi proprietari l’onere della bonifica.

Oggi i proprietari sono tre: la parte più importante (11,29 ettari su 11,80) è dell’Immobiliare Del Poggio - che è una controllata dell’Azienda Agricola del Poggio -, una parte minima è rimasta dell’Agricola92 (0,51 ettari) e l’arenile (la spiaggia) appartiene alla Rocca Mare. Tutte e tre le società sono legate da un filo comune: le prime due hanno la stessa sede legale e appartengono stessa famiglia (Pollarini), la Rocca Mare e l’Immobiliare Del Poggio hanno come rappresentante legale Aldo Pollarini. Più volte abbiamo cercato di contattarli ma l’unica risposta che ci è stata data riguarda la futura bonifica che sarà comunque a loro spese e che dovranno effettuare prima di cedere il sito. Sul resto ci è stato detto che “la proprietà non fornisce informazioni”.

Resta il fatto che ci sono abitazioni a pochi metri dalla vecchia fabbrica di fertilizzanti, ci sono negozi e c’è anche una chiesa con un campo da calcio inutilizzabile perché è stato riempito di ceneri di pirite scartate dalla Montedison. La gente lì ci vive, ma perché nessuno ha fatto nulla per loro? Perché le istituzioni non hanno imposto una bonifica? In teoria, una via d’uscita ci poteva essere. Quando i proprietari di un sito inquinato sono inadempienti può intervenire direttamente il Ministero, prendere il sito, bonificare e poi rivalersi sui soggetti proprietari. E in effetti, in coda a una relazione del luglio 2010 inviata proprio dal ministero dell’Ambiente alle aziende proprietarie del sito ex-Montedison si leggeva:

“La scrivente direzione in caso di ulteriore inadempienza da parte di codeste aziende attiverà , previa formale messa in mora, i poteri sostituivi in danno”

I “poteri sostituivi in danno” sono quelli che permettono di prendere il sito, bonificare e poi rivalersi per la parte economica su chi avrebbe dovuto intervenire, cioè i proprietari stessi (che va detto, a loro volta, potrebbero decidere di bonificare e poi rivalersi sull’inquinatore originario – in questo caso la Enichem che ha ereditato tutto dalla Montedison – a meno che nel passaggio di proprietà non sia stata inserita una clausola apposita che lo impedisce). Il problema è: se i proprietari non avessero i soldi per risarcire lo Stato? “In effetti questa è una procedura che non si attiva quasi mai – spiega Nedo Biancani  – perché ci sono in gioco tanti soldi e a livello economico non conviene al Ministero fare un passo così azzardato. Per questo continua ad inviare avvisi, ingiunzioni sperando che prima o poi la situazione si sblocchi”.

E la speranza che la situazione si sblocchi è tornata viva proprio in questi ultimi mesi: la Genera consulting, società che agisce per conto di investitori stranieri che non vogliono essere resi noti, ha presentato un progetto molto ambizioso che prevede una bonifica del sito e la costruzione di un polo commerciale e di altre strutture permanenti. Il tutto per un investimento totale di circa 140 milioni di euro. “Faremo tutto secondo il piano regolatore”, precisa l’amministratore delegato Bernardo Marinelli. Ma ci sono delle perplessità da parte delle associazioni di categoria, che temono lo schiacciamento delle piccole realtà che abitano da sempre il territorio, e da parte dei cittadini che temono una bonifica solo ‘parziale’.

Secondo Marinelli sarà anche rispettato il vincolo imposto nel 2004 dal ministero dei Beni culturali sulla Montedison, che in questi anni è stato motivo di discordia tra i proprietari e la Soprintendenza di Ancona. Il crollo dello scorso marzo di una delle parti più importanti della struttura, Le Arche, è stato il culmine della diatriba. La fortuna, in quell’occasione, è stata che nessuno dei tanti senzatetto e rom che trovano rifugio all’interno dell’azienda sia rimasto schiacciato. Ecco un’altra questione spinosa: che fine faranno coloro che abitano la struttura da anni? Nei 140 milioni di euro è previsto un investimento per sistemare anche loro? Per ora si attende l’approvazione del progetto da parte dei due Comuni coinvolti e i cittadini non possono far altro che aspettare.

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