Salviamo le Apuane, quel grido di protesta ad alta quota


Pubblicato il 8/04/2014                          
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Salviamo Le ApuaneCAMPO CECINA – È il pomeriggio del primo marzo e su Facebook si moltiplicano i post di decine di ambientalisti preoccupati che l’escursione del giorno dopo salti a causa del brutto tempo. Ma in serata arriva la conferma di Rosalba Lepore, attivista di Salviamo le Apuane e organizzatrice della giornata: “Sui sentieri della distruzione si farà, occorre dare un messaggio forte e manifestare nei luoghi dello scempio. Non sarà un po’ di pioggia a fermarci”.

Per la terza volta in meno di un anno le associazioni che si battono per la conservazione delle Alpi Apuane contro quelli che ritengono ritmi di escavazione “folli e non più sostenibili”, hanno scelto di lanciare il loro grido di protesta da un luogo simbolo del disastro. L’appuntamento è per le 11 a Campo Cecina, nel carrarese. Una prateria a quota 1.345 metri che si affaccia sulla costa ligure, sulle isole dell’arcipelago toscano, sul golfo de La Spezia e sull’Appennino, oltre che sul Pizzo d’Uccello e sul Monte Sagro. Ma anche postazione privilegiata per osservare le numerosissime cave del bacino di Torano.

Sui sentieri della distruzioneIl ritrovo, durante il quale sarà lanciato un messaggio ai cittadini e agli operatori del marmo, è a metà mattinata. Scarpe da trekking, indumenti invernali e zaino con il pranzo: questo è tutto quello che serve. Andrea Ribolini, studente di Scienze forestali e ambientali all’Università di Torino, carrarino di nascita e da sempre impegnato nella causa a sostegno delle “sue” montagne, è stato chiaro: “Alle 7.30 nel parcheggio di Avenza e poi saliamo su”. La macchina, una quattro per quattro attrezzata per le salite, comincia ad arrampicarsi sulle stradine accidentate attraversando piccoli paesi ancora addormentati.

È ancora troppo presto quando arriviamo, c’è tempo per salire ancora e gustare il panorama che si gode dal Monte Borla: “Ci troviamo nell’habitat naturale della Centaurea Montis Borlae, il fiordaliso del Borla – spiega Andrea – una specie molto rara che cresce solo alle pendici di questo monte e che è gravemente minacciata dall’intensa attività estrattiva che ha intorno”.

Si è fatto tardi e al posto del sole cominciano a scendere fiocchi di neve, è il momento di tornare nella prateria di Campo Cecina. Sono circa 200 i manifestanti che, per niente scoraggiati dalla bufera, si sono radunati formando un gruppo compatto. Alcuni sventolano fumogeni rossi, simbolo del sangue versato dalle montagne ferite, altri tengono sopra la testa grandi lettere che, se affiancate, recitano: “Salviamo le Apuane”.

L’aumento dell’escavazione con l’arrivo di tecnologie sempre più sofisticate, la conseguente riduzione degli addetti al settore e un guadagno che sembra essere solo per pochi. Sono queste le ragioni che le associazioni rivendicano. “Chiudere le cave, in maniera progressiva, ma chiuderle” è l’unica risposta possibile secondo Franca Leverotti, consigliere nazionale di Italia Nostra. Secondo la legge regionale ’78 del 1998 chi ha una cava in concessione può scavare a patto che rispetti la proporzione del 25% di blocco di marmo ornamentale e 75% di scarto di lavorazione. “È una legge assurda – continua Franca Leverotti – altro che sculture, le nostre montagne vengono ridotte in scaglie che servono ad alimentare le multinazionali del carbonato di calcio, utilizzato per fare i dentifrici”.

In più, secondo la rappresentante di Italia Nostra, dietro all’escavazione senza limiti si cela anche un danno economico notevole: “Il Comune di Massa, per esempio, incassa 8,30 euro ogni tonnellata di marmo estratta, tonnellata che può essere rivenduta nei mercati anche a 3000 euro. Non abbiamo alcuna ricaduta sul territorio, visto che i grandi industriali di Carrara trovano più conveniente estrarre marmi e farli segare e lavorare in Cina, dove la manodopera costa pochissimo. La filiera corta quindi è completamente scomparsa”.

Il 15 ottobre del 2013 è stata lanciata una petizione su Avaaz.org per fermare le cave. “Non è la prima volta – racconta Giulio Milani, ideatore dell’iniziativa – ma finalmente stiamo riscuotendo tante adesioni, sia locali che da tutto il mondo e abbiamo superato le 10.000 firme. Non è più una battaglia di pochi ambientalisti. Sempre più persone stanno prendendo coscienza di qual è la portata dello scempio che si consuma a Carrara e in tutte le Alpi Apuane”.

Dopo il pranzo al sacco c’è chi si trattiene in montagna approfittando del sole che ha di nuovo fatto capolino. La giornata di protesta è finita, ma in molti già si danno appuntamento per il prossimo viaggio “Sui sentieri della distruzione”.

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