“Chiudere le cave nel Parco”, lo sostiene la Regione Toscana


Pubblicato il 9/04/2014                          
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Parco delle Alpi Apuane

Parco delle Alpi Apuane

FIRENZE – Una proposta della Regione Toscana arrivata quasi all’improvviso il 17 gennaio scorso sta facendo tremare i lavoratori del settore lapideo. “Chiudere le cave all’interno del Parco delle Alpi Apuane”, una riserva naturale promossa a Geoparco Unesco nel 2011 e da sempre costretta a convivere con attività estrattive: è questo il cuore del nuovo Piano paesaggistico proposto dall’assessore regionale all’urbanistica Anna Marson e approvato dalla Giunta del governatore Enrico Rossi.

“Le aree estrattive intercluse, cioè completamente inserite e circondate dall’area tutelata – recita uno dei passaggi del Piano – devono andare verso una progressiva chiusura”.

Il Piano non diventerà operativo finché non riceverà il via libera dal Consiglio della Regione Toscana, ma se venisse approvato così com’è, comporterebbe la chiusura di circa 30 cave delle 45 che si trovano nel Parco. Verrebbero colpiti molti comuni: dalla Lunigiana alla Garfagnana, ma anche Massa, Carrara e l’Alta Versilia. Lo stop all’estrazione sarebbe graduale, le attività cesserebbero alla scadenza dell’autorizzazione e non repentinamente, ma si tratterebbe comunque di un provvedimento definitivo.

La presa di posizione della Regione ha scatenato proteste e indignazione su più fronti: cinque membri del Consiglio hanno minacciato di non approvare il Piano a meno che non vengano fatte alcune modifiche e i sindaci dei comuni interessati hanno chiesto diversi incontri per sostenere le proprie ragioni. Le imprese del marmo che lavorano all’interno del Parco hanno deciso di ricorrere a un pool di avvocati e hanno impugnato davanti al Tar la proposta di legge della Regione.

Alberto Putamorsi, presidente Parco Alpi Apuane

Alberto Putamorsi, presidente Parco Alpi Apuane

“È una decisione assurda – è stato il commento del presidente del Parco delle Alpi Apuane Alberto Putamorsi – in questo modo c’è il rischio di mandare a casa più di 1.500 persone. Ai 500/600 addetti diretti si devono aggiungere tutte le altre attività legate all’estrazione del marmo, arrivando così a superare le mille unità”.

Secondo il presidente è stato fatto un enorme errore di valutazione perché non si è scelto di decidere caso per caso, misurando l’impatto ambientale delle singole cave, ma ci si è affidati a paramenti arbitrari. Per il presidente, accusato di difendere esclusivamente gli interessi delle lobbies del marmo e di venir meno a quello che dovrebbe essere il suo compito di difensore dell’ambiente, ci sarebbero comunque alcune cave da chiudere o ridimensionare: “Per me ne vanno fermate almeno 5 che sono davvero dannose per il paesaggio. La cava del Padulello, quella di Biagi, la Focolaccia, Vagli in Garfagnana e Cantonaccio in Lunigiana. Però mi rendo conto che già fare ciò sarebbe problematico per chi vive di questa attività. In 50 o 60 perderebbero il posto di lavoro, ma siccome il settore funziona non dovrebbe essere difficile riassorbirli nel proprio ambito”.

Sulla quantità di occupazione che riesce a dare il settore marmo ambientalisti e industriali si scannano da anni e non solo per quanto riguarda chi lavora all’interno del Parco.

Secondo Anna Marson, l’assessore che ha proposto il Piano, sono stati sparati numeri impossibili sull’occupazione: “Si è parlato di 1.500 o addirittura 5.000 addetti. Questi dati non trovano riscontro, ce ne risultano a fatica 100. L’unico dato di fatto è che il Parco e chi lo gestisce non ha saputo fare il suo lavoro”.

Mentre Alberto Putamorsi accusa la Regione di aver scavalcato i principi fondativi del Parco, nato come patto tra le comunità locali e le istituzioni e di essersi arrogata il diritto di decidere dall’alto senza consultarsi con il territorio, l’assessore Marson insiste su un progetto di riqualificazione dell’area e su nuove forme di occupazione per gli addetti al lapideo: “Penso al turismo, ma anche ad altre attività che non impattano sull’ambiente. Abbiamo già in mente un piano di sviluppo alternativo”. Ma Putamorsi chiosa: “Nel Parco i turisti ci vengono soprattutto per vedere le cave, che tra l’altro rappresentano solo il 3,7% dell’intero territorio protetto. Senza queste attività il Parco morirebbe, diventerebbe più povero”.

Favorevole a forme di sviluppo alternativo che non siano impattanti con il territorio anche il professor Alberto Asor Rosa, a Firenze in occasione del convegno organizzato l’8 marzo dalla Rete dei comitati per la difesa del territorio e da anni impegnato in iniziative a sostegno della sostenibilità: “È assurdo contrapporre l’ambiente al lavoro, per me è solo un ricatto. C’è modo di avere lavoro nel rispetto e nella salvaguardia del territorio”. 

Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha ribadito che la priorità oggi è riformare la legge 78 del ’98 che è diventata ormai obsoleta e che deve essere aggiornata. “Non è più possibile tirarsi indietro sui nostri doveri – ha detto il presidente – dobbiamo trovare un equilibrio tra un’attività storica che funziona e l’ambiente. Il mio obiettivo non è chiudere le cave: vogliamo venire incontro agli imprenditori che hanno investito, far crescere l’occupazione, valorizzare il marmo, ma anche regolarizzare un’attività che è comunque impattante”.

Gli ambientalisti però non mollano e c’è già chi propone di estendere la chiusura delle cave anche alle attività esterne al Parco. Quel che è certo è che la regolamentazione di un settore che per anni è stato lasciato a interpretazioni diverse e spesso contrastanti, non può più essere rimandata.

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