La Liberazione delle Marche » La linea Gotica http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Wed, 04 Jun 2014 09:01:16 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche no a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche » La linea Gotica http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?cat=19 Canadesi e inglesi, i guerrieri ‘immortali’ che sfondarono la linea Gotica http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194#comments Wed, 02 Apr 2014 11:46:09 +0000 1944-guerra-marche http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194

Guardando le colline ricoperte di fiori alle porte di Montecchio è difficile immaginare che 70 anni fa quei prati verdi siano stati un campo di battaglia: ci vollero anni a sminare i campi e a rimuovere le fortificazioni che provocarono centinaia di morti in pochi giorni.  Nel 1944, poco prima della liberazione dal nazi-fascismo, quelle colline erano solcate da barricate, campi minati, fortini in cemento armato e filo spinato. Prima dell’estate i soldati tedeschi avevano rimosso cannoni da 88 millimetri da carri armati morenti e li avevano posizionati sulle torrette che correvano lungo le fosse delle trincee.  A sfondare quelle linee furono reggimenti canadesi e inglesi, che però subirono molte perdite.

Guardando l’erba tagliata corta è ancora più difficile pensare che un tempo, su quelle colline, inermi nel fango come i bossoli dei loro fucili Thompson, giacevano i corpi di soldati poco più che adolescenti. A ricordare quelle battaglie ci sono le lapidi bianche del cimitero militare di Montecchio, costruito proprio sul crinale in cui gli alleati sfondarono le prime fortificazioni nemiche. Le tombe sono così composte da sembrare un reggimento sull’attenti:  insieme allo stemma della propria nazione, ogni lapide riporta nome ed età dei caduti. In pochi superano i 24 anni tra i non ufficiali; uno di loro, C. Radtke, aveva solo 20 anni quando è venuto a morire a diecimila chilometri di distanza da casa: “Rest in peace” è inciso sulla sua lapide. Ma in altre tombe ci sono anche dediche personali fatte dai parenti. Una di loro recita in inglese: “Tanto amato in vita, quanto rimpianto in morte”. In mezzo al cimitero c’è una piccola cappella che al suo interno conserva il diario delle visite. Tanti i ricordi lasciati da studenti, visitatori e parenti dei soldati morti. “Gone but never forgotten”. Morti ma mai dimenticati ha scritto R. Klein. Mentre Anne Bell ha lasciato una breve dedica con cui ha voluto ricordare il suo “amato nonno”.

Quasi ogni anno i reduci dei West Nova Scotia, dei Cape Breton Highlanders, dei Perth e di
tutti gli altri battaglioni canadesi che parteciparono alla guerra in centro Italia vengono a commemorare i compagni caduti in battaglia. Il loro ricordo vola ogni volta all’operazione più sanguinosa, quella che sfondò la crosta della linea Gotica sulla collina che domina Montecchio. L’obiettivo di quell’attacco era conquistare  l’altura di Ca’ Tramontana, che durante la seconda guerra mondiale era chiamata ‘Quota 120’. Alla fine di agosto il generale  Bertram Hoffmeister, comandante delle forze canadesi, ordinò di attaccare dai tre lati ai piedi dell’altura, sicuro che l’offensiva avrebbe avuto esito positivo. Ma non andò così: il reggimento West Nova Scotia, nel tentativo di scalare la collina a destra, dovette ritirarsi dopo aver perso 63 uomini sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche e lo scoppio delle mine;  a sinistra, i Cape Breton Highlanders furono respinti poco prima di giungere alla vetta. Il reggimento Perth conquistò diverse postazioni nemiche passando dalla cittadina di Montecchio ormai rasa al suolo, ma venne bloccato prima di raggiungere la cima e si fermò a quella che fu denominata ‘Quota 111′. I Perth passarono la notte a guardare in cielo i colpi dei carri armati dell’ottava divisione New Brunswick Hussars che passavano sopra le loro teste.

L’inviata di guerra che testimoniò lo sfondamento della linea gotica, Martha Gellhorn, moglie di Ernest Hemingway, descrisse così quei giorni: “È terribile morire verso la fine dell’estate quando si è giovani e si è combattuto a lungo. Quando si ricordano con tutto il cuore la casa e chi si ama. Quando si sa che la guerra è comunque vinta. È terribile, e sarebbe da bugiardi o sciocchi se non si vedesse e sentisse tutto ciò come una sventura. In questi giorni la morte di un uomo si avverte più dolorosamente perché la fine di questa tragedia sembra così vicina”.

Il 31 agosto, il  giorno seguente il primo attacco,  i canadesi riescono a conquistare ‘Quota 120′: dopo il forte bombardamento della notte da parte dei carri armati dell’ottava divisione dei New Brunswick Hussars, il capitano Southby guidò due compagnie degli Irish of Canada e degli Highlanders fin dentro le trincee nemiche. L’attacco dei canadesi sorprese i tedeschi all’interno dei loro fortini, portando alla cattura di 117 soldati e 4 ufficiali. Una dura sconfitta per il comandante tedesco Albert Kesselring. Poco lontano dal cimitero, su un promontorio vicino a Tavullia, sorge il monumento dedicato ai soldati canadesi che sfondarono la linea gotica. Il luogo non è casuale. Nel punto esatto in cui è stata edificata l’opera morì uno dei protagonisti, il tenente colonnello  Christopher Vokes.  Secondo alcuni reduci il tenente colonnello fu colpito dalle schegge di una granata nemica poco dopo aver conquistato ‘Quota 204′, ma continuò ad impartire ordini ai suoi uomini fino alla morte. Al centro del monumento c’è un cannone prelevato dalle vecchie fortificazioni, mentre intorno si stagliano verso il cielo delle lance di metallo che cingono l’opera. Le postazioni dei tedeschi su quelle colline furono infatti prese alla baionetta dagli assalti dei soldati canadesi. 

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Umberto Palmetti sulla linea Gotica: “Rallentai i lavori per aiutare gli alleati” / VIDEO http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=88 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=88#comments Tue, 01 Apr 2014 16:50:30 +0000 Agnese Fioretti http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=88 Nel settembre del 1943 Umberto Palmetti aveva 20 anni
Abitava a San Giovanni in Marignano
Fu costretto dai nazifascisti a lavorare alla linea Gotica
Sono passati settant’anni e ora racconta quei mesi

Nella nostra caserma, quella di Cesena dove stavamo noi militari dell’Aeronautica, l’allarme l’hanno fatto suonare verso la mezzanotte del 9 settembre. Poche ore prima erano arrivati i tedeschi e tutti avevamo pensato “questa volta è la nostra, questa volta ci prendono, ci caricano su un treno e ci spediscono in un campo di concentramento”. Invece no, i tedeschi hanno fatto un gran casino con i nostri ufficiali e se ne sono andati. Ma non eravamo più sicuri e, dopo aver fatto scattare l’allarme, gli ufficiali ci hanno detto di andare via, di scappare.

Erano i giorni dei primi rastrellamenti di soldati italiani. Chi non faceva in tempo a togliersi la divisa, ad andare al sud o a nascondersi in montagna, veniva disarmato e fatto salire su un treno per la Germania. Alla fine furono 600.000 i soldati italiani portati nei campi di concentramento. Io sono stato fortunato. Con i miei compagni, la notte del 9 settembre, mi sono rifugiato nel castello di Montiano. Da lì non sapevamo dove andare, c’erano i tedeschi in giro. Abbiamo chiesto aiuto alle ragazze che incontravamo nei vari paesini: ci dicevano se nella zona avremmo trovato o meno i nazisti. Il primo pensiero era lo stesso per tutti noi: salvarsi, tornare a casa. Abbiamo attraversato i campi per due giorni e percorso oltre cento chilometri. Il tempo era buono, la notte abbiamo dormito sotto i meleti carichi di frutta e la luce bianca della luna piena. Abbiamo mangiato le mele e l’uva che trovavamo in abbondanza e, dopo 48 ore, sono finalmente arrivato a casa.

In quei giorni iniziavano i lavori della linea Gotica: i tedeschi avevano bisogno di manodopera per costruire le fortificazioni difensive da Massa Carrara a Pesaro. E i militari come me, secondo l’ordine che aveva dato Mussolini da Salò, non dovevano più andare in Germania. Servivamo qui, per scavare la linea Gotica.

Appena rientrato a casa, a San Giovanni in Marignano, ero tornato a fare il contadino. Lavoravo per l’uomo più ricco della zona, un agrario che possedeva 50 poderi: si chiamava Battista Cerri ed era un fascista, aveva persino la stella al merito da cavaliere del lavoro. Sua moglie era la figlia di Tirotti, il proprietario di una ditta che lavorava per la Todt (l’impresa di costruzioni tedesca impegnata nella realizzazione della linea Gotica). Presto sarebbe toccato anche a me e Cerri mi consigliò di iniziare a lavorare per la Todt a Montecchio, così che – con la scusa che dovevo fare il contadino nei suoi poderi – mi avrebbe dato spesso il permesso per assentarmi.

Sono stato tra i tedeschi ma non ho fatto quasi nulla. Assieme agli altri operai dovevo scavare la terra con le vanghe e i badili per creare le fosse anticarro. Le dovevamo fare a zigzag in modo che il carrista, dopo che il carro armato si impantanava nel terreno, non riuscisse a capire dove fosse e non potesse uscire. Se ci riusciva, trovava le mine anticarro e antiuomo. E il filo spinato, che avrebbe potuto tagliare solo con le tronchesi. Io, con i miei compagni, con i partigiani, ero lì. Eravamo tutti d’accordo: dovevamo rallentare i lavori per agevolare il passaggio degli Alleati. Per sentire più vicina la pace e dimenticare l’odore della morte. Quando sono diventato capocantiere non ho gestito i turni delle presenze degli operai, ma piuttosto delle assenze. Dovevamo stare attenti a non dare troppo nell’occhio: i tedeschi non ci controllavano molto e proprio per questo dovevamo evitare di insospettirli.

Tutte le sere tornavo a dormire a casa a San Giovanni, facevo il pendolare. Tra aprile e maggio del 1944, quando il grano era già alto, i tedeschi hanno costruito nel mio paese un campo di aviazione. Per fare questo li ho visti appropriarsi di una parte del nostro terreno, ho visto i fascisti dormire nei nostri campi. A Montecchio il primo maggio del 1944 abbiamo organizzato uno sciopero. Eravamo circa un migliaio di operai.

I lavori della linea Gotica a Montecchio si sono interrotti poco dopo, quando a settembre gli Alleati sono riusciti a sfondarne il settore adriatico. Finalmente stava succedendo quello che aspettavamo, quello per cui avevamo sabotato i lavori e rischiato la vita. I tedeschi non sapevano cosa fare: la mattina del 3 settembre 1944 erano ancora a Gabicce Monte mentre nella notte gli Alleati erano arrivati al fiume Foglia, a Gradara e Tavullia. I nazisti erano nel panico e nel disordine, uno di loro in fuga da Gabicce sparò a un civile. Non sapeva che, sul versante adriatico, la sua guerra era finita. Gli Alleati si sono poi stabiliti al limite della pianura Padana e fino alla primavera del 1945 hanno interrotto la loro offensiva, a causa della difesa tedesca e delle forti piogge.

Dopo la liberazione, volevo vivere la ricostruzione del nostro paese. Volevo viverla sulla mia pelle. Mi sono iscritto al partito Comunista e per un anno ho fatto il sindacalista. Ma la paura non se n’era andata e avevamo tutti un gran terrore addosso: le mine. Le mine hanno ucciso il padre di tre ragazzi che conoscevo molto bene: erano stati fatti prigionieri e, finita la guerra, il papà era preoccupato. Pensava che tornando a casa avrebbero potuto trovare delle mine. Ha iniziato a sminare un campo ed è stato lui a morire.

Io volevo tornare a fare il contadino, ma il 1 gennaio del 1946 una cartolina dell’Aeronautica mi diceva che dovevo rimettermi la divisa. Non ero ancora stato congedato e per questo ho girato l’Italia e le sue caserme. A Bari, in realtà, dovevamo andare in caserma solo per dormire e mangiare. Mancava poco al referendum del 6 giugno e, con un compagno del Pci pugliese, ho fatto la campagna elettorale a favore della Repubblica. Ho votato la mia Repubblica a Bari. Era la nostra svolta, la nostra ricostruzione. Era la pace.

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Nel museo della linea Gotica: il parco della memoria sopra un vecchio campo minato http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=103 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=103#comments Tue, 01 Apr 2014 13:32:47 +0000 Tommaso Cherici http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=103 Casinina, un piccolo paese a 15 chilometri di Urbino, sfondare la linea Gotica era difficile. Qui l’Appennino marchigiano è impervio e far passare un esercito non è una cosa semplice. Proprio qui però i tedeschi decisero di rinforzare la linea, costruendo una doppia serie di fortificazioni: “I nazifascisti protessero maggiormente proprio quei punti in cui il passaggio risultava più difficile. Sapevano – spiega Giovanni Tiberi, direttore e proprietario del Museo della linea Gotica di Casinina – che gli alleati avrebbero puntato sull’effetto sorpresa e avrebbero provato a forzare quei tratti che a prima vista sembravano meno accessibili”.

A poca distanza dal punto in cui la linea gotica si divideva in un doppio sistema di fortificazioni, il professor Tiberi ha deciso di aprire il museo, in una palazzina rossa che sorge proprio dove durante la guerra era posizionato un campo minato. Nel museo sono conservati più di 3.000 reperti rinvenuti lungo la linea Gotica. Ci sono le divise di tutti gli eserciti che presero parte alla Campagna d’Italia: da quella con le svastiche dell’esercito nazista, a quella degli alpini italiani fino al copricapo di cuoio di un ufficiale australiano. Ma ci sono anche binocoli, borracce e tanti altri oggetti che facevano parte del bagaglio di un soldato. Il più importante era sicuramente la coperta: “I militari non avevano quasi mai un letto dove dormire – spiega il professor Tiberi – e la coperta era un elemento imprescindibile per passare la notte all’addiaccio. Con quella i soldati si scaldavano e si difendevano dalla polmonite e dalla pleurite”.

Nel museo sono conservati anche oggetti militari che dopo la fine del conflitto furono trasformati in utensili di uso quotidiano: “La povertà era molto diffusa – continua Tiberi – e la gente che viveva vicino alle zone del conflitto riciclava per uso domestico tutte quelle cose che la guerra aveva lasciato sul terreno. Raccoglievano gli elmetti e li trasformavano in bracieri e in badili; c’è anche chi ha usato i codoli delle bombe per creare degli imbuti”.

Ma i residui della guerra sono stati trasformati anche in arte. Nel 2004, infatti, nel cortile del museo venne eretto un monumento ai caduti, composto da 54 ruote di cingoli dei carri armati distrutti nelle battaglie lungo la linea Gotica. Intorno al monumento si sviluppa il parco della memoria. Qui sono conservati jeep e camion dell’esercito tedesco e alleato ma c’è anche la ricostruzione di un bunker tedesco. “Proprio al di là della siepe che circonda il parco – spiega il professor Tiberi – morì uno sminatore nel dopoguerra, a causa dell’esplosione di un ordigno”.

Il museo di Casinina prova a tenere viva la memoria di tutti coloro che vissero quegli anni, ma senza sovvenzioni da parte delle istituzioni è difficile andare avanti: “Ci aiuta soltanto il Comune e la comunità montana del Metauro – conclude Tiberi – per questo apriamo il museo solo su appuntamento”.

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I numeri della linea Gotica: 320 chilometri e 72mila morti http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=117 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=117#comments Tue, 01 Apr 2014 11:12:57 +0000 Tommaso Cherici http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=117  

320 chilometri. È la lunghezza della linea Gotica, una catena di fortificazioni difensive voluta dai tedeschi nel 1943: lo scopo era di rallentare l’avanzata verso il nord Italia dell’esercito alleato, sbarcato in Sicilia il 9 luglio dello stesso anno. La linea Gotica tagliava la penisola da est a ovest e si estendeva dalla provincia di Massa e Carrara a quella di Pesaro e Urbino. Partendo dalle Alpi Apuane, proseguiva verso est lungo le colline della Garfagnana e poi sui monti dell’Appennino modenese e bolognese. Risaliva la valle dell’Arno e quella del Tevere fino ad arrivare all’Appennino forlivese. La linea scendeva infine lungo il versante adriatico fino a Pesaro, senza toccare la città ducale. Il progetto originario prevedeva la realizzazione di una fascia di fortificazioni larga circa 35 chilometri: sulla costa adriatica sarebbe dovuta partire dalla sponda sinistra del fiume Foglia per arrivare fino a Rimini, passando anche sulle valli dei fiumi Conca e Marecchia. I tedeschi, però, non riuscirono a completare l’opera e le fortificazioni si svilupparono esclusivamente lungo una linea di poche decine di metri di profondità.

10 mesi. I francesi impiegarono quasi 12 anni a costruire la linea Maginot, il complesso di fortificazioni che difendeva i confini orientali della Francia. I tedeschi, invece, ebbero a disposizione solo 10 mesi per dar vita alla linea Gotica. I lavori iniziarono nel settembre 1943, dopo la liberazione di Benito Mussolini per opera delle forze speciali tedesche e la proclamazione della Repubblica di Salò. Per la costruzione delle strutture difensive i nazisti reclutarono soldati e prigionieri italiani, che finirono così a lavorare per la Todt (una grande impresa di costruzioni creata in Germania da Fritz Todt). Tutti coloro che lavoravano alla creazione della linea Gotica non venivano pagati e avevano il compito di costruire bunker in cemento armato e campi minati, scavare fossi anticarro e posizionare tralicci di filo spinato. I lavori furono necessariamente interrotti nell’agosto del 1944, quando l’esercito alleato sferrò il primo attacco alla linea Gotica. A quella data erano stati realizzati 2375 nidi di mitragliatrici, 479 postazioni di cannoni e oltre 16.000 postazioni per tiratori scelti. I chilometri di fossati anticarro erano quasi 9.000 e quelli di filo spinato 117.


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28 giorni. I combattimenti tra gli alleati e i nazifascisti, sul versante adriatico della linea Gotica, durarono dal 25 agosto al 21 settembre del 1944: 28 giorni di battaglie che si conclusero con la liberazione di Rimini. Il nome in codice dell’offensiva alleata alla linea Gotica era ‘Operazione Olive’: il piano di attacco era stato ideato dallo stato maggiore del generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze armate alleate durante la Campagna d’Italia. L’obiettivo era sfondare le fortificazioni tedesche, in modo da poter occupare l’intera pianura Padana entro la fine del 1944. Il 3 settembre gli alleati travolsero tutte le linee di difesa tedesca nel territorio marchigiano e arrivarono in Romagna. Il 17 settembre i nazi-fascisti ricevettero l’ordine di ritirarsi e gli scontri si spostarono più a nord, nella zona di Rimini. La città fu conquistata da truppe greche e neozelandesi quattro giorni dopo. Sul versante tirrenico, invece, l’avanzata alleata fu più faticosa: nella parte centrale e occidentale la linea Gotica cedette solo nell’aprile del 1945.

72.000 morti. Dopo la prima fase dei combattimenti lungo la linea Gotica, i caduti nei due eserciti furono 72.000: secondo le stime redatte dal generale Harold Alexander, ci sarebbero state 42.000 morti tra le linee tedesche e 30.000 tra quelle degli alleati. Le cifre approssimative parlano di 60.000 morti tra i civili: molti morirono per i bombardamenti e, dopo la fine della guerra, per la presenza dei campi minati.

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