La Liberazione delle Marche http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Wed, 04 Jun 2014 09:01:16 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche no a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche Il Ducato: la Liberazione delle Marche. Sfoglia il magazine in pdf http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=967 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=967#comments Mon, 07 Apr 2014 10:35:07 +0000 morrone http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=967 URBINO – È in edicola l’ultimo numero del Ducato dedicato alla Liberazione delle Marche. Con le interviste e le storie dei protagonisti della cacciata dei nazifascisti dalla regione, nel 1944

Ducato Speciale Guerra by redazioneifgurbino

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Canadesi e inglesi, i guerrieri ‘immortali’ che sfondarono la linea Gotica http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194#comments Wed, 02 Apr 2014 11:46:09 +0000 1944-guerra-marche http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=194

Guardando le colline ricoperte di fiori alle porte di Montecchio è difficile immaginare che 70 anni fa quei prati verdi siano stati un campo di battaglia: ci vollero anni a sminare i campi e a rimuovere le fortificazioni che provocarono centinaia di morti in pochi giorni.  Nel 1944, poco prima della liberazione dal nazi-fascismo, quelle colline erano solcate da barricate, campi minati, fortini in cemento armato e filo spinato. Prima dell’estate i soldati tedeschi avevano rimosso cannoni da 88 millimetri da carri armati morenti e li avevano posizionati sulle torrette che correvano lungo le fosse delle trincee.  A sfondare quelle linee furono reggimenti canadesi e inglesi, che però subirono molte perdite.

Guardando l’erba tagliata corta è ancora più difficile pensare che un tempo, su quelle colline, inermi nel fango come i bossoli dei loro fucili Thompson, giacevano i corpi di soldati poco più che adolescenti. A ricordare quelle battaglie ci sono le lapidi bianche del cimitero militare di Montecchio, costruito proprio sul crinale in cui gli alleati sfondarono le prime fortificazioni nemiche. Le tombe sono così composte da sembrare un reggimento sull’attenti:  insieme allo stemma della propria nazione, ogni lapide riporta nome ed età dei caduti. In pochi superano i 24 anni tra i non ufficiali; uno di loro, C. Radtke, aveva solo 20 anni quando è venuto a morire a diecimila chilometri di distanza da casa: “Rest in peace” è inciso sulla sua lapide. Ma in altre tombe ci sono anche dediche personali fatte dai parenti. Una di loro recita in inglese: “Tanto amato in vita, quanto rimpianto in morte”. In mezzo al cimitero c’è una piccola cappella che al suo interno conserva il diario delle visite. Tanti i ricordi lasciati da studenti, visitatori e parenti dei soldati morti. “Gone but never forgotten”. Morti ma mai dimenticati ha scritto R. Klein. Mentre Anne Bell ha lasciato una breve dedica con cui ha voluto ricordare il suo “amato nonno”.

Quasi ogni anno i reduci dei West Nova Scotia, dei Cape Breton Highlanders, dei Perth e di
tutti gli altri battaglioni canadesi che parteciparono alla guerra in centro Italia vengono a commemorare i compagni caduti in battaglia. Il loro ricordo vola ogni volta all’operazione più sanguinosa, quella che sfondò la crosta della linea Gotica sulla collina che domina Montecchio. L’obiettivo di quell’attacco era conquistare  l’altura di Ca’ Tramontana, che durante la seconda guerra mondiale era chiamata ‘Quota 120’. Alla fine di agosto il generale  Bertram Hoffmeister, comandante delle forze canadesi, ordinò di attaccare dai tre lati ai piedi dell’altura, sicuro che l’offensiva avrebbe avuto esito positivo. Ma non andò così: il reggimento West Nova Scotia, nel tentativo di scalare la collina a destra, dovette ritirarsi dopo aver perso 63 uomini sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche e lo scoppio delle mine;  a sinistra, i Cape Breton Highlanders furono respinti poco prima di giungere alla vetta. Il reggimento Perth conquistò diverse postazioni nemiche passando dalla cittadina di Montecchio ormai rasa al suolo, ma venne bloccato prima di raggiungere la cima e si fermò a quella che fu denominata ‘Quota 111′. I Perth passarono la notte a guardare in cielo i colpi dei carri armati dell’ottava divisione New Brunswick Hussars che passavano sopra le loro teste.

L’inviata di guerra che testimoniò lo sfondamento della linea gotica, Martha Gellhorn, moglie di Ernest Hemingway, descrisse così quei giorni: “È terribile morire verso la fine dell’estate quando si è giovani e si è combattuto a lungo. Quando si ricordano con tutto il cuore la casa e chi si ama. Quando si sa che la guerra è comunque vinta. È terribile, e sarebbe da bugiardi o sciocchi se non si vedesse e sentisse tutto ciò come una sventura. In questi giorni la morte di un uomo si avverte più dolorosamente perché la fine di questa tragedia sembra così vicina”.

Il 31 agosto, il  giorno seguente il primo attacco,  i canadesi riescono a conquistare ‘Quota 120′: dopo il forte bombardamento della notte da parte dei carri armati dell’ottava divisione dei New Brunswick Hussars, il capitano Southby guidò due compagnie degli Irish of Canada e degli Highlanders fin dentro le trincee nemiche. L’attacco dei canadesi sorprese i tedeschi all’interno dei loro fortini, portando alla cattura di 117 soldati e 4 ufficiali. Una dura sconfitta per il comandante tedesco Albert Kesselring. Poco lontano dal cimitero, su un promontorio vicino a Tavullia, sorge il monumento dedicato ai soldati canadesi che sfondarono la linea gotica. Il luogo non è casuale. Nel punto esatto in cui è stata edificata l’opera morì uno dei protagonisti, il tenente colonnello  Christopher Vokes.  Secondo alcuni reduci il tenente colonnello fu colpito dalle schegge di una granata nemica poco dopo aver conquistato ‘Quota 204′, ma continuò ad impartire ordini ai suoi uomini fino alla morte. Al centro del monumento c’è un cannone prelevato dalle vecchie fortificazioni, mentre intorno si stagliano verso il cielo delle lance di metallo che cingono l’opera. Le postazioni dei tedeschi su quelle colline furono infatti prese alla baionetta dagli assalti dei soldati canadesi. 

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Brigata Maiella, storia di partigiani che combatterono a fianco di inglesi e polacchi http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493#comments Wed, 02 Apr 2014 10:57:08 +0000 della-sala http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493 È il 19 giugno del 1944 quando il tenente colonnello Wilhelm Lewicki, del Secondo corpo polacco, entra a Sulmona con tre autocarri e un carico di viveri e scarpe. Ha accettato di mettersi a capo della brigata Maiella e di rendere ufficiale il gruppo sbandato di combattenti che, fino a quel momento, ha contribuito con il Secondo corpo britannico dell’Ottava armata alla liberazione dell’Abruzzo. Già conquistare la fiducia del comando britannico, l’anno prima, non era stato facile per la Brigata Maiella, oggi conosciuta come l’unica formazione partigiana decorata con la medaglia d’oro al valor militare alla bandiera.

Dicembre 1943. Abruzzo, valle del fiume Sangro, ai piedi dei monti abruzzesi. Dopo la liberazione di Casoli da parte degli Alleati e la stabilizzazione del fronte lungo il fiume, l’avvocato socialista Ettore Troilo, alla guida di una banda di combattenti denominata “Maiella”, parte da Torricella Peligna per convincere il comando inglese a riconoscerli come “volontari per la Liberazione”. Inutilmente. Il comando britannico si rifiuta di collaborare con reduci dell’esercito italiano che considera inadatti alla lotta e che potrebbero vanificare le azioni belliche.

Nonostante il rifiuto, gli inglesi non possono fare a meno dell’aiuto dei partigiani abruzzesi: le montagne, le cartine topografiche incomplete, le reti stradali incompiute rendono indispensabile il loro aiuto e ricoprono ruoli di guide, sentinelle e avamposti. Gruppi di “combattenti di montagna” spinti dalla voglia di rivalsa e vendetta, ma anche dall’istinto di sopravvivenza dopo che le loro case e il loro esercito erano stati rasi al suolo.

Il 4 dicembre dello stesso anno, a Gessopalena, un’unità della Wehrmacht uccide con una raffica di mitra la madre di Domenico Troilo, militare alla guida di un’altra banda di partigiani che, poi, confluirà nella brigata Maiella. “Avevo 18 anni quando è scoppiata la guerra – ha raccontato Troilo – e insegnavo. Poi mi sono arruolato, sono stato in Tunisia e dopo l’8 settembre sono tornato a casa. L’Abruzzo era diviso in due sul Sangro, lungo la Linea Gustav. Sono arrivati i tedeschi e hanno iniziato a rubare bestiame, biancheria, tutto quello che trovavano. Era il 4 dicembre e hanno distrutto il mio paese, casa per casa. Non c’era ideologia, c’erano solo i fatti e quella che era diventata terra di nessuno. Si formarono così i primi gruppi di giovani e di uomini che avevano fatto parte dell’esercito. Le prime armi le rubammo ai tedeschi”.

Gennaio 1944. Gli alleati liberano Ortona ed Ettore Troilo convince il maggiore inglese Lionel Wigram a prendere con sé la brigata: la “Maiella” è riconosciuta come sezione speciale e inizia a combattere sotto il comando alleato, reclutando nuovi combattenti tra cui quelli guidati da Domenico Troilo. Il 15 gennaio 1944 c’è la prima ufficiale operazione congiunta. Gli inglesi conquistano Colle dei Lami e Colle Ripabianca. Liberano Quadri, Torricella Peligna, Lama dei Peligni e Fallo. La meta da raggiungere è Pizzoferrato, una paese in posizione strategica con un’altitudine di 1300 metri lungo il fiume Sangro.

L’assedio inizia all’alba del 3 febbraio ma l’attacco fallisce, forse per l’avventatezza del maggiore britannico, forse per l’astuzia dei tedeschi. A morire sotto una scarica di mitra è lo stesso comandante Wigram. Il bilancio totale, dopo una mattinata di guerriglia asserragliati nella chiesa del paese, è di 20 morti tedeschi, 2 inglesi e 10 italiani. Vengono fatti prigionieri 22 inglesi mentre i partigiani, tra prigionieri e feriti, sono 18. Nonostante la vittoria, i tedeschi abbandonano Pizzoferrato nel timore di un secondo attacco, dopo aver seppellito Wigram e finito a colpi di rivoltella i patrioti feriti.

Febbraio 1944. A Fallascoso, una frazione di Torricella Peligna diventata avamposto della Linea tedesca Gustav, Domenico Troilo guida per una notte intera venti combattenti contro la divisione tedesca Jager, senza perdere neanche un uomo. Dopo questa dimostrazione di valore, il capo di stato maggiore, Giovanni Messe, inquadra la formazione nella 209esima divisione del ricomposto esercito italiano. Il nome ufficiale è “Banda patrioti della Maiella” , unità militare riconosciuta che però mantiene la propria autonomia e risponde agli ordini del comando alleato.
Ettore Troilo è il comandante, Domenico il suo vice. Sul bavero delle loro prime uniformi non c’è più la stelletta ma due fasce tricolori.

Giugno 1944. Dopo una primavera di combattimenti, la brigata Maiella approda a Campo di Giove. Il giorno seguente il ritmo è serrato: Pacentro, Cansano, Roccacaramanico, Caramanico Terme, Sant’Eufemia, Popoli, Tocco da Casauria, Bussi sul Tirino e Pratola Peligna. Sono i primi ad entrare a Sulmona liberata. Parallelamente, alleati e forze del Corpo Italiano di Liberazione (a cui la brigata non ha mai voluto unirsi) affrancano Chieti, Guardiagrele e numerosi comuni del versante Adriatico. Il 10 giugno, con l’entrata a Pescara, l’Abruzzo può dirsi liberato.

A Sulmona inizia la seconda fase nella vita della brigata. L’esercito polacco sostituisce quello britannico. Secondo le cronache del tempo, la Maiella conta 280 uomini organizzati in gruppi di combattimento autonomi. A ogni azione sarebbero in grado di partecipare non più di 100 uomini. Sono scalzi, affamati e malati. L’armamento è insufficiente. La “Maiella” non ha mezzi di trasporto propri e non si sa se il secondo Corpo polacco accetterà il loro contributo, nonostante le sanguinose perdite sofferte nella battaglia di Monte Cassino. Inoltre i partigiani sono ormai lontani da casa, non conoscono il territorio più dei polacchi.

Il tenente colonnello Wilhelm Lewicki è incaricato dallo Stato maggiore di capire se la brigata possa tornare utile alle truppe polacche. A convincerlo, nonostante il rischio e le difficoltà, è lo spirito che anima i partigiani a Sulmona. Con un giuramento, il 17 giugno 1944 Lewicki obbliga la brigata Maiella a combattere insieme ai polacchi fino al nord Italia, sotto la più assoluta disciplina militare e imponendo un aumento del numero dei partigiani. Le fila della brigata arriveranno così a contare 1500 uomini. In cambio, il corpo polacco si assume l’onere del vettovagliamento, delle uniformi e, soprattutto, delle calzature. Il 18 giugno il tenente colonnello Lewicki ne diventa ufficialmente il comandante.

L’avanzata verso le Marche si svolge tra mille difficoltà: la brigata si muove a piedi, riempie quello spazio vuoto tra le truppe polacche ad est e quelle inglesi a ovest, trasporta viveri e munizioni su carri trainati dai buoi. Cattura un sergente e un caporale delle SS a bordo di una motocicletta con tanto di sidecar, coglie sul fatto un gruppo di tedeschi intenti a piazzare mine antiuomo, procede senza intoppi fino al fiume Chienti dove cerca di sbarrare la strada al nemico verso Cingoli, attacca i tedeschi in attesa del rancio ed è costretta a combattere di notte e con offensive a sorpresa a causa della scarsa dotazione di armi.

Ormai è diventata l’ “armata Lew”, dal nome del suo comandante. Respinge il nemico oltre il fiume Esino e occupa tutta la zona di Cupramontana, nei pressi di Ancona. Controlla parte della provincia riempiendo lo spazio di 30 chilometri che divide le formazioni alleate ad ovest e il CIL a est. Con la battaglia di Montecarotto, la liberazione dell’anconetano può considerarsi conclusa.

La brigata libera Arcevia, aiuta gli alleati a sgombrare Piticchio e rischia un’intossicazione dopo che i nemici hanno dato fuoco a una miniera di zolfo a sud di Pergola. Contribuisce alla cacciata del nemico oltre la linea del fiume Cesano e poi quella del Metauro. È agosto, fa caldo e la brigata è impiegata in continue ricognizioni e coperture per gli alleati, che arrivano da destra e sinistra. È isolata, può contare solo sulle proprie forze e non ce la fa più. La mancanza di sapone e tempo per lavarsi provoca irritazioni sul corpo al 75% dei combattenti, molti hanno i piedi pieni di vesciche e di ulcere, il promesso riposo viene revocato all’ultimo momento per ben due volte sostituito, dopo l’arrivo al Metauro, dall’ordine di trasferimento immediato sul settore marittimo. I soldati sono demotivati e stanchi, lamentano la loro condizione di sfruttati ma non si fermano.

A Pesaro si uniscono all’esercito alleato e liberano la città, per poi proseguire verso Emilia-Romagna e Veneto. Entrano con i polacchi a Bologna la mattina del 21 aprile del 1945. Alcune pattuglie proseguono fino ad Asiago, dove si fermano il primo maggio. La brigata si scioglie definitivamente a Brisighella nell’estate del 1945. La targa commemorativa nella piazza della città è in memoria dei 54 partigiani della Maiella, caduti nel loro cammino di resistenza.

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Il testone di Mussolini scolpito nella roccia e le sue cene in trattoria http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=809 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=809#comments Wed, 02 Apr 2014 10:44:55 +0000 Giovanni Ruggiero http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=809

A sinistra il profilo di Mussolini nella gola del Furlo

“L’ordine di bombardare il profilo di Benito Mussolini sul monte Pietralata, nella gola del Furlo, arrivò direttamente da Winston Churchill”. A dirlo è lo storico Umberto Marini che per anni ha studiato i fatti convulsi avvenuti a pochi chilometri dalla linea Gotica: “Nell’agosto del 1944 Churchill era a Montemaggiore al Metauro, piccolo centro nella provincia di Pesaro-Urbino per studiare l’assalto alla linea Gotica”. A piazzare quindi le mine che avrebbero fatto saltare parte del mento e delle labbra di roccia calcarea fu il partigiano Bruno Bocchio, della brigata Maiella: “Dovevano essere gli italiani stessi a colpire quel simbolo – dice Marini – Churchill lo considerava un dettaglio importante in una zona che formalmente era sotto la Repubblica di Salò”.

Ancora oggi la punta del Pietralata ha mantenuto in buona parte i lineamenti del volto del Duce. La costruzione avvenne nel 1936 ad opera della milizia forestale della zona e degli operai delle cave che estraevano la pietra rosa. Ideato dallo scultore Oddo Aliventi, il monumento raffigurava la fronte ampia, il mento pronunciato e il naso dall’aria marziale rivolti verso il cielo. Secondo i racconti popolari, Mussolini ebbe da ridire sulla posizione che lo ritraeva steso come se fosse addormentato. La retorica fascista lo voleva sempre vigile sui destini dell’Italia: “Aliventi voleva celebrare il dominio del regime anche sui cieli – ricorda lo storico Marini – tre anni prima c’era stata la traversata atlantica di Italo Balbo”.

Da questa parti Benito Mussolini passava spesso, 57 volte secondo la gente del posto. Nei viaggi tra Roma e Predappio sostava alla locanda del Candiracci: “La conosceva da anni e gliel’aveva consigliata il fratello Arnaldo – ricorda la signora Floride, bambina di dieci anni negli anni dei soggiorni della famiglia Mussolini alla gola del Furlo, oggi energica novantenne – e si fermava qui per riposare, sia da solo che con la famiglia”. Di quegli anni, dal 1933 in poi, Floride conserva tanti bellissimi ricordi fatti di giochi con Romano e lunghe passeggiate a raccogliere fiori con donna Rachele: “Con le 5 lire d’argento che ci regalava – dice Floride – compravamo le prime cose per noi, come una maglietta nuova o un paio di pantaloni”.

Della figura di Mussolini, Floride ha conservato solo un ricordo affettivo: “Non mi sono mai interessata di politica, all’epoca mi vestivano da piccola italiana e la sua immagine ha accompagnato tutta la mia infanzia”. Dell’ospitalità della locanda del Furlo, Mussolini apprezzava di sicuro la cucina: “Si faceva sempre preparare le tagliatelle con il tartufo – precisa Floride – ma l’evento che ricordo di più è stato quando riuscì a mangiare una frittata di ben 12 uova tutta da solo: arrivato a Rimini è stato male per tutta la notte e il giorno dopo siamo stati anche interrogati e perquisiti dalla polizia, finché non siamo riusciti a spiegare che le uova non erano scadute, ma troppe!”.

Floride Candiracci

Floride ha assistito alla costruzione del profilo di Mussolini sul monte Pietralata: “Si fece apprezzare dagli scalpellini della zona – racconta – perché migliorò le strade che portavano alle cave: ormai era sua abitudine offrire una volta all’anno un pranzo in sua compagnia”. Sulla distruzione parziale del profilo ad opera dei partigiani, Floride non è d’accordo con la tesi dell’ordine impartito da Churchill: “Ho sempre saputo che a volere l’abbattimento sia stata la senatrice comunista Adele Bei”. Lo conferma anche Stefano Lorenzetto sul sito de Il Giornale, ma Umberto Marini ricostruisce in altro modo: “Il governo Parri aveva stanziato i fondi per abbattere definitivamente quel profilo – dice – ma Adele Bei, sottosegretario ai lavori pubblici, riuscì a stornare quel finanziamento per ricostruire le strade danneggiate che servivano a raggiungere le cave”.

La polemica sulla ricostruzione è arrivata fino alla fine degli anni ‘70, quando gli eredi Candiracci sono stati anche ospiti in tv di Enzo Tortora a Portobello. “Periodicamente qualcuno propone di rifare la faccia di Mussolini – chiosa Marini – chi per motivi turistici, chi come qualcuno di movimenti neofascisti per spinte nostalgiche”. L’idea è anche tornata a circolare nel 2006, ma senza conseguenze concrete, se non far parlare del Furlo in tv e sui giornali: “Possiamo anche fare a meno del profilo completo – scherza Marini – la riserva del Furlo è bella così com’è”.

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Il calendario degli eventi, giorno per giorno e luogo per luogo http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=406 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=406#comments Wed, 02 Apr 2014 09:00:25 +0000 Laura Morelli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=406 Ecco il calendario degli eventi commemorativi sulla liberazione e la resistenza.

Urbino

“Una mattina mi son svegliato”
Mercoledì 9 aprile – cinema Nuova Luce,
Ore 21.15 Cineforum “La bicicletta verde”, Germania/Arabia Saudita 2012

Sabato 12 aprile – sede A.N.P.I.,
ore 17.00 Crisi economica e nuovi fascismo
con Peter Kammerer e Federico Losurdo.

Domenica 13 aprile – Un punto macrobiotico,
ore 10.30 La mia vita: incontro con Marinelli Maffeo, Partigiano combattente,
a seguire un pranzo speciale al prezzo di 5,00 euro.

Mercoledì 16 aprile – cinema Nuova Luce,
Ore 21.15 Cineforum“Jin”, Turchia 2013

Martedì 22 aprile – locale Fuori Tema
Ore 18.00 – inaugurazione mostra Materiali della resistenza e letture tratte da “Lettere di condannati a morte della Resistenza europea”.

Mercoledì 23 aprile – cinema Nuova Luce
Ore 21.15 Cineforum “Va’ e vedi”, URSS 1985

Domenica 27 aprile – Un punto macrobiotico
ore 10.00 La tipografia clandestina. I caratteri nella resistenza italiana
Relatori: Andrea Vendetti, Miro Flamini e Giuseppe Scherpiani

Mercoledì 30 aprile – cinema Nuova Luce
Ore 21.15 Cineforum“Rosa Luxemburg”, Germania 1986

Sabato 3 maggio – sede A.N.P.I.
ore 17.00 Donne e militanza, da Rosa Luxemburg ad Adele Bei
con Monia Andreani e Giada Fiorucci.

Mercoledì 7 maggio – cinema Nuova Luce
Ore 21.15 Cineforum “A unfinished film” Germania/Israele 2010

Fermignano
Venerdì 25 aprile
Incontro e pranzo con i partigiani, festa “Fiore del Partigiano” e mostra ”Bromuro d’argento” II parte

Fano
Martedì 8 aprile – sede A.N.P.I. Leda Antinori
Ore 19.00 La notte dei corti resistenti: proiezione di cortometraggi sulla Resistenza Partigiana. Ingresso riservato ai tesserati A.N.P.I.

Venerdì 11 aprile – Turismo Rurale Santa Cristina – via Rosciano 4
ORE 21.00 Fame di resistenza, cena di autofinanziamento.
Per prenotazioni: 0721/862685 (specificare cena anpi)

Martedì 15 aprile – Memoteca
Ore 17.00 Passaggi di testimone
Gli studenti delle Scuole Medie Inferiori leggono le interviste fatte ai loro bisnonni.

Martedì 22 aprile – Memoteca
Ore 16.30 Entità resistenti. Presentazione del progetto e lectio brevis di Raffaele Mantegazza: “Metodi e istruzioni per resistere nel quotidiano”.

Giovedì 24 aprile – Archivio Franco Salomone Piazza Capuana 4
Ore 21.00 nell’ambito del progetto Entità Resistenti:
Libertarias proiezione del film sulla Resistenza al fascismo durante la guerra di Spagna. A cura dell’Associazione Alternativa Libertaria in collaborazione con Cineforum di Pesaro

Domenica 27 aprile – Mediateca Montanari
ore 16.00 – Nell’ambito del progetto Entità Resistenti:
Atti innaturali, pratiche ignobili: indignarsi (ancora) oggi per il Paragrafo 175. Proiezione del film-documentario Paragraph 175, Rob Epstein, 1999.
Interverrà Francesco Rocchetti (istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Macerata)
A cura di Arcigay “Agorà” Pesaro Urbino e Agedo Pesaro Urbino

Martedì 29 aprile – Sede A.N.P.I. Leda Antinori
Ore 18.00 inaugurazione mostra Le riforme sociali economiche a Cuba. Conferenza: Cuba e l’alleanza dell’ALBA per il socialismo nel 21esimo secolo
Tenuta dal Professor Vasapollo Luciano – professore universitario a La Sapienza di Roma, delegato del rettore per le relazioni con i paesi dell’ALBA e Direttore di Nuestra America -.
Ingresso riservato ai tesserati A.N.P.I.

Giovedì 1 maggio – Parco del Fagiano di Fenile
Festeggiamenti del Primo Maggio.
Al Parco Miralfiore di Pesaro ore 16.00 arrivo della Staffetta della Memoria, in bicicletta lungo la Linea Gotica, organizzata da Costess New Media

Giovedì 8 maggio – sede A.N.P.I. Leda Antinori
Ore 18.00 Ribelle. Presentazione del libro di Gustavo Rovinelli (partigiano fanese) alla presenza dello scrittore e di Marcello Soro e Tania Belli coautori.

Sabato 10 maggio – Sala Polivalente Il Cubo, San Lazzaro
Ore 17.00 – nell’ambito del progetto Entità Resistenti:
Resistere ed esistere. Incontro con le Donne TerreMutate de L’Aquila
A cura delle Donne In Nero di Fano.

Pesaro

“Una mattina mi son svegliato”

Da sabato 19 aprile a sabato 26 aprile
Centro Arti Visive Fondazione Pescheria,
Rewind: Pesaro dalla rovina della ricostruzione alle rovine della guerra. Documenti fotografici

Venerdì 25 aprile – circolo Arci Villa Fastiggi,
ore 22.30 Havah + Paco Ramirez dj set. concerto live
in collaborazione con Circolo ARCI – Villa Fastiggi

Giovedì 1 maggio – Parco Miralfiore,
Festeggiamenti del Primo Maggio.
Al Parco Miralfiore di Pesaro ore 16.00 arrivo della Staffetta della Memoria, in bicicletta lungo la Linea Gotica, organizzata da Costess New Media

Tracce di Guerra
Domenica 9 marzo – ore 10
primo walkscape dalla Pescheria a piazza Garibaldi

Domenica 6 aprile
Ore 10
secondo walkscape dalla stazione a viale della Repubblica
Ore 17 chiesa di Santa Maria Maddalena, via Zacconi
Associazione Macula: Foto d’archivio-Storie e immagini di Pesaro

Venerdì 25 aprile – ore 10
terzo walkscape. Trekking dei bunker: alla scoperta dei bunker costruiti lungo la linea gotica.

25, 26, 27 aprile, 2 settembre – chiesa di Santa Maria Maddalena
Grado Zero, materiali per una riflessione su settanta anni di storia per il 70° della Liberazione di Pesaro

Festival della Liberazione
24 aprile – 1 maggio – Porto di Pesaro
Festival Nazionale della Liberazione

Cantiano
Domenica 23 marzoOre 12.30
Incontro con i partigiani e pranzo di autofinanziamento

Martedì 25 marzo – Vilano
ore 11.30 Cerimonia commemorativa della battaglia di Vilano 25.3.44
Incontro con i testimoni e gli studenti delle scuole medie di Cantiano

Pergola
Sabato 12 aprile – sala San Rocco
Ore 21.00 Sulla linea del fuoco – Storie partigiane fra il Catria e il Nerone film documentario di Gianfranco Boiani e Giorgio Bianconi.

San Lorenzo in Campo

Venerdì 11 aprile – sala Consiliare del Comune
Ore 21.00 Sulla linea del fuoco – Storie partigiane fra il Catria e il Nerone film documentario di Gianfranco Boiani e Giorgio Bianconi.

Gabicce Mare

Domenica 20 aprile – Centro Civico Creobicce
Ore 17.30 presentazione delle iniziative A.N.P.I. sulla salvaguardia della memoria nei territori di Gabicce Mare, Gradara, Tavullia
Ore 18.30 Aperitivo
Ore 19.00 Mirco Menna in concerto – “Attraversando Rivoluzioni. Note e (In)canti”

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Per non dimenticare la Liberazione: tutti gli eventi e le iniziative http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=317 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=317#comments Wed, 02 Apr 2014 08:59:06 +0000 Laura Morelli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=317 URBINO – Sono tantissime le iniziative che i comuni e le associazioni della provincia di Pesaro-Urbino hanno organizzato in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione, molte delle quali però sono ancora in forse a causa della mancanza di fondi.

LINK – Il calendario degli eventi

“Una mattina mi son svegliato…”
L’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha preparato, assieme a comuni e circoli Arci, una serie di incontri ed eventi in collaborazione con la manifestazione Una mattina mi son svegliato. Gli eventi sono in programma dal 19 marzo al 10 maggio in diverse località, da Urbino a Gabicce Mare, passando per Fermignano, Fano e Pesaro. “Il nostro obiettivo principale è di tenere viva la memoria di quei giorni, dei valori della resistenza e della Costituzione, soprattutto tra i giovani – afferma Cristiana Nasoni, presidente dell’Anpi di Urbino – ma non solo: con i partigiani che piano piano stanno morendo e i giovani che non studiano quasi più la Seconda guerra mondiale a scuola, è sempre più difficile mantenere il ricordo, ma è altrettanto importante che i ragazzi si avvicinino a questa realtà e ai sentimenti antifascisti, soprattutto ora che molti estremismi stanno tornando alla luce in particolari situazioni come in Grecia e in Francia”.

Oltre a cineforum, proiezioni e mostre fotografiche sono previsti anche pranzi sociali e dj set, per sensibilizzare le nuove generazioni. Al Punto Macrobiotico di Urbino ogni domenica fino al 27 aprile si tengono incontri sui temi della resistenza, la sovranità alimentare e la tipografia clandestina. Le donne, protagoniste nei loro compiti della resistenza, saranno soggetto di molti incontri, come ad esempio quello di sabato 3 maggio: Donne e militanza, da Rosa Luxemburg ad Adele Bei nella sede dell’Anpi di Urbino.

Per famiglie e studenti
Con Tracce di Guerra la rete di associazioni ‘Ortopolis arti in rete’ di Pesaro promuove, nei weekend dal 9 fino al 27 aprile e il 2 settembre 2014, una serie di attività dedicate a famiglie e studenti per ricordare gli spazi della quotidianità testimoni dei momenti tragici della Seconda Guerra. La formula è quella del walkscape, non visite guidate ma camminate sociali in cui il territorio viene riletto a partire dai reperti urbani, un archivio storico a grandezza originale.

Sempre a Pesaro la Festa della Liberazione si unisce alla festa del Lavoro del primo maggio e nasce il Festival Nazionale della Liberazione. Dal 24 aprile al 1. maggio, il porto ospiterà attività sportive, degustazioni e concerti a tema liberazione, organizzati dall’associazione Stile Libero.

Altri progetti
L’Istituto di storia delle Marche non manca nella lista degli enti che si vogliono distinguere per le attività commemorative: “Quest’anno ricorrono altri anniversari impegnativi oltre al settantesimo, come la Settimana rossa e la morte di Berlinguer – afferma Massimo Papini, direttore dell’Istituto – fra le altre cose stiamo organizzando un grosso convegno con l’Istituto storico dell’Umbria sulla Resistenza nell’Appennino umbro-marchigiano, ma ancora non è stata decisa la data”.

“Abbiamo molte idee in pentola ma finora abbiamo ricevuto tante pacche sulle spalle ma niente fondi – spiega Costantino Di Sante, direttore dell’Istituto di Pesaro – abbiamo presentato vari progetti, fra i quali uno spettacolo teatrale sulla strage di Fragheto, in collaborazione con l’Emilia-Romagna, una mostra ‘documentaria’ sui manifesti che hanno celebrato la resistenza nel dopoguerra e vari incontri sul tema del rapporto fra gli eserciti, la popolazione e i partigiani nella provincia. Sono progetti interessanti, speriamo di poterli realizzare”. Unica idea in cantiere che forse si realizzerà a maggio-giugno è la ripubblicazione, dopo 10 anni, di una rivista dedicata allo scoppio di Montecchio, alla luce di nuovi documenti scoperti al riguardo.

Gara ciclistica “Brigata Majella”
Dopo il successo dello scorso anno, i membri Anpi di Pescara stanno pensando di organizzare per la seconda volta il Giro ciclistico della Brigata Majella da Casoli (Chieti) a Bologna, una pedalata di 800 km in sei tappe che attraversa Abruzzo, Lazio, Marche ed Emilia-Romagna. “È stata un’esperienza meravigliosa e vorremmo rifarla perché quest’anno sarebbe ancora più significativa, visto che sono 70 anni – afferma Enzo Fimiani, presidente Anpi di Pescara – ma dobbiamo trovare i fondi necessari. L’anno scorso siamo stati aiutati dai comitati Anpi di tutte le regioni, fra i quali quello di Pesaro è stato fra i più generosi, ma comunque ci sono voluti 4.000 euro e non so se riusciremo a trovarli anche quest’anno”.

Il Premio Rotondi
In forse è anche uno dei premi più conosciuti e apprezzati sul tema della resistenza, quello dedicato a Pasquale Rotondi, storico dell’arte noto per aver salvato dalla distruzione circa 10 mila opere d’arte italiane durante la guerra . Il premio si tiene ogni anno, da 15 anni, a Sassocorvaro. “Purtroppo non possiamo dire con certezza se ci sarà anche quest’anno, a causa dei tagli ministeriali – ha detto Alice Ugolini, dell’ufficio cultura del comune di Sassocorvaro – gli unici soldi che potremmo usare sarebbero quelli del fondo comunale ma che sono pochi e non sufficienti. Purtroppo non possiamo garantire niente, anzi il sindaco attuale, Alessandrini, è scettico. Confidiamo nel bando regionale che da qualche fondo alle attività culturali, forse a giugno sapremo.”

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Le armi dei partigiani delle Marche e i codici segreti mai ritrovati http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=280 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=280#comments Wed, 02 Apr 2014 08:52:32 +0000 Giovanna Olita http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=280

Foto, oggetti e armi conservati al Museo della Resistenza

Fucili a ripetizione Mauser, pistole e rivoltelle inglesi accompagnate da 31 chili di esplosivo. Era un vero e proprio arsenale quello che Vilfredo Caimmi, ex partigiano di Ancona e medaglia d’argento al valore militare, nascondeva nella sua cantina. Un arsenale scoperto nel 1990 dopo una segnalazione anonima ai carabinieri: tanto è bastato perché il tesoro di Caimmi, fatto di armi non solo impugnate dai suoi compagni ma anche da partigiani di Macerata e Urbino, tornasse alla luce. Fu immediatamente sospeso dal Partito comunista (Pci), nonostante avesse cercato di giustificarsi: “Tenevo tutto per affetto”.

Dieci anni dopo, su iniziativa del ministro della giustizia Olivero Diliberto, le armi sono state dissequestrate per il loro valore storico e consegnate al comune di Falconara Marittima. Dal 2002 sono conservate nel museo della Resistenza e rappresentano, secondo quanto afferma Angela Ortolani dell’ufficio cultura del Comune, l’unico esempio in Italia di un arsenale appartenuto a una brigata partigiana. Il museo ospita anche testimonianze di abitanti della zona: dalle uniformi fornite dagli alleati a un timbro rubato ai tedeschi per falsificare documenti, dalle carte da gioco americane a un telegrafo da campo. All’epoca era molto difficile comunicare con gli alleati ed era un’operazione delicatissima. Gli scambi di informazioni potevano avvenire solo tramite codici numerici, che venivano affidati a una sola persona.

Tanti ricordi che fanno di questo spazio un piccolo gioiello delle Marche. Tesori che però rimangono anche troppo nascosti. Sul sito internet del Comune di Falconara è riportata la voce ‘Museo della Resistenza’, ma cliccando si apre una pagina vuota. Cercando invece il numero di telefono e l’indirizzo sul web, si trovano dati sbagliati. Arrivati sul posto tutte le indicazioni rimandano al Castello, sede dell’esposizione per soli due anni. È dal 2004 infatti che si è deciso di spostare il museo nell’edificio storico del comune per abbattere le barriere architettoniche e consentire a tutti di visitarlo.

Tra i corridoi del museo, esposte in una vetrina, risaltano due mitragliette Sten, identiche per un occhio inesperto ma profondamente diverse se usate in battaglia. Una, la più accurata nella fabbricazione e munita di maniglia, permetteva di far partire un colpo alla volta; l’altra, molto più rudimentale, se azionata continuava a sparare finché non finivano i proiettili all’interno del caricatore. Molti partigiani sono rimasti uccisi da fuoco amico proprio a causa di questo difetto.

A maneggiare le armi, però, non erano solo gli uomini. Nel museo è riservato uno spazio particolare alle pistole che utilizzavano le donne. Piccole e leggere, venivano spesso nascoste sotto le gonne o consegnate, quando ce n’era bisogno, ai partigiani. Ma in quali altri modi era possibile procurarsi pistole e fucili? C’era chi recuperava quelli scampati alla Prima guerra mondiale, nascosti dai soldati in fuga dopo l’8 settembre o chi tentava di strapparli al nemico in combattimento. La pratica più diffusa però era quella di raccoglierli dai sacchi gettati dagli elicotteri degli alleati.

Quando farsi lanciare le armi all’aeroporto era diventato troppo rischioso, venne individuata come valida alternativa la Valdiola, una valle dell’entroterra tolentinese perfetta per l’arrivo dei sacchi grazie alla sua conformazione a ‘V’. Capitano della brigata partigiana di Ancona era Goffredo Baldelli, punto di riferimento per la resistenza marchigiana. Di area socialista e vicino alla posizione di Pertini, era l’unico ad avere i codici e la radio per comunicare con gli alleati.

Baldelli però ha avuto un destino sfortunato. Un giorno rimproverò un partigiano polacco che aveva insultato una staffetta. I due cominciarono a picchiarsi finché il polacco sparò a Baldelli, uccidendolo. Voci raccontano che i compagni gli abbiano scucito gli orli della giacca e dei pantaloni per cercare i codici. I codici non sono mai stati ritrovati.

Giovanna Olita
Valeria Strambi

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“A Ca’ Mazzasette i nazisti hanno ucciso mia nonna sulla porta di casa” http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=656 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=656#comments Wed, 02 Apr 2014 08:50:43 +0000 Federico Capezza http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=656

Il monumento alle vittime dello scontro di Ca' Mazzasette

“Mia nonna non ha avuto nemmeno il tempo di capire che cosa stava succedendo. Ha sentito degli spari, il verso dei cani, le urla in tedesco. Si è affacciata alla porta e le hanno sparato”. Tina Cecchini Corbucci il 1 novembre 1943 aveva 17 anni. La strage di Ca’ Mazzasette la vede con gli occhi di allora, di una ragazza affacciata alla finestra di casa, la stessa casa dove vive ancora oggi.

I poliziotti nazisti erano venuti da Rimini a cercare Erivo Ferri, il calzolaio del paese, comunista e, secondo un informatore dei fascisti, ben armato. Ma quello che doveva essere un semplice arresto si subito trasformato in uno scontro a fuoco che lasciò a terra tre civili e un soldato tedesco. “Ho visto il camion dei tedeschi salire dalla strada provinciale – racconta Tina – la sparatoria è cominciata quasi subito. All’altezza delle Casacce, alle porte del paese, un ragazzo è uscito di casa correndo, si era spaventato vedendo arrivare il camion carico di uomini armati. Gli hanno sparato alla schiena mentre fuggiva in direzione del fiume, al margine del bosco”. Il ragazzo si chiamava Pierino Bernardi, 19 anni. Il suo corpo sarà ritrovato una settimana dopo.

Arrivati nel centro del paese, i tedeschi iniziano a sparare in aria: “Non circondano subito le case, prima si schierano di fronte, poi entrano. Intanto sparano e sembra che sul tetto cada la grandine”. Una donna si affaccia alla porta di casa: è Adele Cecchini, la nonna di Tina. I soldati la freddano con una sventagliata di mitraglietta e la stessa sorte tocca ad Assunta Guarandelli, 30 anni, madre di due bambini e in attesa del terzo figlio. “Assunta si era affacciata dal balcone per chiamare i figli dentro casa dopo aver sentito i primi spari – ripercorre con la memoria Tina Cecchini – i tedeschi l’hanno vista sulle scale e l’hanno uccisa. Hanno sparato ai civili senza un motivo, indiscriminatamente”.

Ma cosa accade davvero a Ca’ Mazzasette? Perché quello che doveva essere un semplice arresto è diventato un triplice omicidio, una strage? La storiografia ufficiale dice che il primo reparto tedesco, dopo alcune raffiche a scopo intimidatorio, tenta di entrare nell’abitazione di Ferri, ma il calzolaio si difende sparando e lanciando granate.

“Sentivamo Erivo sparare. Anche suo cugino, Mario Ferri, prese il fucile appena vide che i soldati volevano arrestare Erivo. Mario sparò ai tedeschi mentre stavano davanti al portone della casa del cugino, e poi un tedesco è morto, credo ucciso da lui”. A quel punto i tedeschi chiamano i rinforzi e altri due camion carichi di soldati entrano in paese, ingaggiando una battaglia a colpi di mitragliatrice e bombe da mortaio.

“Ci hanno fatto uscire tutti – riprende Tina – ci hanno circondato con le mitragliatrici e ci hanno detto che avrebbero bruciato le case. Mia madre implorava che ci lasciassero vivere e che mi lasciassero finire gli studi. Ci hanno portato alle Casacce, dove era stato ucciso il ragazzo, e ci hanno tenuto lì mentre sentivamo che in paese si continuava a sparare, ma non riuscivamo a capire cosa stava accadendo. Dopo hanno portato via tutti gli uomini, 29 persone, compreso mio padre (Zilio Cecchini, arrestato perché era rimasto in casa durante il rastrellamento, ndr). Li hanno portati a Rimini, ma ne liberarono 25 nelle settimane successive. Mio padre era uno degli ultimi quattro e i tedeschi lo obbligavano a togliere le bombe inesplose dalla ferrovia. Un giorno, durante un bombardamento alleato, un ordigno è caduto è caduto sul carcere e mio padre e i suoi compagni di prigionia sono riusciti a fuggire ed è tornato a casa. Quando è tornato ha detto: ‘È giusto essere tornati oggi, è la festa degli innocenti”. Era il 28 dicembre 1943, sei mesi dopo sono arrivati gli inglesi”.

Erivo Ferri, invece, riesce a non farsi catturare. Per qualche giorno rimane nascosto in alcune abitazioni nei dintorni di Ca’ Mazzasette, poi viene trasferito a Cantiano, da dove guiderà il distaccamento d’assalto “Picelli”, una delle formazioni partigiane impegnate nella lotta contro i nazifascisti.

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Luciana Manca: “Così ho inventato il traffico delle tessere annonarie” http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=740 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=740#comments Wed, 02 Apr 2014 08:38:07 +0000 Valeria Strambi http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=740

La carta annonaria di Ancona

Luciana Manca nel 1942 aveva 17 anni e lavorava al Comune di Falconara Marittima. Di nascosto e rischiando la vita ha aiutato partigiani, antifascisti e giovani renitenti.

All’epoca ero poco più di una bambina e il mio compito era distribuire le tessere annonarie. In ufficio ne vedevo passare in continuazione ed è col tempo che ho capito che solo alcuni avevano il diritto di mangiare. Chi non era iscritto al fascio ma anche le famiglie dei giovani che non si erano presentati alla leva della Repubblica Sociale Italiana (Rsi) rimanevano tagliati fuori, non toccava loro nemmeno un pezzo di pane. Allora, una volta capito il meccanismo, ho trovato il modo di procurare le tessere anche a loro. Nella maniera più semplice: le rubavo.

ASCOLTA L’AUDIO – “Rubacchiavo le tessere per darle ai partigiani”

Ogni tre mesi mi veniva consegnata una lista di nomi e in base a quella dovevo prendere solo le tessere che servivano. Ma io cercavo sempre di agguantarne qualcuna in più, approfittando della disattenzione di chi faceva i controlli e rischiando ogni volta di essere scoperta. A ripensarci ora mi sento un’incosciente, ma non mi sembrava di fare niente di straordinario. Per me era una cosa naturale, loro ne avevano bisogno e io mi ero ritrovata tra le mani un potere troppo grande per non tentare almeno di aiutarli.

Nel piano perfetto che avevo escogitato non ero l’unica pedina. C’eravamo io, la mia amica Maria Corvo e il fratello Mario, un partigiano. Lo scambio tra noi tre doveva avvenire di notte, quando era più facile non dare nell’occhio. Uscivo sempre a piedi, a coprifuoco già scattato, cercando di farmi notare il meno possibile. Nascondevo le tessere nel cappotto, nei vestiti o come potevo e in questo modo, sommersa dalla paura, con le gambe che mi tremavano ma spinta dall’adrenalina, percorrevo quei 200 metri che separavano casa mia da quella della mia amica.

I nostri incontri, che avvenivano tutte le volte che Mario tornava a casa, sono andati avanti per almeno due anni, dal ’42 al ’44. Le tessere non bastavano mai, ogni volta si aggiungeva sempre qualche partigiano in più ed era Mario ad occuparsi dello smercio. Era stata sua anche l’idea di mettere nomi falsi.

Mi hanno dato persino un premio per questa cosa! Certo, ho rischiato grosso perché se un partigiano fosse stato catturato e gli avessero trovato una tessera del genere, sarebbero risaliti a me molto facilmente e avrei potuto rimetterci la pelle. Ma io a questo non ci pensavo, lo facevo per profonda amicizia.

Da Falconara me ne sono andata nel 1949 e tre anni dopo ho sposato un ufficiale del ‘San Marco’ che avevo conosciuto proprio in quegli anni. Tornare a Falconara per il 67esimo anniversario della Liberazione e tornarci da eroe mi ha fatto sorridere.

Valeria Strambi
Giovanna Olita

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“A Cefalonia mi salvai la vita grazie ad una ferita alla mano” / VIDEO http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=175 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=175#comments Wed, 02 Apr 2014 08:29:49 +0000 Teodora Stefanelli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=175

Arduino Federici

Arduino Federici, 91 anni di Monte San Vito (in provincia di Ancona), è uno dei due marchigiani ancora viventi sopravvissuti all’eccidio di Cefalonia: “Il nostro comandante, generale Antonio Gandin, ci disse che i tedeschi volevano la nostra resa – inizia a raccontare Arduino – ci chiese se volevamo allearci con il nemico, cedere le armi o resistere. Non abbiamo avuto dubbi: tutti abbiamo scelto di resistere”. E così, dopo una settimana di combattimenti, il 22 settembre 1943 la divisione Acqui fu sterminata nonostante la resa e il generale Gandin, il 24 settembre, fucilato. “I tedeschi bombardarono le nostre roccaforti – continua Arduino – noi avevamo pochi fucili, eravamo sprovvisti di armi. In più i nazisti arrivarono con i caccia camuffati con i colori italiani. Quando li abbiamo visti eravamo contenti, pensavamo fossero i nostri. Invece era un tranello. Ci hanno falciati, io sono stato ferito e mi sono nascosto dietro a uno scoglio. Dopo un po’ sono arrivati i generali italiani e, dopo aver deposto la mia mitragliatrice, mi mandarono in infermeria e da lì all’ospedale da campo di Argostoli. Dopo una settimana la divisione fu costretta a cedere le armi. Era il 22 settembre”.

Arduino Federici da giovane

Arduino Federici da giovane

A Cefalonia i tedeschi uccisero cinquemila soldati italiani e quasi 450 ufficiali che si arresero dopo un’aspra battaglia. Arduino si salvò grazie ai consigli di un generale emiliano: “Ad Argostoli un generale mi aveva consigliato di stare zitto e di non dire a nessuno la mia nazionalità perché sarebbero arrivati i nazisti. Quindi non parlai quando le SS, passando fra le lettighe, chiesero se c’erano italiani presenti. Poco dopo li hanno uccisi tutti. Davanti ai miei occhi spararono in testa a un medico, che stava operando un soldato, e a un prete”.

Dall’ospedale i superstiti furono caricati su piroscafi destinati ai lager tedeschi. Questa volta la fortuna di Arduino fu di essere ferito e quindi caricato, per fare la traversata fino ad Atene, sulla nave della Croce Rossa. “Se non fossi stato ferito non sarei mai arrivato al campo di Leus. Molti dei miei commilitoni sono morti in mare, ho visto saltare due navi, io ero sulla terza. E poi, si sa, alle navi della Croce Rossa non si spara”.

Foto d'epoca

Foto d'epoca

A ottobre inoltrato, Arduino era prigioniero nel campo della cittadina greca e ci è rimasto per un mese: “La vita laggiù era durissima. Ci davano da mangiare poco, ci nutrivamo con ghiande e bacche cadute a terra. Nel campo mi trovai insieme ai partigiani greci e russi”. I generali nazisti lo hanno costretto a scrivere una lettera per rassicurare i familiari, lettera che è arrivata a destinazione due mesi più tardi: “Mi fecero scrivere quello che volevano loro, che stavo bene e che non dovevano preoccuparsi per me. In realtà pesavo 40 chili”.

Alcuni dei prigionieri del campo sono finiti direttamente nei forni crematori racconta Arduino: “Ci dicevano che li avrebbero portati a lavorare, in realtà li hanno uccisi nei forni”. Lui e altri 23 italiani furono salvati da un caporale austriaco che li portò al Pireo e li lasciò fuggire. Una volta uscito dall’incubo del campo di concentramento, Arduino passò un anno, dal 1944 al 1945, peregrinando di città in città. “Per tornare a casa passai per l’Austria, qui vidi Vienna bruciare, e per la Bulgaria, dove cavalcai per la prima volta dei cavalli. Nel 1945 finalmente arrivai a casa: tornare e riabbracciare gli altri sei fratelli e i miei genitori è stata un’emozione incredibile” conclude Arduino.

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