La Liberazione delle Marche » brigata Maiella http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Wed, 04 Jun 2014 09:01:16 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche no a cura della redazione de Il Ducato, testata dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino La Liberazione delle Marche » brigata Maiella http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche Brigata Maiella, storia di partigiani che combatterono a fianco di inglesi e polacchi http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493#comments Wed, 02 Apr 2014 10:57:08 +0000 della-sala http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=493 È il 19 giugno del 1944 quando il tenente colonnello Wilhelm Lewicki, del Secondo corpo polacco, entra a Sulmona con tre autocarri e un carico di viveri e scarpe. Ha accettato di mettersi a capo della brigata Maiella e di rendere ufficiale il gruppo sbandato di combattenti che, fino a quel momento, ha contribuito con il Secondo corpo britannico dell’Ottava armata alla liberazione dell’Abruzzo. Già conquistare la fiducia del comando britannico, l’anno prima, non era stato facile per la Brigata Maiella, oggi conosciuta come l’unica formazione partigiana decorata con la medaglia d’oro al valor militare alla bandiera.

Dicembre 1943. Abruzzo, valle del fiume Sangro, ai piedi dei monti abruzzesi. Dopo la liberazione di Casoli da parte degli Alleati e la stabilizzazione del fronte lungo il fiume, l’avvocato socialista Ettore Troilo, alla guida di una banda di combattenti denominata “Maiella”, parte da Torricella Peligna per convincere il comando inglese a riconoscerli come “volontari per la Liberazione”. Inutilmente. Il comando britannico si rifiuta di collaborare con reduci dell’esercito italiano che considera inadatti alla lotta e che potrebbero vanificare le azioni belliche.

Nonostante il rifiuto, gli inglesi non possono fare a meno dell’aiuto dei partigiani abruzzesi: le montagne, le cartine topografiche incomplete, le reti stradali incompiute rendono indispensabile il loro aiuto e ricoprono ruoli di guide, sentinelle e avamposti. Gruppi di “combattenti di montagna” spinti dalla voglia di rivalsa e vendetta, ma anche dall’istinto di sopravvivenza dopo che le loro case e il loro esercito erano stati rasi al suolo.

Il 4 dicembre dello stesso anno, a Gessopalena, un’unità della Wehrmacht uccide con una raffica di mitra la madre di Domenico Troilo, militare alla guida di un’altra banda di partigiani che, poi, confluirà nella brigata Maiella. “Avevo 18 anni quando è scoppiata la guerra – ha raccontato Troilo – e insegnavo. Poi mi sono arruolato, sono stato in Tunisia e dopo l’8 settembre sono tornato a casa. L’Abruzzo era diviso in due sul Sangro, lungo la Linea Gustav. Sono arrivati i tedeschi e hanno iniziato a rubare bestiame, biancheria, tutto quello che trovavano. Era il 4 dicembre e hanno distrutto il mio paese, casa per casa. Non c’era ideologia, c’erano solo i fatti e quella che era diventata terra di nessuno. Si formarono così i primi gruppi di giovani e di uomini che avevano fatto parte dell’esercito. Le prime armi le rubammo ai tedeschi”.

Gennaio 1944. Gli alleati liberano Ortona ed Ettore Troilo convince il maggiore inglese Lionel Wigram a prendere con sé la brigata: la “Maiella” è riconosciuta come sezione speciale e inizia a combattere sotto il comando alleato, reclutando nuovi combattenti tra cui quelli guidati da Domenico Troilo. Il 15 gennaio 1944 c’è la prima ufficiale operazione congiunta. Gli inglesi conquistano Colle dei Lami e Colle Ripabianca. Liberano Quadri, Torricella Peligna, Lama dei Peligni e Fallo. La meta da raggiungere è Pizzoferrato, una paese in posizione strategica con un’altitudine di 1300 metri lungo il fiume Sangro.

L’assedio inizia all’alba del 3 febbraio ma l’attacco fallisce, forse per l’avventatezza del maggiore britannico, forse per l’astuzia dei tedeschi. A morire sotto una scarica di mitra è lo stesso comandante Wigram. Il bilancio totale, dopo una mattinata di guerriglia asserragliati nella chiesa del paese, è di 20 morti tedeschi, 2 inglesi e 10 italiani. Vengono fatti prigionieri 22 inglesi mentre i partigiani, tra prigionieri e feriti, sono 18. Nonostante la vittoria, i tedeschi abbandonano Pizzoferrato nel timore di un secondo attacco, dopo aver seppellito Wigram e finito a colpi di rivoltella i patrioti feriti.

Febbraio 1944. A Fallascoso, una frazione di Torricella Peligna diventata avamposto della Linea tedesca Gustav, Domenico Troilo guida per una notte intera venti combattenti contro la divisione tedesca Jager, senza perdere neanche un uomo. Dopo questa dimostrazione di valore, il capo di stato maggiore, Giovanni Messe, inquadra la formazione nella 209esima divisione del ricomposto esercito italiano. Il nome ufficiale è “Banda patrioti della Maiella” , unità militare riconosciuta che però mantiene la propria autonomia e risponde agli ordini del comando alleato.
Ettore Troilo è il comandante, Domenico il suo vice. Sul bavero delle loro prime uniformi non c’è più la stelletta ma due fasce tricolori.

Giugno 1944. Dopo una primavera di combattimenti, la brigata Maiella approda a Campo di Giove. Il giorno seguente il ritmo è serrato: Pacentro, Cansano, Roccacaramanico, Caramanico Terme, Sant’Eufemia, Popoli, Tocco da Casauria, Bussi sul Tirino e Pratola Peligna. Sono i primi ad entrare a Sulmona liberata. Parallelamente, alleati e forze del Corpo Italiano di Liberazione (a cui la brigata non ha mai voluto unirsi) affrancano Chieti, Guardiagrele e numerosi comuni del versante Adriatico. Il 10 giugno, con l’entrata a Pescara, l’Abruzzo può dirsi liberato.

A Sulmona inizia la seconda fase nella vita della brigata. L’esercito polacco sostituisce quello britannico. Secondo le cronache del tempo, la Maiella conta 280 uomini organizzati in gruppi di combattimento autonomi. A ogni azione sarebbero in grado di partecipare non più di 100 uomini. Sono scalzi, affamati e malati. L’armamento è insufficiente. La “Maiella” non ha mezzi di trasporto propri e non si sa se il secondo Corpo polacco accetterà il loro contributo, nonostante le sanguinose perdite sofferte nella battaglia di Monte Cassino. Inoltre i partigiani sono ormai lontani da casa, non conoscono il territorio più dei polacchi.

Il tenente colonnello Wilhelm Lewicki è incaricato dallo Stato maggiore di capire se la brigata possa tornare utile alle truppe polacche. A convincerlo, nonostante il rischio e le difficoltà, è lo spirito che anima i partigiani a Sulmona. Con un giuramento, il 17 giugno 1944 Lewicki obbliga la brigata Maiella a combattere insieme ai polacchi fino al nord Italia, sotto la più assoluta disciplina militare e imponendo un aumento del numero dei partigiani. Le fila della brigata arriveranno così a contare 1500 uomini. In cambio, il corpo polacco si assume l’onere del vettovagliamento, delle uniformi e, soprattutto, delle calzature. Il 18 giugno il tenente colonnello Lewicki ne diventa ufficialmente il comandante.

L’avanzata verso le Marche si svolge tra mille difficoltà: la brigata si muove a piedi, riempie quello spazio vuoto tra le truppe polacche ad est e quelle inglesi a ovest, trasporta viveri e munizioni su carri trainati dai buoi. Cattura un sergente e un caporale delle SS a bordo di una motocicletta con tanto di sidecar, coglie sul fatto un gruppo di tedeschi intenti a piazzare mine antiuomo, procede senza intoppi fino al fiume Chienti dove cerca di sbarrare la strada al nemico verso Cingoli, attacca i tedeschi in attesa del rancio ed è costretta a combattere di notte e con offensive a sorpresa a causa della scarsa dotazione di armi.

Ormai è diventata l’ “armata Lew”, dal nome del suo comandante. Respinge il nemico oltre il fiume Esino e occupa tutta la zona di Cupramontana, nei pressi di Ancona. Controlla parte della provincia riempiendo lo spazio di 30 chilometri che divide le formazioni alleate ad ovest e il CIL a est. Con la battaglia di Montecarotto, la liberazione dell’anconetano può considerarsi conclusa.

La brigata libera Arcevia, aiuta gli alleati a sgombrare Piticchio e rischia un’intossicazione dopo che i nemici hanno dato fuoco a una miniera di zolfo a sud di Pergola. Contribuisce alla cacciata del nemico oltre la linea del fiume Cesano e poi quella del Metauro. È agosto, fa caldo e la brigata è impiegata in continue ricognizioni e coperture per gli alleati, che arrivano da destra e sinistra. È isolata, può contare solo sulle proprie forze e non ce la fa più. La mancanza di sapone e tempo per lavarsi provoca irritazioni sul corpo al 75% dei combattenti, molti hanno i piedi pieni di vesciche e di ulcere, il promesso riposo viene revocato all’ultimo momento per ben due volte sostituito, dopo l’arrivo al Metauro, dall’ordine di trasferimento immediato sul settore marittimo. I soldati sono demotivati e stanchi, lamentano la loro condizione di sfruttati ma non si fermano.

A Pesaro si uniscono all’esercito alleato e liberano la città, per poi proseguire verso Emilia-Romagna e Veneto. Entrano con i polacchi a Bologna la mattina del 21 aprile del 1945. Alcune pattuglie proseguono fino ad Asiago, dove si fermano il primo maggio. La brigata si scioglie definitivamente a Brisighella nell’estate del 1945. La targa commemorativa nella piazza della città è in memoria dei 54 partigiani della Maiella, caduti nel loro cammino di resistenza.

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L’eroe che perse un braccio: “Giovani, studiate e ribellatevi alle ingiustizie” http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173 http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173#comments Tue, 01 Apr 2014 11:08:17 +0000 Silvia Colangeli http://ifg.uniurb.it/network/1944-guerra-marche/?p=173 Raffaelle Di Pietro ora ha 88 anni; mentre combatteva nella brigata Maiella ha perso l’uso del braccio sinistro e del ginocchio destro. Ma racconta con piacere la sua Resistenza, iniziando con un invito: ” I giovani devono studiare meglio la storia del Novecento. La nostra formazione non aveva appartenenze politiche, siamo riusciti a conservare anche la nostra autonomia dall’esercito. Ma prima di tutto eravamo giovani e la ribellione alle ingiustizie fu un gesto spontaneo, naturale”.

Era il 3 febbraio 1944 quando Di Pietro fu ferito. Si trovava sul fiume Senio: “Avevo un fucile mitragliatore che serviva d’assalto, ero al servizio dei due comandanti Dubai e Filetti, che mi avevano promosso caporale maggiore. Filetti una mattina mi ordinò di sparare su un mezzo della Croce Rossa perché mi disse che conteneva munizioni e non farmaci. All’inizio mi opposi, ma poi eseguii l’ordine: il camion saltò, qualcuno morì, qualcun altro si stese a terra per evitare  i colpi. Fu il giorno successivo, quando i tedeschi spararono per rappresaglia, che rimasi ferito. Mi portarono in ospedale e, quando venne a trovarmi il comandante, mi disse che avevo fatto bene a sparare perché avevano ritrovato le munizioni”.

Il caporal maggiore Di Pietro in poche settimane viene portato in tre ospedali: Forlì, Cesena, Loreto: “Ho subito varie operazioni, ma non sono bastate a farmi recuperare il braccio e il ginocchio. Dopo mi hanno portato anche a Bari per un ultimo intervento. Sono tornato a casa il 2 giugno 1945”.

Raffaelle Di Pietro non è né il primo, né l’ultimo invalido di guerra nella sua famiglia. Il padre aveva combattuto la Prima guerra mondiale e si era opposto con forza alla scelta del figlio di entrare nelle fila della brigata Maiella, tanto da mentire agli ufficiali che si occupavano dell’arruolamento: “Io e mio cugino, stufi dei soprusi tedeschi, ci presentammo dall’ufficiale di zona che stava costituendo il gruppo. Ma mio padre ci aveva seguiti e disse che eravamo minorenni. Quella volta tornammo a casa. Poco dopo, durante un blitz in casa mia, un tedesco mi puntò una pistola alla testa. Sento ancora il freddo della canna. Dopo quell’episodio decisi di combattere”.

A Recanati Raffaele Di Pietro entra nella brigata Maiella, insieme a suo cugino, che muore dopo pochi mesi. Uno dei momenti più brutti di quell’esperienza, insieme alla battaglia di Brisighella: “Tre giorni di disastri. Facevo parte della compagnia polacca del generale Anders. Prima della battaglia venne l’ordine di attaccare la roccaforte tedesca, così l’artiglieria iniziò il bombardamento. Era già sera quando la fortezza tedesca era stata distrutta. Quindi venne il nostro turno. Ci arrampicammo lungo il dorsale della collina e andammo avanti così per ore. Era gennaio inoltrato, pioveva e nevicava. Si combatteva a pochi passi dai tedeschi”.

Ma il caporal maggiore di Brisighella ricorda soprattutto la mattina successiva: “Oscar Fuà aveva 17 anni, uno meno di me. Quando in mattinata diedero il segnale iniziammo a retrocedere a pancia in giù , come i serpenti, senza alzare la testa. Fuà era a pochi metri da me e fece per alzarsi. Gli spararono subito”. I mesi passavano anche nel rimpianto: “Nei momenti difficili pensavo: chi me lo fa fare? Ho pianto diverse volte mentre ero in montagna, per esempio quando ho saputo che mio fratello era rimasto invalido a Tripoli. Ma so di aver combattuto per una nazione migliore e questo prevale su tutto”.

Il calore delle persone aiutava i partigiani ad andare avanti, nonostante le difficoltà: “Appena ci vedevano uscivano a salutarci. Non ne potevano più di stare in casa. Ci offrivano sempre acqua calda e cibo a volontà. Le ragazze erano splendide e gentili. Appena siamo arrivati a Modigliano, tutti insieme abbiamo cantato Bella ciao“.

(Di: Maria Gabriella Lanza, Marisa Eleonora Labanca, Silvia Colangeli, Virginia Della Sala) 

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