La pena di morte: crimine di Stato?

dossier a cura di Laura Cuppini
Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino

   
   
   
 

Cronaca di un'impiccagione
(racconto inedito di Mark Twain)

   
  L’altro giorno ho visto un uomo morire sulla forca. Si chiamava John Melanie ed era di origine francese.
È il primo impiccato di Virginia City, dove le prime 26 tombe nel cimitero appartengono a uomini uccisi a colpi di pistola o a pugnalate.
Non avevo mai visto nessuno morire impiccato, e non mi credevo capace di assistere all'esecuzione senza distogliere lo sguardo all'ultimo. Ma non mi rendevo conto del fascino che la cosa finisce per esercitare.
Andai perché pensavo di voler imparare qualcosa. E perché ritenevo che se mai fosse possibile assistere all'impiccagione di un uomo e ricavarne qualche soddisfazione, ebbene questa era l’occasione.
John Melanie non era un omicida qualsiasi. Era un assassino spietato. Un anno fa si nascose sotto la casa di una donna di Virginia City che viveva da sola, e nel cuore della notte entrò nella sua stanza e la tramortì con un ciocco di legno mentre dormiva. Poi la strangolò con le sue dita. Le portò via tutti i soldi, gli orologi, i vestiti e il giorno dopo, con pacata sfacciataggine, si mise una fascia nera al braccio e sfilò al suo funerale.
Successivamente si nascose sotto il letto di un'altra donna, e nel bel mezzo della notte strisciò fuori con una fionda in una mano e un coltellaccio da macellaio nell'altra. La donna lo vide e mise in allarme il vicinato con le sue urla, e lui scappò via. Nei giorni successivi Melanie riuscì a vendere un po' di vestiti e un po' di gioielli finché alcuni articoli vennero identificati come appartenenti alla cortigiana uccisa. Venne arrestato, e poi identificato dalla donna che aveva cercato di uccidere.
Alla fine del processo in cui venne condannato a morte si mise a bestemmiare contro chiunque si avvicinasse, e una volta si permise perfino di insultare in maniera pesante alcune giovani Sorelle della carità che erano venute ad assisterlo generosamente nei suoi bisogni. La mattina dell’impiccagione disse scherzando al barbiere di non tagliargli la gola perché voleva avere la soddisfazione di morire sulla forca.
Questo, dunque, era l’uomo che volevo vedere impiccato. Mi unii ai medici cosi da poter essere ammesso in prima fila, a pochi passi da Melanie. E adesso so che nulla mai mi potrà più sorprendere. Perché quell’assassino uscì dal carro blindato e la prima cosa che vide fu quella sinistra impalcatura che si ergeva tra migliaia di teste umane, su, verso la collina - ma il suo volto rimase imperterrito, non un muscolo si irrigidì!
Si fece avanti con passo sicuro, poi salì leggero le scalette del patibolo come una fanciulla spensierata. Si guardò intorno con calma. Esaminò la forca con occhio critico, e con la curiosità soddisfatta di chi si trova per la prima volta di fronte ad una meraviglia di cui aveva sempre sentito parlare. Deglutiva spesso, questo si, ma non c’erano altri segni di trepidazione - e nessuna spavalderia. Pregò assieme al prete, e poi tirò fuori un manoscritto - una sorta di invettiva - e la lesse con voce chiara e forte, senza alcun tremore. Era un foglio di carta piuttosto ampio e lo tenne bene davanti a sé. Se mai la sua mano tremò debolmente, il foglio di carta di certo non si mosse. Lo guardai bene in quel terribile momento in cui lo sceriffo infila la testa nel cappio e spinge il nodo di qua e di là per sistemarlo bene nella cavità sotto l’orecchio, - aveva un'aria serena come se gli stessero prendendo le misure per fargli una camicia. Mai visto una cosa simile.
La tensione dentro di me, invece, era insopportabile – il sangue mi pulsava nelle vene, e i miei pensieri si affollavano e s'intrecciavano. Gli restavano venti momenti di vita, poi quindici, dieci, cinque, quattro, tre - santo cielo come correva il tempo! - eppure lui se ne stava lì tranquillo anche se sapeva che lo sceriffo stava per afferrare la leva che azionava il trabocchetto mentre il cappuccio nero gli veniva calato sulla testa. E poi giù! Legato con tutte quelle cinghie, caduto nel buco dell'impalcatura con la velocità di una freccia!
Un tremendo sussulto è cominciato all'altezza delle spalle, e poi giù lungo tutto il corpo, violentemente, fino a spegnersi in quell’irrigidimento verso il basso delle dita dei piedi, come due pugni chiusi - e tutto era finito!
Ho visto tutto. Ho preso appunti precisi su ogni dettaglio - anche il modo garbato con cui aiutò a sistemare le cinghie che gli legavano le gambe e la calma con cui scostò le sue ciabatte - e spero di non dover assistere ad una simile scena mai più. Vedo ancora quel corpo rigido e dritto che penzola con la testa come un cuscino nero, piegato da un lato, e quelle venature violacee che risalgono lungo gli arti spazzando via il colore carnale della vita. Agh!

Nel 1868 Mark Twain si recò nel West per un ciclo di conferenze sui suoi viaggi in Europa e in Terra Santa. Passò anche da Virginia City, in Nevada, mecca dei cercatori d'oro, dove gli capitò di assistere all'impiccagione di John Melanie, l’assassino di Julia Bulette, amatissima prostituta chiamata anche "la puttana dal cuore d'oro".
Tutto questo si sapeva. Quel che non si sapeva era che Twain scrisse un "pezzo" sull’esecuzione di Melanie - una cronaca asciutta, stringata e per nulla umoristica - che uscì sul Chicago Republican il 31 maggio 1868. Un articolo è stato ritrovato da un archivista, Guy Louis Rocha, alla Library of Congress. "Pare incredibile - dice - ma gli studiosi di Twain lo hanno completamente ignorato". Viene pubblicato per la prima volta in 131 anni nell’ultimo numero della rivista Nevada Magazine.
Negli anni successivi Twain divenne un convinto abolizionista della pena di morte. Mise la sua fama al servizio di una causa ancora più impopolare in quegli anni di quanto non lo sia oggi. Per questo il suo, articolo "dimenticato" conserva ancora tutta la sua forza. Anzi, ne ha probabilmente guadagnato col tempo.
(nota di Andrea di Robilant)

Da "La Stampa" del 12-10-99

 
   
 



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