Il critico d'arte
contemporanea Giuliano Marziani nel saggio N.C.Q.
Arte italiana e tecnologie: il Nuovo Quadro
Contemporaneo (Castelvecchi, 1998) ha
individuato ben tredici espressioni artistiche
basate sull'elaborazione o la creazione al
computer: dalla fotografia digitale alla
tecnoscultura. La Computer art esiste almeno
dalla fine dei '60. Nel 1968, infatti, la mostra
Cibernetic Serendipity organizzata da Jasia
Reichardt all'ICA di Londra comprendeva già
opere realizzate essenzialmente attraverso l'uso
di mezzi meccanici e del computer. La Web art, detta anche Net art o arte
digitale, nasce invece di recente e si distingue
dalle altre correnti artistiche che usano il
mouse invece che il pennello per alcune
particolarità. Innanzi tutto per arrivare là
dove le altre forme d'arte non avevano osato:
all'interazione fra opera e spettatore. Non si
tratta di opere messe in Rete, ma di vere
installazioni "per e sul Web", come si
può vedere nella Galleria. E, fino ad oggi, era Internet la
galleria d'arte dell'arte digitale.
Alcuni artisti sono nati e
cresciuti nella Rete. Come Giuseppe Tubi, i cui
quadri, se possiamo ancora definirli tali, sono
diventati innoqui virus distribuiti tramite posta
elettronica. Ma anche Tubi ora è uscito dal Web
e entrato nelle gallerie tanto più che ha
esposto nella primavera '99 alla galleria
"Il Mascherino" di Roma. Un navigatore
curioso avrebbe trovato sul Web già anni fa i
primi graffiti fino alle creazioni digitali degli
ultimi anni di Matteo Basilè.
Ma oggi le sue opere sono anche esposte anche
alla biennale d'arte contemporanea di Alessandria
d'Egitto, alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna
di Roma e all'interno della mostra EMM, Eventi
Multimediali.
Gli artisti digitali entrano
dunque ufficialmente nei musei. Non solo alle
biennali, manifestazioni per loro natura vicine
all'avanguardia, ma in veri e propri
installazioni permanenti all'interno dei santuari
della tradizione accademica, della pittura
"alta", riconosciuta. Eppure
inizialmente l'arte digitale sembrava non aver
bisogno di questa collocazione. Proprio per la
sua natura sembrava snobbare il tempio
dell'accademia per quel mezzo più rivoluzionario
e libero rappresentato da Internet. Mezzo,
oltretutto, con valenze più democratiche, come
dimostrano i siti di ASCII art, ovvero quella
forma d'arte digitale povera che utilizza il
linguaggio dei segni della tastiera per creare
figure e immagini, come si può vedere al sito ASCII
Artwork e all'ASCII Picture Collection.
Inoltre l'entrata al museo
pareva ostacolata da funzionari e accademici
tradizionalisti, ancora perplessi, nonostante
più di un secolo di irriverenze d'ogni tipo,
dagli orinatoi dadaisti(Marcel Duchamp, 1917)
agli escrementi d'autore(Pietro Manzoni, 1960),
di fronte al nuovo mezzo. Ma recentemente anche i
sovrintendenti più diffidenti hanno aperto le
porte agli artisti del mouse.
Il Whitney Museum
di New York, tempio delle nuove tendenze
dell'arte contemporanea, questa primavera (23
marzo - 4 giugno 2000) ha aperto ufficialmente le
porte a Internet esponendo nove opere di gruppi o
singoli artisti. Pioniere era stato in realtà
l'europeo ZKM Museum di
Karlsruhe in Germania, che l'anno scorso aveva
organizzato la mostra Net Condition ,
fortemente voluta e sostenuta dal suo curatore
Weibel, estimatore della Net art. In Italia cui
sono stati alcuni segnali di attenzione a questo
fenomeno l'anno scorso con due mostre di Web art
a Roma: in primavera l'esposizione Ambienti
Sensibili al Palazzo delle Esposizioni, che ospitava le opere del gruppo
milanese Studio Azzurro,
e in novembre EMM, Eventi MultiMediali alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, esposizione che ha avuto il merito di
portare alla luce un gruppo di artisti romani,
fra i quali Rafael Pareja(Love me, 1999,
Photoshop 5.2), Giuseppe Tubi(Fashion 2 e 3,
1999, computer print digitale) e Alessandro
Gianvenuti(The Magic Pink, 1999, pittura digitale
su pvc).
Perchè questi artisti sentono
la necessità di entrare nei musei?
"Perchè il Web - dice il
critico d'arte Ludovico Pratesi - è ormai di
tutti. Oramai tutto è su Internet. Avere un
proprio sito è cosa comune. Gli artisti digitali
stavano sul Web dieci anni fa, quando nessuno lo
faceva. Ma gli artisti sono dei pionieri, amano
arrivare prima degli altri, quando un mezzo
appartiene a tutti per loro è finito".
Certo, entrare nel musei dalla porta principale
significa anche elevare il pixel al livello
dell'olio, tendenza che va di pari passo con la
ricerca, almeno per gli artisti digitali
italiani, di temi e iconografie classiche(il
nudo, il ritratto, il paesaggio). C'è poi però
un aspetto promozionale.
L'opera realizzata al computer
per sua natura ed essenza è riproducibile. Più
di un video, del quale esiste pur sempre la
bobina d'oro, le opere virtuali restano
nell'aria, al massimo nella memoria RAM di un
computer, o in un floppy disc. Vincono
l'immaterialità grazie alla stampa, in
particolare col "plotter", una
particolare stampante usata in architettura, o su
carta fotografica. Ma sul supporto cartaceo
assumono una valenza diversa. Eppure, nonostante
i collezionisti sappiano che di quell'opera
esistono infinite copie in circolazione, molte
anche su Internet, le acquistano comunque. E
spendono. "In media un'opera digitale di un
artista italiano può costare da uno a sette
milioni - spiega Marziani - e i prezzi si stanno
avvicinando sempre di più alla pittura
manuale".
L'unica cosa che il
collezionista può possedere è l'originale in
CD-Rom, o il matrix, la matrice originaria del
programma. Che garanzie ha? Nessuna. Certo è
rischioso, sperimentale. Ma anche questo fa parte
del gioco. E sembra stia bene comunque ai
mercanti d'arte. Garantiti anche dal fatto che
quel quadro, o quel software, sta ormai entrando
anche nel museo.
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