Da Lo spreco (Baldini&Castoldi, pgg. 349) di Gian Antonio Stella, inviato del Corriere della Sera, un capitolo interamente dedicato a privilegi acronistici, truffe grandi e piccole che hanno come sfondo la Sicilia. E un'ottica di sfruttamento della cosa pubblica molto diffusa nell'isola. Tra politici e cittadini.

IL CIRNECO DELL'ETNA E IL RIMBORSO-VACANZE AL SUOCERO

Le mani bucate della Regione Sicilia

Tutankamen e gli altri faraoni sapevano come trattare i cani: li imbalsamavano coperti d'oro. Poteva la fastosa Regione Sicilia essere da meno? No. E cosi pochi anni fa, mentre Amato preparava la stangata più stangata di tutti i tempi per mettere a posto i conti, ha avviato alle falde dell'amato vulcano il suo progetto piu ambizioso: salvare, coprendolo d'oro, il "cirneco dell'Etna". Un cane "dalle prestigiose prestazioni nella caccia al coniglio, che stana nelle piu remote anfrattuosita laviche", (lo scrive l'"Enciclopedia di Catania"), bestia di rara nobiltà e rara bruttezza portato sull'isola tremila anni fa dai Fenici. Non che il cirneco (citato da Aristotele nell'"Historia Animalum") rischiasse l'estinzione: ci sono almeno quattro allevamenti nella sola Toscana dove cresce contento tra vigne, ulivi e scodelle di bocconcini. Ad aver bisogno di assistenza c'era pero un gruppetto di giovanotti di Zafferana. La Regione ne prese quindici, fece loro un contratto da 800 mila lire al mese a testa in base all'articolo 23 che aiuta i disoccupati impegnati in lavori socialmente utili e assegno loro la temeraria missione: garantire la sopravvivenza al "cirneco dell'Etna". Ma gli otto cani sventuratamente prescelti, pare non del tutto a posto neppure nel pedigree, non vollero saperne d'essere salvati. Erano indifferenti al privilegio d'avere due assistenti ciascuno, incapaci di apprezzare la sensibilita di chi aveva scelto d'ospitarli tra i ganci e le canalette di scolo del ridente macello comunale abbandonato, insensibili allo sforzo dell'amministrazione regionale che per ciascuno di loro spendeva (tra stipendi e scatolette di carne) una ventina di milioni l'anno. E uno dopo l'altro, nel giro di quattro anni, sono morti. Rischiando di far defungere anche i contratti degli addetti, subito impegnati a ricercare nuovi e socialmente utili impegni. Per giustificare l'articolo 23, del resto, la fantasia siciliana (che a Catania ha toccato vertici inarrivabili col progetto finanziato dal "bureau d'idee" comunale agli inventori di una macchina "schiudi-uova") non ha mai mancato un colpo. C'e chi e stato incaricato di contare quante macchine passavano in un giorno a un certo semaforo, chi di censire i motorini di un paese, chi di contare tutte le fontanelle del borgo natio. E cosi, di proroga in proroga a partire dal 1987, la Regione ha mantenuto 32.000 giovani. Spendendo complessivamente in dieci anni fino al 22 settembre 1998, quando la leggina e stata prorogata per la 13o volta consecutiva alla faccia di Maastricht, oltre 3000 miliardi. All'Ars (cioe l'Assemblea regionale siciliana) non si curano troppo delle rampogne dei ragionieri di Bruxelles: loro sono superiori. E interpretano da sempre l'autonomia concessa dallo Statuto, invocato uguale identico da Roberto Maroni per la Padania che cosi "farebbe morire d'invidia qualsiasi lander bavarese o contea scozzese", come la libertà di spendere in totale libertà senza risponderne ad alcuno. _ Coprono tutti i buchi (con voto praticamente unanime) degli editori "con esposizioni bancarie fino al 31 dicembre 1996" salvando cosi la "Sellerio" indebitata per 7 miliardi col Banco di Sicilia piu altri 5 miliardi con altri istituti, col risultato di far arrabbiare tutte le altre case editrici italiane ("e concorrenza sleale: ci rivolgeremo a Bruxelles") che magari hanno rinunciato a qualche libro per restare in pareggio. Pagano 15 milioni al mese all'ex segretario generale Silvio Liotta, andato in pensione per fare il deputato (altro stipendio) con Berlusconi. Si fanno carico dal 1991 un sussidio (l'80% dello stipendio) non solo ai minatori di Pasquasia ma anche a 435 dipendenti di cantine sociali, consorzi e cooperative che si erano ritrovati in difficolta per gli organici troppo gonfiati col risultato di finire sotto inchiesta perche e saltato fuori che qualcuno, sapendo della leggina in arrivo, si era fatto assumere una settimana prima dello scontato licenziamento. Una grande Mamma Chioccia. Cosi buona che nel 1994, quando i sindacati dopo anni di appelli di Amato e di Ciampi, limitano coscienziosamente le richieste di aumento a 14 mila lire, la giunta dice "no, ma come, ragazzi, cosi poco"? Crepi l'avarizia: 200 mila lire, di aumento. A partire da quando? Dal 27 marzo, il giorno delle elezioni: cari pulcini, ricordatevene quando sarete nella cabina... E poi compra tutte le arance rimaste invendute. Assiste con un contributo annuale non solo i terremotati del Belice ma pure ("noblesse oblige"...) dell'Irpinia. Distribuisce altri 36 miliardi d'aumento ai propri impiegati (176 mila al mese a testa) nell'estate del 1997 fregandosene degli appelli del Tesoro, di Maastricht e delle sentenze della Corte dei Conti. La quale tra l'altro ha condannato 360 dipendenti e deputati regionali a restituire un pacco di miliardi alcuni dei quali soffiati allo Stato con una leggina unica al mondo. Rimborsava anche le spese di viaggio per andare in vacanza: un tot a sua eccellenza l'onorevole, un tot alla moglie, un tot a ogni figlio... E il suocero? Niente per il suocero? Ma sì: 58 mila lire l'anno anche per lui. I viaggi, da queste parti, sono una passione. Una volta, per vedere com'era fatto un campionato di ciclismo visto che dovevano organizzarne uno anche loro, sono andati a Oslo in 120, compresi i musicisti di un'orchestrina folk, le mogli (spiegazione dell'assessore Sebastiano Spoto Puleo: "Che dovevamo fare? Poi ci dicevano che siamo i soliti siciliani che lasciano a casa i "fimmini"") trenta giornalisti e quattro cuochi, preceduti da un camion rimorchio di derrate alimentari con ogni ben di dio: e gli spaghetti e i bombolotti e il pomodoro e il finocchio selvatico e le melanzane e le bottiglie di Regaleali e Donna Fugata. _ Un'altra volta, per vedere come si organizzava una Universiade, hanno programmato un viaggetto a Fukuoka, in Giappone. Una cosa spartana: quattro miliardi (17 milioni a testa) per portare dall'altra parte del mondo 231 persone. Tutte in-di-spen-sa-bi-li: deputati, funzionari, amici con il contorno (per regalare ai giapponesi uno spettacolino durante la cerimonia di apertura della manifestazione) di 30 sbandieratori di Siena, 30 trampolieri dell'Emilia Romagna, 30 gondolieri veneziani, 10 cantanti romani e 30 Pulcinella napoletani. Tutti prenotati all'hotel Hyatt Residence, 500 mila lire a testa al giorno. _ Caruccio? Ma per carità, disse l'assessore al turismo buttiglioniano Luciano Ordile: "Il minimo: mi dicono che la lira li non vale niente e che un caffè costa diecimila lire". Ma almeno non si potevano lasciare a casa i Pulcinella portando soltanto i costumi e le maschere per figuranti giapponesi? Ma figuratevi, rispose l'assessore: "Non capisco tutte queste polemiche. Non stiamo mica organizzando una sagra di paese". E concluse, ignaro del mandato di cattura che lo avrebbe colpito dopo la scoperta che l'agenzia inglese incaricata di tutto (e proprieta di un siciliano) era in realtà un allevamento di cavalli e che i soldi erano finiti alle isole Vergini: "In vita mia ho sempre pensato in grande". Come tutti i suoi colleghi approdati nei decenni all'Ars. Nella storia del "Palazzo della Cuccagna", come Saverio Lodato nel libro "I potenti" ha ribattezzato il Palazzo dei Normanni sede dell'assemblea regionale, e concentrato tutto il peggio di un certo ceto politico all'italiana. Ci trovi Angelo Capitummino, l'assessore dici che aveva come unico chiodo fisso l'assunzione di più gente che poteva: prima un'ondata di dattilografi, poi uno straripamento di tecnici del genio civili quadruplicati da ottocento a tremila, quindi un'alluvione di 1.300 addetti ai beni culturali presi col raddoppio della pianta organica. E Filippo Drago che, potendo contare sul solo cognome del padre Nino, monarca democristiano di Catania, deputato a Roma per sei legislature, grande elettore di Giulio Andreotti, amico fraterno di Nino e Ignazio Salvo, venne catapultato nel parlamento regionale da 40 mila voti battendo ogni record: non dovette scomodarsi neppure per un solo comizio. E poi ecco gli uomini di fiducia del chiacchierato boss repubblicano Aristide Gunnella, come quel Giuseppe Pulvirenti arrestato per aver comprato preferenze dal "Malpassotu" (l'omonimo capocosca catanese Giuseppe Puvirenti) e perciò sommerso di voti lui pure come Drago senza aver fatto un solo discorso in piazza. O quel Biagio Susinni, sindaco di Mascali, che coi suoi baffetti lucidi di brillantina pareva a Claudio Fava appena "evaso da una novella di Vitaliano Brancati" e che, arrestato con l'accusa di aver truccato un po' di appalti assegnandone un paio a una societa che aveva la sede sociale proprio a casa sua (coincidenza) non fece una piega per l'espulsione dal Pri: fondo subito un partitino personale, lo chiamo Movimento Repubblicano, becco 14 mila preferenze e torno trionfalmente a fare il deputato. Premiato, uomo giusto al posto giusto, con un seggio nella Commissione per la Trasparenza contro i brogli elettorali: "Faccia di bronzo io? Che male c'è? In galera ci son finito per altri reati, mica perchè mi sono fregato i voti". E ancora l'assessore dici Enzo Leone che nel 1991 viene beccato mentre si lagna con un capo elettore sui prezzi aggiornati delle preferenze. Il nastro registrato non lascia dubbi. Cose tipo: "ma come, cosi tanto costano oggi? vossia deve capire, l'inflazione... ma se ne compro un tot che prezzo mi potete fare? vossia sa che la trattiamo sempre bene". Non lascia spazio ad equivoci neanche l'accusa di Paolo Borsellino, il giudice che l'anno dopo sarà assassinato con la scorta: compravendita di voti e associazione a delinquere. Ma Enzo Leone se ne infischia. E cosi i suoi elettori, che lo rieleggono. E pure i suoi colleghi che lo rimettono a fare l'assessore come niente fosse successo. _ Mai dato peso, i parlamentari siciliani, alle grane con la giustizia. Prova ne sia l'arresto di Raffaele Lombardo, che con le manette ai polsi raccomandava sorridendo ai fotografi: "Mi raccomando, pigliami di primo piano che col faccione vengo meglio". O la fortuna politica di Mario D'Acquisto, braccio destro di Salvo Lima, accusato dal pentito Francesco Marino Mannoia di essere "uno "portato" da noi di Cosa Nostra" e presidente della regione all'epoca in cui le esattorie di Nino e Ignazio Salvo furono privatizzate (con successiva inchiesta della magistratura: in pratica la Regione s'era accollata tutte le spese lasciando ai cugini di Salemi tutti gli utili) esattamente 26 giorni dopo (coincidenza) l'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. O la legislatura conclusa senza imbarazzi nel 1996 con oltre una sessantina di deputati inquisiti su novanta e l'arresto di un presidente, due vicepresidenti, due ex presidenti e una decina di assessori ed ex assessori. Non c'è aspetto del malaffare politico che abbia fatto difetto all'Ars. Cercate un esempio di clientelismo? Ecco Giuseppe Avellone, che dopo essere stato sottosegretario dici alle Poste (ministro era Antonio Gava) nei due governi Craxi e con Fanfani, torna nel 1991 a Palazzo dei Normanni in un tripudio di 70 mila preferenze e festeggia il trionfo con i compaesani di Partinico, il suo paesello natio, dove i postini sono diventati un decimo della popolazione attiva. Un esempio di doppiezza? Ecco Filippo Butera, commissario all'Antimafia arrestato nel giugno 1992 all'aeroporto di Palermo con l'accusa di aver comprato migliaia di voti dalla cosca dei Russo di Niscemi e bollato dal Tribunale della liberta (nella sentenza di rifiuto della scarcerazione) come "elemento pericoloso". _ Nella galleria c'è perfino qualcuno che è stato accusato di aver commissionato un omicidio. Come Vincenzo Culicchia, sindaco per 30 anni di Partanna, gestore dei miliardi della ricostruzione dopo il terremoto nel Belice, promotore d'una serie di svincoli alla californiana con rotatorie sopraelevate sul nulla, padrone del paese come un barone d'altri tempi, presidente della Cassa Artigiana del Belice (fondata, dicono i giudici, a casa di Rosalia Marinesi, moglie di Francesco Accardo, padrino della famiglia dei "Cannata") e proprietario a Marina di Selinunte di una villa che confina (coincidenza) con quella di Gerlando Caruana, appartenente secondo i magistrati all'omonima famiglia "coinvolta ai più alti livelli nel traffico internazionale di stupefacenti". _ Personaggio potentissimo e defilato, Culicchia va sui giornali tre volte. La prima e quando, da assessore alla presidenza sotto Piersanti Mattarella, destinato ad essere ucciso proprio per aver tentato di tagliare i tentacoli mafiosi allungati sull'Ars, tenta di far passare un emendamento che prevede di pagare per la seconda volta ai dipendenti regionali 180 mila lire di contingenza già inseriti nello stipendio. La seconda quando la Camera dei deputati, dove e stato eletto nel 1992 a premio della luminosa carriera, concede l'autorizzazione a procedere ai giudici che indagano su "Enzo" come mandante dell'omicidio di Stefano Nastasi, un giovanotto di Partanna che alle "comunali" del 1983 aveva preso più voti di lui rischiando di soffiargli la poltrona di sindaco. Accusa dalla quale sarà assolto a fine '97. La terza quando Marco Pannella, cui l'appassito dici sì e aggrappato fin dai tempi del "Club delle 7 di mattina" (ricordate?) lo saluta dal palco del congresso radicale del 1995 come simbolo della persecuzione giustizialista dei perfidi giudici: "Grazie, compagno Culicchia! Grazie!". Nessuno, probabilmente, ha buttato via tanti soldi e in maniera tanto sfrontata quanto democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani dell'Assemblea Regionale Siciliana ai tempi in cui venivano spese centinaia di miliardi per progettare ponti mai finiti e dighe mai finite e strade mai finite per ventimila miliardi l'anno. Tempi in cui Salvatore Lauricella, dopo aver fatto il presidente dell'Ars per due legislature consecutive, s'era cosi affezionato all'ufficio, alle segretarie, alle auto blu e agli autisti che per rendere meno doloroso il distacco, non contento di essersi acconciato un'eredità quale pagatissimo presidente della società che avrebbe controllato il Banco di Sicilia e la Cassa di Risparmio, faceva passare una leggina che riconosceva agli presidenti decaduti di godere di tutti gli appannaggi (auto blu, autista...) per altri 5 anni dopo la fine del mandato. Tempi in cui nella dolce e solare piana di Catania, di colpo certificata a rischio di glaciazioni epocali, venivano piantati enormi e costosissimi ventilatori antighiaccio il cui unico produttore (concidenza) era proprio di Catania. Di cotte e di crude ne hanno fatte, i Nicolosi e i Gunnella e i Lauricella. Ma se qualcuno, soprattutto a sinistra, pensa di potersi chiamar fuori in nome dei tanti martiri (che ci sono stati davvero), delle tante persone perbene elette all'Ars (che ci sono e ci sono state davvero) o della purezza della propria parte politica si ricordi della leggina per Calogero Gueli. Era un deputato regionale prima comunista e poi pidiessino che tra una elezione e l'altra si era ritrovato con un buco di una legislatura. Seccante, ai fini della pensione. E cosi cosa ti combina? Convince il consiglio di presidenza, del quale fa parte, a proporre un codicillo in base al quale chi ha avuto un vuoto tra due mandati parlamentari puo riscattare, pagando un po' di contributi, la legislatura mancante purche abbia ricoperto in quegli anni una qualsiasi carica elettiva: consigliere comunale, provinciale, circoscrizionale... L'entusiasmo con il quale i democristiani additati al pubblico disprezzo come zozzoni e corrotti votarono la leggina, che sanciva l'ulteriore coinvolgimento della sinistra nel sistema delle prebende, fu commovente. I parlamentari siciliani, del resto, non hanno mai avuto dubbi su chi dovesse avere la precedenza: i parlamentari siciliani. E' sufficiente ricordare la legge con la quale, in nome dell'autonomia, si sono attribuiti, facendo il verso alla Camera e al Senato, "la prerogativa dell'insindacabilità per i voti dati nell'assemblea regionale e per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni". Cosa che li mette al riparo anche nel caso di plateali interessi privati in atti pubblici quale la "leggina Gueli". O gli stipendi, che sono a dir poco sontuosi. _ Mentre il governo e il Tesoro e la Banca d'Italia chiedevano sacrifici agli italiani, i 90 deputati regionali dell'Ars hanno continuato ad alzarsi lo stipendio fino a costare alla collettivita, nel '97, 335 milioni a testa. Per maggiore esattezza: un deputato semplice prende 227 milioni lordi più rimborsi (66 milioni abbondanti a testa di sola "diaria a titolo di spese di soggiorno a Palermo": 330 mila lire al giorno, ammesso che l'assemblea lavori 200 giorni l'anno), benefit e prebende varie. Mentre i membri del consiglio di presidenza, i presidenti, i vicepresidenti e i segretari delle commissioni si spartiscono un altro miliardo e mezzo. _ In cinque anni di legislatura, praticamente, un deputato porta a casa mediamente un miliardo e 675 milioni lordi. Una pioggia d'oro alla quale vanno aggiunti i soldi per i portaborse (oltre tre milioni e mezzo al mese), la liquidazione di fine mandato ("indennità di reinserimento") e la possibilità di andare in pensione, grazie a una legge degli anni Sessanta, con lo stesso trattamento dei senatori: a 60 anni con una sola legislatura (3.269.702 lire nette al mese), a 55 con due (4.762.669), a 50 con tre (6.683.326) e cosi via. Piu gli extra che nel '91 (i dati andrebbero aggiornati) comprendevano: 4 milioni e mezzo a chi rinuncia alla tessera ferroviaria, 3.622.000 l'anno di assegni famigliari per il consorte, 679.213 lire per ogni figlio e per ogni suocero convivente... _ Ecco, senza commenti, cosa dice il Capitolo III del bilancio alla voce "Previdenza e assistenza per i deputati": - Assegni vitalizi 30.800.000.000 - Indennità per cessazione di mandato parlamentare ed eventuali anticipazioni 2.200.000.000 - Premi di assicurazione, contributi per prestazioni economico previdenziali 670.000.000 - Spese per la partecipazione dei Deputati a corsi di lingua straniera 70.000.000 - Indennità ai Deputati cessati dal mandato a titolo di aggiornamento politico-culturale 1.500.000.000 - Interventi a favore dei Deputati, degli ex Deputati e delle loro famiglie 50.000.000 - Contributo per il funzionamento dell'associazione tra Deputati regionali cessati dal mandato 50.000.000 -------------- TOTALE 35.340.000.000 A farla corta: da un bilancio che nel 1997 e stato di 27.331 miliardi, per oltre il 75% evaporato in "spese correnti" tra le proteste della Corte dei Conti, gli uomini del Palazzo succhiano per se stessi, le proprie famiglie e i colleghi andati in pensione, senza contare le spese del Palazzo (aula, segreterie, eccetera), ne le auto blu, i benefit, i telefoni e i cellulari in dotazione ai tanti che hanno una qualsiasi carica (ci volle un intervento durissimo della Corte dei Conti per abolire il telefonino che Lauricella aveva regalato a tutti i 90 parlamentari pagando pure le bollette: un'enormita) la bellezza di 75 miliardi e 540 milioni. Pari a 1/360o del bilancio. Solo in indennità, pensioni e prebende varie. Tanto per dare l'idea: e come se Quirinale, Camera e Senato insieme, che pure si trattano bene, spendessero per se stessi non duemila (anzi: nei bilanci che citiamo sono comprese anche le spese correnti per la gestione del "palazzo" che nei conti siciliani non sono calcolate) ma 25 mila miliardi l'anno. Ma agli "uomini d'oro" della Regione Sicilia non basta ancora. Tanto è vero che per decenni alcuni di loro hanno fatto la cresta su tutto. Sulle opere colossali come sugli sfizi. E cosi eccoti la storia della famigerata Chimica Mediterranea, un megaimpianto per la produzione di solfati e derivati del petrolio: cominciarono a sbancare gli orti e i frutteti della campagna di Termini Imerese, bellissima e amatissima dagli scrittori siciliani, negli anni Sessanta, tirarono su capannoni e ciminiere e vasche, promisero in cambio di voti l'assunzione di moltitudini di operai, impiegati, dirigenti. Mai aperto. Mai avviata la produzione. Mai uscito dai camini un filo di operoso fumo. Finchè tutto quell'ammasso di ferro arrugginito non e stato venduto a qualche "rottamatt" che pezzo per pezzo si e messo a portarlo via. Centinaia e centinaia di miliardi buttati via. Un affarone per le imprese, le cosche, gli assessori coinvolti, i funzionari che si spartiscono i gettoni delle commissioni di verifica e di collaudo... _ E se non c'è l'affarone? Amen: ben vengano gli spiccioli. E cosi il 14 febbraio 1992 la giunta siciliana vara un concorso per 10 borse di studio da un milione l'una per gli studenti delle medie superiori e allo scopo di distribuire questi 10 milioni ne stanzia 50 per i gettoni di presenza dei sei giurati della commissione incaricata di scegliere i vincitori, commissione presieduta (coincidenza) dallo stesso presidente regionale. Indimenticabile il bando d'appalto varato in tutta fretta ai primi di maggio del 1991 per l'acquisto di 1.200 borse a soffietto. Mica borse qualsiasi: "1.200 borse per ufficio Munari / modello 205 in ovieto, due scompartimenti interni a soffietto, tasca esterna con chiusura a strappo, due manici ripiegabili di colore grigio / 22". E sarebbe questa una gara d'appalto? E nessuno per anni vede niente, nessuno dice niente, nessuno denuncia niente. Solo qualche articolo dei soliti rompiscatole tipo Felice Cavallaro, Saverio Lodato, Attilio Bolzoni, Claudio Fava, Francesco Foresta... Qualche interrogazione di politici incapaci di rassegnarsi come Franco Piro della Rete o Aurelio Angelini dei Verdi. Qualche gesto di rivolta morale come quello di Giovanni Bonsignore, ammazzato il 9 maggio 1990, come scrive Bocca nel suo "L'inferno", perchè "la mafia doveva far giungere a tutti i dipendenti regionali il ferale messaggio intimidatorio: corre pericolo di vita chiunque s'opponga alle regole non scritte sulla spartizione degli appalti". _ Regole riassunte nell'intercettazione (finita negli atti di un'inchiesta dei sostituti Lo Forte e Pignatone) del padrone di una ditta di articoli sanitari che manda un impiegato a pagare una tangente al solito burocrate corrotto raccomandandogli molto sicilianamente: "Non devi dire niente. Prima lo guardi in silenzio, poi alzi un sopracciglio, cominci a scuotere lentamente la testa, ti accendi una sogaretta... Muto, pero. Tanto i patti sono chiari, che bisogno c'e di parlare?". Esattamente quello che Rino Nicolosi (che ha deciso di collaborare coi giudici raccontando il sistema degli appalti dal 1988 al 1992 dopo essere stato per cinque volte presidente regionale, arrestato per scandali vari, condannato a 5 anni e mezzo) dice in un'intervista al "Corriere". Gli chiede Alfio Sciacca: "Ma come funzionava questa cupola degli appalti?". "Attenzione, non c'è mai stato un tavolo attorno al quale si sedevano politici e imprenditori. Il sistema funzionava in via di fatto, senza alcuna riunione collegiale". L'unico contatto, spiega, era con Filippo Salamone, che secondo i magistrati rastrellava una tangente fissa del 2,5% su ogni appalto. _ - La contribuzione rifluiva in tutti i partiti?_ "Complessivamente sì". _ - Dall'Msi al Pci-Pds? _ "Naturalmente cambiavano le modalità visto che il Pci-Pds aveva una sua organizzazione anche attraverso le cooperative. Erano modalita diverse rispetto a quelle delle altre imprese". _ Dunque anche l'Msi?_ "Rientrava in quelle contribuzioni di cui parlavo e di cui si faceva carico in parte Salamone, oppure attraverso imprese che prendevano lavori e avevano rapporti con questa forza politica". In ballo, spiega l'ordine di cattura contro Filippo Salamone individuato come la saldatura tra politica, immprenditoria e mafia, c'erano "mille miliardi di opere pubbliche appaltate in un solo anno". E tutti zitti: "Tanto i patti sono chiari, che bisogno c'e di parlare?". Quella fu la colpa di Giovanni Bonsignore: parlo. Racconto in una conferenza stampa alla Cgil d'essere stato trasferito per "incompatibilita" dall'assessore socialista Turi Lombardo (appoggiato dal presidente regionale Rino Nicolosi che firmò il provvedimento punitivo in quattro ore: luminoso esempio di efficienza burografica) per aver bloccato, legge alla mano, due pratiche irregolari: una licenza per un distributore di benzina e un finanziamento di 38 miliardi a un consorzio agroalimentare appena costituito dalla Regione (70%) e dalla Federmercati (30%) con una pipa di tabacco: trecento milioni. Un affare che coinvolgeva tra l'altro un consulente giuridico (Elio Rossitto) di Nicolosi e un avvocato (Antonino De Simone) che divideva lo studio legale con Lombardo. _ E tutti a chiedersi, dopo il delitto: possibile che il povero funzionario fosse stato assassinato per uno sgarbo burocratico? Tre anni dopo Alfio Puglisi Cosentino, uno degli imprenditori piu noti dell'isola, padrone del "Latte Sole", racconta che quei 38 miliardi erano solo la prima fettina di una torta di 500 miliardi. Basti dire che il solo terreno dove avrebbe dovuto sorgere il centro commerciale, 107 ettari del valore di non più di 3 miliardi, era stato valutato da un funzionario dell'ufficio tecnico erariale, poi arrestato, oltre 16 miliardi. Commento della vedova Bonsignore: "Mio marito aveva intercettato un affare che si doveva attuare ad ogni costo". "I patti sono chiari, che bisogno c'è di parlare?". E alla Regione Sicilia i patti non scritti coi dipendenti sono chiari davvero: io ti dò più soldi che in tutto il pubblico impiego, ti do piu benefit, ti do la garanzia di non essere troppo pignolo sugli orari e l'assenteismo, e tu in cambio mi voti, mi appoggi, chiudi gli occhi davanti alle cose che non devi vedere. Una situazione di privilegio tale da suscitare l'invidia rancorosa degli altri dipendenti pubblici. Come quei signori che col vergognoso appoggio di Cgil, Uil e Cisl (un cui delegato arrivo a urlare dal palco "Viva la mafia!") sfilarono nel 1988 per le strade di Palermo portando due casse da morto intestate a Leoluca Orlando e al suo vice, colpevoli di guidare una giunta comunale che s'era rifiutata di recepire, pena il collasso finanziario, una leggina della Regione sulla rivalutazione del salario di anzianità. La Sicilia, ha detto un giorno Luciano Violante, "va desovietizzata". "Ha ragione, ha ragione marcia - concorda il siciliano Vito Riggio, già sottosegretario alla protezione civile nel governo Ciampi - Qualche tempo fa io e un gruppo di altri docenti dell'Università di Palermo abbiamo presentato un documento in cui facevamo proprio il conto della spesa: oltre la metà (per un totale di circa 50 mila miliardi su 95) dei prodotti consumati dai siciliani arriva dal resto dell'Italia o dall'estero. Non è possibile. Ormai la Sicilia dipende tutta dallo "stipendificio" statale". Qualche cifra? Eccola. Con un undicesimo della popolazione italiana, l'isola ha solo un diciannovesimo delle aziende manifatturiere: nel nordest ce n'è una ogni 35 abitanti, qui una ogni 149. La popolazione attiva e al 46% (8 punti sotto la media europea), i disoccupati sono il 22% (addirittura al 57% tra i giovani), gli occupati nell'industria il 20% contro una media europea del 33%. Quanto al prodotto interno lordo pro capite (dati 1995) c'e da mettersi le mani nei capelli: fatta cento la media Ue, l'Italia e a 104 e la Sicilia a 69. In una situazione come questa il mercato del lavoro e vistosamente fuori dai binari europei: su poco più di cinque milioni di siciliani, dice una ricerca della Fondazione Curella del 1995, quelli che hanno un lavoro sono 1.208.675, vale a dire uno su quattro (scarso) contro una media italiana di tre e mezzo su dieci. E chi mette la toppa? La pubblica amministrazione. I conti esatti non e mai stato in grado di farli nessuno ma secondo una stima della "Curella" nell'isola prendono uno stipendio "statale" tra militari, maestri, impiegati comunali o postini, almeno 412 mila persone. Alle quali vanno aggiunti oltre 35 mila forestali, una quota mensile media di 16 mila cassintegrati e oltre 40 mila giovani provvisoriamente mantenuti coi "lavori socialmente utili" (il solo comune di Palermo ne ha piu di 5.000) e la sua versione siciliana, l'articolo 23. Morale: oltre mezzo milione di persone, quasi la meta di chi ha un lavoro, riceve la busta paga dallo Stato. _ Chiaro il quadro? Avere un posto pubblico e un privilegio. E qui le soluzioni sono due. O ti fai fare un contratto di consulenza da Leoluca Orlando (che puo contare su un consulente da 123 milioni l'anno per i "rapporti coi paesi esteri"", uno da 77 per i "rapporti internazionali", uno da 107 per la "comunicazione e promozione istituzionale", uno per i rapporti con la Cina e giu giu fino a quattro fisioterapiste "ippoterapeute") oppure ti fai assumere dalla Regione. Che è il massimo. Un solo dato: nel 1997 i 16.591 dipendenti diretti (lo stretto necessario, dicono, per badare a 12 assessorati, 35 direzioni generali, 455 "gruppi di lavoro") sono costati alla collettivita 1.047 miliardi più altri 105 di oneri sociali per un totale di 1.152 miliardi. Più una settantina di straordinari. Fatti i conti, se lo stipendio lordo pro capite dello "statale" italiano e di 39 milioni l'anno, qui e di 73 e mezzo?. Cioè, senza contare la tredicesima naturalmente, oltre tre milioni netti al mese. _ Ma non basta: non solo i "regionali" siciliani godono tuttora di una sfilza di privilegi previdenziali ormai aboliti in tutta Italia, non solo le donne sposate e con figli hanno conservato la possibilita di andarsene con cinque anni di anticipo ma tutti coloro che sono stati assunti prima del 1986 mantengono il diritto acquisito piu incredibile del pianeta: vanno in pensione col 108% (avete letto bene: centootto per cento) dell'ultimo stipendio. E la sola risposta alla Corte dei Conti, che contestava il regalino finale di calcolare le tasse solo sul 60% delle liquidazioni ai dipendenti (come al Senato, una volta) e il mancato adeguamento alle restrittive riforme pensionistiche nazionali, e stato il ricorso alla Corte Costituzionale: siamo autonomi o no? E il bello e che i giudici supremi, come se il sistema pensionistico siculo non fosse bissalmente in rosso e non si facesse tappare i buchi dallo Stato coi soldi di chi certi privilegi li ha tagliati, ha risposto: giusto, sulla carta avete ragione voi. Un esempio? Ecco quello di Giovanni Milinci, un "consigliere parlamentare" che il 28 dicembre '92, quando gia Amato aveva dato il primo strappo per tirar la cinghia e il nostro "buco" era gia sprofondato a un milione e 633 mila miliardi, se n'e andato in pensione a 41 anni di eta con 16 di anzianità regionale (era stato assunto nel 1976) più quattro di riscatto della laurea e altri quattro di riscatti vari. Da allora il vegliardo giovanotto porta a casa una pensione di sei milioni e mezzo al mese e non per tredici mesi ma per 15. Passa le estati abbronzandosi a Lipari, trascorre gli uggiosi inverni al cinema e a teatro e s'impegna assai nelle file degli ambientalisti per far si che le Eolie si conservino intatte anche per i suoi coetanei operai o minatori, che per legge potranno andare in pensione solo 24 anni dopo di lui. Nel 2016. Grazie. _ Di pensionati benedetti dalla sorte come Giovanni, in Sicilia, ce ne sono oggi 12.200. E pesano sul bilancio regionale (a parte gli stipendi dei 120 impiegati addetti soltanto ai loro vitalizi!) per un totale di 691 miliardi. Una cifra enorme, pari a un 42o delle uscite di bilancio 1997. Per capirci: fatte le proporzioni e come se lo Stato italiano spendesse per le pensioni dei soli "ministeriali" (non degli statali: dei soli "ministeriali") 22.619 miliardi._ Per avere un'idea di cosa significhi basti dire che la pensione media dei dipendenti degli enti locali e di 25 milioni e 300 mila lire al mese, degli statali di 33 milioni e 700 mila e dei "regionali" siciliani, dal capufficio al commesso, di 56 milioni e 639 mila. Cioe non solo doppia rispetto a quella dei colleghi del resto d'Italia ma piu alta di sei milioni e mezzo rispetto agli assegni che prendono a riposo i medici di base. E la liquidazione? Quella lorda degli impiegati degli enti locali e mediamente di 40 milioni, degli statali 70, dei "regionali" siciliani 180 e 487 mila lire. Lo dice il bilancio del 1996, quando i 410 che se ne sono andati hanno portato a casa complessivamente 74 miliardi. E meno male, perchè nel 1995, nel timore fossero estese pure a loro, poveretti, le restrizioni imposte agli altri cristiani, se n'erano andati in 1.226. E mica e finita. Mamma Chioccia, oltre ai pulcini della covata principale, da da mangiare ai gia citati 15.145 (dati 1997) forestali assunti in pianta stabile per un totale di 2 milioni di giornate lavorative annue. Piu altri 20 mila forestali stagionali che costano annualmente tra i trecento e i trecentocinquanta miliardi. E in più, ha previsto di scucire in tre anni (dal 1997 al 1999) 1.503 miliardi per pagare i corsi di formazione professionale, un carrozzone clientelare che, secondo Franco Piro, mantiene più o meno seimila "formatori" e centinaia di enti inutili che non formano alcunchè". Non e esatto: formano consenso, voti, clientele. Basta usare la miscela giusta. Come Peppe Drago, 40 anni, detto "Django" perche pare Franco Nero ai tempi dei western spaghetti, il quale mischiando Papa Giovanni, Sandro Pertini, la Madonna dello Scoglio, il garofano craxiano, il marchio doc sulle chiappe delle vacche di razza "modicana" e la promessa di un fantastiliardo di posti di lavoro, e arrivato alla presidenza della Regione dopo aver raccolto alle "regionali" del 1996, alle quali si presentava come assessore al lavoro uscente, 17.500 voti. Che fecero di lui, uomo di punta del CCD trionfatore della tornata elettorale, il trionfatore dei trionfatori. _ Il piu votato in assoluto di tutta la regione. Alla faccia di Forza Italia che a Modica, la sua roccaforte ragusana, crollo in due mesi dal 31,8 delle nazionali al 9,7% (risatina: "L'avevo detto che l'altra volta l'avevo tenuta in piedi io..."), della guerra spietata fattagli da An e di tutti i nemici di sinistra, che lo accusavano d'essere la "versione 2000" dei vecchi satrapi clientelari, quelli che da sempre in Sicilia accumulano potere distribuendo favori e raccomandazioni e pensioni di invalidità. Come quella di cui beneficia un leggendario impiegato di Modica, il quale si batte in furibondi tornei di tennis per combattere la sclerosi a placche che gli impedisce, certificati alla mano, un lavoro normale. Insomma, un Remo Gaspari senza ciccia tracimante e con la casella su Internet. Ma guai a dirglielo: "Macche Gaspari! Quando mai? Quali clientele?". E "Django" ti spiegava che lui quei voti li ha raccolti perche, come dicono i depliant che ha fatto distribuire, ha fatto piovere sulla provincia di Ragusa tanti soldi quanti mai si erano visti: 40 miliardi per le attività formative col fondo sociale europeo, 40 per la formazione ordinaria di base, 43 per cantieri di lavoro... Per non parlare dei giovani, per i quali, assicura, ha creato in due anni da assessore 1.500 posti di lavoro. Sempre con il famigerato articolo 23. Tanto che la plebe giovanile, entusiasta e festante, avrebbe coniato (dice lui) un nuovo slogan: "CCD, Corri Con Drago". Che nella versione erotica delle ammiratrici diventa... Basta. Gianfranco Miccichè, coordinatore siciliano di Forza Italia dimissionario dopo il tracollo alle regionali, non si dava pace: "Ma come, se le piazze con Berlusconi erano sempre piene?". E giu a ripetere: "Hanno vinto le clientele, hanno vinto le clientele". E ti citava il trionfo di Toto Cuffaro, già inquisito e condannato in primo grado, prima che l'accusa evaporasse, per voti di scambio. E quello di Alberto Alessi, figlio di quel Giuseppe Alessi che fu il primo presidente della regione e che racconto in un'intervista: "Si, dissi a Andreotti che Lima era un mafioso. Ma non un delinquente". E quello dei reduci andreottiani, limiani, gullottiani... _ E tutti a chiedersi: cosa è successo? "E' successo che gli altri non hanno capito che occorre andare incontro ai bisogni della gente", rispondeva con un sorrisone Peppe Drago. Cosa vuol dire: che le clientele sanno tenerle solo i democristiani come lui? "Alt: piano col democristiano: io sono socialista". Un socialista nel CCD? "Sicuro". E ti spiegava che, lasciata la tonaca da seminarista, e sempre stato craxiano. Mostrava le riproduzioni dei quadri orrendi che stavano appesi nel salone della direzione in via del Corso. Ostentava le foto di Sandro Pertini e il manifesto socialista con il quale aveva fatto la campagna elettorale nel '91 ("al garofano ho appiccicato sopra la vela del Ccd, guardi come sta bene") con lo slogan: "Un voto per cambiare". _ Si era messo con Casini, dice, "per coniugare il meglio della tradizione socialista col meglio di quella cattolica". Poi, nato l'Udr, e passato con Cossiga. E i suoi elettori? Nessuno gli ha chiesto conto del salto della quaglia? Sorrisone panoramico: "Quelli che votano per me non danno un voto ideologico. Lo danno a me come persona". E lui mischia tutto: il Papa e i fratelli Rosselli, la Vergine Maria e Bettino: "Penso che Gesu sia stato il primo socialista della storia". Non andategli quindi a parlare di clientele: "Io rispondo ai bisogni della gente. Quelli individuali e quelli collettivi, che poi sono meglio perche poi sono collettivi pure i voti, eh eh, non so se mi spiego...". - Quanto ha speso per raccogliere tutti quei voti che lo hanno portato alla presidenza regionale? "La denuncia dice 45 milioni ma confesso che ho speso un po' di più. Diciamo una sessantina". Prova provata che sa fare i miracoli. Non c'è infatti tombino nell'area di chilometri che non sia stato intasato dai suoi depliant, non c'e muro che non sia stato tappezzato col suo faccione, non c'è giovinotto che non abbia partecipato alle sue mega-feste, come quella contro l'Aids al "Koala Maxi" di Marina di Ragusa, una serata racchiusa in videocassetta elettorale dove i baffi di "Django" spuntano dietro ogni condom sventolato dalle ragazzine. Filmino memorabile: luci psichedeliche, musica a mille decibel, pedane sommerse da indemoniati, cubiste fradice di sudore e una scritta in sovrimpressione: "Grazie a Peppe Drago, colui che ci ha dato l'input".