La storia

Dal cromosoma Philadelphia alla terapia genica

La storia che porta a Glivec (imatinib, STI571) inizia dall'osservazione di due medici di Philadelphia, Peter Nowell e David Hungerford. Nel 1960 i due ricercatori riuscirono a identificare un'anomalia dei cromosomi specifica nei malati di Leucemia Mieloide Cronica: dal cromosoma 22 di questi pazienti mancava una porzione del DNA. L'anomalia citogenetica fu definita "Cromosoma Philadelphia" (Ph1), dal nome della città in cui fu scoperta. Per la prima volta gli scienziati avevano individuato un'anomalia genetica legata a uno specifico tipo di neoplasia.

Nel 1973, fu l'Università di Chicago, con la ricercatrcie Janet Rowley, a compiere il passo successivo: constatò infatti che la porzione di DNA mancante dal cromosoma 22 - quella che identifica la LMC - era passata al cromosoma 9 e viceversa. La rilevazione del fenomeno, noto agli esperti come "traslocazione", permise in seguito di identificare simili anomalie in vari tipi di turmore.

Negli anni '80, David Baltimore, attuale presidente e professore al California Institute of Tecnology, e Owen Witte, docente all'Università della California, trovarono la causa principale della LMC. Il cromosoma Philadelphia produce un enzima che influisce su crescita e divisione delle cellule anomale. L'enzima, la proteina Bcr-Abl, cambia le normali istruzioni genetiche cellulari, emette segnali che, attraverso percorsi multipli all'interno della cellula, causano una produzione eccessiva di globuli bianchi nel sangue.

La scoperta epocale di un singolo enzima responsabile della LMC diede un forte impulso alla ricerca. Il bersaglio genetico era chiaro: bisognava arrivare a un farmaco specifico che bloccasse la proteina Brc-Abl. Negli anni '90 quattro scienziati della Novartis, allora Ciba - Geigy, iniziarono le ricerche per la formulazione di farmaci inibitori dell'enzima sotto accusa. Dopo due anni di esperimenti, il primo composto ottenuto era già diventato un potente inibitore. Nel '94 si era giunti alla creazione di due composti, di cui uno noto in seguito come Glivec (imatinib),che mostrava efficacia in vitro e in vivo.

Il composto non mostrava effetti sulle cellule normali, dato assolutamente distintivo rispetto agli altri farmaci antitumorali. Gli studi su questi farmaci sono stati pubblicati nel 1996. Nel 1998 prese avvio la Fase I di sperimentazione del Glivec che dimostrò che nei 31 pazienti selezionati si otteneva una significativa riduzione del numero di globuli bianchi nel sangue e che in un terzo della popolazione esaminata non si evidenziavano più tracce del cromosoma Philadelphia nel midollo osseo.

Nel giugno 1999 la Food and Drug Administration decise di accettare un iter registrativo per il trattamento dei pazienti in fase accelerata (intermedia), blastica (terminale) e cronica (che può durare 5 o 6 anni prima di degenerare in accelerata) oppure in pazienti intolleranti all'interferone. LA FDA riconobbe il Glivec come farmaco salvavita.

 

(maggio 2002)