Non potevano certo mancare attriti tra gli Effetti Collaterali e i sindacati confederali, che temono la rottura del fronte unitario. Anche se la Fim-Cils è maggioritaria nell’Antonio Merloni, “è la Fiom che ha più problemi perché si sente scavalcata a sinistra”, sostiene Alessadro Belardinelli un EC con in tasca la tessera della Fiom e nell’Rsu della Indesit. Durante il consiglio comunale aperto nei locali dell’Ardo a Fabriano, Enrico Carmenati (audio), candidato alle ultime elezioni comunali per il centrodestra e ora a capo dell’opposizione, ha approfittato per attaccare i sindacati, che “dovrebbero essere in grado di contenere questi fenomeni di rottura che mettono in difficoltà tutta la comunità, che deve rimanere unita”. Poco prima Carmenati era stato fischiato dagli stessi Effetti Collaterali, mentre spiegava alla platea che affollava il locali della mensa aziendale: “Il governo sta facendo il possibile”.

In realtà la tensione è cresciuta in attesa di un "accordo di programma", promesso mesi fa e firmato ad Ancona da Gian Mario Spacca e dal ministro dello Sviluppo Claudio Scajola soltanto il 19 marzo 2009, a pochi giorni dalle elezioni regionali. Il governo ha rinviato l’ultimo degli impegni presi anche per tutto il mese di febbraio, dopo che un intervento è sollecitato dal territorio almeno dal commissariamento dell'azienda. Ora, con l’accordo di programma (leggi il comunicato stampa della Regione), arriveranno 70 milioni di euro, di cui 35 dal governo, destinati soprattutto per il mantenimento della legge Marzano (leggi il documento), che garantisce la cassa integrazione. Ma sul piatto ci sono anche 20 milioni di euro stanziati dalla regione Marche e 15 milioni di Umbria ed Emilia Romagna, dove il gruppo Merloni ha altri importanti stabilimenti. I soldi finiranno nelle tasche di chi deciderà di rilevare l’azienda: cinque milioni di euro come bonus e 10.000 euro per ogni dipendente ex-Merloni riassunto, più un contributo a fondo perduto sugli investimenti fino al 25 per cento. Se nessuno acquisterà la Antonio Merloni, è previsto un intervento alternativo dal costo di 25 milioni di euro: l’azienda fallimentare passerà nelle mani di “un soggetto pubblico”. Mentre i soldi della regione Marche andranno per la gran parte alle piccole-medie aziende dell’indotto, che facevano il 30 per cento del fatturato con l’Ardo.

L'accordo di programma serve, in pratica, come provvedimento ponte. Sperando che qualcuno s'interessi all'azienda. L’unica alternativa per il salvataggio dell’Antonio Merloni sembra l’interesse del gruppo cinese Machi China Holdings Group. La società con capitale internazionale, ha tra le sue partecipate la cinese Sinotrans Csc group Ltd, che si occupa di logistica e grande distribuzione e fattura 15 miliardi di dollari l'anno. Secondo le indiscrezioni, la China Machi sembra intenzionata ad andare avanti con una proposta di acquisito pari a circa 500 milioni di euro, che potrebbero salire a 600 se verrà inglobato anche lo stabilimento della Antonio Merloni in Ucraina. Inoltre - non è un dettaglio! - non si parlerebbe più di tagli al personale, ma addirittura di assunzioni. I manager cinesi avrebbero garantito un piano di ampliamento, con la ricerca di mercati per gli elettrodomestici Ardo. Portando il made in Italy in Nord Africa, Medio Oriente, Europa dell’Est e America. Gli acquirenti dall’estremo oriente hanno incontrato Spacca a casa loro, all’inizio di marzo. Ma tutto è ancora in alto mare, nonostante la visita di giovedì 18 marzo 2009 agli stabilimenti di Gaifana e Fabriano del vice presidente della società Xie Bingzhen, che ha confermato di essere "interessato ad Ardo e al made in Italy" e ha promesso: "Riassumeremo i 3200 lavoratori". Le piccole e medie imprese dell'indotto non gradiscono l'arrivo dei cinesi. L'ha detto con chiarezza il segretario della Cna locale Mirco Gaggiotti: “Il nuovo modello di sviluppo deve essere incentrato su di noi”. Ma è probabile che abbiano paura che l’offerta dei cinesi si trasformi in una grande speculazione.

Per quanto riguarda il settore gas (bombole e serbatoi) con tre stabilimenti operativi a Costacciaro, in provincia di Perugia (25 dipendenti), a Matelica (140 lavoratori) nel Maceratese e a Sassoferrato (70 dipendenti) nell’Anconetano - sono state presentate due offerte. Ma non se ne conosce ancora l’entità. Come non si sa chi siano i due imprenditori. I rumors parlano del marchigiano Luciano Gergo, titolare della G.I.&E. Spa (turbine ed energia rinnovabile) e il pescarese Walter Tosto (Serbatoi Spa). Le due offerte sembra siano già sul tavolo dei commissari, che per ora le valutano in modo prudente. I tre stabilimenti del gas impiegano nel complesso circa 230 dipendenti e sono stati stimati 30 milioni di euro. Infatti sono la parte sana del gruppo: le tre fabbriche resistono nonostante la crisi.