Madri a L'Aquila » Apertura http://ifg.uniurb.it/network/bernardini Crescere un figlio nella città che non c'è Mon, 31 Mar 2014 10:17:01 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 Crescere un figlio nella città che non c'è Madri a L'Aquila no Crescere un figlio nella città che non c'è Madri a L'Aquila » Apertura http://ifg.uniurb.it/network/bernardini/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/bernardini/category/apertura/ Tra le macerie senza più un centro Map, Musp e provvisorietà http://ifg.uniurb.it/network/bernardini/2012/04/17/crescere-un-figlio-nella-citta-che-non-ce/ http://ifg.uniurb.it/network/bernardini/2012/04/17/crescere-un-figlio-nella-citta-che-non-ce/#comments Tue, 17 Apr 2012 15:05:16 +0000 bernardini http://ifg.uniurb.it/network/bernardini/?p=29 Latte, biberon, pannolini, peluches. Bambini di quasi tre anni e adolescenti diventano grandi tra macerie, puntellamenti e non luoghi improvvisamente diventati centri di aggregazione. Sono i nuovi aquilani. I giovani del post-terremoto che continuano a far vivere la città che ha perso il suo volto la notte del 6 aprile 2009.

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Il centro storico è ancora quasi interamente bloccato, in via XX settembre ovunque si giri lo sguardo si vedono impalcature con il cartello che ormai è diventato il simbolo della città: “Zona rossa, divieto di accedere”.

A distanza di tre anni, le persone hanno costruito nuovi equilibri, hanno cambiato le loro abitudini, si sono adattate a nuovi spazi. Le difficoltà restano ancora molte soprattutto per le madri e i loro figli.

Rita ha 32 anni e una bambina, Carola, nata ad agosto di quasi tre. Nel 2009 era incinta ed è stata in tenda. La protezione civile, dopo il parto, ha costruito una casetta di legno per lei, la bambina e la nonna. Ora è in una abitazione del progetto CASE: “Ancora per qualche anno dovremo restare qui, la mia casa è classificata E, gravemente danneggiata, i lavori non inizieranno prima di 5 anni”. Nel progetto CASE Rita sta bene, racconta di essere stata fortunata perché i suoi vicini sono tutte brave persone e ormai si è abituata ai rumori degli altri appartamenti. “Si, qui si sente tutto, anche i passi della signora di sopra o la finestra che il vicino di lato sta chiudendo” e anche il problema dell’elettricità che salta se due elettrodomestici sono accesi insieme ormai è diventato una consuetudine.

A Raffaella, invece, è andata apparentemente meglio. Un bambino di 5 anni e un altro nato qualche mese dopo il terremoto. Ora vive in affitto in un appartamento in attesa di poter rientrare in casa sua. Rita e Raffaella si sono conosciute perché i rispettivi figli frequentano lo stesso MUSP (Modulo Unico Scolastico Provvisorio).

“La scuola è più piccola rispetto a un edificio normale, ma comunque i bambini stanno bene. Il problema sono i luoghi di incontro. Senza il centro se c’è bel tempo possiamo portare i figli al parco nel castello, altrimenti l’unica alternativa è il centro commerciale”, ha detto Raffaella, che ancora oggi sta facendo i conti con il trauma post-terremoto di Alessandro, il bimbo più grande: “dopo la scossa ha iniziato ad avere problemi di linguaggio e lo stiamo ancora portando dal logopedista. L’anno prossimo dovrebbe iniziare la prima elementare ma il dottore ci ha suggerito di tenerlo ancora un altro anno all’asilo perché il recupero c’è stato ma potrebbe fermarsi nel confronto con gli altri coetanei”.

Anche Dimitri e Imaela sono diventati genitori nel 2009. I ragazzi hanno sui 25 anni e vengono dalla Romania. Sperano un giorno di poter tornare nella loro terra. “Abbiamo ancora tanta paura, non vogliamo crescere nostra figlia a L’Aquila, ma non abbiamo soldi per sistemarci nel nostro paese.  Mio marito lavora come fabbro, io come badante, ma tutto lo stipendio finisce tra affitto e spese per la bambina”. Dimitri e Imaela vivono in un bilocale in 4. La loro casa è molto vecchia, quando piove l’acqua entra dentro le mura e il loro contratto è in nero. “I prezzi per un’abitazione sono alti e aumentano se chiedi di regolarizzare l’accordo. In giro non si trova nulla” ha spiegato Dimitri.

Il ricordo di quella terribile notte, della scossa che ha cancellato il capoluogo abruzzese è ancora nitido, ma i cittadini cercano di andare avanti, come sta facendo Milena. La ragazza, il 6 aprile 2009 alle 3.32, era in ospedale, in sala travaglio. Stava mettendo al mondo la piccola Gabriella quando le luci improvvisamente si sono spente, tutto ha iniziato a oscillare e dei calcinacci le sono caduti addosso. Il marito le si è buttato sopra per ripararla e insieme alle ostetriche l’ha portata via. All’esterno, in un’ambulanza, Milena ha partorito la sua prima bambina. Quest’anno è diventata madre per la seconda volta. “Tornare in ospedale dopo quella tragica notte non è stato facile, ma la vita deve andare avanti. I miei figli sono aquilani ed è giusto che nascano nella loro città. L’Aquila era bellissima, spero che Gabriella e Valerio prima o poi possano vederla come una volta”.

La speranza, un giorno, di poter rientrare nei luoghi della propria infanzia accompagna anche le giornate di Giuseppina, madre di una ragazza di 19 anni e una bimba di 8. A differenza di Milena però Giuseppina preferirebbe che le sue figlie andassero via e si trasferiscano in una città più sicura. “Non so se mai potrà accadere, ma io continuo a credere che un giorno potrò passeggiare di nuovo tra le bellezze della mia città. Vorrei però che Giulia e Gloria si costruissero le proprie famiglie lontano da qui. Questa è una zona sismica, preferisco che siano distanti da me ma al sicuro. Non sopporterei la possibilità che tra qualche anno debbano rivivere una cosa come questa”.

Con lo sguardo verso il futuro ma attenta anche al presente c’è anche Marianna, madre di un adolescente di 13 anni e una bimba più piccola. “Mio figlio ha ricominciato a fare sport, si vede con i suoi amici. Sono cambiati i luoghi, sono cambiate le abitudini, ma bisogna crescere e continuare ad andare avanti. Dopo tre anni è anche necessario che ci aiutino a riavere una città. Non dico che debbano costruire L’Aquila esattamente com’era prima, so che probabilmente è impossibile, ma devono ridarci dei luoghi”.

A L’Aquila mancano gli spazi.  Manca la possibilità di passeggiare e guardare qualche vetrina, essere attirati dai profumi di un ristorante o dalle locandine di un cinema che invita a vedere un film appena uscito.

Le storie sono tante, i problemi sono diversi ma legati da una stessa causa. Resta un desiderio comune: rientrare nelle proprie case, riprendersi abitudini e certezze per dare stabilità ai propri figli. Le madri aquilane alzano la testa, ancorate alla propria terra cercano di ricostruire la loro città anche attraverso i loro bambini, come ha spiegato Marina Tobia, primaria del reparto di ginecologia dell’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila: “Forse proprio a causa della mancanza di diversivi, i cittadini hanno ripiegato sulla famiglia e lottano per la ricostruzione ampliando i loro nuclei. Negli ultimi anni il numero delle nascite è aumentato. Nel 2011 abbiamo registrato 1013 parti mentre la media prima del terremoto era molto più bassa”.

Dopo il 2009 le persone si sono legate ancora di più al luogo d’origine e a loro modo stanno contribuendo a riportarlo a vivere, ma “ora è necessario ricreare un centro, la ricostruzione non è ancora iniziata”, è la conclusione della dottoressa e di molti altri che ancora attendono un nuovo inizio.

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