Voglio ringraziare, in primo luogo, Milena Castellano ed Enrico Corrado, Rita Di Marzio, Raffaella Lauretani, Dimitri e Imaela Jugravu, Marianna De Lellis, Giulia Tresca e Giuseppina Vignini e la dottoressa Marina Tobia per il tempo che mi hanno concesso e per avermi raccontato le loro storie.
Ringrazio anche la dottoressa Sandra di Fabio, direttore del dipartimento Materno infantile dell’ospedale civile “San Salvatore” dell’Aquila e Federico Pisani, direttore del Centro Commerciale “L’aquilone”, per le informazioni che mi hanno dato e per avermi permesso di fare le riprese degli dei edifici pubblici.
Grazie anche a:
Federico Formica per le immagini della notte del terremoto,
Daniele Marzano, della Chiesa evangelica della riconciliazione di Genova, e Alessandro Coppola, per le immagini delle tendopoli nel periodo del post terremoto,
Ciro Emanuele, per le foto dell’Aquila prima del 6 aprile 2009
l’associazione “Amore in azione” per le immagini dei clown nelle tendopoli
Dimitri Marian Jugravu per le foto dei giorni seguenti alla notte della scossa
Matteo Marini per la foto di apertura del sito.
Un ringraziamento speciale ancora a Matteo Marini e Alessio Sgherza per la consulenza tecnica, i consigli per la realizzazione di questo progetto e la sopportazione quotidiana psicologico/morale dei miei dubbi e delle mie indecisioni.
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Sono nata una domenica di ottobre del 1984 a Pescara, in Abruzzo. La lettura e la musica mi hanno sempre accompagnata da quando avevo 6 anni. Mi sono diplomata al Liceo Classico della mia città e mi sono iscritta all’università con un anno di ritardo per poter terminare il conservatorio musicale nella classe di sassofono. Da piccola ero una musicista, poi la scrittura ha avuto la meglio.
Nel 2007 mi sono laureata in Scienze della comunicazione con la tesi “immagine, immaginario e iconoclastia islamica” e nel 2010 ho terminato la specialistica in Teorie e tecniche della comunicazione mediale con uno studio di tipo giuridico: “Le concessioni dei beni demaniali a un ente non profit: l’esempio del FAI”.
Adoro viaggiare perché mi permette di scoprire cose nuove e interessanti, per questo appena ne ho l’occasione fuggo da qualche parte. Soli, in un paese straniero, si ha la possibilità di mettersi in gioco e cominciare un percorso ancora inesplorato. Durante le estati passate a lavorare in Spagna e in Inghilterra ho imparato le rispettive lingue: spagnolo e inglese.
Perché il giornalismo? È colpa della mia curiosità. Conoscere nuovi luoghi, culture e persone differenti, poter osservare con i propri occhi ciò che accade intorno a noi, entrare nei dettagli per poi poterlo raccontare… c’è qualcosa di meglio?
Qui i miei link:
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La famiglia Tresca è rientrata nella propria casa quasi subito, già a settembre 2010, ma ciò non significa che tutto sia tornato alla normalità di prima del terremoto. Giuseppina ha anche un’altra figlia, Gloria, di 8 anni. La bambina la notte della scossa aveva un braccio rotto, è stata svegliata di colpo e si è sentita molto male. Da quel giorno non riesce più a dormire nella sua stanza da sola. Anche Giuseppina non si sente più tranquilla dentro casa sua, di notte lascia delle piccole lucine accese e la paura che la terra torni a tremare ancora una volta la perseguita.
“Questa è una zona sismica, sappiamo che il rischio di una nuova scossa c’è”, racconta la madre. Dal 6 aprile 2009 è cambiato tutto, il centro storico è bloccato, praticamente non esiste più. Le abitudini di un tempo quando si poteva andare in Piazza Duomo e girare a piedi per fare tutte le commissioni sono un ricordo lontano, ora si deve riuscire a organizzare i tempi e incastrare gli impegni. “Per fare qualsiasi cosa bisogna prendere la macchina e girare intorno alla città. Qui è tutta periferia”.
Intanto le figlie di Giuseppina stanno crescendo e lei continua ad aiutarle nelle loro scelte e a desiderare per loro un futuro sereno. “È brutto dirlo ma da una parte io spero che se ne vadano da qui. La sola idea che un giorno, quando saranno più grandi magari con le loro famiglie e i loro bambini, possa risuccedere un terremoto come questo non posso sopportarla”.
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La città è ferma al 2009. Il centro storico è solo puntellato, la ricostruzione tarda e sembra non essere mai iniziata. I suoi figli si incontrano per le vie intorno a Piazza Duomo e non camminano, ma sembrano correre lungo le strade tra transenne, case distrutte e puntellamenti.
Mentre Marianna e la sua famiglia convivono con il ricordo della notte del 6 aprile 2009 e cercano di elaborare quello che è successo, ognuno in maniera diversa, ci si adatta anche alla nuova condizione. Vivere in assenza di una città, in un diverso contesto urbano, sociale e cittadino.
E per Marianna la preoccupazione maggiore è che i suoi figli “possano pensare che questa è la dimensione reale del vivere”.
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MUSP: Moduli a uso scolastico provvisorio. Strutture prefabbricate destinate a sostituire temporaneamente gli edifici scolastici danneggiati dal sisma. In tutta la zona colpita dal terremoto ne sono stati costruiti 31. In totale possono ospitare 6.569 studenti.
MAP: Moduli Abitativi Provvisori. Case prefabbricate destinate a ospitare temporaneamente le persone che non hanno più un’abitazione. A seguito del terremoto del 6 aprile, nell’area dell’Aquila sono stati costruiti 3500 moduli per un totale di 7.000 persone. Sono strutture costruite in legno massello o con pannelli coibentati. Possono essere di varie metrature, a seconda del nucleo famigliare che ospitano.
PROGETTO C.A.S.E.: Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili. Sono appartamenti destinati ad accogliere temporaneamente i cittadini senza più una casa. Queste strutture sono state costruite con materiali tecnologici e volti al risparmio energetico. Sono stati realizzati circa 4.500 abitazioni che possono ospitare più di 15.000 persone.
CLASSIFICAZIONE CASE (A,B,C,D,E,F):
- Categoria A – Edificio agibile: L’edificio può essere utilizzato in tutte le sue parti senza pericolo per la vita dei residenti.
- Categoria B – Edificio temporaneamente inagibile: L’edificio è in parte inagibile, ma è sufficiente eseguire i lavori di pronto intervento per poterlo utilizzare in tutte le sue parti, senza pericolo per i residenti.
- Categoria C – Edificio parzialmente inagibile: Parti limitate dell’edificio possono comportare un elevato rischio per i loro occupanti.
- Categoria D – Edificio temporaneamente inagibile: Il giudizio di agibilità è incerto. Si dovrà fare un sopralluogo più approfondito, fino a quel momento l’edificio è dichiarato inagibile.
- Categoria E – Edificio inagibile: C’è un grave rischio che può essere strutturale, non strutturale o geotecnico. La riparazione richiederà un progetto di un tecnico per il ripristino o il rinforzo della capacità portante dell’edificio.
- Categoria F – Edificio inagibile: C’è un grave rischio esterno anche senza danni consistenti all’edificio. Gli edifici della categoria F sono strutture che non hanno subito gravi danni ma che si trovano in una zona di pericolo perché nelle vicinanze di altre costruzioni a rischio crollo.
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Ore 3.32, le pareti iniziano a muoversi, si staccano parti di intonaco dal soffitto, Enrico si getta sulla moglie per ripararla.
È l’inizio del terremoto, ma per la bambina che sta per nascere comincia la vita. Portata all’esterno Milena partorisce la sua prima figlia in un’ambulanza alle 3.45. Una splendida bimba, Gabriella, resterà alcune ore tra le braccia della madre mentre intorno a loro un’intera città sta crollando. Anche casa di Milena ed Enrico è distrutta e la famiglia è costretta a spostarsi prima a Rieti, poi a Pescara, poi in una roulotte davanti casa, infine in un Map, una delle casette di legno costruite per ospitare provvisoriamente gli sfollati aquilani. Qualche mese fa, a fine 2011, è nato anche Valerio, il secondo figlio dei Corrado. La madre è tornata all’Ospedale civile “San Salvatore” perchè “è giusto che i miei bambini siano aquilani”.
Entro il 2012 l’abitazione della giovane mamma dovrebbe essere pronta e la coppia con Gabriella e Valerio potranno tornare nella loro casa. Ma le difficoltà non sono finite. Il nucleo familiare è cambiato, ci sono nuove abitudini e necessità ma anche il problema di dover crescere delle piccole vite tra le rovine del capoluogo abruzzese.
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Qui Rita sta vivendo insieme alla madre e alla piccola Carola. In una casa provvisoria composta da una sola stanza, un bagno e una sala con cucina. “Casa mia non sarà pronta per almeno altri 5 anni“, racconta la ragazza. Secondo il progetto per la ricostruzione dell’abitazione i lavori non inizieranno prima del 2017 perciò probabilmente Rita dovrà rimanere nel complesso antisismico ancora per molto tempo.
La neomamma però non si lamenta di questa sistemazione e neanche del periodo passato nella tendopoli. La sua preoccupazione sono le scuole. A tre anni dal terremoto gli istituti educativi ricostruiti sono pochissimi e la maggior parte degli studenti frequenta i Musp, moduli a uso scolastico provvisorio.
“Spero che mia figlia possa frequentare una scuola normale come quelle che ho fatto io”. Questo è il desiderio di Rita.
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Raffaella ora vive in una casa in affitto in attesa che inizino i lavori di ricostruzione della sua abitazione, anche se il progetto non è ancora neanche stato approvato.
Lei e i suoi figli stanno cercando di superare i traumi del post-terremoto. Raffaella si è reiscritta all’università, ha ricominciato a guidare, ma risente ancora della paura di quella notte. Quando resta sola preferisce non rimanere dentro casa perchè non si sente sicura. Alessandro poi dal giorno dopo la forte scossa ha iniziato ad avere problemi di linguaggio e ora segue una terapia da un logopedista.
Ma un altro problema è l’assenza di spazi. Oltre a un piccolo parco con alcuni giochi nel Castello dove si possono portare i bambini durante le belle giornate a L’Aquila non c’è più nulla. O si va a casa di amici o al centro commerciale. Nient’altro.
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Nei mesi successivi hanno vissuto dentro due tende che il prete del paese gli aveva procurato. Ad agosto, una settimana dopo la nascita della loro bimba, Micaela, si sono spostati per 6 mesi in un appartamento del Comune, poi si sono trasferiti a Marana, un paese vicino, e infine sono tornati a Capitignano in un piccolo bilocale in affitto.
In questa casa ora vivono in quattro, la coppia, la bimba e la sorella di Dimitri. Quando piove l’acqua penetra dal soffitto, lo spazio è molto limitato. “Vorremmo trovare un’altra sistemazione ma non si trova nulla. Non ci sono abitazioni in affitto”.
Dopo il terremoto Dimitri voleva comprare una casetta per la sua nuova famiglia. Ha un contratto a tempo indeterminato, il permesso di soggiorno, ma nessuna banca ha voluto fargli un finanziamento. In una città che ormai non c’è più, senza la possibilità di costruirsi un futuro e con la paura di rivivere nuovamente una notte come quella del 6 aprile 2009, la coppia spera di poter tornare un giorno nella propria terra.
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Il centro storico è ancora quasi interamente bloccato, in via XX settembre ovunque si giri lo sguardo si vedono impalcature con il cartello che ormai è diventato il simbolo della città: “Zona rossa, divieto di accedere”.
A distanza di tre anni, le persone hanno costruito nuovi equilibri, hanno cambiato le loro abitudini, si sono adattate a nuovi spazi. Le difficoltà restano ancora molte soprattutto per le madri e i loro figli.
Rita ha 32 anni e una bambina, Carola, nata ad agosto di quasi tre. Nel 2009 era incinta ed è stata in tenda. La protezione civile, dopo il parto, ha costruito una casetta di legno per lei, la bambina e la nonna. Ora è in una abitazione del progetto CASE: “Ancora per qualche anno dovremo restare qui, la mia casa è classificata E, gravemente danneggiata, i lavori non inizieranno prima di 5 anni”. Nel progetto CASE Rita sta bene, racconta di essere stata fortunata perché i suoi vicini sono tutte brave persone e ormai si è abituata ai rumori degli altri appartamenti. “Si, qui si sente tutto, anche i passi della signora di sopra o la finestra che il vicino di lato sta chiudendo” e anche il problema dell’elettricità che salta se due elettrodomestici sono accesi insieme ormai è diventato una consuetudine.
A Raffaella, invece, è andata apparentemente meglio. Un bambino di 5 anni e un altro nato qualche mese dopo il terremoto. Ora vive in affitto in un appartamento in attesa di poter rientrare in casa sua. Rita e Raffaella si sono conosciute perché i rispettivi figli frequentano lo stesso MUSP (Modulo Unico Scolastico Provvisorio).
“La scuola è più piccola rispetto a un edificio normale, ma comunque i bambini stanno bene. Il problema sono i luoghi di incontro. Senza il centro se c’è bel tempo possiamo portare i figli al parco nel castello, altrimenti l’unica alternativa è il centro commerciale”, ha detto Raffaella, che ancora oggi sta facendo i conti con il trauma post-terremoto di Alessandro, il bimbo più grande: “dopo la scossa ha iniziato ad avere problemi di linguaggio e lo stiamo ancora portando dal logopedista. L’anno prossimo dovrebbe iniziare la prima elementare ma il dottore ci ha suggerito di tenerlo ancora un altro anno all’asilo perché il recupero c’è stato ma potrebbe fermarsi nel confronto con gli altri coetanei”.
Anche Dimitri e Imaela sono diventati genitori nel 2009. I ragazzi hanno sui 25 anni e vengono dalla Romania. Sperano un giorno di poter tornare nella loro terra. “Abbiamo ancora tanta paura, non vogliamo crescere nostra figlia a L’Aquila, ma non abbiamo soldi per sistemarci nel nostro paese. Mio marito lavora come fabbro, io come badante, ma tutto lo stipendio finisce tra affitto e spese per la bambina”. Dimitri e Imaela vivono in un bilocale in 4. La loro casa è molto vecchia, quando piove l’acqua entra dentro le mura e il loro contratto è in nero. “I prezzi per un’abitazione sono alti e aumentano se chiedi di regolarizzare l’accordo. In giro non si trova nulla” ha spiegato Dimitri.
Il ricordo di quella terribile notte, della scossa che ha cancellato il capoluogo abruzzese è ancora nitido, ma i cittadini cercano di andare avanti, come sta facendo Milena. La ragazza, il 6 aprile 2009 alle 3.32, era in ospedale, in sala travaglio. Stava mettendo al mondo la piccola Gabriella quando le luci improvvisamente si sono spente, tutto ha iniziato a oscillare e dei calcinacci le sono caduti addosso. Il marito le si è buttato sopra per ripararla e insieme alle ostetriche l’ha portata via. All’esterno, in un’ambulanza, Milena ha partorito la sua prima bambina. Quest’anno è diventata madre per la seconda volta. “Tornare in ospedale dopo quella tragica notte non è stato facile, ma la vita deve andare avanti. I miei figli sono aquilani ed è giusto che nascano nella loro città. L’Aquila era bellissima, spero che Gabriella e Valerio prima o poi possano vederla come una volta”.
La speranza, un giorno, di poter rientrare nei luoghi della propria infanzia accompagna anche le giornate di Giuseppina, madre di una ragazza di 19 anni e una bimba di 8. A differenza di Milena però Giuseppina preferirebbe che le sue figlie andassero via e si trasferiscano in una città più sicura. “Non so se mai potrà accadere, ma io continuo a credere che un giorno potrò passeggiare di nuovo tra le bellezze della mia città. Vorrei però che Giulia e Gloria si costruissero le proprie famiglie lontano da qui. Questa è una zona sismica, preferisco che siano distanti da me ma al sicuro. Non sopporterei la possibilità che tra qualche anno debbano rivivere una cosa come questa”.
Con lo sguardo verso il futuro ma attenta anche al presente c’è anche Marianna, madre di un adolescente di 13 anni e una bimba più piccola. “Mio figlio ha ricominciato a fare sport, si vede con i suoi amici. Sono cambiati i luoghi, sono cambiate le abitudini, ma bisogna crescere e continuare ad andare avanti. Dopo tre anni è anche necessario che ci aiutino a riavere una città. Non dico che debbano costruire L’Aquila esattamente com’era prima, so che probabilmente è impossibile, ma devono ridarci dei luoghi”.
A L’Aquila mancano gli spazi. Manca la possibilità di passeggiare e guardare qualche vetrina, essere attirati dai profumi di un ristorante o dalle locandine di un cinema che invita a vedere un film appena uscito.
Le storie sono tante, i problemi sono diversi ma legati da una stessa causa. Resta un desiderio comune: rientrare nelle proprie case, riprendersi abitudini e certezze per dare stabilità ai propri figli. Le madri aquilane alzano la testa, ancorate alla propria terra cercano di ricostruire la loro città anche attraverso i loro bambini, come ha spiegato Marina Tobia, primaria del reparto di ginecologia dell’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila: “Forse proprio a causa della mancanza di diversivi, i cittadini hanno ripiegato sulla famiglia e lottano per la ricostruzione ampliando i loro nuclei. Negli ultimi anni il numero delle nascite è aumentato. Nel 2011 abbiamo registrato 1013 parti mentre la media prima del terremoto era molto più bassa”.
Dopo il 2009 le persone si sono legate ancora di più al luogo d’origine e a loro modo stanno contribuendo a riportarlo a vivere, ma “ora è necessario ricreare un centro, la ricostruzione non è ancora iniziata”, è la conclusione della dottoressa e di molti altri che ancora attendono un nuovo inizio.
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