All'ombra del Titano http://ifg.uniurb.it/network/deluca La storia di un imprenditore della riviera che ha scelto di non subire la mafia, ma di esserne complice Sun, 06 Apr 2014 21:18:56 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 La storia di un imprenditore della riviera che ha scelto di non subire la mafia, ma di esserne complice All'ombra del Titano no La storia di un imprenditore della riviera che ha scelto di non subire la mafia, ma di esserne complice All'ombra del Titano http://ifg.uniurb.it/network/deluca/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/deluca Scalate a banche, finanziarie misteriose e offerte milionarie http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/25/agostinelli-spa-gli-improbabili-affari-di-un-imprenditore-fallito/ http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/25/agostinelli-spa-gli-improbabili-affari-di-un-imprenditore-fallito/#comments Wed, 25 Apr 2012 09:56:00 +0000 deluca http://ifg.uniurb.it/network/deluca/?p=122 Sette novembre 2011. Alla Confederazione del lavoro Sanmarinese, il più grande sindacato della repubblica, arriva uno strano fax. Sono tredici pagine gonfie di rivelazioni scottanti su un banca, la Banca Commerciale Sanmarinese (Bcs), che tiene in custodia i fondi pensione degli iscritti. C’è anche un avvertimento: la banca è al collasso, gli operai devono stare in guardia se ci tengono alla pensione. In calce al fax c’è un firma: è quella di Francesco Agostinelli. Mentre lo invia si trova agliarresti domiciliari per possesso di armi e droga.

Venticinque febbraio 2012. La Bcs è stata comprata daun’altra società, Asset Banca. Il giorno successivo le redazioni dei giornali della piccola Repubblica vengono prese d’assalto da un fiume di email con foto di documenti e raccomandate. Raccontano che c’era stata un’offerta alla fine del2011 per comprare la Bcs. Un’offerta di 23 milioni, superiore a quella fatta da Asset Banca. Ma la generosa proposta, denuncia l’autore della mail, non è stata nemmeno presa inconsiderazione. L’uomo che ha offerto 23 milioni e che ha mandato quella mail è sempre lui: Francesco Agostinelli. Una settimana dopo sarà arrestato su richiesta del sostituto procuratore Enrico Cieri della Dda di Bologna con l’accusa di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Due scene per raccontare l’impresa più misteriosa di Francesco Agostinelli. Il tentativo di un colpo gobbo multi-milionario nel momento più improbabile della sua vita. Non sono in molti a prendere sul serio quell’offerta. Prima tra tutti la Banca Centrale di SanMarino che non si prende nemmeno la briga di rispondergli. David Oddone, dell’Informazione di SanMarino, è il primo a ricollegare la firma di quelle mail arrivata nel febbraio 2012 al personaggio arrestato un anno prima. Lo  stesso scetticismo lo dimostra anche Roberto Galullo, del Sole24ore, che in quei giorni intervista Agostinelli.

Difficile dare torto alla Banca centrale e ai due giornalisti. Incerto patron di un’impresa vicina al fallimento, agli arresti domiciliari, una solida tradizione di cause e protesti alle spalle, Francesco Agostinelli non rappresenta il ritratto ideale del raider finanziario dotato dei capitali necessari per acquistare una banca. Non ha alcuna proprietà intestata. Anzi: alle spalle ha il pignoramento di alcuni immobili a Cagli, in provincia di Pesaro-Urbino. E’residente nella casa del suocero, in un quartiere residenziale di Pesaro. A suo nome non si trovano leasing né per barche, né per ville, né per macchina costose. La sua azienda  (entrata in fallimento nel 2012), la Magnolia Srl di Pesaro, aveva un capitale sociale di appena 30mila euro. Il patrimonio della ditta consisteva in dodici appartamenti a Giussago e in alcuni terreni ad Aulla. Il loro valore sommato si aggira intorno ai due tre milioni di euro.

Millanterie senza fondamento, dunque. Forse. Ma a leggere con attenzione le carte dell’inchiesta Vulcano viene più di un dubbio. E si affaccia il timore che Agostinelli potesse fare sul serio. Verso la fine del 2010, un anno prima del tentativo di comprare la Banca Commerciale di SanMarino, sembra che Agostinelli abbia in mente un altro progetto simile. La società che vuole comprare è la Fincapital, una finanziaria di San Marino. La società è controllata tramite dei prestanome dal notaio Livio Baciocchi, un personaggio chiacchierato che sarà poi accusato dalla Dda di Napoli di usare Fincapital per riciclare il denaro sporco della camorra. L’acquisizione non va in porto perchè, stando alle intercettazioni, sopraggiunge un altrogruppo di Teramo e una misteriosa signora di Rimini.

Difficile stimare il valore di Fincapital. Ci si può basare sulla cifra con cui questo gruppo di Teramo avrebbe rilevato la società: 14 milioni di euro. Una cifra non molto lontana dai 23 milioni che Agostinelli avrebbe offerto un anno dopo per comprare la Banca Commerciale.

L’unica ipotesi che resta inpiedi è quella che Agostinelli agisse per conto di qualcunaltro. Un’ipotesi avvalorata dal fatto che nell’offerta di acquisto per Banca Commerciale parla di acquisire le azioni “per sé o per terzi”. Dagli atti dell’inchiesta Vulcano viene fuori che Agostinelli aveva diversi complici, legati ai casalesi: Massimo Venosa e MaistoPasquale. Gente che si accapigliava con gli altri gruppi criminali della riviera per spremere ad un piccolo imprenditore 10 mila euro, qualche rolex e qualche vestito costoso.

In realtà un’operazione simile, una banca che viene scalata dalla criminalità organizzata, era già avvenuta a San Marino.  La vicenda è stata scoperta dall’inchiesta sul Credito Sanmarinese che ha portato in prigione i due dirigenti della banca nell’estate 2011. Nel tentativo di ripianare il bilancio pieno di buchi avevano, secondo la magistratura, spalancato le porte alla famiglia di Vincenzo Barbieri, ‘ndranghetista assassinato nel marzo 2011. Nelle casse del banca finiscono così 15 milioni di euro, sufficenti a salvare la banca e forse anche qualcosa di più. Secondo gli investigatori con quei soldi i Barbieri l’hanno comprata.

Agostinelli aveva delle frequentazioni con personaggi di calibro maggiore di Maisto e Venosa. Dagli atti dell’indagine viene fuori che aveva rapporti regolari con Mirko Ponticelli, autista di Francesco Barbato (a sua volta luogotenente di Nicola Schiavone, il figlio di Sandokan), con Salvatore di Puorto (fratello di Sigismondo, arresto nel dicembre 2010). Gente con un profilo criminale diverso e disponibilità di un altro calibro rispetto ai mazzieri che frequentava di solito. Gente più simile a Vincenzo Barbieri che a Massimo Venosa.

Il mistero di quei 23 milioni,però, sembra essere destinato arimanere tale. Il fatto, commes-so a San Marino, al momentonon interessa la giustizia italia-na, mentre quella di San Marino al momento non comunica di aver aperto alcuna indagine

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A San Marino qualcosa è cambiato http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/a-san-marino-qualcosa-e-cambiato/ http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/a-san-marino-qualcosa-e-cambiato/#comments Mon, 23 Apr 2012 20:44:37 +0000 deluca http://ifg.uniurb.it/network/deluca/?p=70 Come tanti a San Marino anche Fiorenzo Stolfi non credeva che la mafia avesse scalato le pendici di Monte Titano. Nel2008, mentre era segretario di stato, cioè ministro degli esteri di San Marino, dichiarò: “Non riesco a pensare che la criminalità organizzata sia un fenomeno presente e che ci siano tutti questi rischi”. A differenza di molti altri, oggi Fiorenzo Stolfi ha cambiato idea: “La nostra è stata una sottovalutazione”.Oggi Stolfi è un consigliere, cioè un membro del parlamento della repubblica, e si batte perché le cose cambino sul Monte Titano.

San Marino sta morendo. O almeno una vecchia idea di San Marino è finita: l’età dell’oro del paradiso fiscale è giunta bruscamente al termine. Con lo scudo fiscale metà della raccolta totale del sistema bancario ha lasciato la Repubblica. Da14,8 miliardi alla fine del2008 (il record storico) è passata a 7,9 miliardi. Gli ultimi anni sono stati uno stillicidio per San Marino. Colpa di Tremonti, del Fondo monetario internazionale e dei vari G8 che hanno costretto il piccolo stato ad adeguarsi alle normative internazionali su trasparenza e segreto bancario. E allora si è visto quanto erano fragili i piedi d’argilla del Titano. Nel 2008 San Marino aveva 12 banche e 60 tra finanzierie, società di gestione e fiduciaria. Oggi le banche sono undici, con conti tutt’altro che rosei. Due sono in vendita. Gli altri intermediari si sono dimezzati: oggi sono appena trenta.

Questa situazione ha reso San Marino più vulnerabile che mai alla criminalità organizzata, ci raccontano al tribunale della piccola Repubblica. Le banche in crisi, le finanziarie sul lastrico pur di riempire i buchi nei loro bilanci sono disposte ad accettare di tutto. Come quei cinque milioni di euro che puzzavano di muffa, chiusi in un sacchetto di plastica, portati dal pregiudicato Vincenzo Barbieri al Credito Sanmarinese. Accettare quel deposito ha portato in prigione i dirigenti della banca.  Era la prima volta che cittadini della Repubblica venivano arrestati tramite una rogatoria internazionale. Un altro segno dei tempi che cambiano.

La lotta alla criminalità organizzata è un cammino che va fatto di pari passo con la ridefinizione dell’identità di San Marino. Una scelte che per la Repubblica significa vita o morte.“La crisi economica -afferma Stolfi- sta portando San Marino a interrogarsi su cosa sia stata fino ad oggi e che cosa sarà domani. Inpassato non si è fattotroppo caso a come si costruiva la ricchezza. Arrivavano investitori, arrivavano depositatori di denaro nelle nostre banche e non siguardava troppo per ilsottile, non si indagava molto. Oggi siamo nella fase opposta, ci interroghiamo su tutto e dobbiamo ancora definire qual è la nostra mission per il futuro”.

Stolfi ha chiara qual è il percorso che dovrà intraprendere San Marino. “Dobbiamo scegliere per forza la strada della collaborazione e della trasparenza. Se in passato siamo stati una zona diciamo grigia oggi mi sembra che gran parte della politica sanmarinese e del mondo economico, capisce che dobbiamo andare su un’altra strada. Non abbiamo la via del paradiso fiscale e nemmeno quella del paese che vive alle spalle dell’Italia“.

Conclude Stolfi: “Io credo che questa crisi, questo nuovo atteggiamento dell’Italia ci aiuteranno ad essere migliori. Sotto un certopunto di vista può darsi che dovremo dire grazie a questa frustata che è venuta, che ci costringe a cambiare e a cambiare in meglio”.

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C’è chi dice no: Davide Grassi http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/prova-3-2/ http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/prova-3-2/#comments Mon, 23 Apr 2012 18:43:20 +0000 deluca http://ifg.uniurb.it/network/deluca/?p=43 Bisogna avere fegato per chiedere i danni alla mafia. A Padova, in un processo ai casalesi, su sessanta imprenditori coinvolti, soltanto in quattro hanno avuto il coraggio di costituirsi parte civile. Davide Grassi questo lo sa bene. Il suo lavoro è fare quello che le vittime spesso non hanno la forza di fare. “Sono nel coordinamento nazionale di Sos Impresa. La mia attività consiste principalmente nel costituirmi parte civile per le vittime della criminalità organizzata e per la stessa associazione nazionale”, spiega Davide, 37 anni, avvocato di Rimini.

Davide la mafia la studia da anni, una cosa che non ti aspetti da qualcuno che si è laureato a Bologna. Poi, dopo la laurea “venni a conoscenza della presenza di osservatori e associazioni che avevano come scopo, quello di aiutare le vittime del racket. Così decisi di dedicare parte della mia attività legale, in forma di volontariato, all’assistenza in giudizio delle vittime”.

Un’attività che lo ha portato anche a conquistare dei grossi successi. Come l’ammissione della costituzione di parte civile di Sos Impresa al processo Infinito a Milano. Un procedimento contro la ‘ndrangheta lombarda che coinvolge quasi 300 affiliati. “Mi fecero molte questioni preliminari i difensori degli imputati -racconta Davide- per evitare la nostra costituzione. Credo che sia il processo contro la criminalità organizzata più importante degli ultimi anni“.

Davide è tra le fonti più preziose per comprendere il fenomeno dell’arrivo, anzi: del radicamento della mafia nella riviera. “Negli ultimi anni -racconta Davide- è cambiato molto. Con le disponibilità di denaro i mafiosi si sono potuti appoggiare a consulenti della zona. I professionisti danno delle dritte: sanno che il mafioso ha disponibilità di denaro e  sanno che l’imprenditore non può avere accesso al credito. E allora il professionista ti mette in contatto con il mafioso”.

Come la storia di un imprenditore che Davide ci racconta. Chi ha una piccola azienda in molti casi è il primo a non essere trasparente. Molto spesso usa dei prestanome per creare delle società oppure utilizza fiduciarie. Con questi sistemi può risparmiare sulle tasse e riesce a evitare che in caso di fallimento i suoi beni divengano perseguibili. L’imprenditore di questa storia aveva fatto intestare una società al suo commercialista e a quella società aveva poi venduto la sua abitazione. In questi casi il commercialista o il prestanome può fare quel che vuole, anche se non è il vero proprietario: può vendere quote della società o gli stessi immobili che la società possiede. Quando il nostro imprenditore si è trovato a dover riscattare l’immobile il commercialista gli ha detto che l’immobile non era più della società e la società non era più del commercialista. Aveva venduto tutto a persone vicine alla camorra con cui aveva degli affari. Si riuniscono tutti allora: imprenditore, commercialista e acquirenti della nuova impresa. “Ora te la devi veder con loro”, dice il commercialista all’imprenditore, e poi, rivolgendosi ai nuovi acquirenti: “noi siamo a posto, vero?”.

La crisi ha aiutato la mafia?
“Anche, ma sopratutto la colpa è delle banche che non concedono più crediti. Nelle carte dell’operazione Vulcano si legge che ci sono delle vittime, imprenditori che non hanno denunciato i loro estorsori, persone in crisi finanziaria. Se i soldi sono andati a chiederli ai mafiosi è perché non potevano avere soldi dalle banche. In tempi buoni sono le banche che chiamano gli imprenditori. Quando l’imprenditore ha bisogno la banca si tira indietro, o addirittura richiedono indietro fidi di centinaia di migliaia di euro”.

Ma c’è anche l’aspetto del recupero crediti: Burgagni e Baciocchi, due dei protagonisti della nostra inchiesta, hanno entrambi usato i camorristi come agenti per il recupero crediti, prima di diventare essi stessi l’oggetto del recupero.
“Questo è ancora più preoccupante. La maggior parte degli imprenditori entra in contatto con questi personaggi perchè devono far rientrare dei crediti. Il percorso recupero crediti è tortuoso, è lungo, a volte infruttifero. A volto un imprenditore può pensare: “bé in fondo, di sicuro, questi personaggi qualcosa mi faranno recuperare”. Non sanno che questo per loro diventerà un problema. Di sicuro qualcosa questa gente grazie all’intimidazione riesce a far pagare qualcosa al debitore. Però a quel punto il mafioso da chi doveva recuperare il credito vuole interessi sempre più cospicui”.

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La storia di Francesco Agostinelli: come cambia la mafia al nord http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/prova-3/ http://ifg.uniurb.it/network/deluca/2012/04/23/prova-3/#comments Mon, 23 Apr 2012 18:27:23 +0000 deluca http://ifg.uniurb.it/network/deluca/?p=39 Le cose cominciarono a cambiare quando si scoprì che i bambini mangiavano il pane della camorra. Era il marzo del 2011 e il cattivo di turno aveva un nome da fumetto: Francesco Vallefuoco. Il suo panificio riforniva le scuole di tutta San Marino. La sonnacchiosa Repubblica ebbe un brusco risveglio: la mafia era arrivata in riviera e aveva trovato inaspettati alleati. Nessuno più inaspettato di Francesco Agostinelli, imprenditore fallito, nato a Urbino, 48 anni fa.

La verità sulla mafia a San Marino e nella riviera e venuta fuori grazie a quattro inchieste che tra il 2011 e l’inizio del 2012 hanno portato in prigione una trentina di indagati. Nella Lombardia della ‘ndrangheta l’affare d’oro è il movimento terra. Nella riviera è il riciclaggio che passa per San Marino. Nascosti da fiduciarie o società di comodo, i soldi arrivano a San Marino e vengono ripuliti. Poi tocca ai gradi bassi delle gerarchie criminali farli fruttare. E il modo è sempre lo stesso, a Desio come a Rimini: usura ed estorsione. “I soldati si insediano nel territorio dopo aver usato San Marino come lavatrice. Piano piano hanno visto che c’era l’opportunità di stare sul territorio e fare affari”, racconta Davide Grassi, un avvocato che con l’associazione Sos impresa si costituisce parte civile nei processi per estorsione.

Enrico Cieri, Pm Direzione distrettuale antimafia di Bologna

Dalle carte del Pm Enrico Cieri della Dda di Bologna, che ha condotto l’inchiesta Vulcano, emerge che  Agostinelli era uno di loro: un soldato, un mazziere, un capetto. Finisce in manette due volte nel corso dell’indagine: la prima nel febbraio 2011. Nella sua macchina vengono trovate eroina, coca e una pistola senza contrassegni. La seconda nel marzo 2012. Le accuse sono di estorsione, aggravate dalla modalità mafiosa.

Agostinelli non è un imprenditore come tanti. Uno di quelli che hanno pensato che in fondo con i camorristi si può convivere e fare soldi facili, salvo poi finirne schiacciati. La carriera criminale di Agostinelli è rapidissima: quando compare nelle indagini, siamo alla fine del 2010, il suo gruppo è descritto dai magistrati come “una ramificazione del clan dei casalesi”. Il procuratore Pier Luigi dell’Osso scrive nella relazione annuale dell’Antimafia 2011 che quello di Agostinelli è uno dei tre gruppi mafiosi che controllano la riviera. Dalle carte della magistratura viene fuori che Agostinelli è un tipo nuovo e inquietante di imprenditore del centro-nord. La mafia non la subisce: ne è complice.

La sede di Fincapital a Dogana, San Marino

La prima volta che lo incontriamo, nelle carte dell’indagine Vulcano, Agostinelli è seduto nell’ufficio di una finanziaria di San Marino, Fincapital. Al fianco ha la sua guardia del corpo, un siciliano che gira con una pistola ricettata. Dall’altro lato della scrivania è seduto un imprenditore, Michel Burgagni: è lui che descrive la scena ai magistrati. Agostinelli gli chiede la restituzione di un prestito da centomila euro e mentre gli parla scrive qualcosa su un foglio: “ti uccido”. “Se non rispetti i termini”, aggiunge a voce.

Michel Burgagni merita una parentesi tutta per lui. Non solo, secondo i magistrati, è la vittima di Agostinelli, ma è una figura emblematica per capire la nostra storia. Burgagni è un imprenditore edile di San Marino. Come tanti suoi colleghi è nei guai fino al collo. Le sue aziende hanno i conti in rosso, gli operai non vengono pagati. Lui gira in Cayenne e spende  migliaia di euro nel negozio della sua compagna, a Riccione. Il suo primo incontro con la mafia lo ha nel 2008. Sta facendo dei lavori a San Marino per Livio Baciocchi, un chiacchierato notaio e immobiliarista di San Marino (finirà il manette nel 2011 per riciclaggio). Mentre i lavori proseguono, racconta Burgagni, incontra Francesco Vallefuoco, quello del panificio. Vallefuoco dice di essere un mafioso, lo minaccia e gli ordina: tieni fermi i cantieri di Baciocchi. Burgagni obbedisce fino a che non arriva l’ordine che può riprendere i lavori.

E’ lo stesso Burgagni a decidere di tornare da Vallefuoco, nonostante le minacce che ha subito. Gli chiede di riscuotere un credito di 100 mila euro tramite la sua agenzia di riscossione crediti, la Ises. Qualche mese dopo confiderà ad un amico di essersi pentito amaramente di quella decisione. Non solo: nello stesso periodo un socio di Vallefuoco presenta a Burgagni altri due imprenditori, i fratelli Luciano. Anche loro sono in odore di camorra. Burgagni annusa che qualcosa non va, ma decide comunque di entrare in affari anche con loro.

Entrare in affari con questi due gruppi, Vallefuoco e i fratelli Luciano, lo fa sprofondare nel giro. Il periodo degli affari proficui dura poco: molto presto cominciano le minacce e le estorsioni. Burgagni si sente “una pallina da ping pong”, sballottato a destra e sinistra, in balia dei due gruppi criminali che si alternano per “spremerlo”. “Sono mosche affamate”, racconta ad Elena, la sua compagna. In mezzo a questa partita spunta un terzo uomo. Secondo Burgagni è in qualche maniera alleato di Vallefuoco, ma ha la sua propria banda. E’ Francesco Agostinelli.

Nato a Urbino, nel 1954, diplomato al liceo, Francesco Agostinelli a Fano ha una piccola impresa di ristrutturazioni e costruzioni. Il primo episodio noto della sua carriera ci da la cifra di tutto quello che seguirà. Nel 2001 per promuovere un iniziativa immobiliare noleggia il teatro Politeama di Fano e invita Milly Carlucci e Lucio Dalla. Un evento che in città ancora ricordano. Del faraonico progetto immobiliare però, non si fa nulla. “Era tutta una bufala – racconta l’allora proprietario del teatro- Non aveva davvero i terreni”.

Ecco chi è Francesco Agostinelli: un Faraone senza schiavi e senza piramidi. Le sue imprese edili (Magnolia Sas di Fano e Magnolia Srl di Pesaro) prima vivacchiano e poi, nel 2012, falliscono. Oggi i curatori fallimentari sono alla ricerca di soldi da far avere ai creditori. Alcuni immobili che aveva vicino a Cagli, in provincia di Pesaro, gli sono stati sequestrati. Vive nella casa del suocero in un quartiere residenziale di Fano e girava, almeno prima degli arresti domiciliari, con la suavecchia macchina. A suo nome nessun leasing per barche, porche o ville.

Eppure, quando riceveva i clienti nella sede della sua Magnolia di Pesaro e li accoglieva seduto davanti a una gigantografia di Berlusconi, su cui aveva scritto a pennarello “Sei il mio idolo!!!”, l’aria arrogante di un uomo sicuro di sé, soffiandogli fumo in faccia, sembrava invincibile. Pieno di soldi, terreni e immobili, le mani in mille affari, agganciato ai migliori contatti. “Il più grande millantatore del secolo”, così lo descrive un suo socio in affari.

E’ facile immaginarselo così in occasione del primo incontro che ebbe con Burgagni, quello del foglio di carte con la scritta: “ti uccido”, a metà ottobre del 2010. Sicuro di sé, la sigaretta tra le dita, un sorriso che conquista, seduto su una poltrona di pelle di quella finanziaria, la Fincapital, che non è sua ma dove non si muove foglia che lui non voglia. Agostinelli lo dice chiaramente a Burgagni dopo quell’incontro: sei sotto la mia protezione ora. E cosa significa essere sotto la sua protezione lo si capisce presto. Il negozio della compagna di Burgagni, racconta l’imprenditore alla magistratura, diviene una specie di deposito di abiti gratis per Agostinelli e i suoi. La compagna di Burgagni viene usata come intermediaria per comprare tre Rolex, 63 mila euro in tutto, senza che poi veda nemmeno una lira.

Passano le settimane e Agostinelli sembra che voglia stringere ancora di più il cappio. Prima offre alla coppia un prestito di 100 mila euro. Poi è così sfacciato da raccontargli a cosa serve. L’episodio viene raccontato ai magistrati da Elena, la compagna di Burgagni. Agostinelli, qualche settimana dopo averle offerto il prestito, le spiega come è solito comportarsi. Prima concede un grosso prestito a un imprenditore o a un commerciante e in cambio chiede sempre più denaro, fino a che la vittima non può più pagare ed è costretta a consegnare le proprie attività. Sempre secondo Elena, un giorno, Agostinelli entrando nel suo negozio commenta: “Sembra mio”.

La forza di Agostinelli, il modo che ha di imporsi sulle sue vittime, scrivono i magistrati, deriva dalla paura che incutono le sue amicizie e le sue frequentazioni. Come quando Agostinelli racconta di essere nel traffico della droga. Elena dice ai magistrati di avergli sentito fare più di una volta discorsi su partite di droga da vendere. Oppure come quando racconta di andare spesso a Casal di Principe, dove dice di avere molti amici. Anche i complici dell’urbinate fanno parte dell’immagine dell’imprenditore senza scrupoli alleato con gente pericolosa. Il suo guardiaspalle è siciliano e gira armato di pistola. Con Agostinelli ci sono spesso due campani doc, Massimo Venosa e Pasquale Maisto (che saranno poi arrestati insieme a lui). Sono entrambi casertani. Elena li vede tutti insieme, un giorno in cui va a trovare Agostinelli nel suo ufficio. Stanno guardando la tv, sono tesi. In televisione passa la notizia dell’arresto del boss casalese Antonio Iovine. Ancora più agitati sono a dicembre, quando a finire dietro le sbarre è Sigismondo di Puorto. Elena sente Agostinelli molto preoccupato. Salvatore di Puorto, fratello del boss arrestato, è uno dei complici di Agostinelli.

Torniamo al quel primo incontro tra la vittima Burgagni e il suo aguzzino Agostinelli, l’incontro del foglio “ti uccido”. L’urbinate accoglie il sammarinese come un capo, in un bell’ufficio al secondo piano dell’edificio Fincapital. Intestata alla finanziaria è anche l’Audi sulla quale gira di solito. In Fincapital sembra che faccia lui il bello e il cattivo tempo. Ma la società non è sua. Il proprietario occulto, che la controlla tramite dei prestanome, è Livio Baciocchi, finito dentro dopo un indagine della Dda di Napoli che lo accusa di aver riciclato denaro per conto del clan Stolder. Ma Baciocchi negli interrogatori racconta che alla fine del 2010 non controllava più Fincapital. Era stato estromesso. Da Francesco Agostinelli.

Vale la pena aprire una parentesi anche su Baciocchi, per comprendere come, se i magistrati hanno ragione, Agostinelli sia una figura nuova, segno che qualcosa sta cambiando al nord. Quale sia il rapporto di Baciocchi con la criminalità lo racconta lo stesso Burgagni. Il notaio di San Marino è da un lato “la mente criminale che ha commissionato le estorsioni ai danni dei debitori di Fincapital”, ma dall’altro “da riciclatore di questi soggetti si è tramutato in vittima delle estorsioni”. Un percorso simile a quello di Burgagni: ti rivolgi a questi soggetti per recuperare un credito e poi loro cominciano a recuperare crediti da te.

Il notaio Baciocchi racconta, nel novembre 2010, di essere stato picchiato dai fratelli Luciano, gli stessi soci di Burgagni. Dice di essere stato costretto a consegnargli 600 mila euro. Ha avuto l’auto bruciata, come avvertimento. E sono sempre di Baciocchi i cantieri a cui abbiamo accennato all’inizio di questa storia. Quei cantieri che vengono fermati da Burgagni per ordine di Vallefuoco. Mentre dalle intercettazioni Burgagni e Baciocchi sembrano quasi solidali l’uno con l’altro, come se riconoscessero di essere in una situazione simile, Baciocchi ha parole di fuoco per Agostinelli. L’urbinate è un “tumore”, un millantatore senza una lira che si è insidiato nella sua società, togliendola al suo controllo. Si vocifera anche di una qualche scrittura privata che se trascritta, farebbe finire tutte le proprietà di Baciocchi nelle mani di Agostinelli.

Al contrario di questi altri due imprenditori, il notaio-riciclatore-vittima Baciocchi e l’imprenditore-estorto Burgagni, Agostinelli non sembra camminare su questa crina sottile. Sembra che lui sia saldamente aggrapato da una parte. Quella del complice. Come in occasione del pestaggio di Antonio di Fonzo.

La storia la racconta Burgagni ed è confermata a grandi linee anche da Agostinelli, durante gli interrogatori. L’episodio avviene a fine ottobre 2010. A Rimini Agostinelli, il suo guardiaspalle siciliano e due casertani del suo gruppo, Pasquale Maisto e Massimo Venosa, si incontrano con Burgagni. Agostinelli riferisce un episodio: Antonio di Fonzo, un imprenditore campano che conoscono entrambi, avrebbe fatto degli apprezzamenti poco galanti sulle loro signore. Burgagni stenta a crederci e comunque ritiene la cosa poco seria. Agostinelli invece insiste e ordina al suo guardiaspalle di chiamare di Fonzo e di organizzare un incontro. Il giorno dopo si incontrano tutti quanti: Agostinelli e la sua banda, Burgagni e di Fonzo. Subito comincia il pestaggio: Agostinelli prende a pugni così forti di Fonzo che il Rolex che ha al polso gli finisce in pezzi. Nel frattempo il siciliano dice a Burgagni: “Così finisce chi non si comporta bene”. Sembra quasi una scenetta organizzata.

Se i magistrati hanno ragione, allora la storia di Francesco Agostinelli ci racconta come il prospero centro-nord stia attraversando una fase nuova. La mafia non seduce soltanto perché può essere vantaggioso collaborarci. Comincia a sedurre anche l’idea di farne parte, di adottare i loro metodi in prima persona. Burgagni, Baciocchi e molti altri sono per metà complici, ma per metà vittime. Sentono l’odore di soldi facili oppure pensano che le maniere spicce possano aiutarli dove la giustizia non ci riesce. Cercano di sfruttare i campani che arrivano dal sud con amicizie poco raccomandabili, ma in un modo o nell’altro ne vengono travolti. Agostinelli invece no. Agostinelli sembra uno di loro. Impartisce ordini, tratta con loro da pari. Ma non è uno di loro. E’ un imprenditore, è nato a Urbino, 48 anni fa.

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