Quell’avanguardia di mille persone che vuole una città multiculturale
Pubblicato il 22/02/2012
TORINO – “Sono mille anni avanti a noi, sono veloci, sono pratici, e non danno molta importanza al cuore, ma all’anima”. “Amo la Cina e l’Asia Orientale con tutta la mia anima, è il mio presente e sarà il mio futuro, poiché ho ricevuto e ancora ricevo nuove e continue emozioni dai cinesi che mi circondano”. Luca e Maurizio parlano della loro esperienza di vita, legata a doppio filo a quella cinese. Sentire voci come queste a Torino non capita tutti i giorni. Eppure un germoglio di integrazione tra italiani e cinesi è già nato. Come sempre gli apripista sono i più giovani, in una città ormai multiculturale, dove l’immigrazione cinese è arrivata alla terza generazione.
La maggior parte di loro è sbarcata in Italia negli anni ’80, ma la prima immigrazione è avvenuta molto prima, ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Molti li conoscono solo come ristoratori o come venditori di piccoli oggetti, tecnologici e non, nei mercati. Per altri sono compagni di vita, amici. Colpisce scoprire che parte degli abitanti del capoluogo piemontese stia facendo uno sforzo per conoscerli meglio.
Per rispondere a questa domanda, in notevole crescita in questo momento storico, sono sorte decine di associazioni italo-cinesi che insegnano le usanze, i costumi, i modi di vita e organizzano piccoli eventi a cui partecipano sia cinesi che italiani.
Sono 30.000 i residenti cinesi a Torino, 1000 gli italiani che cercano di conoscerli tramite le associazioni. Innanzitutto si imparano i caratteri, poi una cultura millenaria. Chi riesce ad apprendere la lingua, cerca di rapportarsi con le persone. Ma può non bastare. Anche quando l’interesse tra le due culture è reciproco, la distanza di vedute può creare difficoltà di comunicazione insormontabili. “I ragazzi di origine cinese, anche quelli nati e vissuti a Torino – spiega Francesco Davico, insegnante di italiano per cinesi - sono misteriosi: è difficile per un italiano conoscere nel profondo un ragazzo cinese. Anche per chi ha padronanza perfetta della lingua. L’accoglienza è a braccia aperte, ma entrare in intimità, anche impegnandosi è molto molto difficile”.
“La comunità cinese di Torino – spiega Mauro Pascalis, presidente Istituto Italo-Cinese Centroriente – appartiene per lo più è di un livello socio-culturale medio e basso, gli artisti, i letterati come il premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian (che vive in Francia, Ndr), i più benestanti cercano altre destinazioni europee. In realtà sognano l’America, o meglio ancora il Canada dove sorge una nutrita collettività cinese”.
La Cina a Torino non è solo questo. Quella sotto la Mole è una comunità variegata che si può scindere in estrema sintesi in due parti: quella della zona di Porta Palazzo, ossia quella del commercio, dei proprietari di negozi, i cui appartenenti di generazione in generazione si trasmettono il lavoro, e quella della zona universitaria, dove risiedono i ragazzi cinesi che sono qui per studiare al Politecnico.
Tra i quasi 1.200 che affollano le aule di Corso Merditerraneo, più della metà hanno scelto ingegneria (837). ”I cinesi sono molto pratici, studiano le materie che gli possono portare maggior profitto nel futuro e cercano abitazioni vicinissime ai luoghi di lavoro e studio – racconta Davico – questo fa sì che nella zona della Circoscrizione 7, Porta Palazzo, e nei pressi della zona degli studi, si concentri la maggior parte di loro”.
“In questa loro estrema praticità – ci rivela Anna – le relazioni sociali hanno poco spazio. Sono rare, se non per fini commerciali o di studio. Escono pochissimo, se non per nulla. Alcuni pur essendo istruiti e acculturati dall’Università italiana anche dopo 2-3 anni parlano inglese e non italiano. Di sera si chiudono in casa. E’ incredibile, secondo me bisognerebbe obbligarli”.
Sono persone timide, la loro tradizione millenaria gli ha insegnato a vivere secondo le regole e in questo sono molto diversi da noi. A sentire i proprietari di licenze di Porta Palazzo non mancano un pagamento e sono puntualissimi nel rispettare ogni scadenza.
Secondo la piccola Sabrina, 11 anni, unica alunna italiana in una classe, la 5ªE dell’elementare di Via Fiocchetto, a maggioranza cinese, non arrivano mai in ritardo, sono bravi in tutte le materie, fanno sempre i compiti, e se hanno la febbre vanno lo stesso a scuola. Mia figlia – ci racconta Isabella, mamma di Sabrina – sta crescendo con il rispetto delle regole nel sangue, anche con qualche esagerazione: pensa che quando arriva in ritardo scoppia in lacrime”.
Isabella, tre figli di cui due cresciuti in classi metà italiane metà arabe, proprietaria di un bar nei pressi di Via Goffredo Mameli, nel cuore di Porta Palazzo, apprezza tantissimo i cinesi. “Seppur poverissimi mandano i bambini alla Fiocchetto vestiti in maniera rigorosa, sempre con grembiulino e capelli in ordine. Sono molto diversi dagli arabi, consumisti e sporchi”. Li stimo e sono felice che mia figlia cresca con loro.
Sabrina fa parte di una generazione ormai multietnica. Sono in aumento i ragazzini che sono cresciuti e hanno convissuto con stranieri. A 11 anni macina cinese: lo capisce perfettamente come capisce l’arabo, lingua dei compagni di classe della sorella. Le sue amiche sono cinesi. Con alcune ha un’amicizia profonda, con altre meno: “Parlano poco della loro famiglia, vengono a trovarmi a casa, ma a casa loro non mi hanno mai invitata”. La sensazione è che la sua esperienza sia tra le più vicine a quell’integrazione che dovrà essere il futuro.
L’immigrazione dalla Cina verso Torino ha radici vecchie di 30 anni ormai e continua ad essere una tra le maggiori nel capoluogo piemontese (assieme a quelle dell’Albania 14%, Romania 8%, Perù e Filippine 3,5%), arrivando in Italia a velocità bassa, ma costante. Le loro posizioni commerciali (tra negozi, ristorazione e industria) crescono a vista d’occhio. Secondo la camera di commercio sono cresciute in un solo anno del 10% passando dalle 1.294 del 2010 alle 1.418 del 2011.
Sono tre le generazioni che hanno vissuto e vivono sul nostro territorio. Ognuna ha un proprio grado di integrazione. La maggior parte dei cinesi di prima generazione parla appena l’italiano, si fa aiutare dalle giovani leve come Giuseppe, ragazzo di origine cinese nato a Torino. Educato in una scuola italiana, a 21 anni sogna di trasferirsi al mare, in Sardegna. I suoi amici sono italiani, ma non solo, provengono da tutte le culture. In questo la sua storia non è molto diversa da quella di Sabrina.