“Integrazione è dare le stesse opportunità, non solo regole”
Pubblicato il 25/04/2012
TORINO – L’integrazione, anche quella cinese, non trova ostacoli solo nella società. Molto dipende da come reagisce la macchina statale alle migrazioni in genere. Fin dagli anni ’70 l’Italia non ha avuto un modello preciso, come invece accadeva negli stessi anni in Germania, Francia e Inghilterra. A tutt’oggi il nostro paese non ha scelto come affrontare l’immigrazione: non la favorisce e non la ostacola. Di fatto tratta i migranti come non esistessero.
La prima difficoltà che un cinese incontra arrivando a Torino, se vuole integrarsi, è affrontare la lingua, che “conta tantissimo, soprattutto quando è così difficile da apprendere – ci spiega Cristina Delpiano, docente di Italiano L2 (ossia per cinesi) e di tecniche di apprendimento della seconda lingua nel master di Mediazione Interculturale dell’Università di Torino – Se la maggior parte dei cinesi a Torino non conosce l’italiano la colpa è della scuola italiana, che non dà a tutti la possibilità di studiare. Chi viene nel nostro paese non trova un corso di italiano per stranieri, a meno che non vada all’Università di Siena o di Perugia. Ma per arrivarci, deve avere un background cuturale e la possibilità economica di sobbarcarsi un corso del genere”.
Ascolta l’intervista a Cristina Delpiano
Molti cinesi non riescono a rapportarsi con gli italiani per questo motivo e nel tempo libero invece di conoscere coetanei italiani restano in casa a chattare su internet con altri ragazzi che invece parlano la loro lingua. Ma “Succederebbe anche a noi se fossimo immersi in una realtà straniera e non avessimo gli strumenti per affrontare il quotidiano”.
Per insegnare l’italiano in modo rapido la scelta migliore sarebbe predisporre corsi con docenti che conoscano la lingua cinese. Ma mancano i fondi, soprattutto manca una volontà politica. Basti pensare che le cattedre di italiano per stranieri in Italia non esistono. L’unico modo di insegnare l’Italiano L2 per docenti come Delpiano, è avvalersi di una cattedra di sostegno, per svolgere un lavoro ampiamente riconosciuto in realtà integrazioniste come quella francese, ma non nella nostra. Molti minori che migrano a 15, 16 anni a scuola “spesso si trovano con la doppia frustrazione di non avere scelto di vivere in Italia – spesso la scelta è imposta dalla famiglia – e con insuccessi scolastici a cui non erano abituati in Cina, dovuti proprio all’incapacità di assimilare la lingua”.
Il secondo ostacolo sono le leggi: “Dal punto di vista normativo in Cina è tutto più chiaro: tu sai chi regola che cosa. In Italia molti si trovano male quando si tratta di aprire attività commerciali.. Non capiscono il motivo per cui è necessario dare un esame per esercitare una determinata professione ad esempio, nè sanno a chi devono rivolgersi”.
Poi c’è la questione della cittadinanza. “Molti cinesi nascono in Italia. Ci sono giovani che hanno fatto l’asilo, le elementari, le medie e parlano perfettamente italiano con accenti persino inquietanti da Prato a Roma: quale è la differenza con gli altri italiani? – sostiene la Delpiano – Integrazione è poi questo: dare le stesse opportunità, non solo le stesse regole”.
L’unica legge che regola i modi per un minore straniero di diventare italiano, è contenuta all’art. 4 della legge 91/92 e stabilisce che uno straniero nato in Italia e vissuto in Italia con ininterrotta residenza e avendo sempre autorizzazione al soggiorno fino al 18esimo anno di età, al compimento del 18 anno e prima che compia il 19esimo, può decidere di prendere la cittadinanza italiana. “Ma questa regola – spiega l’avvocato Morozzo della Rocca, codirettore della rivista giuridica “gli stranieri – funziona poco e male, perchè esclude tutti i migranti arrivati in Italia a 2 anni, 3 anni, 4 anni, in tenera età, ma non dalla nascita. Inoltre esclude tutti coloro che, pur avendo avuto un permesso di soggiorno regolare, hanno avuto un vuoto di residenza anagrafica. Ricordo – continua Morozzo – la storia di una cittadina cinese nata in Italia, che ha vissuto fino a 15 anni con i suoi genitori in una cittadina del Lazio. Trasferitasi a Roma il padre chiedeva, non appena riuscito ad ottenere un contratto regolare di affitto, sei mesi dopo, la residenza anagrafica. Intanto la ragazza veniva cancellata dall’anagrafe della cittadina Laziale. Questa ragazza al diciottesimo anno aveva un vuoto di sei mesi che le ha impedito di diventare cittadina italiana”.
Vivere in un paese, ma non avere gli stessi diritti di un ragazzo coetaneo, pur essendo nati e vissuti insieme. può disincentivare un giovane cinese, a integrarsi. Si tratta di un’ostacolo ulteriore, dovuto all’inerzia normativa del nostro sistema statale.
In realtà, come sottolinea Morozzo “quando parliamo di stranieri che hanno vissuto in Italia la parte più significativa della loro vita – perchè ci hanno vissuto da bambini e hanno costruito la loro cultura nel nostro paese- noi parliamo di persone che sono già italiane. E’ la legge che non lo riconosce, ma sono cittadini italiani”.