"I miei affari alla larga dai Gheddafi" http://ifg.uniurb.it/network/manfredi I lavori edili della Pascucci&Vannucci si sono bloccati con la guerra in Libia. Una sorte comune ad altre aziende italiane in un Paese dalle potenzialità molto attraenti per la nostra economia Thu, 27 Mar 2014 17:42:41 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 I lavori edili della Pascucci&Vannucci si sono bloccati con la guerra in Libia. Una sorte comune ad altre aziende italiane in un Paese dalle potenzialità molto attraenti per la nostra economia "I miei affari alla larga dai Gheddafi" no I lavori edili della Pascucci&Vannucci si sono bloccati con la guerra in Libia. Una sorte comune ad altre aziende italiane in un Paese dalle potenzialità molto attraenti per la nostra economia "I miei affari alla larga dai Gheddafi" http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/network/manfredi Zauia, la guerra nel cantiere http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/19/le-foto-del-cantiere-a-zauia/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/19/le-foto-del-cantiere-a-zauia/#comments Thu, 19 Apr 2012 13:47:55 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=233

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“Dovevo scavare e lavorare, ma ho conosciuto la guerra” http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/13/dovevo-solo-scavareho-conosciuto-la-guerra/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/13/dovevo-solo-scavareho-conosciuto-la-guerra/#comments Fri, 13 Apr 2012 15:43:50 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=118 FOTO Zauia, la guerra nel cantiere]]> Simone Santini, escavatorista per la Pascucci&Vannucci, è fuggito da Tripoli allo scoppio della guerra: “Ho sentito gli spari sotto la mia fienstra e ho avuto paura”. Arrivato in Libia per lavorare due mesi al cantiere dell’ospedale di Zauia, è tornato in Italia dopo venti giorni

Foto di Matteo Vannucci

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Dal mercato libico sotto il Raìs a una possibile “nuova Dubai” http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/12/dal-mercato-libico-sotto-il-raisa-una-possibile-nuova-dubai/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/12/dal-mercato-libico-sotto-il-raisa-una-possibile-nuova-dubai/#comments Thu, 12 Apr 2012 09:23:00 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=92 Il ristagno economico della Libia, mercato potenzialmente prezioso, ricade anche sull’Italia. La Pascucci&Vannucci ha dovuto abbandonare i suoi lavori edili a causa della guerra. Come tante altre piccole e medie imprese, non sa ancora quando potrà ricominciare a lavorare

Il campo base del cantiere a Zauia

MACERATA FELTRIA – 20 febbraio 2011. Simone Santini fugge da Tripoli, va all’aeroporto e aspetta due giorni il primo volo per l’Italia. Un aeroporto mai stato così affollato. Dopo 42 anni di regime di Muammar Gheddafi, in Libia sta scoppiando la guerra civile. “Ho sentito dei colpi da vicino come mai nella mia vita – racconta Simone – e ho avuto paura. Sono andato lì per guidare un escavatore e mi sono ritrovato in mezzo a una guerra”.

AUDIOGALLERIA “Sono andato là solo per scavare, invece ho conosciuto la guerra”

Simone Santini era a Tripoli come escavatorista per la Pascucci&Vannucci, impresa edile per costruzioni civili e industriali con sede a Macerata Feltria, in provincia di Pesaro Urbino. Al momento dello scoppio della guerra, la Pascucci&Vannucci aveva appena iniziato i lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento dell’ospedale di Zauia, città a 50 chilometri da Tripoli. A novembre avevano spedito in Libia i mezzi necessari e a febbraio dovevano cominciare i lavori o sarebbero scaduti i termini del contratto.

Venti giorni dopo l’apertura del cantiere è scoppiata la guerra: l’azienda non è più riuscita a ottenere le fidejussioni per procedere perdendo così l’anticipo del 15% del contratto. “Siamo arrivati fino a oggi facendo i salti mortali – ammette Matteo Vannucci, uno dei titolari dell’azienda insieme al padre e ai fratelli – vendendo e ipotecando tutto ciò che avevamo perché abbiamo fatto un debito enorme con i fornitori italiani. Ci hanno preso 200mila euro di mezzi lasciandoci un foglio con scritto che finita la guerra ci avrebbero risarcito. Ma la guerra non l’hanno vinta loro”.

Matteo Vannucci: “In Libia guadagno sicuro fino allo scoppio della guerra”

Bab al Aziziyah, quartier generale di Gheddafi, distrutta

Quello libico era un mercato particolare nel quale la Pascucci&Vannucci lavorava da anni seguendo una propria precisa filosofia: mai entrare in affari in cui sono coinvolti Gheddafi o i suoi figli. “Questo è l’insegnamento fondamentale – continua Matteo Vannucci – che ci ha tramandato mio padre: Gheddafi e i suoi figli sono troppo potenti e noi, ai loro occhi, saremmo sempre ricattabili”. Un potere così forte, quello del Raìs e della sua famiglia, che ha alterato tutto il sistema economico. “La peculiarità – spiega Umberto Bonito, responsabile dell’Istituto del commercio estero di Tripoli – del mercato durante il regime era quella di fare buone leggi e non applicarle. Se in generale il sistema economico premiava e premia ancora le relazioni personali, i lavori per le grandi opere venivano addirittura assegnati per chiamata diretta della famiglia, anche se una legge sugli appalti esisteva ed era ben fatta”.

Umberto Bonito: “Ice, la stagnazione è l’eredità di Gheddafi”

Le difficoltà della Pascucci&Vannucci oggi sono le stesse di tante piccole e medie imprese italiane. A gennaio 2012, la camera di commercio italo-libica ha mandato una lettera al governo e a tutte le imprese italiane interessate sulla questione dei crediti e sospesi delle aziende nazionali in Libia al 2011. La situazione per loro non è ancora risolta perché in Libia è tutto bloccato. “Tutti aspettano – continua Umberto Bonito – di conoscere se e quando possono ricominciare a lavorare e soprattutto se e quando saranno pagati i crediti pregressi. Ora però in Libia c’è un pericoloso ristagno economico: tutto è fermo in attesa delle elezioni e ancora sono quotidiani gli scontri fra le varie fazioni che lasciano sul campo morti e feriti. Il governo transitorio doveva controllare tutti i contratti sottoscritti con Gheddafi per vedere se c’erano elementi di corruzione e, in caso negativo, confermarli. Ma ancora non è riuscito a mettere in cantiere un solo progetto”.

L’incognita sul futuro scenario della Libia rimane un problema per le imprese e quindi per ttto l’interscambio commerciale. Dal 2010 al 2011, l’export italiano nel paese nordafricano è sceso del 78,3%: tra gennaio e ottobre 2010 era 2 milioni e 119mila euro, tra gennaio e ottobre 2011 è precipitato a 460mila euro. L’export dalla regione Marche in Libia è quasi dimezzato, passando dai 45.106.340 euro nel 2010 a 26.326.802 euro nel 2011. In particolare, la provincia di Pesaro Urbino nel 2010 ha esportato in Libia 24.736.529 euro di merce che nel 2011 sono scesi a 18.499.491.

GRAFICI L’export dall’Italia crolla e dalla regione si dimezza

Parte della costa libica a Tripoli

Eppure, già con Gheddafi il mercato libico era molto appetibile per gli italiani e ora, considerando il businessdella ricostruzione, potenzialmente, potrebbe risollevare le sorti di molte aziende italiane in crisi. “I libici – dice Matteo Vannucci – preferiscono noi italiani perché ci sentono culturalmente più vicini, quindi per noi le possibilità di lavoro sarebbero enormi. La Libia può essere la nuova Dubai, e anche meglio: ha una ricchezza enorme solo per 6 milioni di abitanti, è più vicino all’Europa e solo con il gas e il petrolio potrebbe diventare un gioiello del Mediterraneo. Se il nuovo governo trattenesse anche solo il 20% della ricchezza del paese, e non l’80% come faceva Gheddafi, ci sarebbe uno sviluppo straordinario”.

Uno sviluppo straordinario che deve prima fare i conti con l’eredità lasciata da Gheddafi. “Manca ancora – spiega Umberto Bonito da Tripoli – un solido sistema sia politico che legislativo: non è chiaro quali siano le norme applicabili, né dove e quando poterle applicare. Oggi l’economia libica si basa sull’anarchia e l’invadenza, sui capricci dei funzionari o delle istituzioni, spesso in contrapposizione tra di loro. Serve del tempo: io credo che l’economia del paese non ripartirà prima di gennaio 2013”.

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“In Libia guadagno assicurato, fino allo scoppio della guerra” http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/07/la-pascuccivannucci-nel-mercato-libico/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/07/la-pascuccivannucci-nel-mercato-libico/#comments Sat, 07 Apr 2012 14:15:46 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=17 Matteo Vannucci racconta la sua esperienza nel mercato libico, “scelto perché pensavamo fosse il paese più stabile al mondo, visti i 42 anni di dittatura”. Lo scoppio della guerra ha messo in grande difficoltà la sua piccola impresa di Macerata Feltria, Pascucci&Vannucci

Matteo Vannucci in piazza del Martiri, a Tripoli, pochi giorni dopo la morte di Gheddafi

MACERATA FELTRIA – Come si fanno affari in un paese con un regime di autocrazia militare come la Libia? “Tenendosi lontano dal Raìs e la sua famiglia, che con il loro smisurato potere possono ricattare chiunque”. Questa era la ricetta per lavorare in Libia della Pascucci&Vannucci, azienda di Macerata Feltria con una lunga esperienza nel mercato libico.

La sua prima volta nello stato nordafricano precede il colpo di stato di Muammar Gheddafi: è sbarcata in Libia nel ’68, per poi tornare negli anni ’80 fino al 2006 e di nuovo nel 2008.

MAPPA: le costruzioni della Pascucci&Vannucci in Libia

Dormitori universitari, ospedali, ma anche forniture (soprattutto scolastiche e sanitarie): questi i lavori che l’azienda ha realizzato nel paese di Gheddafi. E la lista doveva proseguire. Insieme a una serie di progetti di costruzioni civili già approvati, pochi mesi prima dello scoppio della guerra, la Pascucci&Vannucci aveva iniziato i lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento dell’ospedale di Zauia, città a 50 chilometri da Tripoli. Un lavoro ancora bloccato che ha messo in seria difficoltà l’azienda. A raccontare la sua esperienza nel mercato libico è Matteo Vannucci, titolare della Pascucci&Vannucci insieme al padre e ai due fratelli.

I lavori per l’ospedale di Zauia sono iniziati a novembre 2010 e sono stati abbandonati a causa della guerra a febbraio 2011. Che conseguenze ha avuto per la vostra azienda?
“Non avendo incassato alcun anticipo sui lavori, abbiamo accumulato un debito enorme con i fornitori italiani e stiamo facendo i salti mortali per andare avanti, vendendo e ipotecando tutto. Dovevamo depositare delle fidejussioni per avere l’anticipo del 15% del contratto che serviva per pagare i mezzi ma, nel momento in cui è scoppiata la rivolta, abbiamo avuto difficoltà a farle. I fornitori hanno capito la situazione ma loro hanno venduto i mezzi a noi, non in Libia”.

L'edificio dei tecnici che lavoravano all'ospedale di Zauia distrutto dai combattimenti

Quanto avete perso con questo fermo di più di un anno?
“Il danno è enorme soprattutto per gli interessi che paga il debito con i fornitori: anche se un giorno incasseremo, guadagneremo un decimo di quanto speravamo. La perdita fissa sono invece i 200mila euro di mezzi; un manitu, un muletto e un carrellone, rubati appena sbarcati al porto di Tripoli. Zauia è stata prima conquistata dai ribelli e poi ripresa da Gheddafi che non l’ha più mollata fino alla fine. La città era un punto strategico perché ha la raffineria più grande della Libia: alla fine le forze del regime si sono rifugiate dentro l’ospedale. Hanno preso anche i nostri mezzi lasciandoci un foglio con scritto che finita la guerra ci avrebbero risarcito. Ma la guerra non l’hanno vinta loro”.

Nel 2005 avete lasciato la Libia per investire principalmente in Italia, poi nel 2008 ci siete tornati. Perché questa scelta?
“Volevamo tornare all’estero e vedevamo la Libia come il paese più stabile al mondo, essendoci una dittatura da 42 anni. Tra l’altro, avendoci già lavorato, eravamo facilitati: siamo rientrati nel mercato senza difficoltà perché mio padre si era costruito un’ottima reputazione. Dal 2008 allo scoppio della guerra è stato infatti il periodo di attività più intensa: insieme all’ospedale, abbiamo progettato la costruzione di una libreria nel centro di Tripoli, un parcheggio al servizio dell’ospedale centrale cittadino e uno stadio di calcio fuori dalla città”.

Qual era la vostra formula per riuscire a lavorare in Libia?
“La filosofia che ci ha insegnato mio padre prevedeva una regola fondamentale: mai accettare lavori in cui è coinvolto Gheddafi o la sua famiglia. Loro sono troppo potenti e noi saremmo stati sempre ricattabili. E questo valeva ancor più per i suoi figli: troppo inaffidabili e lunatici, come bambini capricciosi ma più potenti di imperatori”.

Un manifesto a Tripoli, prima della guerra, celebrava il trattato d'amicizia Italia-Libia

Dopo la morte di Gheddafi, sui media si parla molto meno di Libia, eppure la situazione laggiù è ancora molto incerta.
“Diversi progetti avviati con Gheddafi sono stati confermati e rifinanziati, quindi c’è una continuità. Per esempio, il progetto di ricostruzione dell’ospedale di Zauia è semplicemente passato da una società a un’altra, cambiando capo, ma le persone sono rimaste le stesse. Però nella pratica si aspetta il nuovo governo per ripartire con i lavori, quindi è tutto bloccato”.

Com’era il mercato libico durante il regime?
“Molto particolare. In Libia si lavora solo per conoscenze: contano reputazione, affidabilità e rapporti personali. I libici vogliono parlare con la proprietà, non con gli amministratori delegati: a parte le grandi aziende come l’Eni, per le piccole e medie imprese sono i titolari che devono andare là a conoscere i clienti. I libici si considerano i migliori del Nord Africa: per loro gli egiziani e i tunisini sono la manovalanza. Noi italiani, almeno fino a prima della guerra, eravamo i loro preferiti tra gli europei, perché ci sentono culturalmente più vicini”.

La Libia quindi era un paese attraente per gli investimenti italiani, ma non sono così tante le nostre aziende che lavorano là. Quali sono le difficoltà più grandi per le imprese italiane?
“La burocrazia. Il nostro Governo prima ha incentivato gli investimenti là e poi, a noi piccole imprese, ci ha abbandonato. Dopo la guerra non ci è arrivato nessun aiuto concreto e chi resiste lo fa con mezzi propri. Il Governo ci ha spinto là con la firma del Trattato di amicizia senza poi tutelarci: ci sono ancora i soldi di Gheddafi e della sua famiglia in Italia, perché ci abbandonano così? Già un piccolo esempio di questo atteggiamento si è visto nel momento in cui per far rientrare in Italia i nostri tecnici bloccati all’aeroporto di Tripoli, appena scoppiata la guerra, ci siamo dovuti muovere da soli, perché per avere l’aiuto del Governo bisognava aspettare troppe lentezze burocratiche”.

La storia di Simone Santini, escavatorista in Libia

I festeggiamenti in piazza dei Martiri, a Tripoli, dopo la morte di Gheddafi

Come vede il futuro mercato libico?
“La Libia ha enormi potenzialità: è meglio di Dubai, perché ha la stessa ricchezza ma per soli 6 milioni di abitanti. Inoltre è più vicina all’Europa, si affaccia sul Mediterraneo, ha il deserto più bello del mondo e una costa lunga e incantevole, ma ancora non ha turismo. E neanche ne ha bisogno: solo con il gas e il petrolio potrebbe diventare il gioiello del Mediterraneo. Con il regime di Gheddafi, lo stipendio medio era quasi ai livelli italiani, ma con Gheddafi che assorbiva quasi l’80% delle ricchezze: se il nuovo governo trattenesse anche solo il 20%, ci sarebbe uno sviluppo straordinario. Gheddafi inoltre investiva male, perché l’unico scopo di una fornitura era arricchire chi la faceva: per esempio a noi chiedevano un numero di forniture di banchi di scuola esageratamente superiore agli studenti e alle necessità. C’è tutto un settore privato da sviluppare: con il nuovo governo, molti privati libici con conti in Svizzera o a Dubai potranno rientrare con i loro capitali e investirli, perché l’imprenditorialità non manca”.

L’intervista al direttore dell’Ice di Tripoli, Umberto Bonito

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Ice: “L’economia è in ristagno e tutti aspettano le elezioni” http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/06/ice-leconomia-ristagnain-attesa-delle-elezioni/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/04/06/ice-leconomia-ristagnain-attesa-delle-elezioni/#comments Fri, 06 Apr 2012 16:32:40 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=99 L’economia della Libia non ripartirà prima di gennaio 2013. A sostenerlo è il responsabile dell’ufficio dell’Ice di Tripoli, Umberto Bonito, che racconta l’eredità lasciata da Gheddafi al paese nordafricano e le sfide che dovrà affrontare il futuro governo

La sede principale dell'Ice a Roma

URBINO – L’Ice, ex Istituto del commercio estero oggi agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, è l’ente preposto a sviluppare i rapporti commerciali italiani con l’estero, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese. L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, voleva sopprimere l’ente che l’attuale governo Monti ha invece rinnovato con la legge del dicembre 2011: seppur in gestione provvisoria, le attività e le finalità dell’ente sono confermate. Il responsabile dell’ufficio Ice di Tripoli, Umberto Bonito, racconta l’eredità che ha lasciato Gheddafi al paese.

Finita la guerra e morto Gheddafi, i mezzi di comunicazione hanno dimenticato la Libia e la sua situazione economica. Dopo la visita del presidente del Consiglio Mario Monti e dell’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, il business della ricostruzione e i problemi dei crediti sospesi delle piccole e medie imprese italiane sono rimasti temi poco trattati. Qual è la situazione della Libia oggi?
“Il post-rivoluzione sta mostrando una nazione martoriata. La Libia è matura per la ricostruzione ma, dal giorno della morte di Gheddafi, è in ristagno economico: la situazione impone alle autorità libiche di concentrarsi solo su interventi di ripristino dei servizi di prima necessità. Il settore privato si sta lentamente organizzando ma è ancora piccolo e reticente; spaventato anche dalla stagnazione del paese. Il settore pubblico invece è gonfio e inefficiente ed è deformato da un sistema che premia le relazioni personali. L’interesse a fare qualcosa di nuovo resta forte, ma deve scontrarsi con il ristretto bilancio statale, senza contare che gli enti e le ditte legate alla famiglia Gheddafi dovevano essere completamente azzerate, ma sono ancora in vita. Praticamente è tutto fermo in attesa delle elezioni (che se confermate saranno dal 19 al 23 giugno): non si firmano contratti nuovi, si discute solo su quelli vecchi. Credo che l’economia del paese non ripartirà prima del 2013”.

In questo contesto, quali dovranno essere le priorità della futura leadership?
“Il sistema economico libico vira tra anarchia e invadenza, sulla base dei capricci dei funzionari o delle istituzioni, spesso in contrapposizione tra loro. La nuova leadership dovrà, prima di tutto, stabilire un solido sistema legale e normativo. Per le imprese sono necessarie regole chiare che coprano, ad esempio, le partnership e il rimpatrio dei capitali. L’attuale contesto normativo non piace a nessuno (né ai libici, né agli stranieri) e sicuramente per un paio d’anni si faranno nuove leggi che a volte si sovrapporranno, ma tutto questo è necessario perché non è ancora chiaro quali siano le norme applicabili, né dove e quando poterle applicare. C’è anche un problema di sicurezza interna da risolvere prima possibile. A Tripoli ci sono migliaia di miliziani armati e sono quotidiane le scaramucce fra le varie fazioni che lasciano sul campo morti e feriti e, recentemente, queste scaramucce si sono allargate anche ad altre zone del paese”.

Molte piccole e medie imprese italiane che lavoravano con la Libia sono in difficoltà. Quali sono i loro problemi?
“Tutti sono in attesa di conoscere se e quando possono ricominciare a lavorare e, sopratutto se e quando saranno pagati i crediti pregressi. Il Governo di Transizione, nominato dal Consiglio nazionale di transizione (Cnt) lo scorso ottobre, ha dichiarato che il loro compito era quello di portare il paese verso le elezioni, assicurare l’ordinaria amministrazione e provvedere alle opere civili ritenute prioritarie (scuola, ospedali e caserme), senza firmare nuovi contratti strategici, “un compito del governo legittimamente eletto dal popolo”. Il Governo Transitorio si è anche impegnato a confermare tutti i contratti sottoscritti dal Governo gheddafiano, ma solo dopo avere verificato che “non contengano elementi di corruzione”. Risultato: non è ancora riuscito a mettere in cantiere un solo progetto. Per le aziende italiane, la difficoltà maggiore è lo “scenario futuro” che è ancora un’incognita, soprattutto perché potrebbe variare a seconda delle “inclinazioni” di coloro che vinceranno le elezioni. Il partito “islamico”, ostacolato da Gheddafi, si sta organizzando grazie all’aiuto del Qatar e rappresenta un pericolo anche per molti libici”.

La banca centrale libica a Tripoli

Il funzionamento delle banche libiche e le sue diversità da quello delle banche italiane è unulteriore fattore di difficoltà per le aziende italiane?
“Le incongruenze sono notevoli. Il sistema bancario libico è antiquato. Le transazioni che dovrebbero richiedere secondi prendono ore o addirittura giorni. Non esistono carte di credito, il bancomat si è affacciato da poco e tutto si deve pagare in contanti. Per quanto riguarda le emissioni delle garanzie bancarie e delle lettere di credito invece, le procedure (anche di natura burocratica) sono simili a quelle italiane, ma i tempi sono doppi”.

 

Come funzionava e che particolarità aveva invece il mercato durante il regime di Gheddafi?
“Con Gheddafi il mercato aveva una sua specifica peculiarità: fare buone leggi e non applicarle. Vigeva il sistema dei furbetti. Chi aveva entrature importanti faceva tutto quello che interessava fare, anche se contrario alla legge. Addirittura i grandi lavori (ferrovie, infrastrutture, opere pubbliche importanti) venivano assegnati dalla “famiglia” a chiamata diretta, anche se la legge sugli appalti pubblici esisteva ed era ben fatta. Di queste chiamate dirette ne hanno usufruito in molti (cinesi e russi per le ferrovie, brasiliani, francesi, turchi e italiani). Per quanto riguarda invece i contratti ottenuti senza chiamata diretta, era prassi comune chiedere le provvigioni e pagarle anche se in nero perché illegali”.

Cosa cambia dal vecchio Ice alla nuova Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione?
“Le differenze importanti, oltre alla mancanza di finanziamenti, sono due: il personale è dimezzato di oltre il 50% e all’estero ci hanno tolto l’autonomia: ieri decidevo, oggi devo chiedere il permesso all’ambasciata”.

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La rivolta blocca l’economia così l’export dall’Italia crolla http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/02/22/rivolta-blocca-economia-export-crolla/ http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/2012/02/22/rivolta-blocca-economia-export-crolla/#comments Wed, 22 Feb 2012 22:42:17 +0000 manfredi http://ifg.uniurb.it/network/manfredi/?p=1 I nove mesi di guerra hanno paralizzato l’interscambio commerciale tra Italia e Libia. L’export dall’Italia nel paese nordafricano è crollato, quello dalla regione Marche si è dimezzato e anche la provincia di Pesaro Urbino ha perso diversi milioni

Il pugno chiuso, simbolo del regime di Gheddafi, portato a Misurata dai ribelli

PESARO – Nel 2011 la guerra in Libia ha fatto precipitare le esportazioni nello stato nordafricano: in calo le merci provenienti dall’Italia così come quelle dalla regione Marche e dalla provincia di Pesaro Urbino.

L’export italiano in Libia è sceso del 78,3% dal 2010 al 2011: i 2.119 milioni di euro esportati tra gennaio e ottobre 2010 sono diventati 460 milioni di euro tra gennaio e ottobre 2011. L’export dalla regione Marche in Libia è invece quasi dimezzato, passando dai 45.106.340 euro nel 2010 a 26.326.802 euro nel 2011. Anche la provincia di Pesaro Urbino ha registrato il calo passando dai 24.736.529 euro di merce esportati nel 2010 a 18.499.491 nel 2011.

Petrolio, infrastrutture, meccanica, beni strumentali e costruzioni: questi i settori in cui operano le circa 100 imprese italiane presenti (in modo stabile e diretto) nel mercato libico secondo i dati della Camera di commercio italo-libica. Leggendo le stime dell’associazione (elaborate sui dati dell’Economist intelligence unit e del Fondo monetario internazionale), il Pil della Libia è sceso da 71,3 milioni di dollari nel 2010 a 59,3 milioni di dollari nel 2011, per poi risalire a 81,9 nel 2010. Il tasso di crescita del Pil quindi se nel 2011 era del -27,6%, nel 2012 è arrivato a 21,9%, con un indebitamento netto del 10,4% del Pil.

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