E la chiamano accoglienza http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza L'odissea dei migranti che chiedono protezione al nostro Paese Wed, 07 May 2014 16:31:42 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 L'odissea dei migranti che chiedono protezione al nostro Paese E la chiamano accoglienza no L'odissea dei migranti che chiedono protezione al nostro Paese E la chiamano accoglienza http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza Mappa Cara http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/21/mappa-cara/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/21/mappa-cara/#comments Mon, 21 Apr 2014 16:17:53 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=260

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Mappa strutture temporanee http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/mappa-strutture-temporanee/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/mappa-strutture-temporanee/#comments Sun, 20 Apr 2014 20:34:43 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=235

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Come funziona il diritto d’asilo in Svezia http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-svezia/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-svezia/#comments Sun, 20 Apr 2014 20:02:18 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=227 [continua a leggere]]]> In Svezia, nel 2012 sono state 43.945 le domande di asilo presentate dai migranti. E’ il terzo Stato in Ue con il più alto numero di rifugiati: attualmente sono 93.000.

Come funziona il sistema. Lo Swedish Migration Board, l’ufficio immigrazione svedese, è l’istituzione a cui spetta il compito dell’accoglienza. Una volta che il richiedente asilo presenta la domanda, l’unità di accoglienza (Reception Unit) gli fornisce informazioni pratiche sul suo soggiorno e lo mette a conoscenza dei suoi diritti. Viene garantita la presenza di un interprete e il richiedente può scegliere il sesso dei rappresentanti delle istituzioni che lo assisteranno. Può, inoltre, contattare in qualsiasi momento le organizzazioni non governative per chiedere consiglio e supporto.

Successivamente viene convocato per un’intervista conoscitiva, in cui deve spiegare le motivazioni che lo hanno spinto a scappare dal proprio Paese di origine. L’attesa di una risposta da parte del Swedish Migration Board può durare fino ad un massimo di 6 mesi. In Italia anche due anni.

Nel caso in cui la domanda dovesse essere rifiutata, il richiedente può presentare ricorso alla Migration Court. E’ possibile un ulteriore grado di appello alla Migration High Court.

Durante l’attesa, ha diritto all’accoglienza in alloggi condivisi con altri migranti, simili ai nostri Sprar. Gli viene dato un assegno giornaliero che copra le spese per il cibo, i vestiti, l’igiene personale e tutto ciò di cui ha bisogno. Il denaro viene depositato su un conto e viene rilasciata una carta di credito. Il richiedente asilo ha quindi la libertà di spendere il denaro come desidera.

Una volta ottenuta la protezione, ai rifugiati viene garantita la residenza permanente. Il piano di integrazione prevede corsi di lingua, assistenza economica e aiuto nella ricerca di un impiego. Il programma dura in media due anni, ma il termine dell’accompagnamento viene valutato caso per caso. In Italia solo sei mesi.

Le cure emergenziali vengono garantite gratuitamente, come quelle ginecologiche, prenatali e dentali. Per tutte le altre visite a pagamento la spesa massima possibile è di 50 corone (circa 6 euro). Ma non solo. Se il rifugiato dovesse trovare lavoro in una città dove non vi sono alloggi predisposti all’accoglienza, il Migration Board concede un supporto economico per trovare casa.

Esiste anche un ufficio, lo Swedish Public Employment, incaricato di aiutare il rifugiato a trovare un lavoro. Si può chiedere la cittadinanza svedese dopo 4 anni di residenza. La Svezia si dimostra così uno dei Paesi europei con i migliori percorsi di integrazione per rifugiati e migranti.

COME FUNZIONA L’ACCOGLIENZA IN EUROPA
ITALIA | GERMANIAFRANCIA| SVEZIA

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Come funziona il diritto d’asilo in Francia http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-francia/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-francia/#comments Sun, 20 Apr 2014 20:01:41 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=225 [continua a leggere]]]> La Francia è il secondo stato europeo con più richiedenti asilo in Europa dopo la Germania: nel 2012 le domande sono state 61.450.

Come dovrebbe funzionare il sistema dell’accoglienza. Prima di poter presentare la domanda di asilo in prefettura, il migrante deve comunicare la propria  residenza. Secondo il rapporto della Cnda (Cour Nationale du Droit d’Asile) “Droit d’asile en France: conditions d’accueil. Etat des lieux 2012″ il tempo necessario per ottenerla può durare anche 5 mesi. Subito dopo, al migrante viene rilasciata un’Aps (autorizzazione provvisoriaal soggiorno) di un mese. Il richiedente deve inviarla entro 21 giorni all’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides), l’organo che concede al migrante lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Nel 2011 il tempo medio necessario per prendere una decisione ha oscillato fra i 3 e i 7 mesi.

Dopo aver inviato la richiesta all’Ofpra, il migrante aspetterà di entrare nei Cada, (Centre d’accueil pour demandeurs d’asile), simili ai nostri Cara. Nell’attesa, ha diritto a ricevere l’Ata (Allocation temporaire d’attente), un contributo economico di 11,01 euro al giorno. Può anche chiedere alloggio in un centro di accoglienza emergenziale (hébergement d’urgence).

In Francia esistono circa 300 centri di accoglienza riservati ai richiedenti asilo, per un totale di circa 21.500 posti. Sono finanziati dallo Stato e affidati in gestione ad associazioni. I migranti vengono ospitati sia in strutture collettive che in appartamenti. L’accoglienza nel Cada è garantita per l’intera  durata della procedura di asilo, compreso l’eventuale ricorso.

Il richiedente deve lasciare il centro entro un mese se non ha ottenuto la protezione,  entro tre mesi, prolungabili per altri tre, se la risposta è positiva. Nel 2010 secondo il sito Vie di Fuga,  il tempo medio di permanenza nei Cada è stata di 586 giorni, più di un anno e mezzo.

I migranti hanno accesso al mercato del lavoro se la domanda di asilo non è ancora stata esaminata da più di un anno o se si trovano in fase di ricorso. Devono però richiedere l’autorizzazione al lavoro alla prefettura che può anche rifiutarla: se il tasso di disoccupazione nella regione francese in cui è stata presentata è troppo alto o il settore in cui si vuole lavorare secondo le autorità è saturo, viene negato il permesso.

Una volta ottenuta una forma di protezione, il rifugiato deve recarsi presso l’Ufficio francese dell’immigrazione per sottoscrivere il contratto di accoglienza e integrazione che prevede una giornata di formazione civica sui valori della Repubblica francese, una sessione informativa sulla vita in Francia, un corso di lingua francese di 400 ore.

Chi ha ottenuto lo status di rifugiato, ottiene un permesso di soggiorno valido per 10 anni. Chi invece ha la protezione sussidiaria riceve una carta di soggiorno temporaneo della durata di un anno. I rifugiati possono chiedere immediatamente la nazionalità francese; i beneficiari di protezione sussidiaria dopo cinque anni di residenza. Occorre comunque dimostrare di conoscere la lingua francese ed essere integrati nella società.

Come funziona il sistema dell’accoglienza nella realtà. L’ostacolo maggiore per i migranti in Francia è rappresentato dall’obbligo di dover indicare un domicilio, che può essere anche la sede di una associazione, per inoltrare la richiesta d’asilo. Nell’attesa di ottenerlo,  dormono in strada e non hanno accesso ad alcun tipo di assistenza.

I migranti sono inseriti in una lista d’attesa per entrare nei Cada. L’ammissione ai centri è decisa sulla base di “criteri di urgenza sociale”. Viene data priorità alle famiglie con figli piccoli, ai neo-maggiorenni soli, ai richiedenti con problemi di salute, alle donne sole, a chi è appena arrivato e a chi ha chiesto il riesame.  Come in Italia, i tempi per ottenere una forma di protezione possono durare anche più di un anno. In questo periodo i migranti non possono lavorare. I Cada sono “i luoghi dell’attesa”, come li ha definiti l’antropologa  Carolina Kobelinsky, esperta in politica di accoglienza e assistenza dei richiedenti asilo in Francia. I richiedenti asilo passano, infatti, le loro giornate senza svolgere nessuna attività.

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Come funziona il diritto d’asilo in Germania http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-germania/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-germania/#comments Sun, 20 Apr 2014 20:01:04 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=223 [continua a leggere]]]> La Germania è lo Stato europeo che nel 2012 ha accolto più richiedenti asilo: sono state presentate 77.650 domande. L’articolo 16 della Costituzione tedesca riconosce il diritto di protezione ai perseguitati politici. E’ il ministero dell’Immigrazione tedesco, attraverso le sedi distaccate in tutto il Paese, a decidere o meno il riconoscimento dello status di rifugiato.

Come dovrebbe funzionare il sistema dell’accoglienza. Una volta presentata la domanda di asilo alla polizia, i richiedenti sono accolti in uno dei 20 centri di prima accoglienza presenti in Germania. Possono rimanere lì fino a un massimo di tre mesi, dopo vengono trasferiti in uno dei centri di seconda accoglienza sparsi per il Paese secondo un sistema di quote nazionali.

Vicino a ognuna di queste strutture si trova un ufficio del ministero dell’Immigrazione, dove viene effettuata la richiesta di asilo politico. Quella è anche la sede dell’audizione nel corso della quale un funzionario del Ministero, con l’aiuto di un traduttore, ascolta la storia del richiedente asilo e decide del suo futuro. Esattamente come avviene in Italia con le Commissioni territoriali.

Se ottiene il riconoscimento, il richiedente ha diritto a un permesso di soggiorno che può durare fino a un massimo di tre anni.  Dopo, i rifugiati politici possono ottenerne uno a tempo indeterminato. In Italia invece il permesso dura cinque anni, al termine dei quali si può richiedere la cittadinanza italiana.

Come funziona nella realtà il sistema dell’accoglienza. Alla fine del 2012, nella piazza di Oranienplatz, nel quartiere alla moda di Kreuzberg a Berlino, alcuni richiedenti asilo hanno allestito una trentina di tende. In alto hanno appeso dei cartelli: “Noi siamo qui” e “Nessuno è illegale”. Da due anni ormai quella è la casa di centinaia di rifugiati provenienti da diverse parti del mondo. La loro è una protesta silenziosa: chiedono di avere il permesso di lavorare in attesa di ottenere la protezione.

Durante questo periodo, che può durare anche più di due anni perché la legge non stabilisce un limite temporale, hanno l’obbligo di residenza nei centri d’accoglienza e non hanno diritto a frequentare corsi di lingua tedesca. “Le regole sono fatte in modo da trasmettere ogni giorno il messaggio: qui non siete graditi. La loro è una prigione invisibile”,  ha affermato padre Frido Pflüger, responsabile per la Germania del Jesuits Refugee Service.

I richiedenti asilo che continuano a protestare a Berlino vivono in centri d’accoglienza sovraffollati che sorgono nelle periferie delle grandi città o nei paesini più remoti, hanno il divieto assoluto di spostarsi in altre località. Ma la paura più grossa per loro è quella di essere espulsi. Secondo la Convenzione di Dublino, il migrante deve chiedere asilo nel primo Stato che in cui arriva. Pochi riescono a superare le frontiere del Mediterraneo senza essere identificati prima in Italia, in Grecia, in Spagna o a Malta. Nel 2013, secondo l’Agenzia Federale per l’immigrazione e i rifugiati (BAMF), più di 127.000 persone hanno chiesto asilo politico in Germania. 

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Come funziona il diritto d’asilo in Italia http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-italia/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/scheda-italia/#comments Sun, 20 Apr 2014 20:00:26 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=221 [continua a leggere]]]> Secondo l’Unhcr in Italia sono presenti 47.000 rifugiati. Sono persone che fuggono da persecuzioni, torture o guerre. Una volta arrivate nel nostro Paese, devono presentare domanda di protezione  alla Polizia di frontiera alla Questura.

Nel frattempo, sono accolti in strutture temporanee. Spesso sono tendopoli, stabili industriali o hangar del porto. La richiesta sarà, poi, verbalizzata attraverso un modello, detto C3, che contiene informazioni di carattere anagrafico e qualche domanda sulle cause che hanno spinto il richiedente ad allontanarsi dal proprio Paese. Entro trenta giorno gli verrà consegnato un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Entrerà così di diritto nel sistema di accoglienza italiano, come stabilisce il decreto n. 140 del 30 maggio 2005 che obbliga l’Italia ad accogliere migranti entro 8 giorni dall’ingresso.

Ha inizio così un’odissea che può durare anni: dalle strutture temporanee sarà trasferito nei centri d’accoglienza. Lì attenderà altri mesi prima di entrare in un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. L’attesa è dovuta al fatto che la maggior parte dei centri sono sovraffollati.

I Cara sono stati istituiti nel 2008 con il decreto legislativo n.25. Sono 11 in tutta Italia e accolgono i richiedenti protezione internazionale che devono ancora essere identificati, i richiedenti asilo che hanno tentato di attraversare illegalmente la frontiera, i richiedenti asilo che sono stati fermati senza documenti.  Nel primo caso i migranti devono restare nella struttura il tempo necessario alla loro identificazione, non più di 20 giorni. Negli altri due casi, la permanenza non può superare i 35 giorni. In realtà rimangono lì finché non vengono ascoltati dalla Commissione territoriale che deve decidere se accogliere o meno la loro richiesta.

Viene riconosciuto lo status di rifugiato a chi nel proprio Paese è vittima di persecuzione personale. Per tutti gli altri richiedenti asilo che tornando in patria rischiano un danno grave come la condanna a morte, la tortura o la propria vita in caso di guerra, viene concessa la protezione sussidiaria o protezione umanitaria . La Commissione dovrebbe convocare il migrante entro 30 giorni dalla richiesta e la decisione dovrebbe essere presa nei tre giorni successivi, invece possono passare dai sei mesi fino ai due anni.  In caso di esito negativo per restare in Italia è necessario fare ricorso presso il Tribunale ordinario.

Il richiedente asilo non può lavorare nei primi sei mesi di ingresso nel nostro Paese. Dopo, se non è ancora stato ascoltato dalla Commissione, ha diritto a un permesso per 6 mesi che gli consente di accedere al mondo del lavoro, anche se pochi assumono migranti con documenti provvisori.

Il richiedente asilo dopo il Cara entra finalmente nella seconda accoglienza: lo Sprar, dove potrà restare per sei mesi, rinnovabili per altri sei. Lì avrà la possibilità di studiare, seguire corsi di formazione al lavoro e abitare in una vera casa. Terminato il percorso di accoglienza, dovrebbe aver  trovato un lavoro ed essere autosufficiente. Secondo i dati del Servizio centrale dello Sprar, nel 2012 solo il 38% degli accolti ha trovato una occupazione.

Nel 2012, le Commissioni territoriali hanno esaminato 29.969 domande.  Al 21,8% dei richiedenti, 6.545 persone, è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale; in particolare, lo status di rifugiato è stato concesso a 2.048 stranieri (6,8%), la protezione sussidiaria è stata accordata a 4.497 stranieri (il 15%). Il 51,6%, (15.486 persone) hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari. In totale l’esito positivo delle domande è stato del 73,5%. Gli irreperibili (1.196, pari al 4%), se sommati a coloro a cui non è stata riconosciuta alcuna forma di protezione (5.259 pari al 17,5%) rappresentano oltre il 21,5% del totale delle istanze presentate. 

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Droga e prostituzione nel Cara di Roma, il racconto di Alì / Video http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/droga-e-prostituzione-nel-cara-di-roma-il-racconto-di-ali-video/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/droga-e-prostituzione-nel-cara-di-roma-il-racconto-di-ali-video/#comments Sun, 20 Apr 2014 11:31:38 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=188 [continua a leggere]]]> Alì (nome di fantasia) viene dal Camerun e da quasi un anno vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, vicino Roma. Nei grandi stanzoni del centro dove dormono quasi 700 richiedenti asilo, donne e uomini si prostituiscono per 20 euro davanti a bambini e minori. “Vengono anche clienti italiani che aspettano le donne qui fuori”, racconta Alì. “I ragazzi lasciano il centro la mattina per andare a spacciare droga nelle strade delle Capitale”.

Fino a ottobre 2013, nella struttura vivevano 750 persone: il centro ha una capienza di 650 posti. A marzo 2014 il numero è sceso ufficialmente a 630. In teoria, il Cara dovrebbe ospitare solo migranti che abbiano chiesto il diritto di asilo. “In realtà qui dentro dormono anche più di cento stranieri che non sono richiedenti asilo”. Dalle immagini che ha girato Alì con il suo cellulare si vedono alcuni uomini che scavalcano la rete di recinzione ed entrano liberamente senza che nessuno li controlli. 

La gestione del centro. Per tre anni a gestire il centro è stata la Gepsa, una società francese che  riceveva dallo Stato 28 euro al giorno per ogni migrante, 529.200 euro solo nel mese di marzo 2014. All’inizio del 2013, la prefettura ha emanato una nuova gara d’appalto. A vincere con una offerta inferiore ai 21 euro, è stata la cooperativa Eriches 29. Auxilium, la cooperativa dei fratelli dei Chiorazzo, che già gestisce il Cara e il Cie di Caltanissetta, il Cara di Bari e il Cie di Ponte Galeria, è arrivata seconda, Gepsa terza. Entrambe hanno fatto ricorso al Tar che dopo più di un anno ha giudicato illegittima la cifra proposta da Eriches 29  perché troppo bassa. L’appalto spetta così di diritto ad Auxilium che ha presentato un’offerta di 21 euro.

La vita nel centro. Alì racconta:  “Ci sono un centinaio di bambini qui dentro, il più piccolo ha pochi mesi. Nessuno bada a loro. Restano alzati fino alle due notte”, come si vede dalle immagini. “I bagni sono pochi e sempre sporchi e il cibo non è buono”, continua. Nel video, i migranti mangiano seduti per terra.  L’Arci di Roma ha denunciato più volte casi di scabbia e tubercolosi.

“Ci danno 70 euro al mese, ma come si può vivere solo con questi soldi? E’ per questo che qui dentro si spaccia droga e ci si prostituisce. La maggior parte dei migranti deve trovare un modo per restituire i soldi spesi durante il viaggio”.  Alì ha vissuto due anni in Francia, dove faceva  il cuoco. Non aveva il permesso di soggiorno, così è stato espulso e rispedito in Italia, il primo Paese in cui era arrivato: “Mi piace cucinare ma vorrei anche fare l’interprete, conosco 4 lingue”.

Per ora, distribuisce volantini pubblicitari per tutta Roma: “Mi danno pochi euro all’ora in nero perché non ho ancora i documenti. E’ faticoso, mi devo spostare a piedi”, ma è felice di guadagnare qualcosa dopo tanto tempo. Nel frattempo, aspetta di poter uscire finalmente dal Cara: “La mia domanda d’asilo, dopo 11 mesi, non è ancora stata esaminata. Spero che non mi rispediscano in Camerun”, dice con un sorriso.

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Pestaggi e rapimenti, l’altro volto dell’accoglienza in Italia / Ascolta l’audio http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/178/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/178/#comments Sun, 20 Apr 2014 09:53:12 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=178 [continua a leggere]]]> I lividi sulle gambe e sul volto non ci sono più. Eppure Asad (nome di fantasia) non dimentica quei giorni passati nei centri di prima accoglienza di Porto Empedocle e di Pozzallo. “Siamo stati picchiati dalla Polizia e dai Carabinieri perché non volevamo dare le nostre impronte digitali. Mentre correvo, mi hanno preso e mi hanno colpito più volte. Sulle gambe, in testa”.

Asad è arrivato dall’Eritrea il 17 ottobre 2013, subito dopo il naufragio di Lampedusa, dove morirono più di 300 persone. Ha lasciato sua moglie e i suoi bambini in Sudan: voleva raggiungere la Norvegia, iniziare a lavorare per pagare il biglietto aereo alla sua famiglia. In base alla Convenzione di Dublino, però, i migranti devono chiedere asilo nel primo Stato dell’Ue in cui mettono piede. Appena sbarcato ad Agrigento, è stato portato insieme ad altre 200 persone nel tendone di Porto Empedocle: una struttura di 40 metri per 60, vicino al porto. “Siamo stati lì, senza vedere la luce del sole, per 25 giorni. Ci facevano stare sempre seduti. Si soffocava, mancava l’aria. Un cane viene rispettato più di noi”, ci racconta al telefono mentre è ospite di uno Sprar, sistema di protezione richiedenti asilo, in Sicilia.

Ad ottobre, Asad e gli altri migranti sono stati trasferiti nel centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, un capannone che sorge nella zona doganale del porto. Ha una capienza di 130 posti, ma ha ospitato anche più di 400 persone. “Lì la Polizia ci ha tolto le scarpe e le cinture. Siamo rimasti scalzi. Ci hanno trattato come se fossimo criminali. Uno di noi è stato picchiato da otto poliziotti. Sanguinava dalla testa e dal naso. Alle cinque del pomeriggio dell’undici ottobre, ci hanno fatto spogliare e ci hanno schiaffeggiato. Hanno alzato le mani anche sulle donne che non facevano che piangere. E’ così che ci hanno preso le impronte, con la forza. Hanno lasciato liberi solo i Siriani. Ma loro sono bianchi, noi siamo neri”, afferma Asad.

Oggi, con l’operazione della marina militare Mare Nostrum, iniziata il 18 ottobre 2013, i migranti vengono soccorsi in mare dalle navi italiane. La maggior parte delle volte sono identificati e fotosegnalati prima di arrivare a terra. Condannati a restare in Italia, ad aspettare anni prima di avere un permesso di soggiorno per asilo politico, senza la possibilità di lavorare e di costruirsi una nuova vita.

Quella di Asad non è una testimonianza isolata: l’Arci ha raccolto le denunce di diversi migranti trasferiti alla tendopoli per richiedenti asilo di Messina dopo essere passati da Pozzallo e da Porto Empedocle. L’avvocato e volontaria dell’associazione, Carmen Cordaro, ha seguito l’intera vicenda, anche se alla fine Asad non ha voluto sporgere denuncia per paura. L’ultima volta che l’abbia sentito ci ha pregato più volte di non rivelare il suo nome. Era riuscito a scappare dallo Sprar, dove viveva. Aveva raggiunto la Germania e poi la Danimarca. Ha preferito vivere da clandestino, con la paura di essere espulso in qualsiasi momento piuttosto che rimanere nel nostro Paese. “In Italia non c’è lavoro. Non voglio finire a mendicare per strada”, ci aveva detto.

Asad racconta di aver ceduto solo dopo 25 giorni di botte e pestaggi. Ad altri è andata perfino peggio. Talib (nome di fantasia), arrivato dall’Eritrea, appena è sbarcato ad Agrigento, è stato avvicinato da alcuni connazionali: gli hanno promesso di aiutarlo a fuggire dal centro d’accoglienza, prima che gli prendessero le impronte. Lui, insieme ad altri tre migranti, si è fidato. Invece, sono stati chiusi in una casa nella campagna di Agrigento: se non avessero pagato 400 euro, sarebbero stati riportati nel centro. Testimone dell’intera vicenda è stato Abrha, un operatore sociale di Catania: “Mi ha chiamato il fratello di Talib in lacrime chiedendomi di fare da intermediario con i rapitori. Ho parlato con chi lo teneva in ostaggio, dicendogli che la famiglia era disposta a pagare. E così è stato. Appena lo hanno liberato, ho denunciato tutto alla polizia. Questa gente approfitta delle disperazione delle persone”. E’ stata aperta una inchiesta e le indagine sono in corso.

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Accoglienza negata per i migranti all’aeroporto di Fiumicino/ Video http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/migranti-sbarcati-allaeroporto-di-fiumicino-finiscono-a-vivere-per-strada-video/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/migranti-sbarcati-allaeroporto-di-fiumicino-finiscono-a-vivere-per-strada-video/#comments Sun, 20 Apr 2014 09:01:33 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=169 [continua a leggere]]]> Tarek (nome di fantasia) non è arrivato in Italia a bordo di uno dei tanti barconi che attraversano il Mediterraneo pieni del loro carico di disperazione. Ha speso tutti i suoi risparmi per comprare un biglietto aereo dall’Egitto per la Georgia con scalo a Roma. La sua meta, infatti, era proprio l’Italia. E’ arrivato nella capitale il 3 agosto 2013 e insieme ad altri passeggeri, tra cui donne e bambini, ha chiesto asilo politico. Avrebbero dovuto essere accolti in un centro di prima accoglienza in attesa di essere identificati e portati in un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. Invece sono stati chiusi per giorni nella sala d’attesa dell’aeroporto Leonardo Da Vinci per poi finire a vivere alla stazione Termini di Roma.

“E’ da tempo che va avanti questa situazione”, afferma Valentina Itri, dello sportello immigrazione dell’Arci. “Da agosto 2013 sono più di 30 i migranti che si sono rivolti a noi. Da qualche mese, Alitalia ha sospeso il volo Egitto-Georgia con scalo a Roma perché tutti i passeggeri si fermavano nella Capitale. La maggior parte di loro è di nazionalità egiziana, ma ci sono anche siriani. Dovrebbero essere accolti nei centri di prima accoglienza. In realtà vengono parcheggiati in aeroporto. Si lavano nei bagni pubblici”, denuncia Itri. Come si vede dal video girato da un migrante, molti di loro dormono per terra. “Dopo sette giorni, la polizia li lascia andare: le strutture sono al collasso e non c’è posto per loro. Uomini, donne e bambini vengono di fatto privati di qualsiasi forma di assistenza”.

“Alcuni ragazzi”, continua Itri, “ci hanno raccontato di essere stati picchiati dalla polizia di frontiera. Uno di loro ha avuto dei danni a un occhio. Loro rappresentano un problema per le forze dell’ordine, dovrebbero ripartire ma decidono di restare in Italia. Nessuno ha mai denunciato: hanno paura. Molti di loro hanno già subito violenze nel Paese d’origine, sono traumatizzati. Poi, temono di non ottenere i documenti. Attualmente stiamo seguendo 4 ragazzi che vivono per strada e aspettano un posto in un Cara. Poco tempo fa abbiamo sistemato una famiglia con tre minori che dormiva alla stazione Termini”.

L’associazione Badia Grande è l’ente di tutela dei richiedenti asilo dello scalo romano che però può agire solo dopo la segnalazione del migrante in prefettura. “Non c’è un servizio di formazione e orientamento alla frontiera e non tutti sanno che per restare in Italia hanno diritto a chiedere asilo al nostro Paese”.

Ai migranti viene fatta firmare una dichiarazione in cui affermano di avere parenti e amici in Italia che possono ospitarli, rinunciando in questo modo ad entrare nel sistema d’accoglienza. “Questi fogli non vengono tradotti nella lingua madre del richiedente asilo. Loro dichiarano di avere amicizie nel nostro Paese, ma questo non significa che non necessitano di un servizio di assistenza. E’ così che finiscono a dormire in stazione”.

L’Italia avrebbe il dovere di accoglierli, invece di loro si perde ogni traccia. Non hanno un domicilio, così la Prefettura non può consegnarli l’avviso di convocazione davanti alla Commissione competente che decide se concedere lo status di rifugiato. La loro domanda decade e diventano clandestini.

Anche Ekman,18 anni, è passato per l’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma (Fiumicino). Tre anni fa è partito dall’Afghanistan e non immaginava di finire a vivere nello Sprar di Fara Sabina, in provincia di Rieti. Lui voleva andare in Norvegia. Ha speso 13.000 euro, tutti i risparmi dei suoi genitori per arrivarci. Prima, però era dovuto passare per l’Italia: sbarcato a Brindisi, la polizia gli aveva preso le impronte digitali. Per la Convenzione di Dublino, il richiedente asilo deve chiedere protezione nel primo Paese dove arriva.

Per questo, una volta giunto in Norvegia, è stato rimandato indietro. “Mi hanno detto: scegli o l’Italia o l’Afghanistan, così mi hanno accompagnato in aereo fino a Fiumicino. Lì sono stato quattro giorni in una sala d’aspetto, dormendo su una sedia davanti ai bagni, mi coprivo con una coperta sporca. Poi mi hanno portano nel centro per minori di Passo Scuro. Adesso sono entrato nel sistema di protezione”.

“Se guardo al futuro, lo  immagino brutto, è da tre anni che sto fuori casa, non lavoro. Tutti mi dicono sempre che piano piano le cose miglioreranno, che devo aspettare ma fino a quando? Ancora non ho i documenti. Quando sento mio padre, gli dico: ‘per favore lascia che io prenda il permesso di soggiorno’. Lo sai cosa mi risponde? ‘Figlio mio, smettila di pensare ai documenti e trova un lavoro’. Sono io il più grande della famiglia, poi ho due fratelli più piccoli. Il mio papà non lavora. Sono stato rapito in Iran e ho dovuto pagare 1000 euro per la mia liberazione, in Grecia sono stato in carcere per tre mesi e 15 giorni, dormivo in una stanza con 20 persone. Ma ora non sto meglio. Adesso vivrò sei mesi nello Sprar e poi dove andrò? Se non trovo lavoro dove dormirò? Questa è la vita in Italia”.

 

 

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Da Mineo a Roma, la prostituzione c’è ma non si dice / Video http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/la-prostituzione-ce-ma-non-si-dicevideo/ http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/2014/04/20/la-prostituzione-ce-ma-non-si-dicevideo/#comments Sun, 20 Apr 2014 07:46:41 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/lanza/?p=161 LEGGI Pestaggi e rapimenti, l’altro volto dell’accoglienza in Italia / Ascolta l'audio | Accoglienza negata per i migranti sbarcati all’aeroporto di Fiumicino/ Video ]]> Al  Cara di Mineo le donne non si vedono. Escono la mattina presto, sotto lo sguardo dei militari armati che sostano davanti al centro di accoglienza richiedenti asilo e salgono sulle macchine parcheggiate lì davanti. Tornano la sera, quando ormai è buio. Alcune di loro non vanno molto lontano: vengono lasciate ai margini della strada statale Catania-Gela, poco distante dal Cara. Sono nigeriane, somale, eritree, donne sole costrette a vendere il proprio corpo per pochi spiccioli. Soldi che non restano nelle loro mani, ma vanno ad arricchire i loro sfruttatori.

Secondo Rocco Sciacca, responsabile dell’Ufficio sviluppo e del settore immigrazione del Consorzio Calatino che gestisce Mineo “la prostituzione è un fatto culturale, una cosa normale”.  Ma di normale c’è ben poco: non è normale che nel Cara non ci sia uno sportello antiviolenza e che l’unico della zona sia all’interno del palazzo comunale di Mineo, a 20 chilometri di distanza. E soprattutto non è normale che i minori stranieri ospiti nelle comunità della zona entrino nel centro per avere rapporti sessuali a pagamento con delle ragazzine, come denuncia un operatore che vuole rimanere anonimo: “Vengono a farsi una ‘scopata di gruppo’ e nessuno glielo impedisce”, racconta.

Una psicologa che ha seguito alcune richiedenti asilo provenienti da Mineo con problemi psichici e che vuole rimanere anonima racconta: “E’ difficile che una donna denunci. Sono state violentate tutti i giorni per anni durante il loro viaggio verso l’Italia. Alcune hanno le parti intime cucite”. Quando arrivano nel nostro Paese le cose non cambiano. “Sanno che essere donne significa vivere alle mercé degli uomini. Ci sono mamme che insegnano alle bambine come contrarre i muscoli durante uno stupro per sentire meno dolore”.

Sono tante le associazioni presenti sul territorio che si battono per la chiusura del Cara, dalla Rete Antirazzista di Catania, a Penelope, all’Arci. Nessuna però ha mai raccolto le denunce di queste donne. Parliamo con avvocati, medici, psicologi, operatori, mediatori culturali ma la risposta è sempre la stessa: “Si sa che c’è un giro di prostituzione, tutti lo sanno”. Ma nessuno fa niente. Alcuni hanno risposto: “Cos’altro può fare una donna senza soldi?”.

Gemma Marino dell’Associazione Astra, una delle poche che da anni denuncia la prostituzione nel centro e che cerca di aiutare come può queste donne portando loro cibo e coperte, afferma: “Perché gli interessi di tutti devono passare sempre sul corpo delle donne? Sono stata al Cara, le donne mi dicevano ‘help me, help me’. Non è un posto dove delle mamme con dei bambini possano stare. Una di loro ha una gamba di legno e dorme a terra con i suoi figli”.

Secondo un articolo pubblicato su Repubblica nel dicembre 2013 a firma di Alessandra Ziniti, le ragazze, alcune minorenni, si prostituiscono per cinque euro. A dirlo sarebbe stato un operatore della Comunità di Sant’Egidio che lavora nel Cara. Anche gli operatori, secondo questa testimonianza, avrebbero rapporti sessuali con queste giovani. La direzione e la Comunità di Sant’Egidio che gestisce alcuni servizi nel centro hanno smentito tutto, ma intanto la Procura di Caltagirone ha aperto un’inchiesta per sfruttamento della prostituzione.

Nel momento in cui scriviamo le indagini sono ancora in corso: il procuratore Francesco Giuseppe Puleio non ha voluto rispondere alle nostre domande. Già nel 2012 la Procura aveva indagato ma senza risultati. In quell’anno, solo nei primi tre mesi, sette donne del Cara avevano abortito all’ospedale di Caltagirone. Un numero elevato, secondo il medico Michele Giongrandi che aveva denunciato la situazione.

A gestire il traffico secondo la denuncia dell’operatore sarebbe una organizzazione criminale composta da migranti e personale del Cara. Nessuna pietà per le ragazze costrette a qualsiasi ora ad avere rapporti sessuali con chiunque. Alcuni pretenderebbero prestazioni gratuite in cambio di un lavoro a ore come domestica a casa di parenti o amici. Al Cara di Mineo lavorano 360 persone, molti hanno contratti di 14 ore settimanali e nessuna preparazione specifica.

Il centro è diventato una valvola di sfogo per la disoccupazione del territorio e la prima azienda della provincia. Un bacino elettorale assicurato per i politici della zona. Anna Aloisi, sindaco di Mineo, è anche la presidente del Consorzio Calatino Terra d’Accoglienza che gestisce il Cara. Lo Stato paga per il centro 50 milioni di euro all’anno, quasi 4 milioni di euro ogni mese.

Nella struttura ogni nazionalità ha il suo capo che organizza la vita all’interno del campo e la distribuzione dei posti letto nelle villette. “Per noi è più facile avere degli interlocutori, semplifica i passaggi”, afferma Sciacca.

Ma il Cara di Mineo non è l’unico centro dove le donne sono costrette a prostituirsi. Miraj (nome di fantasia), partita dall’Africa subsahariana, da nove mesi vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, vicino Roma: “Viviamo ammucchiati in stanzoni. La notte le donne si prostituiscono anche davanti ai bambini, il più piccolo ha due mesi. Devono pagare ai trafficanti di esseri umani il costo del viaggio: prima di partire gli tagliano i capelli, le unghie, i peli pubici, prendono delle gocce del loro sangue e mettono tutto in un sacchetto, è un rito voodoo. Loro credono che se non restituiscono il debito capiterà qualcosa di terribile alla loro famiglia. La traversata può costare anche 20.000 euro, un rapporto sessuale 20”, racconta Miraj.

“Sognavo di fare la cuoca, ma non ci credo più”. I clienti italiani le aspettano davanti al centro e tutto avviene sotto gli occhi degli operatori. Neanche gli Sprar, sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, sono immuni dal fenomeno. Cristina Formica dell’Arci di Monterotondo racconta che alcune richiedenti asilo inserite nel progetto di protezione sono state avvicinate da connazionali che volevano farle prostituire. “La nostra è una realtà piccola, quindi cerchiamo di controllarle. Nei grandi centri questo non può avvenire”. E’ così che le donne, alcune con bambini frutto di violenze, restano completamente sole.

Intanto però, nel Cara è stato girato un documentario, “Io sono io e tu sei tu”, della regista Tiziana Bosco e finanziato dalla fondazione Integra. “Penso che sia il campo migliore d’Italia. Sono molto contento di essere qui, amo la vostra assistenza”, dicono i migranti davanti alle telecamere. Il documentario verrà trasmesso nelle scuole siciliane.

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