La Tribù delle Noci Sonanti » miele http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice di Diana Orefice Wed, 23 Apr 2014 18:12:37 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 di Diana Orefice La Tribù delle Noci Sonanti no di Diana Orefice La Tribù delle Noci Sonanti » miele http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice Il “menu”: miso, ortaggi e lupinella selvatica a merenda http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/mangiare/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/mangiare/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:58:03 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=32 Il cerchio d'energia Ogni pasto alla Tribù delle noci sonanti inizia con un “cerchio d’energia”. Tutti seduti per terra, con il cibo pronto al centro della tovaglia, ci si prende per mano e si chiudono gli occhi. Si resta così, in silenzio, per qualche minuto. Capita di concentrarsi sul profumo delle pietanze, sul cinguettio degli uccelli o sul proprio respiro. Poi Fabrizio stringe più forte le mani, si aprono gli occhi e si può iniziare a mangiare. Intorno alla tovaglia, di solito, ci sono Fabrizio, Leandro e Siddhartha, ma nelle notti di luna piena la Tribù offre la cena ad almeno tre o quattro ospiti.

Topinambur selvatici, cime di senape, erbe spontanee… Nelle vecchie pentole di coccio della Tribù capita di trovare cibi mai visti e mai sentiti nominare. Fabrizio cucina tutto sul fornello a legna: una piccola stufa con una piastra di metallo sopra, sulla quale si poggiano le pentole. Riutilizza più volte la stessa acqua per cuocere diverse pietanze, in modo da evitare gli sprechi, col risultato che tutto è più saporito e nutriente. Poi apparecchia sul tappeto e sistema le pentole davanti al suo piatto personale, una ciotola fonda, di legno scuro. Prima di servirsi, riempie abbondantemente i piatti degli ospiti con un cucchiaio sbeccato, anch’esso di legno.

Fabrizio Cardinali mangia dalla sua ciotola di legno

Di solito si comincia con la zuppa di miso, un brodo di verdure di tradizione giapponese. Il miso, usato come un dado, è un composto pastoso, molto salato, che viene prodotto con soia fermentata, oppure con riso o orzo. Secondo i principi dell’alimentazione macrobiotica, la zuppa di miso è ottima per iniziare i pasti, perché è depurativa e ha un ottimo equilibrio tra energie yin e yang, che devono essere sempre bilanciate.

La base dell’alimentazione sono i cereali. Fabrizio cucina grandi quantità di polenta di grano integrale, macinato a mano nella stanza accanto, dove c’è la dispensa, oppure zuppe d’orzo o spaghetti biologici. Non mancano mai i legumi: fagioli neri, lenticchie, ceci, conditi con prezzemolo e altre spezie. Le verdure sono varie e abbondanti. Vengono raccolte poco prima dall’orto oppure, se crescono spontaneamente, intorno a casa.

Il piatto preferito di Leandro è la polenta di grano. Siddharta preferisce la zuppa di spaghetti, oppure ama sgranocchiare dei gambi di lupinella, un erba spontanea che il papà gli ha insegnato a riconoscere. Banditi dalla tavola sono tutti i prodotti di origine animale: carne, pesce, uova, latte e derivati. Unica eccezione è il miele: anche se è un prodotto delle api, che molti vegani non consumano, la Tribù lo produce e lo mangia, perché prevede metodi di raccolta poco invasivi e più etici nei confronti degli animali. Fabrizio aveva intrapreso l’apicoltura insieme a suo fratello Paolo. “E comunque le api sono insettini – spiega Fabrizio – invece un vitello è più simile a noi”. Proibiti, invece, l’alcool e la caffeina, perché alterano i normali processi nervosi, e qualsiasi tipo di zucchero, che è “la droga più potente che esista”.

La colazione

Fabrizio si assicura che tutti mangino a sazietà, riempiendo i piatti più volte. Poi ripulisce la propria ciotola e tutti i mestoli sfregandoli accuratamente con dei pezzetti di pane integrale fatto in casa, che mangia senza lasciare briciole. Non usa spugne, acqua o sapone, per non sprecare risorse preziose. Infine rimette tutto a posto e scalda una tisana all’eucalipto oppure il tè bancha, che serve a digerire e a sciacquarsi i denti senza utilizzare acqua e senza inquinare l’ambiente con il dentifricio.

A differenza del pranzo e della cena, la colazione è meno rituale, perché a volte ci si sveglia a orari diversi. Fabrizio beve ogni mattina, a digiuno, un bicchiere d’acqua con argilla verde, una sostanza curativa ricca di sali minerali. Siddhartha prende il tè o la tisana e mangia una fetta di pane con il miele. Agli ospiti Fabrizio offre anche tutti gli altri prodotti della Tribù: a seconda delle scorte ci sono succo di prugna, succo d’uva non fermentato, altri succhi di frutta e svariate marmellate senza zucchero. A volte ci sono anche i dolcetti preparati da Siddhartha con pasta di pane e uvetta, tondi o a forma di cuore.

Sono pochi gli alimenti che vengono comperati, perché la tendenza è all’autosufficienza. Tra i pochi acquisti della Tribù ci sono il miso, la salsa di soia e gli spaghetti biologici. Il grano da macinare proviene da amici o conoscenti, così come la frutta essiccata e qualche tisana. Fabrizio incontra altri produttori locali quattro volte l’anno, durante i mercatini privati che organizzano in diversi paesi delle Marche. Sono occasioni di confronto, di scambio, ma soprattutto di convivialità tra persone che hanno in comune l’amore per l’agricoltura contadina e biologica. Fabrizio, oltre a succhi, verdure e marmellate, vende anche farina macinata a mano, olio, olive in salamoia e pane cotto a legna.

Nella bancarella della Tribù le pagnotte sono tutte tonde, sistemate in un grande cesto di vimini. Su ognuna c’è un disegno: una croce, un cerchio, oppure una spirale. Comunicano la cura per i dettagli e la dedizione con la quale tutti i prodotti della Tribù vengono coltivati, raccolti, preparati e cucinati. Che sia per sé o per gli altri, infatti, ogni cosa viene realizzata con impegno e con amore di sé e della natura.

Esplora la bancarella della Tribù delle noci sonanti:

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Paolo: “Ho ritrovato mio fratello grazie alla passione per le api” http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/fratello/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/fratello/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:56:38 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=25 IMG_5026“Mio fratello è sempre stato estremo. Io lo accetto così com’è”. Paolo è di 12 anni più giovane di Fabrizio. Quando suo fratello ha lasciato la famiglia e la casa, a Falconara Marittima, per intraprendere uno stile di vita diverso e controcorrente, lui aveva solo 10 anni. “Come fratello – spiega Fabrizio – l’ho vissuto più tardi, facendo gli apicoltori”. Le loro vite si sono incrociate, infatti, grazie alla passione condivisa per le api e per il miele.  “Abbiamo iniziato insieme – racconta Paolo – ma poi per lontananza e per mancanza di tempo abbiamo preso due strade diverse”. Oggi Fabrizio ha due arnie (gli alveari artificiali) e ultimamente produce soprattutto miele per sé, mentre Paolo ha 45 famiglie di api e si è messo in regola per vendere tutto quello che produce: miele, propoli e cera d’api biologiche.

“L’idea iniziale – racconta Paolo – era di produrre il miele per casa”. Quindi aveva contattato un apicoltore: “Io ti aiuto, tu mi insegni”, gli aveva proposto Paolo. Dopo aver imparato, andava a Cupramontana e insegnava a sua volta a suo fratello, che intanto studiava l’apicoltura sui libri. “La stagione successiva abbiamo iniziato con due famiglie di api. Le tenevamo a casa di Fabrizio, quella dove vive anche ora, e le allevavamo insieme”.

IMG_4979“Poi per me è diventato troppo scomodo – continua – perché da Falconara a Cupramontana i chilometri sono tanti. La strada sterrata che conduce a casa di Fabrizio d’inverno è impraticabile. Inoltre era complicato sincronizzare gli impegni e anche solo contattarlo, visto che non ha il telefono”. Paolo, invece, purtroppo non può farne a meno: “Il cellulare ce l’ho da poco. Non sono un tipo tecnologico, amo camminare e non mi piace stare al telefono. Però per lavoro ho dovuto usare di più sia l’auto che il cellulare”.

Entrambi i fratelli utilizzano un metodo lento e “non violento” per l’apicoltura, che evita di stressare le api e di provocare troppe morti. Paolo, ad esempio, preferisce non produrre la pappa reale, perché per farlo bisogna allevare molte api regine: la pappa reale è il cibo che mangiano quando sono ancora delle larve e per produrla bisogna ucciderle prima che crescano.

IMG_5107Ora Paolo tiene le sue api in un campo vicino a Chiaravalle. Da maggio a settembre l’apicoltura per lui diventa un lavoro a tempo pieno, mentre d’inverno la sua occupazione principale è fare l’educatore per disabili. Con Fabrizio si vede circa una volta al mese. “Ultimamente viene a Falconara più spesso per andare dal dentista e si ferma da me. Io comunque ancora lo aiuto con le api, gli preparo i telai, ma vado poco a casa sua”.

Fabrizio fino a qualche estate fa produceva diversi quintali di miele all’anno, con cinque arnie. “Ero davvero sulla cresta dell’onda – racconta – e insegnavo a tutti. Nessuno riusciva a produrre così tanto miele con così poche famiglie di api”. Ora purtroppo è rimasto con due arnie e ultimamente non ha più miele da vendere. “Non so come sia successo. Pensavo di sapere tutto sulle api, invece non si finisce mai di imparare”.

“Rispetto a mio fratello – spiega Paolo – io sono una via di mezzo. Anche io sono attento all’ambiente e amo l’essenzialità. Ma senza esagerare, perché la purezza non esiste e l’ansia per i dettagli alla lunga diventa un limite”.

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