La terra dei veleni » black mountains http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura Wed, 23 Apr 2014 14:39:15 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni no Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni » black mountains http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Il filone amministrativo: per il Comune “siti inquinati”, via all’analisi del rischio http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/17/289/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/17/289/#comments Thu, 17 Apr 2014 16:21:07 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=289 “Il sito può definirsi potenzialmente contaminato”. È la formula che viene usata per le analisi svolte su richiesta del Comune di Crotone per tutti i 18 siti posti sotto sequestro dalla procura nel 2008 e che esprime i risultati della caratterizzazione di queste aree.

Difatti, il filone giudiziario della questione ‘black mountains’ è stato affiancato da uno amministrativo, portato avanti d’accordo tra Comune e ministero dell’Ambiente. L’azione istituzionale prevede tre fasi: la caratterizzazione dei siti, l’analisi del rischio ed eventualmente la bonifica delle aree, se i risultati dei due livelli precedenti dovessero far emergere l’inquinamento di queste zone.

La prima fase – quella della caratterizzazione – si è da poco conclusa. Il laboratorio Tecnoparco ha vinto l’appalto comunale per le analisi di questi siti. I suoi dati sono stati poi confermati dall’Arpa Calabria. Così il Comune ha potuto elaborare un documento di sintesi che evidenzia le caratteristiche delle aree incriminate.

E la formula per tutti i 18 siti è molto simile: “Sulla scorta dei dati esposti, avendo riscontrato dei superamenti delle Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) nella matrice suolo per la specifica destinazione del sito e nella matrice acqua sotterranee, ai sensi dell’art. 240 del decreto legislativo 152/2006, il sito può definirsi ‘potenzialmente contaminato’. Inoltre si osserva come in più punti il materiale prelevato non risulti conforme ai requisiti fissati per il recupero dei rifiuti come sottofondo stradale o per la formazione di rilevati, in particolari ai limiti per il test di cessione”.

Il documento redatto dal Comune evidenzia, inoltre, nelle sue conclusioni, tutti gli aspetti più critici. Si parte dalla valutazione dei terreni: “Tutti i siti investigativi presentano superamenti delle Csc per la specifica destinazione d’uso”, recita il documento.

Discorso molto simile viene fatto per i test di eluizione (la cessione in acqua deionizzata): “Tutti i siti presentano superamenti dei valori limite fissati per la conformità del materiale al suo utilizzo come rilevato e sottofondo stradale”.

Per quanto riguarda le acque sotterranee,invece, si ha un responso non molto diverso, ma limitato dalla possibilità di prelevare i campioni in tutte le aree analizzate. Il documento redatto dal Comune parla infatti di “tutti i siti nei quali è stato possibile prelevare campioni”, spiegando come essi “presentano superamenti delle Csc, ad eccezione del sito n. 18 (cabina Enel del Comune di Capo Rizzuto)”.

Questa parte delle conclusioni del Comune comprende anche la tabella in cui vengono riportate, per ogni sito e per ogni matrice, le percentuali di superamento rispetto ai campioni analizzati:

Immagine 2

Il superamento dei limiti per i metalli pesanti sito per sito

Le ultime righe del documento il Comune di Crotone le usa per fare una sintesi di quanto emerso dalle analisi: “Tra i siti investigati spiccano, per l’elevato numero di superamenti rilevati sulla matrice suolo”, i piazzali della ditta Graziani, della Casillo e della Crotonscavi, ma anche quello della scuola San Francesco e dell’Istituto di ragioneria ‘Lucifero’. Il sito “meno compromesso in tutte le matrici”, invece, è quello dell’Aterp, le case popolari della località Margherita, alla periferia di Crotone.

Le ultime parole del documento sono, infine, dei consigli. Prima di tutto, il suggerimento di effettuare “un’analisi di rischio sanitario ambientale dei siti che dovrebbe essere svolta con parametri ottenuti sperimentalmente”. E poi quello di dare il via a “monitoraggi periodici dello stato di qualità delle acque sotterranee per verificare eventuali variazioni dovute a fattore idrodinamici e geochimici”.

Leggi il documento di caratterizzazione dei siti stilato dal Comune

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“Caso da riaprire, ma la colpa è politica”: l’accusa dell’ex presidente della provincia http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/caso-da-riaprire-ma-la-colpa-e-politica-laccusa-dellex-presidente-della-provincia/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/caso-da-riaprire-ma-la-colpa-e-politica-laccusa-dellex-presidente-della-provincia/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:01:45 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=38 Ci sono casi giudiziari in cui anche gli indagati che sono stati prosciolti credono che le cose sarebbero dovute andare diversamente. Ed è esattamente quello che è accaduto a Sergio Iritale, ex presidente della provincia di Crotone dal 2004 al 2009, nel caso ‘black mountains’, le montagne nere accumulate nell’ex Pertusola Sud e poi utilizzate per costruire alcuni piazzali nella zona del crotonese. “Sarei poco credibile se dicessi che la questione giudiziaria andava chiusa così”: è il commento di Iritale, indagato per omesso controllo, al maxi-proscioglimento da parte del Gup, Gloria Gori.

Iritale

Sergio Iritale, ex presidente della provincia di Crotone dal 2004 al 2009

Ma per l’ex presidente della Provincia il punto principale è quello politico e non quello giudiziario: “C’è stata una grande responsabilità di chi ha inquinato ma anche un atteggiamento temperato di chi dovrebbe reagire – spiega Iritale – c’è la responsabilità dello Stato che non è intervenuto con decisione e tempestività, i ritardi di Governo e Regione sono stati il male peggiore, più dell’inquinamento”.

Secondo Iritale, comunque, uno dei punti principali è quello che riguarda i cittadini: “Ci vuole una conclusione molto più convincente per la gente , bisogna tranquillizzarla – continua l’ex presidente della provincia – se non ci dovesse essere inquinamento ci vogliono delle carte che lo dimostrino, dei certificati, questo è un fatto politico, non giudiziario”. A dover rassicurare i cittadini dovrebbero essere il ministero dell’Ambiente e la Regione, secondo Iritale. Infatti, è proprio la politica che deve “continuare in questa causa e certificare quanto successo tramite personalità in campo scientifico che non hanno coinvolgimento diretto nella vicenda”, punto su cui continua a insistere l’ex presidente della provincia.

Cosa si dovrebbe fare ora? Per Iritale una risposta la può dare il Comune che dovrebbe avviare “un’azione politica”. Intanto Iritale non risparmia critiche né all’Eni né a chi ha condotto le indagini. Sull’Eni (proprietaria dell’ex Pertusola Sud) il giudizio dell’ex presidente della provincia è netto: “Non mi è mai piaciuta, ogni anno cambiava il mio interlocutore nell’azienda”. Ma l’ultima stoccata Iritale la lancia ai magistrati che hanno portato avanti l’accusa: “Sparare nel mucchio non serve, andavano separate le colpe delle amministrazioni locali per omesso controllo e quelle di chi ha procurato lo smaltimento illecito”.

 

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Scuola San Francesco: “Papà, ma allora sono malata?’” http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-sotto-sequestro-il-plesso-di-san-francesco-ancora-chiuso/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scuola-sotto-sequestro-il-plesso-di-san-francesco-ancora-chiuso/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:37 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=26 “Mia figlia guardava la tv e mi diceva piangendo: papà, ma allora io sono malata?”. In questa frase di un padre del comitato genitori della scuola San Francesco si riassume quello che è successo nel 2008 nel plesso staccato della scuola elementare ‘Alcmeone’, dopo il sequestro del piazzale della scuola, costruito con il Cic.

La scuola elementare 'Alcmeone', plesso di San Francesco

La scuola elementare ‘Alcmeone’, plesso di San Francesco

Siamo nel settembre del 2008, all’inizio dell’anno scolastico. Il piazzale davanti il plesso di San Francesco della scuola elementare ‘Alcmeone’ viene posto sotto sequestro, con un’azione che viene definita dai genitori degli alunni come un ”blitz”. Davanti alla scuola spuntano i cartelli del Nisa (il nucleo investigativo sanità e ambiente): il piazzale è sotto sequestro. Ma la scuola no. Così, i genitori devono continuare a mandare i loro figli in quella struttura, ma la responsabilità dell’attraversamento del piazzale è loro, come spiega Rosaria Vazzano, rappresentante del comitato dei genitori. Proprio su loro spinta, il plesso viene chiuso nell’ottobre dello stesso anno. Gli alunni vengono trasferiti in parte nella sede centrale – al posto di alcuni laboratori – e altri in una sede in affitto nel centro di Crotone, come racconta il dirigente scolastico, Eugenia Garritani.

Lo stesso dirigente sottolinea: “Il Comune ha pagato un affitto da circa 100 mila euro l’anno per questa sede, quando si poteva fare una cementificazione del cortile per la messa in sicurezza con 70-80 mila euro”.

Ma il problema principale è quello dei bambini: “Gli alunni erano sotto shock, sono stati seguiti per un anno e mezzo per le loro condizioni di salute”, spiega ancora Eugenia Garritani. Una scena come quella della bambina che guarda la tv e si crede malata non è rara. Le televisioni e i media locali spiegano quello che sta succedendo. E la preoccupazione dei genitori e, ancor più dei bambini, è inevitabile.

In questa fase ha inizio lo screening del professore Sebastiano Andò, dell’Università di Cosenza. Il suo studio dimostra che i bambini che hanno frequentato quella scuola presentano nei loro corpi valori dei metalli pesanti più alti di quelli delle altre scuole del crotonese. Lo screening però si interrompe e, ancora oggi, il comitato dei genitori chiede che possa riprendere per sapere quali sono le condizioni dei loro figli.

Ad oggi, più di cinque anni dopo, il plesso è ancora chiuso e il dirigente scolastico ha riconsegnato le chiavi della scuola al Comune. Il piazzale, intanto, è ancora sotto sequestro: “Nessuno ha mai revocato l’ordinanza”, spiega la Garritani.

La sede è stata recintata e, in teoria, l’accesso al piazzale non dovrebbe essere consentito. Ma la rete si interrompe ed entrare nel piazzale è semplice. E lo fanno in molti. Alcune persone portano lì il cane a fare i bisogni. Oltrepassando la recinzione, la prima cosa che si nota è che sotto le pietre c’è un telo nero plastificato. Come spiegato anche dal comitato dei genitori, quello è l’unico elemento che dovrebbe mettere in sicurezza l’area. Un semplice telo nero. Peraltro, non in condizioni impeccabili. Sotto il telo c’è il Cic e, come dimostrato dalle analisi del professor Sindona – perito nominato dalla Procura – lì sotto ci sono metalli pesanti, come l’arsenico, presenti in valori ben superiori rispetto a quelli consentiti dalla legge. Il contatto con le persone non viene evitato: ci si può camminare sopra e il telo plastificato non sembra una messa in sicurezza sufficiente.


La recinzione del piazzale interrotta e la messa in sicurezza precaria

Il plesso della scuola è abbandonato. Come dice il dirigente scolastico “è stato vandalizzato e anche per questo non è stato mai sistemato, i costi sarebbero stati troppo alti”.

L’unica cosa in funzione ancora oggi, dopo tutti questi anni, è l’impianto elettrico. Tutte le sere le luci del piazzale e della scuola sono accese. Anche in estate. E anche se la scuola è chiusa da più di cinque anni.

Scuola luci accese

Le luci accese tutte le sere, nonostante la scuola sia chiusa da anni

 

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Una scoria e la sua evoluzione: il Cubilot e il Cic http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/una-scoria-e-la-sua-evoluzione-il-cubilot-e-il-cic/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:40 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=40 Prima commercializzate come abrasivi, poi accumulate all’esterno della fabbrica e infine utilizzate per la costruzione di piazzali: è la storia delle scorie Cubilot, derivanti dalla produzione delle ferriti di zinco dell’ex Pertusola Sud. Con queste scorie – miscelate alla loppa d’altoforno per formare il Cic – sono stati costruiti 18 spiazzi nella provincia di Crotone. Siti che sono stati posti sotto sequestro nel 2008 dal Pm Pierpaolo Bruni perché a rischio inquinamento.

Cic

Un frammento del Cic, materiale con cui sono stati costruiti i 18 piazzali sequestrati dalla Procura

La scoria Cubilot – definizione. La scoria Cubilot viene definita come un prodotto derivante “dal trattamento per via termica delle ferriti, che sono residui della produzione dello zinco a partire dal minerale ‘blenda’ che si realizzava in Pertusola Sud”.

Il forno Cubilot. La scoria deriva dalla produzione avvenuta nel forno Cubilot, messo in funzione per la prima volta nel 1972. Ha poi cessato la produzione 21 anni dopo, nel 1993. In questo periodo avrebbe prodotto, secondo alcune stime presenti nelle carte processuali, 811.215 tonnellate di scorie.

Il Pescor. Fino al 1990 questa scoria veniva smaltita regolarmente per via commerciale, creando un abrasivo per la sabbiatura venduto poi come ‘Pescor’. In sostanza, abrasivi come questo vengono usati anche per oggetti di uso quotidiano, come accade con le forchette. Nel 1990, però, alcune aziende che utilizzavano il ‘Pescor’ notano un’anomalia: nell’abrasivo il contenuto di arsenico è tale da far classificare il prodotto come un rifiuto tossico/nocivo. Per questo motivo viene levato dal mercato.

Le montagne nere. L’ex Pertusola Sud è quindi costretta, dal 1990, a smaltire diversamente le scorie Cubilot. È così che inizia l’accumulo di quello che viene considerato come rifiuto nelle cosiddette black mountains, le montagne nere presenti sul piazzale all’esterno della fabbrica. A confermarlo sono anche alcune testimonianze di operai dell’ex Pertusola Sud raccolte dal Pm, Pierpaolo Bruni.

Il codice Cer. Ogni fabbrica deve fornire al ministero dell’Ambiente un codice che identifica gli elementi risultanti dal ciclo di produzione. Nel caso delle scorie Cubilot il codice Cer attribuito dall’ex Pertusola Sud è stato 10-08-01. Ogni coppia di numeri rappresenta alcune determinate caratteristiche: il 10 identifica i rifiuti inorganici provenienti da processi termici; lo 08 i rifiuti di altri processi metallurgici non ferrosi; e lo 01 rappresenta le scorie. Però l’attribuzione di questi codici è stata da più parti criticate, soprattutto dai periti che si sono occupati del caso. Per alcuni di loro il codice che doveva essere attribuito alle scorie Cubilot era 10-05-01, dove lo 05 rappresenta un rifiuto della metallurgia termica dello zinco, in quanto il forno Cubilot era integrato nella produzione di zinco. Con questo nuovo codice Cer la classificazione della scoria cambierebbe completamente, risultando tra quelle identificate come pericolose nella tabella ministeriale. Un altro codice ancora era stato attribuito da uno dei primi periti del caso, il dottor Sanna, che aveva ipotizzato un codice Cer 11-02-07. In entrambi i casi, risultando un rifiuto pericoloso, la scoria Cubilot non avrebbe potuto aver accesso alla procedura semplificata di smaltimento che è stata poi utilizzata dall’ex Pertusola Sud.

Il Cic. Lo smaltimento della scoria si fa così più complicato dopo la fine del commercio del ‘Pescor’. La Pertusola Sud chiede consulenza anche al Ministero. Un membro del comitato tecnico-scientifico, Eleonora Fornasari, dà il suo parere a riguardo: “C’è una chiara necessità di miscelare le scorie stesse con altri materiali al fine di abbassare il tenore globale in arsenico del composto”. La spiegazione è semplice: “Tale scoria presenta problemi di tipo igienico-sanitario ed ambientale, legati sia alla sua composizione che alla capacità di cedere metalli se esposta al potere dilavante di soluzioni leggermente acide”, come risulta dalle dichiarazioni della Fornasari emerse dalle carte processuali. Lo studio della Fornasari termina col suggerimento di usare la scoria Cubilot per ‘pavimentazioni stradali’, dopo però averla “miscelata per ridurre la quantità di arsenico”. In particolare, il membro del comitato ministeriale considera la “scoria vetrosa più adatta ad essere mescolata con la ‘sabbia gialla Ciampà’”.

Un altro suggerimento dato dalla Fornasari è quello di integrare la ragione sociale della fabbrica, modificando l’articolo 4 dello Statuto sociale con un comma aggiuntivo che dovrebbe recitare: “Produzione materiale per miscele e conglomerati destinati all’edilizia e di additivi ferrosi per la produzione del cemento”. Anche questo elemento viene riportato dalle carte processuali presentate dall’accusa.

Sottofondi stradali. Nel 1997, l’ex Pertusola Sud smaltisce circa 2000 tonnellate della scoria Cubilot tramite la formulazione del ‘Cascoril’, usato per costruire rilevati e sottofondi stradali.

Il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato). Tra il 1998 e il 1999 la scoria viene usata per la produzione del Cic, destinato alle “pavimentazioni stradali”. La produzione del Cic avviene tramite la mescolazione della scoria Cubilot (50%), di sabbia silicea di cava (39%), di loppa d’altoforno (10%) e di catalizzatore calcico in polvere (1%). La Pertusola invia quindi un ordine di acquisto all’Ilva di Taranto per “loppe granulate di altoforno”. Qui sorge però un altro problema: come scritto nelle carte processuali, “l’impianto di produzione del Cic avrebbe dovuto obbligatoriamente includere una apparecchiatura per la macinazione della loppa granulare. Dalla documentazione allegata non risulta la presenza di detta apparecchiatura: se ne deve dedurre che la loppa veniva utilizzata nella forma granulare fornita dall’Ilva”. In pratica, questo vuol dire che la loppa non poteva agire da legante e si può presumere che il Cic posto nei 18 siti “non si è consolidato in una massa alimentata ma è rimasto in forma sostanzialmente granulare e/o polverosa”.

I costi di smaltimento.
Il Pm, nella sua accusa, presenta anche un calcolo dei costi derivanti da questa operazione e quelli che invece avrebbe avuto uno smaltimento diretto della scoria. Quest’ultimo sarebbe costato, secondo le stime del Pm, circa 47 miliardi di lire. Tutto il processo per la formulazione e lo smaltimento del Cic sarebbe invece costato circa 17 miliardi di lire, comprendendo anche i costi di vendita del Cic alle due imprese edili che lo hanno poi usato per la costruzione di sottofondi stradali: la Crotonscavi e la Ciampà Srl. Queste due aziende, inoltre, avrebbero anche avuto vantaggi negli appalti a cui hanno partecipato in quanto venivano pagate per avere il materiale di costruzione e quindi nettamente favorite rispetto ad altre imprese che dovevano affrontare anche i costi di produzione. Per l’ex Pertusola Sud, comunque, è stato ipotizzato dall’accusa del Pm un risparmio illecito di quasi 30 miliardi di lire. Le cifre sono state fornite dalla stessa Syndial (società dell’Eni) quando ha provato a costituirsi parte civile nel procedimento. Richiesta rifiutata dal giudice.

 

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Cinque morti, allarme in Questura http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/siti-sotto-sequestro-lallarme-in-questura/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/siti-sotto-sequestro-lallarme-in-questura/#comments Mon, 07 Apr 2014 10:59:18 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=42 Due scuole, una banchina del porto commerciale, alcune case popolari e addirittura la Questura di Crotone: questa è solo una parte dei 18 siti posti sotto sequestro dalla Procura nel 2008 perché i piazzali di questi spazi sono stati costruiti con il Cic (Conglomerato idraulico catalizzato). Oggi, quasi sei anni dopo, nessuno ha ancora dimostrato se questi spiazzi sono realmente inquinati, ma intanto ci sono alcuni dati di fatto: cinque decessi hanno colpito il personale della Questura di Crotone e due persone sono tuttora malate.

Questura

La Questura di Crotone

In un territorio come quello crotonese un fenomeno del genere non è inspiegabile, ma sicuramente fa pensare che ci possa essere un nesso tra i piazzali costruiti con il Cic e queste malattie. Di questa opinione sembra essere anche Giuseppe Marino, rappresentante regionale del Siap, il sindacato di polizia: “Non è detto che ci sia un nesso, ma questa cosa ci preoccupa. Noi possiamo constatare che in ambito lavorativo ci sono stati dei decessi”. Marino spiega anche che “forse questi problemi non sono dovuti al Cic, ma è comunque pericoloso e da lì va tolto”.

Il sindacalista regionale però non si tira indietro quando si parla di inquinamento: “È giusto che chi ha inquinato paghi  - continua Marino – per quello che abbiamo capito noi, non essendo tecnici, il rifiuto è stato messo lì in maniera anomala”.

La preoccupazione di Marino deriva anche dalla mancata conoscenza di cosa ci sia realmente sotto il piazzale: “Noi vogliamo comunque sapere qualcosa di preciso al di là dei periti tecnici – ribadisce il sindacalista della polizia – chiediamo che qualcuno si metta all’opera, che una commissione venga a verificare cosa è successo”. Unica rassicurazione, secondo Marino, è il “pavimento posto sopra il piazzale, ma a preoccupare è anche una nota della relazione Martelloni (ndr. quella del perito che ha poi portato al proscioglimento di 45 indagati) secondo cui durante le trivellazioni sono emerse, sotto il Cic, delle ferriti di zinco allo stato libero”.

Allora cosa chiede il Siap? Marino risponde: “Vogliamo la rimozione del Cic e che qualcuno ripari i danni fatti, ad esempio quelli causati dalla chiusura della scuola di San Francesco”.

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