L'eredità tossica dell'ex Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati Chiusa da 26 anni la vecchia fabbrica continua ad avvelenare acque e terreni di Falconara Marttima Mon, 28 Apr 2014 17:21:00 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Chiusa da 26 anni la vecchia fabbrica continua ad avvelenare acque e terreni di Falconara Marttima L'eredità tossica dell'ex Montedison no Chiusa da 26 anni la vecchia fabbrica continua ad avvelenare acque e terreni di Falconara Marttima L'eredità tossica dell'ex Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati Ex Montedison di Falconara, il progetto ‘senza padri’ da 140 milioni http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/ex-montedison-di-falconara-il-progetto-senza-padri-da-140-milioni/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/ex-montedison-di-falconara-il-progetto-senza-padri-da-140-milioni/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:08:03 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=28

La trasformazione della Montedison secondo il nuovo progetto

FALCONARA MARITTIMA – Da brutto anatroccolo, sporco ed emarginato, a cigno bianchissimo e pure ricco. Questo il destino prossimo della vecchia Montedison, qualora il progetto presentato nei comuni di Falconara Marittima e Montemarciano dovesse essere approvato dalle istituzioni. Una vera e propria favola che porterebbe alla rinascita del sito,  oggi altamente inquinato, e di tutta la zona circostante: eppure dei 140 milioni di investimento previsti  solo 5 andranno per la bonifica. Una cifra che rischia di essere insufficiente: nel 2002 la perizia richiesta dalla procura di Ancona stimava in  70-80 milioni di euro il costo della bonifica del sito. Ma andiamo per gradi.

Qualche mese fa la Genera Consulting, società a responsabilità limitata di Numana impegnata nel settore immobiliare e che agisce per conto di investitori stranieri che non vogliono essere al momento resi noti, ha presentato un progetto redatto dallo studio Sardellini-Marasca (guarda il documento completo) per il recupero della Montedison, abbandonata da anni e meta di senzatetto.

Il progetto nello specifico prevede:

- un centro commerciale (che sarà il fulcro economico)

- un centro espositivo

- un auditorium-centro congressi

- una mostra mercato permanente

- il recupero della la spiaggia di fronte alla Montedison

-  il recupero del vecchio Mandracchio (un’altra struttura abbandonata nei pressi della Montedison)

- la razionalizzazione e il potenziamento della viabilità territoriale e interurbana

-  la costruzione di una strada di collegamento tra Rocca Mare e Marina di Montemarciano

- la costruzione di un agriasilo nella zona di fronte alla Montedison (dove ora ci sono i campi di grano dell’Azienda Del Poggio)

-  una struttura alberghiera

-  una fattoria didattica

Tutto questo, naturalmente, dopo la bonifica del sito e delle strutture vincolate. Costo totale dell’operazione? Circa 140 milioni di euro. “In una cittadina come la nostra sono inusuali investimenti di uno o due milioni di euro – spiega Clemente Rossi, vicesindaco di Falconara Marittima – figuriamoci da 140 milioni…”. E in effetti viene da chiedersi: chi può decidere in un momento come questo di investire 140 milioni di euro per assicurarsi un sito inquinato, inserito in un’area a elevato rischio crisi ambientale, con un vincolo architettonico e non esattamente al centro del mondo?

La risposta non c’è perché gli investitori stranieri che mettono i soldi tramite la Genera consulting per ora preferiscono restare ignoti. “Ci mancherebbe altro – spiega Bernardo Marinelli, amministratore delegato della Genera consulting – se poi l’investimento non dovesse andare a buon fine ci perderebbero molti soldi. Sicuramente il nome degli investitori verrà reso noto a progetto approvato”.

L’unica cosa certa è che questo o questi Mister X non hanno deciso di investire solo a Falconara Marittima. Sempre tramite la Genera consulting, sono diventati proprietari di un sito a Foggia in cui porteranno a termine un progetto simile a questo (ma molto più in grande visto che l’investimento è di 264 milioni di euro e si dovrebbe chiamare “Parco integrato turistico commerciale e ricreativo”), uno a Gaeta (“Centro commerciale della nautica e dello sport”) e uno a Latina (“Parco dei pini”).

“La cosa di cui siamo molto fieri è che il progetto presentato da noi per il recupero della Montedison è perfettamente in regola col Piano Regolatore – continua Marinelli – e siamo convinti che porterà molto lavoro alle ditte marchigiane”. In effetti, non è proprio così. Una piccola variante al piano regolatore sarà necessaria perché le strutture sono leggermente sottodimensionate e le magagne burocratiche in questo genere di cose potrebbero portare via molto tempo.

Intanto le associazioni di categoria come Cna e Confartigianato, convocate dal Comune di Falconara Marittima per discutere del progetto, esprimono le loro perplessità sulla costruzione di una struttura così imponente in un luogo così ristretto. “C’è preoccupazione perché le piccole attività con la costruzione di un centro commerciale verrebbero penalizzate – spiega Andrea Riccardi della Cna – noi spingeremo affinché venga destinata una parte dell’investimento anche per i commercianti. E poi, per riqualificare davvero l’area, i lavori devono essere destinati alle imprese del territorio. Ci teniamo molto perché le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di tutelare i più piccoli”.

Anche i cittadini che abitano la zona, dopo la presentazione ufficiale del progetto al comune di Montemarciano hanno storto un po’ il naso. Per esempio, una docente di biologia di un ateneo marchigiano, dopo aver assistito alla presentazione, si è detta perplessa sulle risposte date in materia di bonifica. “Dalla loro hanno la legge – mi spiega – ed essendo zona destinata ad uso commerciale e non abitativo, il processo di bonifica non sarà totale, ma adeguato alle destinazioni d’uso”. La preoccupazione dei cittadini però è forte dato che “al solo toccare quel suolo c’è un grandissimo rischio di contaminazione ambientale“.

Nonostante le perplessità, l’iter per l’approvazione va avanti e per adesso, le previsioni più rosee, dicono che entro il 2014 verranno portate a termine le “carte” e a metà 2015 si inizierà con la bonifica del sito. Dopodiché “spero che entro la fine del mandato di questa giunta, nel 2018, sia completata tutta l’opera”, conclude Rossi. Per ora si attende la convocazione del consiglio comunale che dovrà parlarne.

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Lo ‘scomodo’ vincolo dei Beni culturali che ha rallentato la bonifica della Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/lo-scomodo-vincolo-dei-beni-culturali-che-ha-rallentato-la-bonifica-della-montedison/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/lo-scomodo-vincolo-dei-beni-culturali-che-ha-rallentato-la-bonifica-della-montedison/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:07:19 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=30 Una veduta del reparto per la produzione di acido solforico

Una veduta del reparto per la produzione di acido solforico

FALCONARA MARITTIMA – Sono passati quasi cento anni da quando, nel 1919, è stata ultimata la costruzione dell’enorme stabilimento Montedison  (che al tempo era ancora Società Marchigiana) di Falconara Marittima. Tre padiglioni, ognuno adibito a un compito precisoreparto per la produzione di acido solforico, magazzino per la fosforite, deposito. Il 25 marzo 2004, a distanza di 83 anni, la soprintendenza per i Beni architettonici e culturali delle Marche ha deciso di istituire un vincolo (secondo il Decreto Legislativo 29/19/1999 art. 2 comma1, lettera asu tutta la struttura, perché esempio di archeologia industriale più unico che raro.

Qui iniziano a nascere dei problemi sulla Montedison e sul futuro della bonifica visto che dal momento in cui viene messo un vincolo su una struttura la legge ‘costringe’ i proprietari a mantenerla in condizioni ottimali e il più possibile vicino alla sua natura originaria, cosa non facile se di mezzo c’è una bonifica così imponente.   

La questione del vincolo è stata molto dibattuta negli anni e le posizioni della Soprintendenza e dei proprietari sono diametralmente opposte: da una parte, chi ha interesse a far sì che un bene di importanza nazionale unico nel suo genere sia conservato, dall’altra i proprietari di un sito che deve essere bonificato da anni e non hanno voglia di veder lievitare le spese (un conto è buttare giù tutto e ricostruire, un conto è dover ripulire strutture enormi e totalmente contaminate).

Per sei anni la questione del vincolo è rimasta in secondo piano ma, nel 2010, l’Immobiliare Del Poggio ha deciso di presentare ricorso per farlo annullare spiegando perché, a distanza di anni,  quel vincolo non può più essere considerato valido:

- “…C’è stato un crescendo pauroso negli ultimi 2 o 3 anni di episodi di gravissimo vandalismo ad opera di extracomunitari…[..] che, oltre ad occupare stabilmente gli immobili facente parte del complesso, hanno asportato vari metalli presenti nel sito come ferro, fili, tubature di rame. Dobbiamo quindi rilevare che, ahinoi, il vincolo è rimasto puramente cartaceo”

- “La caratterizzazione del sito ha evidenziato una estesa superficie di terreno contaminata da metalli pesanti e la presenza di consistenti volumi di ceneri di pirite negli strati superficiali, quindi ogni intervento di bonifica su dei sedimi degli edifici in particolare quelli della zona nord (Solforico e Magazzino fosfati e simili) comportano la rimozione di consistenti volumi di terreno sottostanti previa demolizione di fabbricati sovrastanti compreso Le Arche”

I proprietari sostengono che il vincolo sia da annullare perché il sito e le strutture sono troppo inquinati, quindi o si mantiene il vincolo o si procede alla bonifica: le due cose sono incompatibili. Ma nel nuovo progetto, quello presentato dalla Genera consulting, c’è scritto che tutte le strutture saranno ripulite e sarà ricostruita per intero anche la parte crollata la scorsa primavera chiamata Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico. E la proprietà attuale è d’accordo visto che la bonifica, ‘salvo accordi futuri’ spetta comunque a loro come hanno specificato  in una mail in risposta alle nostre domande:

Il progetto di recupero urbanistico del sito Ex Montedison deve ovviamente essere preceduto dalla bonifica, cosa di cui si sta occupando e si occuperà fino alla completa realizzazione l’attuale proprietà. La cessione dell’area avverrà una volta bonificata l’intera area salvo diversi accordi futuri che non sono oggi oggetto di valutazione

Per quattro anni la bonifica è stata rimandata perché non si poteva intervenire per ‘colpa’ del vincolo, ora resta da capire come il problema sia scomparso e le strutture si possano recuperare. 

I proprietari sostengono di aver fatto il possibile per evitare che la fabbrica diventasse rifugio di senzatetto e si creasse quell’enorme disagio sociale che ha portato anche al degrado delle strutture. Ma in quello stabile può entrare chiunque e non è neanche esposto il cartello “proprietà privata”. Non ci sono misure di sicurezza reali per impedire l’accesso, a parte un po’ di filo spinato sopra i muretti. Ma nessuno ha bisogno di scavalcare il muro dal momento che c’è un ingresso aperto a tutti poco distante dal cancello principale. Inoltre, le finestre che dicono di aver murato, sono solo quelle dell’edificio più visibile dalla strada, per il resto è tutto ad accesso libero.

Alla richiesta dell’Immobiliare Del Poggio di rimozione del vincolo con le suddette motivazioni, la Soprintendenza ha risposto secondo l’istituto del silenzio-rifiuto, ossia, nessuna risposta che equivale a un ‘no’, il vincolo deve restare. La Del Poggio ha deciso di fare ricorso al Tar che si è espresso pochi mesi dopo dicendo che la Soprintendenza aveva il dovere di replicare al ricorso spiegando le proprie ragioni.

Per effettuare una stima completa ed eventualmente valutare la rimozione del vincolo, i funzionari del Ministero il 25 ottobre del 2011 hanno inviato una richiesta per avere i dati aggiornati sull’inquinamento delle strutture. Richiesta alla quale la ditta proprietaria non ha risposto e alla quale, solo dopo varie sollecitazioni, ha ribattuto così: “La vostra spettabile amministrazione nell’ambito del procedimento al Tar non ha ritenuto partecipare né tantomeno acquisire i documenti che ora pretende di avere. Queste pretese dovevano essere avanzate prima e non ora”. E così passa ancora un po’ di tempo, ma non senza conseguenze.

Intanto, nel marzo del 2013 è crollata una parte del complesso chiamata Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico perché costruita totalmente in legno. Il 22 ottobre dello stesso anno è arrivata la relazione della Soprintendenza in risposta alla richiesta di rimozione del vincolo, come imposto dal Tar: “Le ragioni poste alla base della richiesta di rimozione del vincolo riguardanti atti di vandalismo non possono avere alcun peso nelle valutazioni storico culturali […] Come pure i livelli di inquinamento non possono determinare la valenza storico culturale del complesso. Tra l’altro, lo scrivente Ufficio, non ha ricevuto nessun documento che attesti i livelli di tale inquinamento”.

Il 22 ottobre 2013, a due anni di distanza dalla richiesta dei dati sulla contaminazione delle strutture, dei suoli e delle falde della Montedison, nessuno della proprietà si è mosso per fornire i dati.  In ogni caso, secondo i Beni Culturali, il vincolo non può essere tolto e il crollo delle Arche è stato un danno inaccettabile. Per questo è stato avviato circa un mese fa un procedimento legale con una richiesta di risarcimento di quasi tre milioni di euro (secondo l’articolo 160 del codice unico dei beni culturali). Altra tegola, oltre alla bonifica, che i proprietari dovranno risolvere prima di ‘vendere’.

Sono passati ormai 10 anni dall’imposizione di quel vincolo fatto per mantenere la struttura nelle migliori condizioni possibili e conservarne l’unicità. In realtà, più passa il tempo più lo stabile diventa fatiscente e perde la sua memoria storica che riporta direttamente ai primi anni del 1900. E gli unici colpevoli di questo disfacimento, secondo i proprietari, sarebbero coloro che cercano rifugio dal freddo e dalla pioggia vivendo in condizioni disumane.

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Le ‘anime salve’ della Montedison: elemosina e prostituzione per sopravvivere http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/le-anime-salve-della-montedison-elemosina-e-prostituzione-per-sopravvivere/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/le-anime-salve-della-montedison-elemosina-e-prostituzione-per-sopravvivere/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:04:42 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=48 panni-stesi

Una delle strutture occupate dai rom

FALCONARA MARITTIMA – In alcuni periodo sono trenta, in altri quaranta, sotto Pasqua arrivano anche a superare la cinquantina. Tra loro ci sono donne incinte e ragazzi poco più che maggiorenni. Si tratta degli abitanti’ della ex Montedison che ormai da molti anni trovano rifugio dentro la vecchia fabbrica vivendo in una specie di discarica a cielo aperto e calpestando ogni giorno quei terreni contaminati, senza contare il rischio che la struttura gli cada addosso.

La loro vita in Italia è perfettamente organizzata: si svegliano, escono e rincasano la sera; durante il giorno, dentro la Montedison, non si trova nessuno. Hanno l’abbonamento dell’autobus per spostarsi nella provincia e raggiungere il loro luogo di ‘lavoro’, ossia qualche chiesa o centro commerciale per elemosinare o i bagni di qualche stazione ferroviaria per prostituirsi. La sera tornano nelle loro baracche, dormono su un letto fatto di coperte ammassate e si fanno luce con delle candele perché non hanno elettricità. Questo quando non fa troppo freddo o quando non sopraggiungono problemi di salute. In caso contrario, si rivolgono alle case d’accoglienza della città e della provincia e almeno per qualche giorno si sistemano così. Ogni tanto, in piena notte o all’alba, arriva un raid della polizia o dei carabinieri (l’ultimo recente il 19 marzo): li portano via, li schedano e li minacciano di rimpatrio. Ma dopo pochi giorni, inevitabilmente, tutto torna come prima.

All’interno della vecchia fabbrica c’è un grande via vai di persone perché si tratta più di un punto d’appoggio temporaneo che di un vero e proprio campo rom, per questo è ancora più difficile tenere sotto controllo la situazione. Alla Montedison passano coloro che arrivano dalla Romania in questa zona, molti  sono imparentati, si fermano per periodi brevi e poi ritornano a casa per portare quello che hanno guadagnato ai loro famigliari. La Caritas di Falconara Marittima, insieme al Comune, cerca da anni di coinvolgerli in progetti lavoro e conoscerli meglio, cosa assolutamente non facile. Dagli approcci (timidi) avuti con loro è uscito questo identikit inserito all’interno di una relazione del Comune:

I rom rumeni che abitano la Montedison provengono quasi tutti da tradizioni fortemente legate alla musica e hanno spesso abilità nel lavori artigianali. Per vivere in Italia chiedono l’elemosina ma nella loro vita precedente hanno quasi tutti avuto esperienze di lavoro. Molti di loro hanno lasciato casa e famiglia in Romania dove tornano per brevi periodi dell’anno. Qui non hanno nulla e necessitano di tutti i beni primari. In Italia vivono di stenti ma per mandare i soldi ai loro figli, che lasciano nella terra natìa con i nonni, hanno bisogno delle elemosina di noi italiani. 

Molti di loro in Romania hanno una casa e tutti lasciano una famiglia, ma hanno bisogno di venire in Italia per mantenere i propri figli. Le nostre elemosina, da loro, valgono uno stipendio. E in ogni caso ”là vivono anche peggio – spiega un’operatrice del Comune di Falconara Marittima – è vero che hanno delle case ma spesso sono baracche in zone periferiche delle città. Con quello che guadagnano qua riescono a sistemare un po’ le cose e aiutare i figli che spesso restano coi nonni. Mi è capitato di incontrare una ragazza incinta che viveva alla Montedison: è rimasta a lavorare per un po’ e se ne è andata al settimo mese di gravidanza. Voleva partorire in Romania, a casa sua”.

Lei ha conosciuto da vicino molte persone che abitavano alla Montedison: la maggior parte di loro sta pochi mesi e non fa più ritorno in Italia ma ci sono anche degli ‘ospiti fissi’. E anche per questo qualcuno sospetta che ci possa essere qualcuno che organizza e non si tratti di semplici nomadi di passaggio. Per esempio Don Giuliano, il prete della parrocchia di Santa Maria della neve e San Rocco che sta proprio lì di fronte: “Io vedo persone diverse ogni giorno – racconta – cambiano in continuazione e li riconosco perché chiedono le elemosina proprio davanti alla mia chiesa. Però vedo anche dei personaggi fissi, sempre gli stessi, che arrivano parlano con gli altri e poi se ne vanno. Le zone del territorio sono coperte in modo meticoloso, è tutto perfettamente organizzato”.

Non ci sono bambini (o almeno nessuno li ha mai visti) e i cittadini che abitano la zona circostante quasi non si accorgono della presenza dei Rom perché sono invisibili, quasi delle ombre. “Li vediamo ogni tanto rincasare la sera – racconta Francesco – ma non ci danno fastidio. A volte sentiamo dei rumori provenire dall’interno, degli schiamazzi ma a noi non hanno mai dato fastidio”. Stessa cosa racconta Paolo, che ha un negozio di frutta e verdura proprio lì davanti: “So che ci sono, penso che alcuni siano delinquenti altri brave persone. Comunque a noi non danno fastidio”.

 

 

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Scheda tecnica: come si attiva una bonifica http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/scheda-tecnica-come-si-attiva-una-bonifica/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/scheda-tecnica-come-si-attiva-una-bonifica/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:01:49 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=238 [continua a leggere]]]> Sono anni che in Italia si parla di inquinamento. Il caso più noto e più discusso è quello dell’Ilva di Taranto, l’acciaieria di proprietà della famiglia Riva sequestrata nel 2011 e rilasciata un anno dopo con l’obbligo di limitare le immissioni di sostanze inquinanti nell’ambiente. Per risolvere i problemi relativi alla contaminazione di un sito bisogna affrontare tutta la procedura amministrativa che conduce alla bonifica.

Bonificare un sito vuol dire ripulirlo da tutte le sostanze nocive che sono presenti nei terreni e nelle falde togliendo fisicamente il terreno stesso che verrà smaltito nelle discariche. Il fine ultimo è riportare tutto nelle condizioni in cui era prima che sopraggiungesse l’inquinamento (ben diversa è la ‘messa in sicurezza’ che prevede solo la costruzione di barriere per far sì che la contaminazione resti circoscritta).

Ma come si arriva a decidere della bonifica di un sito?

SI RISCONTRA L’INQUINAMENTO

Le strade perché si attivi la procedura che porta alla bonifica di un sito sono tre e partono tutte dalla scoperta di un potenziale inquinamento:

1) Il proprietario di un sito decide di fare dei controlli e si accorge che qualcosa non va;

2) Gli organi di controllo (Ispra-Arpam) nelle analisi di routine riscontrano delle anomalie e si attivano;

3) Succede qualcosa per cui qualcuno si accorge che c’è in quel posto un problema (è il caso della Montedison e dell’acqua del pozzo inquinata).

In ognuno dei tre casi, se si decidesse che va fatta una bonifica, il pagamento delle spese spetterebbe a chi ha inquinato (se ancora esiste come soggetto giuridico; nel caso della Montedison non c’è più) o a chi possiede il sito. Questo perché quando un terreno viene studiato e definito meritevole di bonifica su quel terreno si istituisce un vincolo detto ‘onere reale’, che circolerà insieme al terreno. Chi acquista, acquista un terreno con un onere reale che è quello della bonifica.

ANALISI DEI TERRENI E DELLE ACQUE

A seguito del riscontro di un potenziale inquinamento, si comunica alle autorità competenti dell’avvenuta scoperta e si procede con l’analisi dei terreni e delle acque per capire se effettivamente c’è una contaminazione. Se le analisi dovessero dare esito negativo si chiuderebbe il caso con un obbligo di ripristino della zona. Se le analisi dovessero dare esito positivo, e quindi si riscontrasse un superamento dei limiti di legge anche per un solo parametro, si passerebbe alla terza fase.

PIANO DI CARATTERIZZAZIONE DEL SITO

Con i dati sull’inquinamento in mano, si procede alla caratterizzazione del sito, ossia si rende esplicito che tipo di inquinamento c’è e si presenta il documento in conferenza di servizi. Qui gli Enti coinvolti discutono per approvare o meno quel piano di caratterizzazione. Se non venisse approvato si tornerebbe al punto precedente con la richiesta di nuove analisi più approfondite, se venisse approvato si passerebbe alla fase successiva (nel caso della Montedison il piano di caratterizzazione presentato dalla Del Poggio è stato approvato nel 2005).

ANALISI DEL RISCHIO

Dal momento dell’approvazione del piano di caratterizzazione i proprietari del sito in oggetto hanno tempo 6 mesi per presentare l’analisi del rischio sito specifica, ossia il resoconto reale del rischio che sussiste per la salute delle persone e dell’ambiente (questo passaggio è stato introdotto nel decreto legislativo 152  a seguito delle modifiche nel 2006). Anche in questo caso i risultati possono essere positivi o negativi: se non c’è un reale pericolo per le persone e per l’ambiente si chiude la procedura, se invece c’è si passa alla fase conclusiva.

PROGETTO DI BONIFICA

L’ultima fase di questo iter prevede la presentazione di un progetto di bonifica, che può essere effettuata in modo più o meno approfondito a seconda della destinazione d’uso che si vuol dare al sito in oggetto. Se si bonifica per costruire case, ospedali o strutture residenziali i limiti da rispettare sono quelli della colonna A della tabella allegata alla legge 152/2006; se invece si vuol costruire un centro commerciale o una struttura di ‘passaggio’ i limiti sono molto più blandi (colonna B) e di conseguenza la bonifica è molto meno approfondita.

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Don Giuliano e quel campo da calcio riempito con la pirite della Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/don-giuliano-e-quel-campo-da-calcio-riempito-con-la-pirite-della-montedison/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/don-giuliano-e-quel-campo-da-calcio-riempito-con-la-pirite-della-montedison/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:01:37 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=43 MONTEMARCIANO – Di fronte alla vecchia Montedison c’è la parrocchia di Santa Maria della Neve e San Rocco. I ragazzi dell’oratorio, fino a undici anni fa, avevano a disposizione un campo da calcio vero e proprio di proprietà della Chiesa. Ma dopo che le ceneri di pirite della Montedison sono state utilizzate per riempire le buche, quel campetto è diventato altamente inquinato e quindi inagibile. Dovevano essere smaltite da qualche parte e hanno scelto di ammassarle lì.

In realtà un progetto di recupero per quel campo da calcio era stato formulato già due anni fa, ma in concreto non è ancora stato fatto nulla. Chi si occuperà della bonifica della Montedison in futuro dovrà pensare anche a questo.

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TIMELINE /Storia della Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/storia-della-montedison/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/storia-della-montedison/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:01:36 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=128

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La realtà dell’ex Montedison: inquinamento, strutture fatiscenti e degrado sociale http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/la-realta-dellex-montedison-inquinamento-strutture-fatiscenti-e-degrado-sociale/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/la-realta-dellex-montedison-inquinamento-strutture-fatiscenti-e-degrado-sociale/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:01:16 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=24 La Montedison da fuori

L’ingresso principale della ex-Montedison

FALCONARA MARITTIMA – La strada statale 16 collega Falconara Marittima a Montemarciano. Da una parte la campagna, qualche polo commerciale, un paio di benzinai. Dall’altra la raffineria Api, un concessionario di auto usate e una struttura enorme, spettrale, desolante, abbandonata. Si tratta di una delle aree ex Montedison d’Italia, incastonata tra i campi di grano – da cui la divide solo una strada – e il mar Adriatico che negli anni, lentamente, ha rosicchiato la spiaggia e oggi arriva quasi ad accarezzarla con le sue onde. Dal 1988 la Montedison non produce più i perfosfati, fertilizzanti chimici che hanno fatto la fortuna dell’azienda negli anni ’50. È ferma, ma non innocua. L’inquinamento che ha generato negli anni, infatti, non solo non è stato mai ‘debellato’ ma addirittura nel tempo sembra aumentare.

I milligrammi di piombo sono 59.626 per ogni chilo di terra, rispetto al limite legale di 100; 260 di mercurio quando il limite è 1; 10 milligrammi di Pcb su un limite di 0,06. I valori che si leggono nelle analisi fatte dall’Immobiliare Del Poggio, una delle proprietarie del sito (che nel 2007 si chiamava ancora Azienda agricola Del Poggio), in alcuni casi superano di quasi seicento volte le quantità consentite dalla legge. E si tratta di metalli pesanti cancerogeni. Nelle falde acquifere la situazione non è migliore: il piombo è presente in quantità 6 volte superiori rispetto al limite legale (63 μg/l rispetto al limite di 10 μg/l), il manganese 15 volte di più (valore massimo 780 μg/l rispetto al limite di 50 μg/l) e per il ferro si parla di una presenza addirittura 24 volte più invasiva (4895 μg/l rispetto al limite di 200 μg/l). Ecco perché il sito Falconara Marittima, che comprende la Montedison, è stato inserito nel 2006 tra i 57 di interesse nazionale per quanto concerne l’inquinamento (dal 2013 sono 39 perché 18 sono diventati d’interesse regionale).

La situazione diventa ancora più grave se si leggono questi numeri confrontandoli con quelli che nel 2001 erano stati riscontrati in una perizia decisa dalla procura della Repubblica di Ancona (leggi il documento completo). Il sito era stato sequestrato per accertare la presenza di inquinamento dopo la segnalazione di alcune anomalie nella acque di un pozzo poco distante. Nei terreni, al tempo, non c’erano idrocarburi né Pcb e nelle falde non c’erano le dosi elevate di metalli pesanti e fluoruri che oggi invece le invadono. Com’è possibile? Il sito non produce e, secondo gli esperti, è inverosimile una migrazione dell’inquinamento dalla vicina raffineria perché le due fabbriche sono divise dal fiume Esino, che passa perpendicolarmente alle strutture e arriva direttamente sul mare.

Che cosa sia successo negli anni non si sa, l’unica certezza è che la bonifica richiesta dalla perizia di Nedo Biancani nel 2002 su incarico della Procura (“L’intera area abbisogna di un intervento di bonifica e/o di messa in sicurezza in conformità al D.M. 471/99”), il cui costo al tempo era stimato in 70 milioni di euro, non è stata mai fatta (nel frattempo sono cambiate le normative in materia d’inquinamento: il decreto legislativo del 1999 è stato sostituito da quello del 2006). Nel 2005 il piano di caratterizzazione del sito era stato approvato in conferenza di servizi ma, nel 2012 a distanza di 5 anni, le richieste del Ministero per avere ulteriori analisi e riscontri non erano ancora state soddisfatte. In ogni caso, secondo la legge, dopo l’approvazione del piano di caratterizzazione ci sono sei mesi di tempo per presentare l’analisi del rischio. In questi giorni, secondo quanto sostengono le aziende propritarie della Montedison, la relazione dovrebbe essere stata inviata al Ministero. Sono passati nove anni. Inoltre, secondo fonti ben informate, la Agricola 92 – che nel 1999 divenne proprietaria del sito e tuttora ne possiede una piccola parte – ha ottenuto tutto lo stabile gratuitamente e con un ‘incentivo’ di tre miliardi di lire dall’Enichem, che però ha scaricato sui nuovi proprietari l’onere della bonifica.

Oggi i proprietari sono tre: la parte più importante (11,29 ettari su 11,80) è dell’Immobiliare Del Poggio - che è una controllata dell’Azienda Agricola del Poggio -, una parte minima è rimasta dell’Agricola92 (0,51 ettari) e l’arenile (la spiaggia) appartiene alla Rocca Mare. Tutte e tre le società sono legate da un filo comune: le prime due hanno la stessa sede legale e appartengono stessa famiglia (Pollarini), la Rocca Mare e l’Immobiliare Del Poggio hanno come rappresentante legale Aldo Pollarini. Più volte abbiamo cercato di contattarli ma l’unica risposta che ci è stata data riguarda la futura bonifica che sarà comunque a loro spese e che dovranno effettuare prima di cedere il sito. Sul resto ci è stato detto che “la proprietà non fornisce informazioni”.

Resta il fatto che ci sono abitazioni a pochi metri dalla vecchia fabbrica di fertilizzanti, ci sono negozi e c’è anche una chiesa con un campo da calcio inutilizzabile perché è stato riempito di ceneri di pirite scartate dalla Montedison. La gente lì ci vive, ma perché nessuno ha fatto nulla per loro? Perché le istituzioni non hanno imposto una bonifica? In teoria, una via d’uscita ci poteva essere. Quando i proprietari di un sito inquinato sono inadempienti può intervenire direttamente il Ministero, prendere il sito, bonificare e poi rivalersi sui soggetti proprietari. E in effetti, in coda a una relazione del luglio 2010 inviata proprio dal ministero dell’Ambiente alle aziende proprietarie del sito ex-Montedison si leggeva:

“La scrivente direzione in caso di ulteriore inadempienza da parte di codeste aziende attiverà , previa formale messa in mora, i poteri sostituivi in danno”

I “poteri sostituivi in danno” sono quelli che permettono di prendere il sito, bonificare e poi rivalersi per la parte economica su chi avrebbe dovuto intervenire, cioè i proprietari stessi (che va detto, a loro volta, potrebbero decidere di bonificare e poi rivalersi sull’inquinatore originario – in questo caso la Enichem che ha ereditato tutto dalla Montedison – a meno che nel passaggio di proprietà non sia stata inserita una clausola apposita che lo impedisce). Il problema è: se i proprietari non avessero i soldi per risarcire lo Stato? “In effetti questa è una procedura che non si attiva quasi mai – spiega Nedo Biancani  – perché ci sono in gioco tanti soldi e a livello economico non conviene al Ministero fare un passo così azzardato. Per questo continua ad inviare avvisi, ingiunzioni sperando che prima o poi la situazione si sblocchi”.

E la speranza che la situazione si sblocchi è tornata viva proprio in questi ultimi mesi: la Genera consulting, società che agisce per conto di investitori stranieri che non vogliono essere resi noti, ha presentato un progetto molto ambizioso che prevede una bonifica del sito e la costruzione di un polo commerciale e di altre strutture permanenti. Il tutto per un investimento totale di circa 140 milioni di euro. “Faremo tutto secondo il piano regolatore”, precisa l’amministratore delegato Bernardo Marinelli. Ma ci sono delle perplessità da parte delle associazioni di categoria, che temono lo schiacciamento delle piccole realtà che abitano da sempre il territorio, e da parte dei cittadini che temono una bonifica solo ‘parziale’.

Secondo Marinelli sarà anche rispettato il vincolo imposto nel 2004 dal ministero dei Beni culturali sulla Montedison, che in questi anni è stato motivo di discordia tra i proprietari e la Soprintendenza di Ancona. Il crollo dello scorso marzo di una delle parti più importanti della struttura, Le Arche, è stato il culmine della diatriba. La fortuna, in quell’occasione, è stata che nessuno dei tanti senzatetto e rom che trovano rifugio all’interno dell’azienda sia rimasto schiacciato. Ecco un’altra questione spinosa: che fine faranno coloro che abitano la struttura da anni? Nei 140 milioni di euro è previsto un investimento per sistemare anche loro? Per ora si attende l’approvazione del progetto da parte dei due Comuni coinvolti e i cittadini non possono far altro che aspettare.

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Ex operai della Montedison: “Siamo rimasti in 5 o 6 su 102″ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/ex-operai-della-montedison-siamo-rimasti-in-5-o-6-su-102/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/28/ex-operai-della-montedison-siamo-rimasti-in-5-o-6-su-102/#comments Sun, 27 Apr 2014 22:01:13 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=45 MONTEMARCIANO – Molti abitanti della zona sono stati operai della Montedison. Passeggiando nei dintorni della fabbrica abbandonata ne abbiamo incontrati due, Luigi di 70 anni e Alberto di 80, il primo affacciato alla porta di casa, l’altro intento a verniciare nel garage. Sono stati operai specializzati e hanno lasciato il loro posto quando la Montedison (che era già diventata Enichem) ha cessato di produrre. Sanno bene quanto inquinamento è stato riversato su quei terreni.

“Bruciavamo la pirite per fare l’acido solforico – spiega Alberto, il più anziano dei due – e i camini buttavano fuori un fumo giallo, nitroso che era nocivo…e poi c’era ethernit dappertutto”. Ora l’amianto non c’è più, ma in tutti quegli anni Alberto, così come gli altri 102 addetti della fabbrica, l’ha respirato.

Luigi oggi ha 70 anni ed è stato addetto alla fusione della pirite. Racconta: “Siamo rimasti in 5 o 6 dei 102 che eravamo. Io mi porto dietro un po’ di sordità perché lavoravo ai forni dove bruciavamo la pirite, dentro quelle stanze facevano quasi mille gradi…tra i miei colleghi ci sono stati casi di tumore ma non si è mai capito se dipendesse dall’inquinamento della Montedison o da altro”.

Oggi dalle loro case a pochi metri dalla Montedison guardano la struttura abbandonata come un pezzo del loro passato e sperano, per il loro futuro, che al più presto venga bonificata “perché sotto quei terreni c’è di tutto”, conclude Luigi.

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Le foto della Ex Montedison http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/14/le-foto-della-ex-montedison/ http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/14/le-foto-della-ex-montedison/#comments Mon, 14 Apr 2014 08:11:14 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/?p=83 http://ifgnetwork.uniurb.it/salvati/2014/04/14/le-foto-della-ex-montedison/feed/ 0