Il prezzo dell'oro bianco http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi La pietra più pura strappata dalla montagna Thu, 24 Apr 2014 20:39:33 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 La pietra più pura strappata dalla montagna Il prezzo dell'oro bianco no La pietra più pura strappata dalla montagna Il prezzo dell'oro bianco http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi Chi sono http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/23/chi-sono/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/23/chi-sono/#comments Wed, 23 Apr 2014 17:13:59 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=560 [continua a leggere]]]> Chi sono VALERIA STRAMBI

Giornalista praticante all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino

Profili: Linkedin, Facebook

E-mail: valeriastrambi@gmail.com

Sono nata a Siena il 15 settembre del 1987 e dopo aver studiato al Liceo classico Alessandro Volta di Colle Val d’Elsa ho frequentato la Facoltà di Lettere Moderne dell’Università di Siena. Mi sono laureata alla triennale con una tesi sulla scrittura giornalistica di Eugenio Montale e alla magistrale con una tesi sulle conversazioni radiofoniche che Franco Fortini tenne per la RSI, la Radio televisione Svizzera di lingua italiana.

Ho approfittato della possibilità di fare l’Erasmus e ho trascorso nove mesi alla Royal Holloway University of London. Sempre mentre frequentavo l’Università, sono partita per gli Stati Uniti e ho lavorato per sei mesi nel dipartimento Communication&Marketing di un’azienda della Pennsylvania, occupandomi di sostenibilità ambientale.

Da sempre la mia passione per il giornalismo si è legata alla voglia di conoscere realtà per me nuove, non necessariamente lontane. Amo scrivere di cultura e di arte, ma sono affascinata anche dalle problematiche sociali e dal mondo del lavoro e della scuola.

Da più di due anni collaboro con Canale 3, un’emittente televisiva Toscana. Ho trascorso tre mesi nella redazione fiorentina de La Repubblica scrivendo sia per l’edizione cartacea che per quella online. Per i prossimi due mesi mi aspetta un’esperienza a Bruxelles, al sito www.eunews.it

Leggere è il mio sport preferito, ma più di dieci anni fa mi sono innamorata di una disciplina che mi completa: il Kung Fu. Eleganza, equilibrio, concentrazione: tre obiettivi a cui tendere che mi hanno permesso di raggiungere un piccolo traguardo, la cintura nera.

 

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L’editto del 1751: beni estimati e concessioni http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/17/concessioni-e-beni-estimati/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/17/concessioni-e-beni-estimati/#comments Thu, 17 Apr 2014 15:10:30 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=325 [continua a leggere]]]> Maria Teresa Cybo-Malaspina, principessa di Carrara

Maria Teresa Cybo-Malaspina, principessa di Carrara

CARRARA – Il gestore principale delle cave di marmo a Carrara è il Comune, o almeno, dovrebbe esserlo. Lo è nella misura in cui amministra gli agri marmiferi, cioè gli appezzamenti di cava considerati pubblici, che vengono dati in concessione per un certo periodo di tempo a singole persone o a soci. Lo è un po’ meno per quanto riguarda i “beni estimati”, cave considerate alla stregua di proprietà privata, che non hanno scadenza e che non è quindi possibile riassegnare tramite gara pubblica.

Tutto questo è consentito perché viene ancora applicato un regolamento del XVIII secolo, più precisamente l’editto che Maria Teresa Cybo-Malaspina, sovrana del Ducato di Carrara, emanò nel 1751 per regolamentare l’attività di cava. Nelle intenzioni della principessa c’era la volontà di mettere ordine a un sistema privo di logica, tanto che istituì una sorta di ‘concessione perpetua’ di escavazione a coloro che nel catasto dell’epoca avessero la cava registrata da almeno 20 anni. Tutti gli altri avrebbero dovuto abbandonare e restituire le cave.

Da anni si discute su quanto sia da ritenere ancora legittimo un regolamento del ‘700. Tuttavia alcuni imprenditori ne rivendicano la validità e continuano a considerarsi proprietari di beni che dovrebbero appartenere al “patrimonio indisponibile comunale”, secondo quanto affermato anche dal Regio decreto n.1443 del 1927.

Cava di marmoSulle 80 cave di Carrara i beni estimati sono almeno 8, gli agri marmiferi poco più di 20, mentre tutte le altre attività operano in forma mista, a metà tra agro marmifero e bene estimato. Essere considerato proprietario di un bene estimato significa avere almeno due tipi di vantaggi:

- La concessione è perpetua e quindi non c’è da preoccuparsi di un’eventuale scadenza.
- È necessario pagare solo uno dei due canoni stabiliti dalla legge. Mentre chi amministra l’agro marmifero deve al Comune l’8% del valore della produzione e alla Regione il 5%, chi possiede il bene estimato paga solo la cifra imposta dalla Regione e niente al Comune.

Il problema più volte evidenziato è che molti imprenditori guadagnano grandi cifre, mentre nelle casse del Comune resta ben poco. In più, le tariffe sono considerate esigue rispetto al prezzo a cui viene rivenduto il marmo sul mercato.

Dal punto di vista legislativo ci sarebbero già due episodi che di fatto negherebbero la legittimità dell’editto estense. Oltre alla già citata legge di unificazione mineraria del 1927 che cancellava la regola della “perpetuità della concessione”, anche la Corte Costituzionale si è espressa. Con la sentenza 488 del 1995  ha decretato che “una parte della legislazione estense è incompatibile con la legge dello Stato”.

Nei mesi scorsi il Comune di Carrara e la Regione Toscana hanno chiesto un ennesimo parere. Ad esprimersi questa volta è stata l’Università di Roma 3, che ha stabilito che i beni estimati sono proprietà pubblica e non privata.

Piazza a CarraraTra gli obiettivi del Comune c’è quello di varare un nuovo ragolamento sugli agri marmiferi che però, prima di essere emanato, attende la nuova legge regionale sull’escavazione, che dovrebbe riformare la legge 78 del ’98. Oltre a eliminare i beni estimati, ci sarebbe anche la volontà di ridurre la durata delle concessioni dai 29 anni attuali a non più di 10.

“Il Comune in quanto proprietario dei nostri monti – aveva dichiarato l’assessore al marmo Andrea Vannucci in un’intervista a La Nazione del 7 ottobre 2013 – deve essere il gestore e colui che distribuisce e controlla le concessioni attraverso apposita gara che privilegi coloro che più investano sia nell’azienda che sul territorio, che più garantiscano il lavoro e l’occupazione, che meglio assicurino la lavorazione in loco. Dai beni estimati contiamo di introitare circa 3 milioni l’anno in più, il 20 o 30% in più sulle entrate dell’escavazione”.

Sull’illegittimità dei beni estimati sembrano essere quasi tutti d’accordo, ma Carrara, a distanza di 300 anni, sta ancora aspettando.

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Giovani, per alcuni lavorare nella cava è una scelta http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/13/giovani-quando-fare-il-cavatore-e-una-scelta/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/13/giovani-quando-fare-il-cavatore-e-una-scelta/#comments Sun, 13 Apr 2014 15:23:00 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=204 [continua a leggere]]]> Una delle strade che porta alle cave

Una delle strade che porta alle cave

CARRARA - Ogni mattina alle 6.30, dal lunedì al venerdì, c’è un rituale che si ripete nel parcheggio vicino all’imbocco di via Foce, la vecchia strada che da Massa si arrampica fino a Carrara. Alcuni giovani colleghi si danno appuntamento mentre la città dorme ancora e saltano a bordo della jeep che li porterà nel loro ufficio: le cave di marmo.

Venti minuti di curve strette e salite perpendicolari. Ma ormai non ci fanno più caso, percorrere una stradina incrociando camion che a ogni mandata trasportano blocchi di 30 tonnellate, fa parte del loro mestiere. Sul ‘monte’ vale un codice della strada particolare, fatto di gestualità, intesa e qualche sporadica comunicazione radio.

Paolo Ricci ha 33 anni, vive a Massa ma è originario di Casette, paesino di 700 abitanti ai piedi della cava in cui lavora. Con molti altri coetanei e colleghi più anziani – in tutto i lavoratori sono una novantina – è occupato in cooperativa, forma societaria che si è sviluppata accanto a quelle individuali e di capitali. “In cooperativa mi sento più tutelato che non alle dipendenze di un padrone che impone ritmi e condizioni di lavoro – racconta Paolo – così ho la possibilità di crescere e fare carriera dentro l’azienda. Attualmente sono addetto alla macchina a filo diamantato, che serve a sezionare il blocco, ma l’obiettivo è quello di diventare, un giorno, capo della mia area. Sto già dando una mano nelle mansioni”.

Paolo Ricci

Paolo Ricci

“Sono in Cooperativa Gioia dal 2006 – continua Paolo – però faccio questo mestiere da 13 anni, da quando ero poco più che ventenne. La mia è una passione che nasce da lontano: il mio babbo, mio zio e anche mio nonno erano cavatori e io non mi sarei immaginato in nessun altro luogo se non quassù”.

Alle 12 è il momento del pranzo e il gruppo si ritrova per andare a mensa. “Il pasto è un appuntamento speciale – spiega Paolo – è come stare in famiglia. Il rapporto che si crea con i colleghi è di fratellanza e fiducia. Mentre lavoriamo quello che si trova nella bancata di sotto non vede cosa succede sopra di lui. Un errore di una persona può mettere in pericolo anche te, per questo dobbiamo contare l’uno sull’altro”.

Paolo due anni fa si è sposato e sua moglie sta in ansia ogni giorno: “È un lavoro duro: sei esposto al freddo più nero d’inverno e al sole accecante d’estate, in più stai sempre dentro il fango. Però amo quello che faccio, la montagna è il mio pane e cerco di sfruttarla rispettandola”.

Il lavoro di cavatore è pagato in media 1600 euro al mese, ma con gli straordinari non è difficile arrivare ai 2000.

Giacomo Dell'Amico

Giacomo Dell’Amico

Giacomo dell’Amico di anni ne ha 22 e fa il cavatore da appena sei mesi. Il tragitto per lui la mattina non si ferma nella cava Gioia, ma prosegue fin sopra Fantiscritti, nell’azienda Fiordichiara. “Mio padre è in pensione – racconta Giacomo – ma è da lui che mi è venuta la voglia di avvicinarmi al mestiere. Per noi giovani non ci sono molte alternative, avere uno stipendio ogni mese è diventata un’utopia per la maggior parte dei miei coetanei”. Giacomo aveva sempre vissuto questo mondo da lontano e racconta di essersi sentito piccolo la prima volta che è entrato nella cava in galleria in cui lavora: “Ho realizzato di essere nelle viscere di una montagna, un luogo da togliere il fiato. Ora non ci penso, è come essere a casa, ho un tetto sopra la testa”.

E come Paolo e Giacomo, tanti altri ragazzi della terra dura di questa provincia di Toscana.

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Il mestiere del cavatore: gli infortuni e la sicurezza http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/13/183/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/13/183/#comments Sun, 13 Apr 2014 13:07:24 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=183 [continua a leggere]]]> Taglio con il filo diamantato

Taglio con il filo diamantato

CARRARA – Il cavatore si alza all’alba, è continuamente esposto al caldo e al freddo, i piedi sempre nel fango. Estrarre il marmo significa sudare, soffrire, lottare contro la montagna. Ma, come in ogni lotta, si può anche perdere.

Oggi il mestiere del cavatore è cambiato. I tempi in cui le grandi pareti bianche venivano abbattute con l’esplosivo e i tecchiaioli passavano intere giornate a calarsi con una fune lungo le bancate, sono ormai un ricordo. Grazie alla tecnologia e all’introduzione di moderni macchinari non è stata ridotta solo la fatica, ma sono diminuiti in maniera significativa anche gli infortuni. Ciò non toglie che quello del cavatore rimane uno dei lavori più rischiosi. Si può ancora morire in cava.

Nella provincia di Massa-Carrara dal 2005 al 2010 c’è stata una media di un infortunio mortale all’anno, anche se nel 2008 e nel 2009 non se ne è verificato nessuno. Nel 1997 le morti sul lavoro erano state tre, mentre nel 1998, nel 1999 e nel 2002, due. Ad essere diminuito sensibilmente è il numero complessivo degli infortuni, più o meno gravi, che in quasi dieci anni si è dimezzato. Dai 167 incidenti del 2005 si è passati agli 81 del 2013.

“Ad essere cambiata di più è la mentalità di chi fa questo mestiere – spiega l’ingegnere Maura Pellegri, responsabile del Dipartimento di Prevenzione e dell’Unità Funzionale Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro di Massa-Carrara – c’è una maggior consapevolezza sia da parte degli imprenditori che dei cavatori. Hanno capito che si può fare molto per evitare incidenti”.

L’ingegnere Pellegri ricorda che storicamente, ma ancora nel 1997, anno in cui ha iniziato a occuparsi delle cave, c’era una sorta d’ignoranza e di fatalismo: “Chi lavorava al monte sapeva che il proprio compito era quello di strappare il materiale e sapeva anche che in questo sforzo ogni tanto qualcuno ci rimaneva sotto. Il tutto era vissuto come un destino ineluttabile, avere il nonno o lo zio morti in cava portava a una forte identificazione e a una grande empatia”.

Gli ingegneri Maura Pellegri e Domenico Gullì

Gli ingegneri Maura Pellegri e Domenico Gullì

Le problematiche del settore estrattivo, oggi come ieri, sono tante ed è per questo che viene richiesto un controllo continuo e mirato. Oltre alle normative standard, come per esempio il decreto legislativo 81/2008 che disciplina la formazione del lavoratore, gli strumenti di protezione personale e l’idoneità dei mezzi da utilizzare, esistono regole specifiche per il comparto.

“La massima che dobbiamo rispettare è quella di essere sempre presenti in cava – precisa l’ingegnere Pellegri – l’azione di controllo e informazione deve essere quotidiana. Per questo interveniamo con tre modalità diverse: con verifiche programmate, visite a sorpresa e interventi su chiamata”.

L’ingegnere Domenico Gullì spiega che la tipologia di interventi a cura dei tecnici della Asl viene decisa di anno in anno perché ogni volta è necessario insistere su un aspetto piuttosto che su un altro: “Ci sono ambiti ovviamente fissi, come ad esempio il controllo della stabilità – spiega Gullì – ma calibrare il nostro lavoro su quello che succede si è rivelato proficuo. Monitoriamo ogni singolo infortunio avvenuto in un anno così che l’anno successivo possiamo intervenire su determinati aspetti ed eventualmente modificare l’orientamento della vigilanza”.

Ambulanza infermeria del bacino di Colonnata

Ambulanza infermeria del bacino di Colonnata

Quest’anno una delle azioni su cui hanno deciso di insistere è il controllo sulle ditte in appalto per l’asportazione del detrito. Altro elemento cruciale è la vigilanza sull’organizzazione del soccorso in cava, che presenta modalità diverse rispetto alle altre attività lavorative. Al monte deve infatti essere applicato un sistema di soccorso interno in raccordo con il sistema di soccorso pubblico del 118. In ogni bacino estrattivo sono inoltre presenti le infermerie, dotate di una o due ambulanze attrezzate per viaggiare in montagna.

C’è poi il monitoraggio della coltivazione vera e propria, cioè vedere se le modalità di azione nel taglio corrispondono a quelle che le aziende hanno ipotizzato nella loro valutazione del rischio e se questa valutazione è corretta.

Non manca anche il controllo sui fumi nelle cave in galleria. Data l’equivalenza con le miniere, l’ingegnere capo ha imposto l’utilizzo di marmitte catalitiche per i mezzi d’opera. Nelle cave in sotterraneo, a differenza di quelle a cielo aperto, possono presentarsi altri problemi, come i gas di scarico e il rischio di assenza d’aria nei cunicoli in avanzamento.

“Ovviamente ogni cava è diversa dall’altra, sia per conformazione fisica che per materiale estratto – afferma l’ingegnere Pellegri – ma la tipologia di infortuni che si verificano è la stessa ed equivalenti sono i rischi. Non c’è una realtà più pericolosa dell’altra, potenzialmente lo sono tutte allo stesso modo. Una problematica che a volte si pone è quando cambiano le maestranze da una cava all’altra. Un lavoratore che è sempre stato abituato in un certo modo se va in un’altra cava è convinto di continuare a fare così. Invece deve imparare che si trova in un ecosistema diverso dove i comportamenti vanno calibrati in base alle situazioni. Se manca un’educazione da parte nostra ma anche da parte dei colleghi, è allora che possono presentarsi situazioni di pericolo”.

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“Chiudere le cave nel Parco”, lo sostiene la Regione Toscana http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/09/il-piano-paesaggistico-della-regione-toscana/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/09/il-piano-paesaggistico-della-regione-toscana/#comments Wed, 09 Apr 2014 12:52:35 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=100 Parco delle Alpi Apuane

Parco delle Alpi Apuane

FIRENZE – Una proposta della Regione Toscana arrivata quasi all’improvviso il 17 gennaio scorso sta facendo tremare i lavoratori del settore lapideo. “Chiudere le cave all’interno del Parco delle Alpi Apuane”, una riserva naturale promossa a Geoparco Unesco nel 2011 e da sempre costretta a convivere con attività estrattive: è questo il cuore del nuovo Piano paesaggistico proposto dall’assessore regionale all’urbanistica Anna Marson e approvato dalla Giunta del governatore Enrico Rossi.

“Le aree estrattive intercluse, cioè completamente inserite e circondate dall’area tutelata – recita uno dei passaggi del Piano – devono andare verso una progressiva chiusura”.

Il Piano non diventerà operativo finché non riceverà il via libera dal Consiglio della Regione Toscana, ma se venisse approvato così com’è, comporterebbe la chiusura di circa 30 cave delle 45 che si trovano nel Parco. Verrebbero colpiti molti comuni: dalla Lunigiana alla Garfagnana, ma anche Massa, Carrara e l’Alta Versilia. Lo stop all’estrazione sarebbe graduale, le attività cesserebbero alla scadenza dell’autorizzazione e non repentinamente, ma si tratterebbe comunque di un provvedimento definitivo.

La presa di posizione della Regione ha scatenato proteste e indignazione su più fronti: cinque membri del Consiglio hanno minacciato di non approvare il Piano a meno che non vengano fatte alcune modifiche e i sindaci dei comuni interessati hanno chiesto diversi incontri per sostenere le proprie ragioni. Le imprese del marmo che lavorano all’interno del Parco hanno deciso di ricorrere a un pool di avvocati e hanno impugnato davanti al Tar la proposta di legge della Regione.

Alberto Putamorsi, presidente Parco Alpi Apuane

Alberto Putamorsi, presidente Parco Alpi Apuane

“È una decisione assurda – è stato il commento del presidente del Parco delle Alpi Apuane Alberto Putamorsi – in questo modo c’è il rischio di mandare a casa più di 1.500 persone. Ai 500/600 addetti diretti si devono aggiungere tutte le altre attività legate all’estrazione del marmo, arrivando così a superare le mille unità”.

Secondo il presidente è stato fatto un enorme errore di valutazione perché non si è scelto di decidere caso per caso, misurando l’impatto ambientale delle singole cave, ma ci si è affidati a paramenti arbitrari. Per il presidente, accusato di difendere esclusivamente gli interessi delle lobbies del marmo e di venir meno a quello che dovrebbe essere il suo compito di difensore dell’ambiente, ci sarebbero comunque alcune cave da chiudere o ridimensionare: “Per me ne vanno fermate almeno 5 che sono davvero dannose per il paesaggio. La cava del Padulello, quella di Biagi, la Focolaccia, Vagli in Garfagnana e Cantonaccio in Lunigiana. Però mi rendo conto che già fare ciò sarebbe problematico per chi vive di questa attività. In 50 o 60 perderebbero il posto di lavoro, ma siccome il settore funziona non dovrebbe essere difficile riassorbirli nel proprio ambito”.

Sulla quantità di occupazione che riesce a dare il settore marmo ambientalisti e industriali si scannano da anni e non solo per quanto riguarda chi lavora all’interno del Parco.

Secondo Anna Marson, l’assessore che ha proposto il Piano, sono stati sparati numeri impossibili sull’occupazione: “Si è parlato di 1.500 o addirittura 5.000 addetti. Questi dati non trovano riscontro, ce ne risultano a fatica 100. L’unico dato di fatto è che il Parco e chi lo gestisce non ha saputo fare il suo lavoro”.

Mentre Alberto Putamorsi accusa la Regione di aver scavalcato i principi fondativi del Parco, nato come patto tra le comunità locali e le istituzioni e di essersi arrogata il diritto di decidere dall’alto senza consultarsi con il territorio, l’assessore Marson insiste su un progetto di riqualificazione dell’area e su nuove forme di occupazione per gli addetti al lapideo: “Penso al turismo, ma anche ad altre attività che non impattano sull’ambiente. Abbiamo già in mente un piano di sviluppo alternativo”. Ma Putamorsi chiosa: “Nel Parco i turisti ci vengono soprattutto per vedere le cave, che tra l’altro rappresentano solo il 3,7% dell’intero territorio protetto. Senza queste attività il Parco morirebbe, diventerebbe più povero”.

Favorevole a forme di sviluppo alternativo che non siano impattanti con il territorio anche il professor Alberto Asor Rosa, a Firenze in occasione del convegno organizzato l’8 marzo dalla Rete dei comitati per la difesa del territorio e da anni impegnato in iniziative a sostegno della sostenibilità: “È assurdo contrapporre l’ambiente al lavoro, per me è solo un ricatto. C’è modo di avere lavoro nel rispetto e nella salvaguardia del territorio”. 

Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha ribadito che la priorità oggi è riformare la legge 78 del ’98 che è diventata ormai obsoleta e che deve essere aggiornata. “Non è più possibile tirarsi indietro sui nostri doveri – ha detto il presidente – dobbiamo trovare un equilibrio tra un’attività storica che funziona e l’ambiente. Il mio obiettivo non è chiudere le cave: vogliamo venire incontro agli imprenditori che hanno investito, far crescere l’occupazione, valorizzare il marmo, ma anche regolarizzare un’attività che è comunque impattante”.

Gli ambientalisti però non mollano e c’è già chi propone di estendere la chiusura delle cave anche alle attività esterne al Parco. Quel che è certo è che la regolamentazione di un settore che per anni è stato lasciato a interpretazioni diverse e spesso contrastanti, non può più essere rimandata.

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Sempre meno lavoro in cava. Ma è scontro sull’importanza del settore http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/09/lavoro-le-mille-versioni-sul-numero-degli-occupati/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/09/lavoro-le-mille-versioni-sul-numero-degli-occupati/#comments Wed, 09 Apr 2014 12:51:31 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=135 LEGGI: Il mestiere del cavatore, infortuni e sicurezza]]> Cava GioiaMASSA-CARRARA – Il settore del marmo, con le sue 600 imprese e i 12.000 addetti tra diretti, indiretti e indotti, è il più importante della provincia. A rivelarlo sono i dati dell’ultimo Rapporto di economia presentato a giugno 2013 dall’Isr, l’Istituto di Studi e Ricerche della Camera di Commercio di Massa-Carrara. In dieci anni tuttavia, dal 2001 al 2011, il numero dei lavoratori tra cave, lavorazione e commercio è diminuito di quasi il 30%. Gli ambientalisti non ci stanno: secondo i loro calcoli il comparto dà lavoro a sempre meno persone, distrugge l’ambiente e impedisce di pensare a qualsiasi tipo di sviluppo alternativo.

Che il settore lapideo, dopo un prolungato periodo di crescita, abbia ridotto la propria consistenza in termini di produzioni, imprese e numero di occupati è un dato accettato anche dall’Associazione Industriali di Massa-Carrara. Per Assindustria ciò è stato il frutto di una minore dinamicità dovuta anche all’ingresso nel mercato mondiale di nuovi produttori, in particolare asiatici. La riduzione più drastica c’è stata nelle attività di trasformazione e soprattutto nella lavorazione del granito importato da fuori. Le quantità lavorate e l’occupazione nel settore escavazione avrebbero invece registrato flessioni più contenute. Il numero degli addetti è diminuito del 29,7%: dalle 6.900 unità del 2001 si è passati alle 4.850 del 2011.

Cava in galleriaSecondo gli industriali  però il ruolo primario dell’economia del marmo nel territorio rimane ed è ancora più rilevante se viene considerato l’indotto. Ai 4.850 addetti diretti andrebbero aggiunti quelli indiretti, cioè tutti i lavoratori che in qualche modo svolgono un tipo di attività legata al settore. Dagli addetti al trasporto, alla meccanica delle pietre, alla produzione di utensili e abrasivi fino a considerare anche i diversi servizi professionali che gravitano attorno al mondo del marmo, come le attività terziarie di marketing e le fiere di settore, ad esempio la Marble Week. In questo modo, in rapporto al totale delle persone occupate nella provincia, il peso diretto del settore lapideo sarebbe del 5,5% e del 14,2% considerando l’indotto.

Nel 2008 L’Isr commissionò alla società Alfamark uno studio per ritrarre “L’impatto economico del settore lapideo nei sistemi locali del lavoro di Carrara e di Massa”. Secondo le analisi effettuate dal dottor Alessio Falorni e dal dottor Fabio Ferretti, la massa occupazionale legata o riconducibile al marmo si compone di tre sottoinsiemi:

- Impatto diretto – Settore lapideo (4.850 addetti)
- Impatto indiretto – Attività a esso collegate (1.827 addetti)
- Impatto indotto – Attività generate indirettamente (5.860 addetti)

A loro volta i 4.850 lavoratori diretti sarebbero così distribuiti:

- Cave (1.024 addetti)
- Lavorazione (2.427 addetti)
- Commercio (1.399 addetti)

Per calcolare l’indotto Alfamark è ricorsa alle “interdipendenze strutturali”, un complesso strumento econometrico che utilizza una serie di coefficienti calcolati analizzando in modo dettagliato le attività delle imprese. Così è possibile ricostruire tutte le catene di risorse mobilitate dagli ordini che vengono emessi dalle aziende lapidee nei loro scambi con i vari settori. “In pratica – si legge – una cava che acquista utensili abrasivi aziona direttamente lavoro per gli operai che lo producono; per la produzione di abrasivi, però, sono necessari prodotti (ad esempio sabbie, dischi di metalli, trasporti, energia, indumenti…) che richiedono ore di lavoro di altri operai di altri settori e così via”.

TABELLA: L’impatto indotto globale del settore lapideo in provincia di Massa-Carrara (2006)

Ambiti Addetti
Estrazione minerali 33
Alimentari 13
Prodotti in legno 3
Prodotti chimici 6
Lavorazione di minerali 1.161
Industria metalmeccanica 431
Mezzi di trasporto 14
Energia elettrica 6
Edilizia 314
Commercio 2.237
Alberghi e ristoranti 75
Trasporti 529
Credito 78
Noleggio, leasing 62
Attività professionali 619
Istruzione 19
Sanità 62
Servizi pubblici 198
Totale 5.860

I dati di Alfamark, che sono da riferirsi al 2006 e quindi al periodo pre-crisi, non sono stati accettati da tutti: c’è chi li ritiene “fantasiosi” o quanto meno azzardati. Giulio Milani, editore di Massa e membro del gruppo Salviamo le Apuane, li ha criticati duramente: “Il ragionamento di Alfamark si basa sul calcolo del reddito dei lavoratori del lapideo e sulla spendibilità totale dello stesso nella nostra zona. Se volessimo prendere per buona questa ipotesi, quale impatto possono dare i 10.537 addetti al commercio o i 5.200 addetti alla sanità o i 3.313 occupati nell’istruzione? La nostra sarebbe un’isola di invidiata prosperità, mentre con ogni evidenza questa è una leggenda che va sfatata”.

Lavoratore sul bloccoSecondo Milani le rilevazioni dell’Istat dimostrerebbero il contrario. Il tasso di disoccupazione nella provincia di Massa-Carrara negli ultimi 5 anni si è impennato passando dall’8 al 13% e quello di disoccupazione giovanile ha toccato il 64%, raggiungendo il record di tasso più alto della Toscana. “Gli addetti all’attività estrattiva in tutto il comprensorio cave – conclude Milani – delle province di Massa-Carrara e Lucca sono oggi 1.340 e in nessun caso, nel calcolo dell’impatto economico, sono stati inclusi i costi sociali, ambientali e culturali, anche in termini di mancate occasioni di sviluppo alternativo”.

Riuscire ad avere dati certi su quanto lavoro dia effettivamente il settore lapideo sembra ancora oggi molto difficile e quella dell’occupazione è diventata una questione anche politica, cavallo di battaglia dell’uno o dell’altro schieramento. Se l’Associazione degli industriali rivendica un ruolo assolutamente centrale del marmo, le associazioni ambientaliste ritengono che il comparto sia in forte crisi. Il settore non metterebbe più in moto la forza lavoro di 50 anni fa e le nuove tecnologie avrebbero mandato a casa diversi lavoratori. In compenso l’escavazione starebbe distruggendo sempre di più l’ambiente e il territorio, impedendo di creare forme di occupazione e di ricchezza alternative e sostenibili.

Anche i sindacati si sono espressi snocciolando i dati di cui dispongono. Secondo Giacomo Bondielli, segretario della Filca-Cisl, tra Massa e Lucca ci sono 3.000 addetti fra la cava e il piano. Roberto Venturini, segretario della Fillea-Cgil di Massa-Carrara, parla di 2.300 addetti diretti più l’indotto. “Il Fondo Marmo, una sorta di mutua che assicura sia i lavoratori al monte che quelli al piano – spiega Venturini – ha recentemente elaborato i numeri dei suoi iscritti. A oggi sono 1.754 e di questi 809 al monte e 945 al piano. Bisogna però considerare che non tutti si iscrivono al Fondo. Per esempio alcune aziende, gli artigiani e chi commercia il marmo non ne fa parte”.

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L’impatto dell’escavazione: le quattro criticità principali http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/la-parola-al-geologo/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/la-parola-al-geologo/#comments Tue, 08 Apr 2014 19:01:30 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=81 LEGGI: L'editto del 1751: beni estimati e concessioni]]> Cave dall'altoCARRARA – Estrarre marmo dalla montagna significa modificare un ecosistema, cambiare i tratti del paesaggio e incidere, anche in maniera pesante, sulla struttura geomorfologica dell’ambiente apuano. Esistono evidenti criticità legate all’attività di cava, ma anche alcuni miti da sfatare.

Il dottor Antonino Criscuolo, geologo del Comune di Carrara, ha individuato i quattro aspetti che occorre tenere sempre sotto controllo, spiegando quanto è stato fatto e quanto ancora occorre fare per ridurre al minimo l’impatto di un’attività comunque distruttiva.

La torbidità delle acque
“In città ci sono quattro bacini estrattivi – spiega Criscuolo – che corrispondono alle quattro valli che convergono tutte sul centro storico di Carrara: Pescina Boccanaglia, Torano o Ravaccione, Miseglia o Fantiscritti e Colonnata. L’acquedotto comunale che rifornisce le case dei cittadini si approvvigiona alle sorgenti idropotabili del bacino di Torano”. Le sorgenti si trovano a contatto tra uno strato di marmo e materiali impermeabili. L’acqua raggiunge le sorgenti attraverso due falde: una di fondo che deriva da tutte le acque che penetrano nei calcari e nelle dolomie con cicli temporali annuali e una che invece penetra nelle vicinanze delle sorgenti in tempi di poche ore.

Canale di Renara colorato di bianco dalla marmettola

Canale di Renara colorato di bianco dalla marmettola

“Proprio questa seconda falda più rapida e incontrollabile – continua Criscuolo – comporta il problema della torbidità delle sorgenti. In certi momenti, infatti, arrivano nella sorgente grandi quantità di ‘marmettola’ che rendono torbida l’acqua e quindi impossibile da immettere nell’acquedotto”. La marmettola è la polvere di marmo derivante dall’estrazione e dalla segagione del materiale lapideo e secondo quanto denunciato in un rapporto a cura di Gigliola Ciacchini, responsabile del dipartimento Arpat di Massa-Carrara, è un agente inquinante. “Malgrado non costituisca un serio pericolo per la salute pubblica – scrive la dottoressa Ciacchini – la marmettola è responsabile di un grave impatto biologico sui corsi d’acqua apuani: si deposita sul fondo dei fiumi e dei torrenti distruggendone i microambienti e disturbando l’insediamento di organismi”. Un ulteriore pericolo per le sorgenti, sempre secondo l’Arpat, è quello della presenza di idrocarburi, in particolare olii provenienti dalle macchine di lavorazione delle cave.

Frane e alluvioni
Un altro elemento di cui occorre tener conto è il pericolo frane. “A differenza di quanto si pensi – afferma il dottor Criscuolo –  frane di crollo in montagna negli ultimi anni non ci sono state. I fronti di cava infatti sono tenuti costantemente sotto controllo ed è stato fatto tanto. Il problema oggi è legato molto di più alla sicurezza dei versanti, soprattutto quando si verificano episodi alluvionali, ormai sempre più frequenti. Quelli più a rischio sono i versanti sottoposti a stoccaggio dei materiali detritici, cioè a quelli che erano chiamati ‘ravaneti’, una sorta di discarica delle cave. I ravaneti del passato e anche quelli del presente sono costituiti da sassi più o meno grossi, ma anche da una frazione fine”.

Porzione di terreSecondo il geologo il pericolo è rappresentato proprio dalle terre più fini perché, con violenti scrosci d’acqua, è possibile avere il fenomeno dei colamenti di fanghi chiamati debris flow che nel passato hanno investito parecchi versanti arrivando fino al fondovalle e alle strade comunali. Per limitare al massimo il rischio è stata imposta una prescrizione che prevede l’asportazione completa dei detriti. “Possono ancora esistere episodi locali di stoccaggio eccessivo – aggiunge Criscuolo – ed è per questo che la realtà delle cave va monitorata in maniera costante ed è necessario intervenire tempestivamente per la messa in sicurezza dei versanti”.

La canalizzazione delle acque
Una forte criticità che secondo il dottor Criscuolo rimane e che riguarda la regimazione idraulica è la canalizzazione delle acque provenienti dalle cave e dai fondovalle, soprattutto quando si presentano forti piogge. “Ci sono dei progetti – spiega il geologo – però siamo ancora lontani da una soluzione. Ancora adesso parecchi tratti dei fondovalle che appartengono ai quattro bacini estrattivi non sono dotati di canalizzazioni sufficienti per contenere tutte le acque che possono piovere e questo in certi momenti può rivelarsi molto rischioso”.

L’impatto paesaggistico
Tra tutte le criticità la più evidente perché immediatamente visibile riguarda l’impatto che l’attività estrattiva ha sul paesaggio. “Sul marmo  – sostiene Criscuolo –  che è un calcare puro al 99%, è quasi impossibile la formazione di suoli perché l’acqua penetra dentro e quindi non si forma vegetazione. I versanti sono quindi detti ‘nudi’ e si alternano ad altri versanti ricoperti di boschi. Tutte queste aree sono intaccate dai fronti di cava di escavazione a cielo aperto e appaiono come tagliate di netto”.Crinale tagliato

Altro elemento morfologico impattante sono i ravaneti, cioè l’accumulo di detriti che specialmente in passato ricoprivano intere valli. “Con l’obbligo di portar via i detriti oggi l’impatto dei ravaneti è minore – sostiene Criscuolo – in certi casi però si è andati a portar via tutto il ravaneto pensando di fare un bene per il territorio. Non sempre questa però si è rivelata un’arma efficace, anzi, il ravaneto costituisce anche un’enorme spugna per tutte le acque piovane che scendono sul versante e con la sua presenza le tratteneva e in qualche modo faceva da ostacolo rallentandone la discesa verso il fondovalle”.

L’impatto visivo, per quel che riguarda crinali e vette, rimane. “Bisogna però tener conto anche dell’eredità storica dei bacini di Carrara – conclude il geologo – i ravaneti e i fronti di cava sono una realtà del paesaggio stesso che è in continuo mutarsi. Ciò non vuol dire che in futuro non dovremmo fare una maggiore attenzione a quelli che sono punti salienti come certe cime dei monti, ad esempio il monte Torrione, o a certi crinali che ancora adesso si conservano vergini per la presenza di materiali marmorei di minor pregio”.

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Le montagne ridotte a cubetti, ai carrarini solo le briciole http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/le-montagne-ridotte-a-cubetti-ai-carrarini-solo-le-briciole/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/le-montagne-ridotte-a-cubetti-ai-carrarini-solo-le-briciole/#comments Tue, 08 Apr 2014 18:56:40 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=76 [continua a leggere]]]> Vicolo dell'Arancio

Vicolo dell’Arancio

CARRARA – Vicolo dell’Arancio è una viuzza stretta a pochi passi dal centro e dal Duomo, ma completamente nascosta al turista. È la tipica stradina di paese dove, insieme ai panni stesi alla finestra e ai vasi di fiori, si incontrano bambini che giocano a pallone. Da quasi un anno sotto alla volta, a tutta parete, è comparso un murales di 12 metri per 3, opera di Romeo Buffoni e Roberto Alessandroni.

Romeo e Roberto (in arte ‘Robo’), pittori dell’Atelier dell’Arancio, hanno pensato di riqualificare un angolo buio e pieno di scritte trasformandolo in un messaggio-denuncia rivolto agli abitanti di Carrara. Il murales, realizzato interamente a mano e con pittura acrilica, raffigura uno scenario grottesco che però gli autori definiscono “realistico”, un semplice ritratto della situazione attuale.

A partire da sinistra sono rappresentate le montagne incontaminate di Carrara, le Alpi Apuane, sulle quali però cominciano ad addensarsi dei nuvoloni neri e su cui pesa la mano di un padrone, raffigurata con un guanto giallo, alludendo a una sorta di Paperon de’ Paperoni che se ne approfitta. La mano aziona una specie di tritacarne che per l’occasione trita le montagne, ridotte a un mucchio di cubetti di marmo.

Il murales di 3 metri  x 12

Il murales di 12 metri x 3 in Vicolo dell’Arancio

Insieme al marmo escono anche delle gocce di sangue, simbolo delle montagne ferite e dei morti sul lavoro che le cave hanno prodotto. Nell’ultima parte, sulla destra, irrompe l’altra mano del padrone, intenta a distribuire una minima parte del suo guadagno a un gruppetto di piccioni. I piccioni, invischiati in una specie di melma e ignari del loro destino, rappresentano gli abitanti di Carrara, che di questa immensa macchina che è diventata l’escavazione del marmo, possono gustare nient’altro che le briciole.

Ascolta l’audio in cui Robo spiega il significato del murales

“È una provocazione – assicura Romeo – uno degli ennesimi guai che abbiamo combinato. Gli abitanti però l’hanno apprezzato molto, ogni volta che ci incontrano ci fanno i complimenti”.

L’occasione del murales è curiosa quanto i suoi autori. L’opera è stata commissionata niente meno che dagli industriali del marmo, che a tutto avrebbero pensato tranne che venisse dipinto un quadro di denuncia al sistema-cave.

Romeo e Robo davanti al murales

Romeo e Robo davanti al murales

“Ci ha contattati il direttore artistico della Marble Week – racconta Romeo – l’evento dedicato al rapporto tra marmo, arte, design e architettura, che coinvolge aziende ed espositori da tutto il mondo. L’anno scorso era alla sua seconda edizione e noi siamo stati coinvolti come artisti locali che avrebbero potuto dare un contributo a un momento di lustro per la città”.

Cosa hanno fatto Romeo e Robo? Naturalmente hanno accettato senza pensarci due volte, ma hanno escogitato un piano per non far scoprire le loro intenzioni. “Di norma chi partecipa deve consegnare un bozzetto dell’opera che verrà realizzata – continua Romeo – ma noi gli abbiamo detto che l’avremmo fatta lì per lì e che quindi si sarebbero dovuti accontentare di un progetto scritto. Nel progetto abbiamo semplicemente indicato che avremmo dipinto una rivisitazione dell’aspetto paesaggistico delle cave”.

Robo e RomeoE invece gli organizzatori hanno visto pian piano comparire l’opera di Romeo e Robo. “Mi sono divertito a vedere le facce che hanno fatto gli imprenditori del marmo quando nel corso della loro autocelebrazione si sono ritrovati davanti il nostro murales – ricorda Romeo – però devo dire che c’è stato molto rispetto, nessuno ci ha mai detto di rimuoverlo”.

Romeo ha un passato da cavatore, ha cominciato a lavorare in montagna quando aveva solo 16 anni e ci è rimasto per altri 27. “Il mestiere è durissimo – racconta Romeo – è l’uomo che combatte contro un monte. Oggi non è rimasto quasi più niente di quella professione, quella che si consuma sulle Apuane è una rapina, non un semplice furto. Nel nostro piccolo, da artisti, cerchiamo di porre interrogativi sulle questioni che ci riguardano più da vicino”.

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All’Accademia di Belle Arti ecco i novelli Michelangelo http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/allaccademia-di-belle-arti-ecco-i-novelli-michelangelo/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/allaccademia-di-belle-arti-ecco-i-novelli-michelangelo/#comments Tue, 08 Apr 2014 18:45:39 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=65 Corridoio dell'Accademia

Corridoio dell’Accademia

CARRARA – Quando Maria Teresa Cybo-Malaspina, duchessa di Massa e principessa di Carrara, il 26 settembre 1769, partecipò alla nascita dell’Accademia di Belle Arti, deve aver pensato a quel luogo come a un tempio sacro, dove custodire i segreti dei maestri della scultura. L’atmosfera che si respira oggi negli austeri locali dell’Accademia non è poi molto diversa, come simili appaiono le aspirazioni dei tanti giovani artisti che vengono a Carrara incantati dalla fama di “Centro mondiale del marmo”.

Oggi l’Accademia conta quasi 800 iscritti, un terzo dei quali provengono dall’estero: asiatici, statunitensi, ma anche europei. Se i corsi di pittura e la laurea in Multimedia (Nuove tecnologie dell’arte) stanno registrando un’impennata di studenti, i laboratori di scultura rimangono i più frequentati. A fornire il marmo da lavorare sono le cave della zona, che spesso regalano il materiale avanzato dall’estrazione.

Kenta, studente giapponese

Kenta, studente giapponese

Kenta ha 20 anni, viene da Fukuoka, in Giappone, e ha le idee chiare: “Sono venuto qua perché mi piacerebbe imparare a scolpire e poi tornare nel mio paese e lavorare là”. Kenta sta realizzando un modello in creta, prototipo della scultura in marmo che costruirà in un secondo momento.

“I ragazzi il primo e secondo anno devono prendere dimestichezza con la creta – spiega Massimiliano Menconi, docente di Teoria e tecnica dell’interazione – il secondo passaggio è quello della formatura, cioè la fase in cui dal prototipo in creta si deve ottenere un gesso che servirà come modello per la scultura definitiva in marmo”.

Per passare dal modello in gesso all’opera vera e propria oggi esistono due sistemi differenti. In alcuni casi si lavora ancora seguendo il metodo tradizionale, in altri si preferisce una tecnica innovativa, con l’utilizzo di un robot comandato dal computer.

Studenti all'opera

Studenti all’opera

“Prima per ottenere la scultura occorreva segnare dei punti di riferimento sul modello che poi andavano riportati nel blocco – continua il professor Menconi – ovviamente più punti si segnavano e più il lavoro veniva accurato e preciso”. La tecnica di lavorazione tradizionale procedeva con altri due passaggi: una era la sbozzatura, fase in cui dal blocco grezzo si otteneva un modello abbastanza fedele, l’altra la finitura, procedimento di estrema precisione che serviva a dare il tocco finale.

“Gli studenti dell’Accademia oggi devono essere in grado di applicare la tecnica tradizionale, in perfetto stile carrarino – aggiunge il professor Menconi – ma da 8 anni nel laboratorio abbiamo a disposizione anche un robot. Dal modello in gesso, tramite lo scanner, viene ricavata una copia 3d sul computer. A questo punto le frese della macchina, comandate dal computer, tolgono il materiale eccedente dal blocco e creano una prima bozza dell’opera, ma è sempre necessario intervenire a mano”.

Massimiliano Menconi, docente di Teoria e tecnica dell'interazione

Massimiliano Menconi, docente di Teoria e tecnica dell’interazione

Il robot ha il vantaggio di evitare agli studenti il passaggio faticoso della sbozzatura, ma in questo caso mancano i punti di riferimento e la seconda fase della lavorazione diventa quindi più complessa. Lo studente deve continuamente confrontarsi con il modello a occhio, senza alcuna indicazione.

A Carrara però non esiste solo l’Accademia di Belle Arti. Ancor prima di arrivare all’Università i ragazzi possono scegliere una formazione specifica che li prepari a lavorare i materiali lapidei. L’Istituto professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato del marmo Pietro Tacca (IPSAM), comunemente conosciuto come “Scuola del marmo“, è unico al mondo, perché si trova solo a Carrara.

Nato a fine ‘800 con l’obiettivo di preparare tecnici e specialisti da occupare in loco, la scuola soffre oggi della crisi del settore della lavorazione e lamenta un calo vertiginoso delle iscrizioni. “Abbiamo 10 studenti per classe – spiega Donatella Nardi, vice preside della scuola – e in alcuni casi abbiamo dovuto accorparli. La prima e la seconda seguono lezioni insieme, così come la terza e la quarta, mentre la quinta è da sola. C’è da dire che invece le lezioni serali, dal lunedì al venerdì e dalle 16 alle 22, sono molto seguite. Lì c’è prevalenza di studenti stranieri, cinesi soprattutto, che vengono qua a imparare a lavorare il marmo”.

I ragazzi del Campus Isac

I ragazzi del Campus Isac

La professoressa Nardi aggiunge che la scuola non gode di grandi finanziamenti anche se sta cercando di sopravvivere: “È un’istituzione per la nostra zona, non possiamo mollare. Nei mesi scorsi ci siamo rivolti al Miur chiedendo al Ministero, in nome della tipicità della scuola, di fare una deroga e di accettare i nostri numeri di iscritti”.

Da tre anni, in collaborazione con la Scuola del marmo, è nato un campus estivo di scultura, l’Institutum Statuaria Ars Carrara (ISAC). Studenti da tutto il mondo hanno la possibilità di trascorrere tre settimane nella città del marmo, alternando lezioni pratiche a gite fuori porta. Massimo Tedeschi, ideatore dell’iniziativa, racconta: “L’idea è nata per trasformare quella che per noi è una ricchezza in un’opportunità di scambio. L’anno scorso sono arrivati 17 studenti, quest’anno saranno certamente di più. Potranno non solo vivere da famiglie locali che hanno figli della loro età, ma ogni giorno avranno modo di imparare dai professori della Scuola del marmo come nasce una scultura”.

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Barattini, Canalini e Danesi: il marmo che parla carrarino http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/barattini-canalini-e-danesi-il-marmo-che-parla-carrarino/ http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/2014/04/08/barattini-canalini-e-danesi-il-marmo-che-parla-carrarino/#comments Tue, 08 Apr 2014 18:17:15 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/strambi/?p=54 Riproduzione de "La Pietà" di Michelangelo

Riproduzione de “La Pietà” di Michelangelo

CARRARA – Statuario, Venatino o Bardiglio, ma anche Zebrino o Calacata. Le varietà di marmo che si trovano sulle Apuane e che vengono commerciate in tutto il mondo sembrano infinite. Per i tanti blocchi che se ne vanno, ce ne sono alcuni che restano e vivono una seconda vita grazie all’abilità delle maestranze locali.

Franco Barattini, Bruno Canalini e Alberto Danesi sono tre carrarini molto diversi, con esperienze e competenze differenti, ma che coltivano lo stesso sogno: trasformare la più grande materia prima della città in una ricchezza.

Gli studi d’arte Cave Michelangelo sono il piccolo impero di Franco Barattini. “Ho iniziato a lavorare nelle cave da quando ero poco più di un bambino – racconta Barattini – amavo stare sulla montagna e da allora ho fatto tutti i mestieri possibili: filista, tecchiaiolo e anche lo ‘spartano’, cioè quello che comperava i blocchi e li ‘riquadrava’ per rivenderli”. Tra i suoi obiettivi c’è sempre stato quello di costruire un’azienda propria e con il tempo ha acquistato le Cave Michelangelo, le famose cave dove l’artista della Pietà sceglieva i blocchi da scolpire.

Oggi Franco Barattini ha messo in piedi una bottega d’arte dove il marmo viene lavorato a mano, applicando l’antica tecnica che usavano gli scultori. “Qua vengono artisti famosissimi, ci lasciano il bozzetto dell’opera e noi la realizziamo. Per me lavorano molti ragazzi che provengono dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, dei veri professionisti”.

Anche l’incontro tra Bruno Canalini e il marmo è avvenuto quando lui era solo un bambino. Il nonno faceva lo scalpellino e il padre scelse di studiare alla Scuola del marmo. Il laboratorio dove lavora oggi è il frutto del lavoro della sua famiglia e ricorda, con orgoglio e un pizzico di nostalgia, quanto questa professione sia cambiata, pur restando una delle più appaganti.

Bruno Canalini, artigiano

Bruno Canalini, artigiano

“Siamo degli artigiani, realizziamo sculture, abbiamo contatti con diversi architetti, ma i lavori più richiesti sono lavandini, caminetti e cucine – spiega Canalini – nella nostra azienda siamo in pochi, non potrebbe essere altrimenti vista la crisi atroce che ha colpito le segherie e i piccoli laboratori della città. Negli ultimi anni ne sono chiusi a dozzine”.

Secondo Canalini la concorrenza è spietata: “Oggi sono andato a comprare il materiale che mi serviva e ho visto 20 o 30 blocchi tutti marcati da cinesi. Io ne prendo uno, loro quantità industriali. Si fermano solo quando finisce il piazzale dove è esposto il marmo. L’ultima trovata è quella di comprare il materiale grezzo, di lavorarlo per conto loro e di immetterlo nuovamente sul mercato di Carrara”.

Blocco con firma cinese

Blocco con firma cinese

Bruno Canalini ha un figlio di 10 anni che però non si avvicina molto al laboratorio: “Io alla sua età ero affascinato da questo mestiere, credevo che andare in cava fosse come girare in un negozio e prendere il vestito più adatto. Lassù è una magia: accompagnavo mio nonno che sceglieva il bianco, il venato, il blocco più scuro e da lì lo trasformava di volta in volta in scultura, in un ripiano da cucina, in un caminetto…”.

Alberto Danesi, a differenza dei suoi colleghi, non lavora in piano, ma ha un laboratorio-museo con un negozietto di souvenir proprio nel cuore della montagna, all’imbocco delle cave che si trovano nel bacino di Fantiscritti.

Il padre Walter, ex cavatore e appassionato di storia, aveva raccolto molti dei vecchi macchinari e degli strumenti che venivano usati per estrarre il marmo ed è così che è nata l’idea di fare un ‘museo a cielo aperto’ che ricostruisse le vecchie tecniche di lavorazione. “Non facciamo pagare il biglietto d’ingresso perché mio padre ha sempre voluto che questo patrimonio fosse visibile a tutti – racconta Danesi – io, mia moglie e i miei due figli che mi aiutano viviamo della rendita del negozio. Siamo gli unici a fare oggettistica in marmo interamente realizzata a mano nel nostro laboratorio”.

E se Alberto Danesi è critico contro un sistema di escavazione che è diventato incontrollato e che schiaccia le attività familiari come la sua, riconosce che la realtà delle cave in fondo è bella così com’è, con i suoi tanti difetti e contraddizioni.

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