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Riforma Fornero anche per i giornalisti. Ma le tutele restano forti

di    -    Pubblicato il 17/04/2012                 
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Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi

URBINO – La riforma del lavoro voluta dal ministro Fornero è stata per settimane un argomento chiacchierato in quasi tutte le redazioni. “Al centro del dibattito”, come diremmo noi giornalisti, le modifiche all’articolo 18.

Il timore era che la riforma falcidiasse con raffiche di licenziamenti le redazioni dei principali giornali e media. Redazioni che, diciamocelo, un po’ troppo piene lo sono davvero, rispetto ad altri paesi: lo abbiamo scritto qui.

Sono state fatte parecchie speculazioni: dall’estremo di chi ha sostenuto che dalla riforma Fornero fossero esclusi gli iscritti agli albi professionali (e quindi anche i giornalisti) a quello di chi, come Massimo d’Alema, ha lanciato l’inquietante monito: “Sarete i primi ad essere licenziati!” (intendendo i giornalisti). Dimenticando forse per un attimo che giornalista lo è anche lui.

Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi, sindacato unico dei giornalisti italiani, fa un po’ di chiarezza. “Lo statuto dei lavoratori si applica ai lavoratori subordinati – spiega Tartaglia – quindi si applica appieno ai giornalisti”.

Ne discende che ai giornalisti si applica l’articolo 18 con tutte le sue eventuali modifiche. Le voci secondo cui gli iscritti agli Albi erano destinati a schivare la riforma Fornero sono prive di fondamento, afferma Tartaglia.

Ma nessuna paura: non è ancora giunto il momento di svuotare le scrivanie. “La modifica dell’articolo 18 non incide affatto”, afferma ancora Tartaglia. Facciamo l’esempio di un’azienda editoriale che si voglia liberare, per motivi economici, di una decina di dipendenti. Questa azienda “dovrebbe per forza presentare un piano di riorganizzazione, un piano dettagliato. Occorrerebbe un accordo con il Comitato di redazione. C’è un percorso previsto dalla contrattazione collettiva. Non ci si può alzare una mattina e decidere di licenziare dieci persone perché non è previsto dal contratto”.

Insomma: a proteggere l’inviolabilità del posto in redazione non è soltanto il fragile scudo dell’articolo 18. Nel contratto nazionale giornalistico ci sono ben altre armi che tutelano le ‘cadreghe’ dei giornalisti. “Ci sono procedure – spiega ancora il direttore dell’Fnsi – che vanno rispettate. In caso contrario l’azienda può essere condannata per comportamento antisindacale e costretta a reintegrare tutti i giornalisti licenziati”. E queste procedure, senza farla tanto lunga, sono piuttosto complesse e prevedono una costante consultazione tra l’editore e i giornalisti, rappresentati dal sindacato e dai comitati di redazione (l’organo sindacale che viene eletto dai giornalisti di una testata) .

C’è una minaccia in più per i giornalisti però: si può essere licenziati per motivi tecnico-professionali, cioè perché il tal giornalista lavora poco o male. Ma le procedure non sono molto più semplici. Intanto l’unico che può decidere in proposito è il direttore (non l’editore, quindi). E una volta che avesse deciso di licenziare Caio sarebbe obbligato a chiedere cosa ne pensi il cdr, il cui parere non è vincolante. Ma se il direttore procedesse con il licenziamento, il giornalista potrebbe ricorrere a un giudice del lavoro. Il quale sentirebbe nuovamente il parere del comitato. E se i compagni di redazione del giornalista sostenessero che si tratta di un ottimo professionista licenziato “senza giusta causa”,  ci sarebbero buone probabilità di un reintegro.

La riforma Fornero – almeno per i giornalisti – è quindi gattopardesca: sembra che tutto cambi, per non cambiare nulla.

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