Sia il giornalismo che la maternità vengono spesso definite attività a tempo pieno. Dati in parte confermati da uno studio appena presentato a Milano dal titolo Donne freelance: la famiglia è un lusso?, a cura di Nuova Informazione. Oltre 600 giornaliste lombarde hanno risposto a un questionario sul loro status sociale e occupazionale. Quasi il 60% non ha figli e la maggior parte del tempo delle intervistate è dedicato agli impegni professionali.
Ma esiste anche una consistente minoranza di professioniste dell’informazione che divide la giornata tra finire il pezzo per la redazione e riprendere il figlio a scuola, mantenere i buoni rapporti con le testate e chiedere il congedo parentale.
Una di loro è Leila Ben Salah, di Fabriano, cittadina italiana e tunisina. Ex allieva dell’Ifg di Urbino, ora ha 35 anni e da 4 è la mamma di Maya. “Hai fatto bene a chiamare adesso, è il mio giorno libero e mia figlia è a scuola.” Dallo studio di Nuova Informazione il rapporto di lavoro più diffuso risulta quello della collaborazione occasionale, mentre Leila ha un contratto di sostituzione.
“Sono giornalista dal 2007, ora sono nella redazione cronaca del Corriere Adriatico. Fino a poco tempo fa ho lavorato come freelance, ma è difficile. Riesci a conciliare meglio gli impegni lavorativi con quelli familiari ma non ci tiri fuori da vivere, a livello economico è impossibile, per fortuna ho avuto questa possibilità del contratto”.
Della stessa opinione Monia Cappuccini, romana, 41 anni. Antropologa e giornalista, madre da 14 anni, che diventa freelance dopo il licenziamento da Liberazione: “Purtroppo una sola testata non basta. I pezzi sono pagati anche dopo tre mesi, e poco. L’altra difficoltà è stabilire e portare avanti con successo le relazioni professionali. C’è una lista d’attesa anche per sapere quando pubblicheranno il pezzo. Poi non è facile gestire cinque collaborazioni diverse con target diversi, anche farsi pagare richiede una lunga trafila, ulteriore motivo di frustrazione”.
Secondo i dati dello studio Donne freelance: la famiglia è un lusso?, il 70% delle intervistate non ha mai avuto un contratto a tempo indeterminato, ma Chiara Brilli, fiorentina, con una figlia di 4 anni e mezzo, dimostra che il “posto fisso” esiste ancora. “Nata l’11 maggio 1978, sono giornalista professionista dal 2008 e dal 2001 lavoro a Controradio Toscana, che fa capo al circuito di Radio Popolare.”
Il suo percorso in radio parte all’università, quando “dopo un anno di registrazione di finti giornali radio, è stato istituito uno dei primi stage, eravamo in dodici e ci davamo il cambio in redazione: due per ogni giorno della settimana. Per dare seguito a quell’esperienza hanno scelto due di noi e la mia situazione professionale si è regolarizzata strada facendo, fino al contratto a tempo indeterminato“. Ma non un contratto da giornalista professionista,ma l’ Aeranti- Corallo per l’emittenza radiofonica locale.
“La precarietà incide per oltre il 70% sulle decisioni in ambito privato delle single, per oltre il 60% su quello delle conviventi/sposate” si legge in una delle tabelle presentate da Nuova Informazione. Leila racconta di quando era costretta a spostarsi più volte al giorno da Ancona a Fabriano per seguire eventi e conferenze. “Quell’anno è stato faticosissimo. Non potendo pagare nessuno per tenere Maya , la portavo con me. Guadagnavo 12 euro lordi ad articolo, ed era già tanto. La babysitter doveva essere pagata con almeno 8 euro. Mi chiedevo spesso: vale la pena che io vada a scrivere l’articolo?”
Su questo Monia prosegue con una riflessione: “Il problema di fondo secondo me non riguarda l’avere un figlio, ma la possibilità di conciliare vita privata e professionale in maniera dignitosa: quando devi occuparti anche di un figlio organizzare il lavoro di freelance diventa più difficile, perché oltre a questo hai altre priorità, anche economiche. Per fortuna nei momenti peggiori, per esempio subito dopo il licenziamento da Liberazione, ho sempre potuto contare sulla mia famiglia d’origine”
Anche Chiara parla di difficoltà nella conciliazione, che nemmeno un contratto può garantire: “A parte l’avere un figlio, è la condizione di precarietà e instabilità che accomuna tutti noi”. L’organizzazione familiare diventa ancora più difficile con l’intreccio di relazioni familiari e professionali: “Io ho un collega compagno, e non è stato facile nemmeno impostare i nostri turni in modo da andare a prendere il bambino a scuola. A noi manca una rete collaterale di amici e parenti, così le difficoltà si moltiplicano”.
Sul capitolo relazioni professionali e figli Monia dice. “Durante i colloqui non mi è capitato mi chiedessero della mia gestione familiare. A lavoro non mi hanno mai fatto vivere la maternitàcome un peso”. Diverse le ultime esperienze di Leila: “Prima di ottenere il mio posto attuale, io e mio marito stavamo pensando di andare all’estero. Negli ultimi colloqui mi chiedevano non cosa sapessi fare, quali fossero le mie esperienze, ma dove avrei lasciato Maya durante il lavoro”. Leila si dice “fortunata, grazie a questa sostituzione, altrimenti chi mi avrebbe preso con una bimba di tre anni?”
Chiara invece racconta di come abbia faticato per far valere il suo diritto alla maternità: “Ho preso un mese prima della nascita di mia figlia e altri 4 dopo. Al mio rientro ho avuto molto da fare per imporre il mio diritto all’allattamento (il contratto nazionale prevede due ore). Chiedevo l’accorpamento di queste ore e soprattutto regolarità negli orari. Il confronto è stato abbastanza serrato. A quel punto ho minacciato congedi parentali a scacchiera, sapendo che avrei messo in difficoltà il lavoro dell’azienda. Siamo comunque riusciti a trovare un accordo, ma non è stato facile”.
A condurre “una vita multitasking” e a rischiare il cortocircuito sono molte donne italiane tra i 25 e i 40 anni che, secondo l’Istat (nello studio Il lavoro femminile in tempi di crisi 2012) svolgono di più tutti i tipi di lavori part-time, tempo determinato e orari atipici .