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“La storia è l’eroina di un cronista”. Addio a David Carr, editorialista del NY Times

di e    -    Pubblicato il 16/02/2015                 
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(New York Times)

David Carr (New York Times)

“Il cronista è un eroinomane che si sveglia e sente l’impulso di uscire alla ricerca della droga, poi torna a casa e se le inietta, o inala. Il cronista esce alla ricerca di una storia, poi torna a casa e la scrive, la mette online”. E lui è stato un cronista fino alla fine, all’insegna di questa convinzione: David Carr è morto la sera del 12 febbraio nel suo ufficio del New York Times, dove lavorava dal 2002.

Poco prima aveva partecipato ad un dibattito sul futuro del giornalismo. Poi, tornato nella sua stanza, è caduto a terra, dove lo hanno trovato i colleghi. E’ stato portato al St. Luke’s-Roosevelt Hospital, dove però i medici hanno potuto solo constatare la sua morte, all’età di 58 anni, si ipotizza per un collasso cardiaco.

Le colonne dello storico giornale newyorkese hanno ospitato la sua visione chiara e cristallina di quello che era, e doveva essere il mondo dei mass media. La sua rubrica “The Media Equation” non aveva alcuna pretesa di moralismo, semplicemente raccontava i legami tra l’universo dell’informazione americana e la società, la politica, e l’economia.

Carr ha fatto del suo passato l’inchiesta più bella che potesse scrivere. Nel libro The night of gun, pubblicato nel 2008, il giornalista da intervistatore si è trasformato in intervistato. Nel suo libro, Carr discende nel buio dei suoi ricordi come se raccontasse la storia di una persona estranea, un ‘viaggio’ che lo porta di commissariato in commissariato, tra spacciatori e vittime. La ricerca della verità è il filo conduttore della storia: ha intervistato i suoi pusher, la gente con cui aveva litigato e le donne che aveva picchiato.

La vita privata e quella lavorativa hanno sempre viaggiato sui binari  della ricerca della verità, senza che il treno deragliasse mai verso la presunzione di dire cosa è giusto. David Carr esprimeva la sua opinione sul giornalismo con ironia e con sarcasmo: “Per quel che ne so, il futuro del giornalismo indossa un cartellino e parla su un palco” ha dichiarato poche ore prima di morire durante l’incontro “Citizenfour” con Glenn Greenwald, Laura Poitras, Edward Snowden.

David Carr nasce come cronista in quotidiani locali come il Twin City Reader, o il Washington City Paper. Una propensione innata per le questioni economiche e del mondo dei mass media, che lo portano a trattare di questi temi prima sul The Atlantic Monthly, e poi sul New York Magazine, per poi approdare in pianta stabile nel New York Times dove è diventato un punto di riferimento letto e studiato per chiunque si occupi di media e Internet.

Le immagini di “Page One”, documentario del Times sulla trasformazione delle notizie dalla carta al web, la cui voce narrante era proprio dello stesso Carr, mostrano i segni visibili di malattie e abusi di droga di questo fragile ed esile cinquantenne diventato tuttavia una colonna portante del giornale.

“Questo suo essere schietto a volte lo rendeva brusco, ma era allo stesso tempo spietatamente sincero riguardo se stesso” scrive il New York Times in suo ricordo.

Aveva uno stile spiccio e diretto: famosa la scena in cui, nel documentario, David Carr risponde duramente a Shane Smith, il fondatore di Vice, che aveva parlato superficialmente del lavoro giornalistico del New York Times in Africa. “Prima che a te venisse in mente di andare in Africa quelli del Times erano lì raccontando genocidio dopo genocidio. Metterti un elmetto da safari e filmare un po’ di cacca per terra non ti dà il diritto di insultarci”.

Una penna brillante e un uomo straordinario: così lo ricorda il direttore del Nyt Dean Baquet. “Ci mancherà la sua infinita passione per il giornalismo e per la verità, mancherà ai suoi lettori di tutto il mondo e alle persone che amano il giornalismo”.

In un mondo in continua apnea come quello dell’informazione digitale, le sue riflessioni sul giornalismo erano una boccata d’aria presa a pieni polmoni. Fino al capitolo conclusivo della sua vita.

“Ha capito meglio di chiunque altro quanto il lavoro può essere difficile, solitario, confuso, pieno di tentazioni di cinismo e compromesso”
- Dean Baquet

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