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Settecento morti nel Canale di Sicilia, “La stagione dei barconi non è nemmeno cominciata”

di e    -    Pubblicato il 19/04/2015                 
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Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

PERUGIA – Settecento morti in una sola notte, tra il 18 e il 19 aprile. Siamo all’inizio della primavera, quindi “la stagione dei barconi non è ancora cominciata”. Il naufragio, che si è consumato a 70 chilometri dalle coste della Libia (un peschereccio di 30 metri si sarebbe ribaltato mentre arrivava una nave cargo a soccorrerli) potrebbe essere la più grande tragedia nella storia dell’immigrazione del Mediterraneo. Chi pensava che i 366 morti del 3 ottobre 2013 sarebbero stati impossibili da superare, oggi deve ricredersi.

All’incontro “I volti umani dell’immigrazione” durante l’ultima giornata del Festival del giornalismo di Perugia, era presente anche Tareke Brhane, presidente del comitato 3 ottobre, nato in memoria della tragedia del 2013: “Per loro viaggiare era un sogno per il loro futuro e per quello dei loro figli. A quante vittime vogliamo arrivare per smuovere la nostra umanità? Questa gente ha bisogno di una risposta immediata. Di protezione. Vogliono garanzie di poter uscire di casa domani senza esser rapiti e violentati. Non si può continuare a fare allarmismo su quanta gente stia arrivando e quanta ne sia già morta. Le stagioni vere degli sbarchi non sono ancora iniziate. ”

Su questa nuova tragedia Brhane non risparmia critiche all’Occidente e lancia un messaggio: “Dobbiamo prima preservare la vita delle persone, poi i confini. È una vergogna per tutta la Comunità europea perché parliamo di persone costrette, non hanno una scelta. Dal 3 ottobre a oggi almeno 6000 persone sono morte tentando di arrivare sulle coste italiane. Donne, bambini, uomini con sogni e voglia di sopravvivere. Per questo noi abbiamo proposto la giornata della memoria per i migranti”.

Quello che è successo riguarda anche i sistema di controllo e soccorso nel Canale, come Triton: “Serve un progetto a lungo termine da cui ottenere dei risultati. Non è sempre possibile intervenire nei paesi di provenienza o di transito. Come si può ad esempio intervenire in Siria se ci sono i bombardamenti? Io l’anno prossimo non so se Triton verrà rinnovata o no – conclude Brhane – ma certamente serve una politica di immigrazione comunitaria”.

All’inicontro era stato chiamato a intervenire anche Suleman Diara, in Italia dal 2008, che il viaggio attraverso il Mediterraneo lo ha vissuto sulla propria pelle: “Il fatto che la Comunità Europea investa i soldi in Libia o Algeria non è sufficiente perché in questi paesi c’è una forte corruzione che non indirizza nel modo giusto i fondi occidentali. Quando sono arrivato a Roma, trovandomi in difficoltà ho creato questa cooperativa con cui produciamo lo yogurt e che mi è stata utile per imparare la lingua. La condivisione è fondamentale tra i migranti perché spesso gli italiani non ci aiutano”.

La conferenza. “I volti umani dell’immigrazione” è stato un incontro dedicato all’ascolto di alcune storie di “nuovi italiani” che sono riusciti, non senza fatica, ad integrarsi nella nostra società. Le loro storie sono delle odissee moderne. Testimonianze di un viaggio troppo spesso senza fine, come nel caso di questa notte.

“Pensavamo di favorire la memoria della tragedia del 3 ottobre – spiega Luca Attanasio, giornalista freelance e moderatore dell’incontro – invece dobbiamo rivedere questi numeri in eccesso. E’ una strage che urla il dolore di una parte del mondo e il mondo più ricco deve fare qualcosa per accogliere queste persone. Non si tratta di essere di destra o sinistra ma di applicare delle direttive comunitarie che esistono. “Mare Nostrum – continua Attanasio – è stata un’operazione che ha mostrato il lato umano del nostro paese. Non possiamo però dimenticare che mentre era attivo sono morte comunque 3.400 migranti nel Mediterraneo. Non era quindi sufficiente così come non lo è Triton. Bisogna pensare a delle misure che comprendano canali umanitari e che intervengano direttamente nel paese da cui partono queste persone per vagliarne la richiesta di asilo”.

Durante il convegno è intervenuto anche Michele Cercone, portavoce della Commissione Europea, che ha difeso le azioni messe in atto dalle istituzioni comunitarie: “La legislazione su questo tema esiste ed è anche molto completa, il problema è che in alcuni paesi funziona meglio e in altri di meno. Oggi gli immigrati regolari hanno gli stessi diritti dei cittadini europei e questo è possibile solo grazie ad un percorso di riforme che abbiamo portato avanti nel corso degli anni”. Cercone riconosce le evidenti difficoltà, sopratutto nell’area del Mediterraneo, causate dalle crisi politiche ed economiche nei paesi di provenienza ma allo stesso tempo difende il ruolo dell’UE: “Si parla di un’Italia abbandonata a se stessa dall’Europa, ma la Commissione ha stanziato 530 milioni di euro tra il 2007 e il 2013 e ne concederà altrettanti fino al 2020. Magari non risolvono il problema, ma sono comunque cifre importanti”.

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