il Ducato » Associated Press http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Associated Press http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Datagate, il ruolo di Snowden e la semantica di uno scandalo http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/#comments Wed, 12 Jun 2013 05:56:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50739 E fu così che uno dei più grandi scandali del mondo, da mediatico, si fece semantico. Come deve essere definito Edward Snowden, l’informatico di 29 anni al centro dello scandalo Datagate e  sulle cui tracce c’è l’intelligence di mezzo mondo? Un informatore? Una talpa? Solo fonte? Il dibattito sul tema è piuttosto acceso.

“’Talpa’ non è il termine adatto – scrive su Repubblica.it Stefania Maurizi – perché Snowden non ha acquisito notizie segrete per fornirle a organizzazioni avversarie o nemiche. Lo ha fatto per la democrazia”. Ma mentre i giornali italiani lo definiscono indiffentemente come “talpa”, la “gola profonda” o “fonte” del Guardian, il quotidiano di Londra decide di chiamarlo con lo stesso appellativo con cui definì Bradley Manning, il soldato dei 700mila documenti segreti spifferati a Wikileaks: whistle-blower. La parola – che curiosamente non ha una traduzione italiana – deriva dall’espressione inglese “blow the whistle” (soffiare il fischietto) e qualifica tutte quelle persone che, a un certo punto, decidono di denunciare le attività illecite commesse dall’organizzazione pubblica o privata per cui lavorano, esponendosi così a ritorsioni o minacce.

Negli Stati Uniti numerose leggi statali e federali sono state fatte a tutela dei whistle-blower, questo per non rendere ancora più arduo trovare qualcuno disposto a denunciare la corruzione, gli illeciti e le attività illegali del proprio datore di lavoro. Ma molti sostengono che nessuna di queste azioni, al momento, è imputabile alla Nsa (National Security Agency) né tantomeno al governo Obama. O comunque non ci sono prove schiaccianti di illeciti.

Snowden, infatti, avrebbe “soltanto” annunciato che i servizi di sicurezza americani, con l’alibi della lotta al terrorismo, controllavano sistematicamente le telefonate e le comunicazioni via internet utilizzando i dati di grandi compagnie come Verizon, Google e Facebook. Ma “questo è perfettamente legale – ha affermato Obama – nessuno ascolta le telefonate dei cittadini americani”. In realtà, sebbene il presidente abbia dichiarato che il programma di raccolta dati è stato “più volte autorizzato dal Congresso con un appoggio bipartisan e che il governo ne è stato sempre tenuto al corrente”, la stampa ha accusato Obamae di aver perso ogni credibilità.

È necessario, secondo i media internazionali, operare una distinzione: una cosa è esporre una politica con cui non si è d’accordo, ben altra cosa è rivelare degli illeciti realmente compiuti. Secondo molti, come detto, il caso di Snowden si avvicina di più alla prima ipotesi. Ecco spiegato, allora,  perché le testate estere hanno avuto qualche piccola esitazione nel categorizzarlo. Ed ecco perché Tom Kent, responsabile degli standard editoriali dell’Associated Press, ha inviato a tutti i redattori un memo con le linee guida con cui accompagnare d’ora in poi il nome di Snowden. “Per quanto eclatanti, non è stato dimostrato che le azioni compiute dall’Agenzia per la sicurezza nazionale esposte da Snowden siano illegali – ha affermato Kent – perciò non dovremmo chiamarlo whistle-blower. Un termine migliore da usare è leaker oppure source”.

Source in italiano è genericamente tradotto come ‘fonte’, mentre manca una parola per tradurre leaker, che deriva da leakfuga di notizie – e indica l’individuo che rilascia, attraverso media o organizzazioni, informazioni riservate o coperte da segreto riguardanti il governo o un’azienda. Meglio ancora, continua Kent nel memo, “dire ciò che hanno fatto ed evitare etichette: ha fatto trapelare, o esposto, o rivelato informazioni classificate”

Ecco il memo integrale dell’Ap, rivelato dall’Huffington Post:

Colleagues,

With two secret-spilling stories in the news — NSA/Snowden and Wikileaks/Manning — let’s review our use of the term “whistle-blower” (hyphenated, per the Stylebook).

A whistle-blower is a person who exposes wrongdoing. It’s not a person who simply asserts that what he has uncovered is illegal or immoral. Whether the actions exposed by Snowden and Manning constitute wrongdoing is hotly contested, so we should not call them whistle-blowers on our own at this point. (Of course, we can quote other people who call them whistle-blowers.)

A better term to use on our own is “leakers.” Or, in our general effort to avoid labels and instead describe behavior, we can simply write what they did: they leaked or exposed or revealed classified information.

Sometimes whether a person is a whistle-blower can be established only some time after the revelations, depending on what wrongdoing is confirmed or how public opinion eventually develops.

Tom

Sono in parecchi adesso ad inseguirlo, compresi gli agenti del “Gruppo Q” della Nsa, una sorta di direzione affari interni il cui unico fine è quello di impedire fughe di notizie e, in caso di fallimento, catturare il colpevole. Ma il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale: Hong Kong è controllata dall’intelligence cinese e proprio le autorità cinesi sono le uniche a poter impedire la sua estradizione. Se così non fosse, Snowden ha già in mente il piano B: volare in Islanda e chiedere asilo politico al paese che più si batte per la libertà su internet. Difficile dire se riuscirà a sfuggire al governo Usa. Se così fosse, più che la “talpa” forse dovrebbe essere  chiamato la “volpe”.

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Il Pulitzer Contreras: “Uso le foto per non far cadere le tragedie nell’oblio” http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/il-pulitzer-contreras-uso-le-foto-per-non-far-cadere-le-tragedie-nelloblio/47942/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/il-pulitzer-contreras-uso-le-foto-per-non-far-cadere-le-tragedie-nelloblio/47942/#comments Mon, 27 May 2013 06:30:47 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47942 SCHEDA La Siria non è un paese per reporter]]>

Ribelli siriani (AP/Narciso Contreras)

Nella Siria dilaniata dalla guerra civile, i cecchini si appostano per giorni nei palazzi delle città distrutte: restano immobili e guardano fuori attraverso piccoli fori di proiettile, le uniche ‘finestre’ che riescono a far passare sottili fasci di luce. Nelle strade è molto forte l’odore di morte e tra le macerie delle case, smembrate dalla guerriglia e dai bombardamenti del regime, il rosso del sangue rattrappito si mischia alla polvere. Solo gli scatti dei fotoreporter e dei video-operatori immortalano attimi e persone che rischiano di svanire nel nulla, protagonisti di storie troppo facili da dimenticare.

SCHEDA La Siria non è un paese per reporter

Narciso Contreras è uno dei giornalisti che sono scesi nell’inferno siriano e sono riusciti a tornare: negli ultimi 3 anni sono stati uccisi ben 44 reporter, come testimoniato dal Comitato per la protezione dei giornalisti, che sul suo sito aggiorna costantemente il numero delle vittime. quest’anno, Contreras, è stato insignito del premio Pulitzer nella categoria Breaking news photography, insieme ad altri quattro colleghi che lavorano per l’Associated Press (Rodrigo Abd, Manu Brabo, Khalil Hamra e Muhammed Muheisen) per aver “coperto in modo eccellente la guerra civile in Siria, producendo immagini memorabili in condizioni di pericolo estremo”.

LEGGI ANCHE Susan Dabbous: “Io, rapita dai ribelli siriani”

Il fotoreporter non è un soldato, è un uomo che racconta storie, partecipe e spettatore al tempo stesso degli eventi. Ma anche se il ruolo del giornalista non è ‘fare la guerra’, deve comunque prepararsi nel modo più preciso possibile, in modo da ridurre al minimo i rischi.

Come ti prepari prima di entrare in un’area pericolosa?
Esamino la situazione il più attentamente possibile: studio l’area che dovrò coprire, chi troverò sul territorio; leggo tutte le informazioni reperibili e individuo le vie d’accesso. Poi traccio il percorso da seguire con i miei colleghi e preparo mappa, l’equipaggiamento fotografico, quello di sicurezza e quello di primo soccorso. Una delle cose più importanti di cui tenere conto prima di entrare in una zona pericolosa sono le parti coinvolte: bisogna conoscere il loro backgound e gli sviluppi delle dinamiche interne. Però, d’altra parte, evito il più possibile di farmi dei pregiudizi.

Cosa ti spinge a rischiare la vita per questo lavoro?
Personalmente non rischio la vita per questo lavoro, non è questo il senso in cui intendo la mia occupazione. Sono un fotografo, non sono né un fotografo di guerra né  mi piace avere altre etichette simili. La fotografia è il modo a me più congeniale di intendere la comunicazione, il mio modo di relazionarmi con i soggetti ai quali sono interessato. Io credo che la fotografia sia un modo per essere testimoni delle tragedie umane, per documentarle e per fare in modo che non cadano nell’oblio.

Come si può riassumere la tua esperienza in Siria?
La Siria è lo scenario in cui si stanno definendo gli equilibri del potere a livello mondiale. Noi siamo testimoni di un cambiamento di rotta spinto dall’alto, a costo di migliaia di vite umane. La tragedia siriana sta ridefinendo l’influenza dei Paesi occidentali e dei loro alleati arabi sul Medio oriente. La guerra in Siria è la guerra che definisce questo momento storico; è importante capire e documentare questo per quanto è possibile. La mia esperienza in Siria è stata rivelatrice e sono rimasto scioccato da quello che sto documentando.

Cosa provi a scattare fotografie nel mezzo di un conflitto?
Paura. il brivido di essere dentro la battaglia, in mezzo a un vero combattimento. Ma più riesci ad affrontare la paura, più sei in grado di sopportarla e di uscire vivo dalle situazioni pericolose.

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Nuovo scandalo per Obama: giornalista di Fox spiato dal governo http://ifg.uniurb.it/2013/05/23/ducato-online/nuovo-scandalo-per-obama-giornalista-di-fox-spiato-dal-governo/48318/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/23/ducato-online/nuovo-scandalo-per-obama-giornalista-di-fox-spiato-dal-governo/48318/#comments Thu, 23 May 2013 12:25:46 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48318

James Rosen, giornalista di Fox News

La maledizione del secondo mandato, che ha già colpito molti presidenti statunitensi rieletti, rischia di abbattersi anche sull’amministrazione Obama. Un nuovo scandalo legato al dipartimento di Giustizia e al mondo dell’informazione ha infatti colpito il 44° presidente degli Stati Uniti, pochi giorni dopo la bufera scatenata dall’Apgate. Il 20 maggio il Washington Post ha rivelato che  James Rosen, corrispondente nella capitale americana per Fox News, nel corso del 2010 sarebbe stato ‘spiato’ dal dipartimento di Giustizia: oltre a controllare i tabulati delle sue telefonate e le sue mail personali, il dipartimento avrebbe tenuto sott’occhio anche tutti i suoi movimenti all’interno del dipartimento di Stato, grazie alle ‘strisciate’ del suo badge. Il tutto, va detto, con un regolare mandato di un giudice. Nulla di illegale, ma sicuramente discutibile da un punto di vista etico.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Il servizio di Fox News che ha dato notizia dello scandalo

Il Rosen Affair – così i giornali americani hanno rinominato lo scandalo – rientra in un’indagine riguardante una fuga di notizie sulla Corea del Nord. Nel 2009 il giornalista di Fox News pubblicò un articolo nel quale si affermava che Pyongyang avrebbe eseguito dei test nucleari come rappresaglia alle condanne dell’Onu in merito all’uso di armi di distruzione di massa.

La notizia, che sarebbe dovuta essere riservata, sarebbe stata confidata al giornalista da Stephen Jin-Woo Kim, consigliere per la sicurezza nazionale. Kim fu incriminato dal gran giurì con l’accusa di aver diramato senza autorizzazioni informazioni di sicurezza nazionale: il suo processo è in programma l’anno prossimo.

A suscitare clamore è però il fatto che anche Rosen fu messo sotto controllo, come possibile “co-cospiratore”di Kim. L’Fbi e il dipartimento di Giustizia ottennero da un giudice il permesso di ‘spiare’ telefonate e mail del giornalista in quanto sospettato di aver “sollecitato e incoraggiato il signor Kim a divulgare importanti documenti dell’intelligence”. “Una cosa  agghiacciante – ha dichiarato il vice presidente esecutivo di Fox News, Michael Clemente – difenderemo il diritto di James Rosen di lavorare come membro di quella che fino ad oggi è stata una stampa libera”.

“Rosen – si legge sul sito di Fox News in un articolo di Mike Cavender – non è stato incriminato né si aspetta di esserlo. Ma il solo fatto che i suoi movimenti siano stati controllati, le sue mail lette e le sue telefonate registrate è la prova di come il governo stia cercando di criminalizzare le libertà concesse dal primo emendamento” (quello che tutela libertà di parola e di stampa).

Anche Dana Milbank, editorialista del Washington Post, attacca l’operato dell’esecutivo: “Il Rosen Affair è un flagrante attacco alle libertà civili che nemmeno Gorge W. Bush o Richard Nixon si sarebbero sognati. Trattare un reporter come un criminale solo perché ha fatto il suo lavoro, priva gli americani del primo emendamento”.

La Casa Bianca ha fatto sentire la sua voce tramite l’addetto stampa Jay Carney, che pur non commentando direttamente gli sviluppi dello scandalo Rosen, ha dichiarato: “Il presidente è convinto che sia imperativo non tollerare quelle fughe di notizie che possono mettere in pericolo la vita di uomini e donne americane in servizio all’estero”.

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Associated Press spiata per due mesi dal governo americano http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/ducato-online/associated-press-spiata-per-due-mesi-dal-governo-americano/47114/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/ducato-online/associated-press-spiata-per-due-mesi-dal-governo-americano/47114/#comments Tue, 14 May 2013 17:02:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47114 La sede dell'ApLe redazioni di un’agenzia di stampa sotto osservasionr come covi di malfattori,  telefoni controllati per sessanta giorni con l’unico scopo di svelare il volto della talpa. Non è la trama di un film di spionaggio, ma il retroscena di un’indagine condotta dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nei confronti dell’Associated Press. L’agenzia di stampa ha fatto sapere stamattina di essere stata informata dei controlli sui tabulati di 20 linee telefoniche negli uffici di New York, Hartford e Washington, compreso il numero riservato all’AP nella sala stampa della Camera dei Rappresentanti. Oltre a un comunicato ufficiale sul suo sito, AP ha diffuso la notizia sul suo account Twitter con un video.

Gli investigatori hanno monitorato le chiamate in entrata e in uscita effettuate nei mesi di aprile e maggio del 2012, potendo così tenere d’occhio i contatti di almeno 100 reporter: tra le linee spiate, anche quelle private di cinque giornalisti (Matt Apuzzo, Adam Goldman, Kimberly Dozier, Eileen Sullivan e Alan Fram) coinvolti nella realizzazione di un rapporto che aveva fatto saltare sulla sedia il dipartimento di Giustizia.

Il 7 maggio 2012, infatti, l’Associated Press ha pubblicato i dettagli di un attentato progettato da Al Qaeda per colpire gli Stati Uniti e sventato all’ultimo con un’operazione della Cia in Yemen: dopo questa rivelazione, il dipartimento di Giustizia ha aperto un’inchiesta per capire chi fosse la fonte riservata che aveva fornito all’agenzia di stampa un’informazione talmente sensibile. Finora le autorità non hanno fornito ad Associated Press una spiegazione per giustificare i controlli telefonici, ma la stessa agenzia ritiene che siano da collegare al rapporto del maggio 2012.

“Non ci può essere alcuna giustificazione per una così ampia raccolta di comunicazioni telefoniche della Associated Press e dei suoi giornalisti – ha dichiarato il direttore esecutivo di AP Gary Pruitt in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Eric Holder – queste informazioni potrebbero rivelare le comunicazioni con fonti confidenziali, fornire una road map delle operazioni di raccolta di notizie e divulgare le informazioni sulle attività e le operazioni di AP che il governo non ha alcun diritto di sapere”. Pruitt ha richiesto ufficialmente al dipartimento di Giustizia di distruggere gli elenchi delle telefonate monitorate.

L’indignazione di Pruitt per quella che definisce “un’intrusione enorme e senza precedenti” ha trovato una sponda nelle parole di Christophe Deloire, segretario generale di Reporter Senza Frontiere: “Una tale palese violazione delle garanzie costituzionali deve essere oggetto di una commissione d’inchiesta del Congresso. Siamo spiacenti di vedere che il governo federale ha perpetuato le pratiche che hanno prevalso durante i due mandati di George W. Bush, quando i funzionari hanno sacrificato la protezione dei dati personali e, soprattutto, il primo emendamento sul diritto dei cittadini di essere informati. Questo caso ha dimostrato la necessità di una legge scudo federale che garantisca la protezione delle fonti dei giornalisti”.

Lo stesso panorama politico statunitense è in fibrillazione dopo quanto avvenuto. “La Casa Bianca – ha dichiarato il portavoce Jay Carney – non è a conoscenza di azioni del dipartimento della Giustizia per ottenere i tabulati telefonici di alcune linee in uso alla Associated Press o a suoi giornalisti”. Carney ha inoltre sottolineato che la Casa Bianca “non viene coinvolta in alcuna decisione presa nell’ambito di indagini penali, poiché si tratta di questioni gestite dal dipartimento della Giustizia”. Il deputato repubblicano della California Darrell Issa, uno dei più strenui sostenitori del Patriot Act, ha però puntato il dito contro l’amministrazione Obama, i cui funzionari, secondo Issa “vedono sempre più se stessi come al di sopra della legge e incoraggiati dalla convinzione che non devono rendere conto a nessuno”.

Frank Wolf, repubblicano della Virginia, ha detto al giornale Hill che l’incidente “ricorda lo scandalo Watergate. È l’arroganza del potere. Se possono farlo all’AP, possono farlo a qualsiasi testata del paese”. Anche il presidente della commissione Giustizia del Senato, il democratico Patrick Leahy, ha criticato l’operato delle autorità, chiedendosi se fosse proprio necessario violare l’indipendenza dei media acquisendo i tabulati telefonici.

Ancora più forte l’ondata di protesta che ha attraversato i social media: su Twitter, l’hashtag #ap è uno dei più popolari e si arricchisce continuamente con nuovi contributi. Il tweet di AP che stamattina ha annunciato l’indagine è stato rilanciato finora 177 volte e, sebbene la Casa Bianca abbia preso le distanze dall’indagine su Associated Press, gli utenti continuano a chiedersi: “Come può la stampa essere il cane da guardia del potere, se il governo ficca il naso persino nelle sue telefonate?”.

 

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Ap detta regole per l’uso dei social media. Necessario proteggere le fonti http://ifg.uniurb.it/2013/05/09/ducato-online/lap-detta-le-regole-per-luso-dei-social-media-imperativo-proteggere-le-fonti/46210/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/09/ducato-online/lap-detta-le-regole-per-luso-dei-social-media-imperativo-proteggere-le-fonti/46210/#comments Thu, 09 May 2013 08:20:37 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46210 Vietato mettere in pericolo le fonti. Ieri l’Associated Press, l’agenzia di stampa internazionale con sede negli Usa, ha aggiornato le linee guida sull’uso dei social network e del crowdsourcing per i giornalisti. La novità sta nelle regole per il trattamento delle persone che forniscono notizie mentre sono in situazioni di pericolo, come dopo un omicidio di massa, una calamità naturale o una guerra.

I consigli sono a cura del Social media editor Eric Carvin e dello Standards Editor Tom Kent, e vanno dalle più semplici regole di educazione ai suggerimenti per la sicurezza delle fonti:

  • Agire come un osservatore: se qualcuno sta condividendo delle notizie mentre si trova in una situazione pericolosa, inizialmente è meglio monitorare i posts senza chiedere di più. Si può pensare di contattarlo quando sarà più al sicuro;
  • Cercare foto o video: bisogna evitare di chiedere alle fonti in pericolo di creare materiale per Ap. Piuttosto, il reporter deve chiedere il permesso di utilizzare quello che la persona già riesce a produrre;
  • Entrare in contatto: mai stressare le fonti. Se ci si rivolge a qualcuno, bisogna ricordagli di agire in situazione di sicurezza e non spingerlo a mettersi in pericolo. Se possibile, è sempre meglio parlare per telefono che sui social network;
  • Invece di chiedere, offrire: il giornalista non dovrebbe twittare “Avete delle foto per Ap?”, ma piuttosto “Sono un reporter dell’Ap. Se vuoi parlare con me di quello che stai vivendo, contattami in privato”;
  • Adattare il proprio istinto al digitale: “Se questi consigli ti sembrano poco concreti, c’è una buona ragione: la maggior parte di queste decisioni devi prenderle caso per caso” concludono Eric e Tom. “Molti di voi hanno molta esperienza. Il trucco sta nell’adattare questi istinti al mondo digitale”. Sui social network, infatti, c’è poco spazio per scrivere e non si può modulare il tono della voce.

Tra gli altri aggiornamenti delle linee guida, l’Ap spiega ai suoi giornalisti come possono utilizzare siti personali e blog per condividere il loro lavoro. Consiglia inoltre di evitare la diffusione di voci non confermate attraverso tweet e post, e offre suggerimenti su come gestire gli scoop che appaiono sui profili di personaggi pubblici.

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Pulitzer, ecco i 21 servizi vincitori http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-online/pulitzer-ecco-i-21-servizi-vincitori/43084/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-online/pulitzer-ecco-i-21-servizi-vincitori/43084/#comments Tue, 16 Apr 2013 17:23:51 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43084 [continua a leggere]]]> Dai poliziotti a cui non piace rispettare i limiti di velocità (e uccidono 19 persone) alla guerra civile in Siria, da l’inquinamento degli oleodotti in Michigan ai conti segreti dell’ex premier cinese Wen Jiabao: sono questi alcuni degli argomenti trattati dai servizi, dalle inchieste e dai reportage vincitori dei prestigiosi premio Pulitzer, assegnati ieri a New York. Ecco, in dettaglio, i 14 vincitori.

SERVIZIO PUBBLICO
Sun Sentinel, Fort Lauderdale, FL

A tutta velocità, per andare a lavoro o semplicemente per gioco, fino a superare i 200 chilometri all’ora. Oltre 800 poliziotti della Florida, secondo l’inchiesta del Sun Sentinel di Fort Lauderdale, quotidianamente superano i limiti di velocità (circa 90 chilometri orari) “violando in modo evidente la fiducia dei cittadini”. Dal 2004 l’eccesso di velocità ha provocato 320 incidenti e 19 morti. Solo un poliziotto è stato condannato: 60 giorni di carcere.

BREAKING NEWS
La redazione del The Denver Post

Denverpost.com del 20 luglio 2012

 La notte del 20 luglio 2012 centinaia di persone affollavano il multisala “Century 16 Movie Theater” di Aurora per vedere la prima mondiale del film “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno“. Dodici fra gli spettatori, tra i quali diversi bambini, furono uccisi. Per aver raccontato il “massacro di Aurora” in modo puntuale e preciso, attraverso l’uso di Twitter, Facebook, video e foto, lo staff del The Denver Post vince il Pulitzer sezione Breaking News.  Il giornale ha anche pubblicato l’audio della prima telefonata ricevuta dalla polizia che segnalava gli spari e una timeline interattiva che descrive ogni momento della vicenda.

 
GIORNALISMO INVESTIGATIVO
David Barstow e Alejandra Xanic von Bertrab del New York Times

L’inchiesta dei giornalisti David Barstow e Alejandra Xanic von Bertrab sul fenomeno della corruzione nel Wal-Mart, nel settore della grande distribuzione

Come fa una multinazionale nel settore della vendita al dettaglio a sbaragliare la concorrenza e dominare con successo anche il difficile mercato messicano? La domanda se la sono posta due giornalisti del NYT e la risposta è stata tutt’altro che incoraggiante. Dal 2005 infatti i dirigenti di Wal – Mal, multinazionale con oltre 200 dipendenti in Messico, sono riusciti ad ottenere il controllo di Città del Messico corrompendo la pubblica amministrazione per avere permessi e licenze: quasi 20 milioni di euro (24 milioni di dollari) in totale di mazzette.

EXPLANATORY REPORTING (Giornalismo esplicativo)
La redazione del New York Times

I lati oscuri di una delle più potenti società del mondo, dalla paga dei lavoratori alla produzione dei componenti fuori dal continente americano

La “i” revolution, quella degli iPhone, iPad e  iTunes, ha cambiano radicalmente molti aspetti della vita sociale, dall’economia mondiale al modo in cui le persone interagiscono fra di loro. Ma il mondo Apple non è tutto rose e fiori, anzi forse, a guardar bene, quella ‘mela’ è piena di bruchi. Così lo staff del NYT ha voluto scavare a fondo nella “i-produzione”, scoprendo ad esempio che la maggior parte dei componenti elettronici viene prodotta all’estero, in Russia, Cina, Turchia o Repubblica Ceca provocando molte perdite nelle casse americane. In molte fabbriche inoltre i lavoratori fanno turni da più di 60 ore a settimana, 7 giorni su 7, spesso senza avere gli straordinari pagati. Nel 2009 circa 140 persone accusarono ferite provocate dall’uso dell’esano, un elemento tossico usato per pulire gli schermi degli iPhone.

GIORNALISMO LOCALE
Brad Schrade, Jeremy Olson e Glenn Howatt dello Star Tribune, Minneapolis

Poche cure e scarsa igene negli asili di Minneapolis causando la morte di 8 bambini

Asili con un numero di bambini superiore a quello consentito e condizioni che violavano le regole di sicurezza. Secondo l’inchiesta dello Star Tribune di Minneapolis, che ha preso in esame centinaia di atti della polizia contro gli asili non a norma, il numero di bambini morti negli asili si è raddoppiato negli ultimi 5 anni fino ad arrivare a uno al mese. Tra questi c’era anche Blake Fletcher, 3 mesi, lasciato senza controlli per più di due ore in un box per bambini e morto asfissiato.

GIORNALISMO SU QUESTIONI NAZIONALI
Lisa Song, Elizabeth McGowan e David Hasemyer dell’InsideClimate News, Brooklyn, NY

Il lavoro di Lisa Song, Elizabeth McGowan e David Hasemyer sulla scarsità dei controlli sugli oleodotti negli States

Il Pulitzer premia anche la salvaguardia dell’ambiente. E’ il caso dell sito no-profit InsideClimate News di Brooklyn che ha ricevuto il prestigioso premio grazie all’indagine condotta nel 2010 sugli oleodotti della società canadese Enbridge. Sotto accusa alcune delle tubature in Michigan: a causa della scarsa manutenzione e della mancanza di controlli, una perdita di oltre tre milioni di litri di petrolio si è riversata direttamente nei fiumi Talamadge e Kalamazoo. I fiumi confluiscono nel lago Michigan che fornisce acqua potabile a oltre 10 milioni di persone.

GIORNALISMO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI
David Barboza del New York Times

Il servizio del NYT sugli affari della famiglia di Wen Jiabao

Almeno 2,7 miliardi di dollari (quasi 2,1 miliardi di euro) è la fortuna della famiglia dell’ex premier cinese Wen Jiabao secondo l’inchiesta di David Barboza. La madre di Wen, Yang Zhiyun, che era un’insegnante del nord della Cina, oggi, a 90 anni, “non solo è uscita dalla povertà, ma è divenuta incontestabilmente ricca”. L’inchiesta la vede soggetto, assieme con figli e cognati, in investimenti che spaziano dalla finanza all’acquisto di gioielli e aziende di telecomunicazione, nonché progetti di infrastrutture. Dall’uscita della notizia i legali della famiglia cinese hanno fatto causa al NYT il quale sito poco dopo è stato anche attaccato da hacker cinesi.

FEATURE (giornalismo d’approfondimento)
John Branch del New York Times

L’infografica interattiva che spiega le dinamiche della valanga che travolse e uccise 16 tra sciatori e snowboarders

“La neve arrivò dirompente senza preavviso tra gli alberi, solo un sibilo all’ultimo secondo, seguito da un muro a due piani di colore bianco e il grido lacerante di Chris Rudolph: ‘Valanga! Elyse!‘. La cosa che più avevano cercato – la fresca e morbida neve – d’improvviso divenne il loro nemico. Da qualche parte sopra, sul prato bianco e intatto della montagna, si era formata una crepa a forma di fulmine che ha ‘affettato’ una lastra di ghiaccio di quasi 200 metri di larghezza e tre metri di profondità. La gravità ha fatto il resto”. E’ la storia dei sopravvissuti alla valanga di Tunnel Creek, sulle Cascade Mountains nello Stato di Washington, che nel febbraio 2012 ha ucciso quattro persone e che il Times ha raccontato con una imponente infografica interattiva.

OPINIONI
Bret Stephens del Wall Street Journal

Uno degli editoriali che hanno valso al giornalista il premio Pulitzer

Bret Louis Stephens, classe 1973, è un giornalista americano nato a New York e vissuto a Città del Messico. La sua carriera al Wall Street Journal inizia nel 1998, prima come editorialista a New York poi a Bruxelles per il Wall Street Journal Europe. Dal 2006 cura l’editoriale del giornale dal titolo “Global View” nel quale si occupa di politica estera e interna americana. Secondo la giuria del premio, i suoi articoli sono “incisivi e spesso animati da colpi di scena “.

CRITICA
Philip Kennicott del Washington Post

Premio sezione “Criticism” a Kennicott per i suoi articoli sull’arte e la società

Philil Kennicott, 47 anni, è il critico d’arte della sezione Style del Washington Post dal 1999. A valergli i premio sono stati, tra gli altri, i suoi articoli sull’esibizione fotografica “A Living Man Declared Dead and Other Chapters I-XVIII” di Taryn Simon alla Corcoran Gallery, la mostra di architettura di Kevin Roche alla National Building Museum e un saggio sulla violenza delle immagini fotografiche online. La giuria ha premiato Kennicott per “i suoi saggi eloquenti e appassionati sull’arte e sulle forze sociali che vi sono alla base, un critico che da sempre si impegna per rendere i suoi argomenti interessanti al pubblico”. Nel 2000 il giornalista era stato finalista per il premio Pulitzer nella sezione “Editoriali”.

EDITORIALI
Tim Nickens e Daniel Ruth del Tampa Bay Times, St. Petersburg, FL

Uno degli articoli che ha permesso di continuare con la fluorizzazione dell’acqua a Pinellas County

La fluorizzazione è una pratica chimica che permette di aggiungere composti di fluoro nell’acqua con lo scopo di prevenire la carie. Il metodo è sicuro e dal 2000 aiuta i cittadini americani a prevenire le visite dal dentista. Nel 2011 a Pinellas Country la commissione della città aveva intenzione di terminare la fluorizzazione affermando che troppo fluoro poteva fare male alla salute.  Tim Nickens e Daniel Ruth, attraverso i loro 10 editoriali sul tema, hanno dimostrato che il fluoro non fa male, battendosi per continuare la fluorizzazione e preservare la salute dentale dei 700.000 abitanti di Pinellas County.

VIGNETTE
Steve Sack dello Star Tribune, Minneapolis

Una vignetta raffigura il leader nord coreano Kim Jong-un

“Una collezione di vignette dallo stile originale e create con l’intelligente intenzione di far capire bene al pubblico il suo inconfondibile punto di vista”. Con questa frase i giudici del Pulitzer hanno premiato Steve Sacks, vignettista dello Star Tribune dal 1981. Sack ha disegnato oltre 7.800 vignette per il giornale, tutte a tema politico-economico,  e nel 2004 è stato finalista per lo stesso premio.

FOTOGRAFIA DI ATTUALITA’
Rodrigo Abd, Manu Brabo, Narciso Contreras, Khalil Hamra e Muhammed Muheisen dell’Associated Press

Un siriano piange stringendo il figlio ucciso dalle truppe militari del regime vicino a Dar El Shifa hospital, Aleppo. Foto di Manu Brabo

Il premio Pulitzer per la fotografia ‘breaking news‘ va a cinque fotografi dell’agenzia internazionale Associated Press per i reportage fatti negli ultimi due anni sulla guerra in Siria. Per la giuria sono “memorabili” e scattati “sotto estremo pericolo”. La guerra civile in Siria tra i ribelli dell’Esercito Siriano Libero e il governo di Bashar al-Assad è una delle più sanguinose di tutto il Medio Oriente: 90.000 morti in due anni secondo l’ultimo bilancio delle Nazioni Unite.

FOTOGRAFIA
Javier Manzano, fotografo free-lance, Agence France-Presse

La foto, distribuita da Agence France-Presse, è stata scattata il 18 ottobre 2012 ad Aleppo

Due soldati ribelli siriani fanno la guardia al loro covo nel quartiere Jabl Karmel di Aleppo. La luce entra timida dietro di loro, trovando spazio da alcuni fori lasciati da colpi di proiettile e schegge vaganti. Nel suo passaggio illumina la polvere di più di cento giorni di bombardamenti, bombe e scontri a fuoco. Il quartiere di Karmel Jabl è un punto strategico per la sua vicinanza alla strada principale che separa alcuni dei principali campi di battaglia della città. Entrambe le parti, l‘Esercito Libero Siriano e il regime, puntano molto sui cecchini in un gioco al gatto e al topo lungo le linee del fronte di Aleppo.

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Pulitzer: 4 premi al New York Times. Al Sun Sentinel il ‘servizio pubblico’ http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-online/pulitzer-quattro-premi-al-new-york-times-per-il-servizio-pubblico-vince-il-sun-sentinel/43060/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-online/pulitzer-quattro-premi-al-new-york-times-per-il-servizio-pubblico-vince-il-sun-sentinel/43060/#comments Tue, 16 Apr 2013 08:05:58 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43060

L’inchiesta del Sun Sentinel sugli eccessi di velocità dei poliziotti fuori servizio

Trionfo per il New York Times alla premiazione dei premi Pulitzer 2013 . Il giornale ha vinto in quattro delle 21 categorie: giornalismo investigativo, ‘explanatory reporting’ (giornalismo ‘esplicativo’), temi internazionali e feature (che potremmo tradurre ‘di approfondimento’). I premi sono stati annunciati ieri alle 15 ora americana (alle 21 in Italia), alla Columbia University.

Il quotidiano newyorkese si è segnalato per il servizio dedicato all’attività di Wal-Mart, la più grande catena americana di distribuzione al dettaglio, e il suo uso di corruzione e tangenti per dominare il mercato messicano; per quello sulla Apple, al centro di un’inchiesta sulle pratiche di business del colosso americano e sul lato più oscuro dell’economia globale. John Branch ha vinto nella categoria ‘feature’ per la sua narrazione evocativa della morte di alcuni sciatori travolti da una valanga. Il giornalista ha approfondito inoltre la sua analisi spiegando le cause scientifiche di questi disastri naturali.

Infine, il miglior servizio internazionale è stato assegnato a David Barboza per l’indagine sulla corruzione ad alti livelli del governo cinese e tra i parenti dell’ex primo ministro Wen Jiabao. Un riconoscimento che la Cina non ha apprezzato: il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, all’indomani della premiazione, ha dichiarato che secondo Pechino dietro il reportage ci sarebbe una campagna di diffamazione da parte di “voci” contrarie allo sviluppo del Paese asiatico.

foto di Javier Manzano

Come nella passata edizione in cui erano stati premiati anche siti solo online, come l’Huffington Post e Politico.com, anche quest’anno le testate solo online hanno ricevuto riconoscimenti. Inoltre quasi tutte le inchieste vincitrici hanno fatto largo uso di elementi multimediali pubblicati solo online, a conferma che il mondo dell’informazione non può ormai prescindere dal web.

Il premio per le notizie di carattere nazionale è andato all’associazione non profit InsideClimate News, che ha seguito i danni ambientali causati dagli oleodotti, concentrandosi sulla pericolosità del bitume diluito. Lo staff del sito di news ha festeggiato la vittoria con una videoconferenza perché -come ha dichiarato il fondatore ed editore David Sasoon- “lavoriamo tutti dalle nostre case”. Per le breaking news è stata premiata la redazione del Denver Post che ha raccontato la strage di Aurora, in Colorado, dove sono state uccise 12 persone.

Una delle foto del reportage dell’Associated press

Per la fotografia sono state premiate nella categoria ‘attualità’ le immagini di Rodrigo Abd, Manu Brabo, Narciso Contreras, Khalil Hamra e Muhammed Muheisen dell’ Associated Press che hanno raccontato la guerra civile in Siria; mentre nella categoria ‘feature photography’ è stato premiato il fotografo free-lance, Javier Manzano, per l’immagine di due soldati ribelli siriani che sorvegliano una sentinella dentro una stanza illuminata dalla luce che filtra dai fori prodotti da proiettili sulla serranda alle loro spalle.

Ecco l’elenco completo dei vincitori:

  • Giornalismo localeBrad Schrade, Jeremy Olson e Glenn Howatt dello Star Tribune, Minneapolis
  • Feature John Branch del New York Times
  • Opinioni Bret Stephens del Wall Street Journal
  • CriticaPhilip Kennicott del Washington Post
  • EditorialiTim Nickens e Daniel Ruth del Tampa Bay Times, St. Petersburg, FL
  • VignetteSteve Sack dello Star Tribune, Minneapolis
  • Fotografia di attualitàRodrigo Abd, Manu Brabo, Narciso Contreras, Khalil Hamra e Muhammed Muheisen dell’Associated Press
  • FotografiaJavier Manzano, fotografo free-lance, Agence France-Presse

Vincitori 2013 nella sezione letteratura, teatro, musica

  • Romanzi “The Orphan Master’s Son” di Adam Johnson
  • Teatro“Disgraced” di Ayad Akhtar
  • Scrittura di saggi storici“Embers of War: The Fall of an Empire and the Making of America’s Vietnam” di Fredrik Logevall (Random House),
  • Biografie“The Black Count: Glory, Revolution, Betrayal, and the Real Count of Monte Cristo” di Tom Reiss (Crown)
  • Poesia“Stag’s Leap” di Sharon Olds
  • Saggistica“Devil in the Grove: Thurgood Marshall, the Groveland Boys, and the Dawn of a New America” di Gilbert King (Harper)
  • Musica“Partita for 8 Voices” di Caroline Shaw (New Amsterdam Records)

Il Pulitzer è il riconoscimento giornalistico più antico e prestigioso del mondo. Istituito nel 1917 dall’editore Joseph Pulitzer, è gestito dalla Columbia University di New York a cui il magnate lasciò tutti i suoi averi. Il premio, diviso in 21 categorie, assegna ai vincitori una ricompensa di diecimila dollari. Al vincitore della categoria ‘servizio pubblico’, al posto dei soldi, viene, invece, conferita una medaglia d’oro. Oltre ai premi per il giornalismo la giuria –composta da 19 personalità del mondo dell’informazione – assegna anche sette premi per le arti, la musica e la letteratura.

Nella categoria narrativa -in cui l’anno scorso nessun romanzo era stato considerato all’altezza si ricevere il Pulitzer- è stato premiato lo scrittore Adam Johnson, autore di The Orphan Master’s Son, pubblicato in Italia da Marsilio con il titolo ‘Il signore degli orfani’.c’è stato anche un vincitore nella sezione narrativa.

 

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Corea del Nord: com’è difficile spiegare un paese senza giornalismo http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/corea-del-nord-come-difficile-raccontare-un-paese-senza-giornalismo/41231/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/corea-del-nord-come-difficile-raccontare-un-paese-senza-giornalismo/41231/#comments Fri, 05 Apr 2013 16:58:16 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=41231 I missili a medio raggio coreani

I missili a medio raggio coreani che sarebbero puntati verso la Corea del Sud e le basi Usa

Anche quest’anno è penultima nella classifica mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere (l’ultima è l’Eritrea). Uno dei pochi Stati ancora dichiaratamente autoritario, la Corea del Nord  non gode dell’attenzione costante di media ed opinione pubblica, tranne in momenti particolari come questo. L’altro ieri infatti, dopo un’escalation di tensioni diplomatiche, il Caro Leader Kim Jong-un, minacciando Corea del Sud e Stati Uniti con l’atomica, ha riconquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Oggi la Corea del Nord avrebbe due missili a medio raggio puntati su Seul e sul Giappone.

“Purtroppo paesi come questi, la cui situazione particolare meriterebbe spesso di essere al centro dell’attenzione, sembrano essere dimenticati dai media, in particolare da quelli italiani”. A dirlo è Ludovico Tallarita, 22 anni, studente italiano di Relazioni Internazionali alla London School of Economics, che, grazie a una visita organizzata dall’università, ha ottenuto un lasciapassare di due settimane per Pyongyang. Lui ha raccontato la sua esperienza sulle pagine del Corriere della Sera, insieme a un altro studente italiano, Giovanni B. Conte.

Boom di ricerche per Corea del Nord su Google

La crescita delle ricerche su Google sulla Corea del Nord

Un articolo pubblicato su Foreign Policy mostra la crescita di attenzione per la Corea del Nord nell’ultimo mese: stando ai dati di Google Search, dall’inizio di marzo, le ricerche su questo Stato si sono raddoppiate. L’autore dell’articolo, John Hudson, mostra che l’escalation mediatica si è già verificata nel 2004, quando a governare lo “Stato canaglia” più a oriente c’era Kim Jong-il, padre dell’ attuale leader, che minacciava allo stesso modo Seul per venire a patti con l’Occidente.

“La Corea è un sistema chiuso – spiega Tallarita – forse la più grande vittoria del regime è l’aver tenuto la popolazione distante dalla maggior parte di quello che accade fuori dai confini nazionali. Le parate militari, i pianti commossi della popolazione, il passaggio ereditario della dittatura cui abbiamo assistito (i 100 giorni di lutto per la morte di Kim Jong-il, ndr) ci hanno restituito l’immagine di un paese 50 anni indietro”.

Soltanto nel gennaio 2012 l’Associated Press è riuscita ad aprire il suo primo ufficio a Pyongyang, a coprire grandi eventi mediatici organizzati dal regime, come le parate del venerdì. Fino a quel momento, per raccontare uno degli ultimi regimi rossi, i giornalisti si sono dovuti infiltrare, rubando informazioni, scatti e video. “Ancora oggi molti giornalisti occidentali non si dichiarano tali per girare più liberamente”. Santiago Lyon, direttore dell’Ap fotografia, sottolineando le difficoltà nel fare informazioni sulle dittature, ha dichiarato all’Huffington Post che in Corea del Nord: “Non esiste una tradizione di giornalismo indipendente”.

Tallarita racconta: “Non mi è capitato di vedere veri e propri giornalisti. Si trattava di annunciatori in televisione, organizzatori di eventi ufficiali, ma niente di più. I giornali sono tutti uguali e i titoli di apertura più o meno recitano tutti la stessa formula: oggi Kim Jong-un ha fatto questo. Il regime ha vietato i cellulari, il mio infatti l’ho ripreso il giorno del ritorno, mentre è possibile scattare foto.”

Le guide sono il tramite obbligato tra gli stranieri ed il governo: “Gli unici coreani – continua Tallarita – con cui abbiamo potuto scambiare qualche parola, funzionari del governo autorizzati a studiare altre lingue, ad entrare in contatto con gli stranieri e mostrare loro solo ciò che il governo vuole venga mostrato”. A parte l’ostacolo linguistico, per i giornalisti, così come per i turisti, è difficile ottenere l’autorizzazione per parlare con le persone in strada: secondo Santiago Lyon, grazie all’Ap è stato introdotta la vox populi, ancora di difficilissima realizzazione.

Ludovico e la sua guida hanno passato una brutta mezz’ora perché lui si è allontanato e ha preso un’altra metro rispetto a quella della sua delegazione, scendendo alla stazione successiva. “Nel vagone mi guardavano tutti con stupore: non sono abituati a vedere stranieri. Io ero colpito da quanta gente in divisa mi circondasse: quasi un coreano su tre ha ruolo nell’esercito”. Proprio uno dei passeggeri in divisa lo ha fatto scendere dal treno e, grazie al cartellino identificativo, lo ha ricondotto dalla sua guida. “Si sono allontanati a parlare, dopo un quarto d’ora circa sono ricomparsi. ‘Puoi stare tranquillo’, mi ha detto sorridendo la guida, che credo abbia pagato il militare per chiudere un occhio. Ho veramente temuto il peggio”.

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Xenofobia e giornalismo: e li chiamano i professionisti della parola http://ifg.uniurb.it/2013/04/04/ducato-online/xenofobia-e-giornalismo-e-li-chiamano-i-professionisti-della-parola/40889/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/04/ducato-online/xenofobia-e-giornalismo-e-li-chiamano-i-professionisti-della-parola/40889/#comments Thu, 04 Apr 2013 11:13:51 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=40889

Il Giornale, 4 aprile 2013

URBINO – Illegal immigrant, no more. Questo lo slogan lanciato dall’Associated Press che non tollererà più l’uso della parola “illegale” se associata a un essere umano. Illegale è un’azione, non una persona. Anche per undocumented scatta il cartellino rosso. Sembrano banalità, ma, trattandosi di questioni tanto delicate come l’immigrazione, ogni piccolo dettaglio assume un significato di un certo spessore, come insegnano i colleghi oltreoceano. In Italia, invece, le cose non vanno poi così bene. Un palese esempio di xenofobia è fornito da  tuttiicriminidegliimmigrati.com, sito web che indicizza gli articoli di giornale più offensivi nei confronti degli stranieri.

“Era inevitabile. Era solo una questione di tempo”, così commenta le nuove linee guida dell’Ap il vincitore del premio Pulitzer 2008 Josè Antonio Vargas, firma di punta del Washington Post e di altre importanti testate statunitensi. Vargas non è solo un giornalista ma anche il fondatore di Define American, un’organizzazione creata con l’intento di individuare i criteri che le persone usano per determinare chi sia veramente americano e chi no. E il punto di vista di Vargas, ‘cittadino’ americano per anni senza green card, è stato efficacemente riassunto dal Times che in copertina riportava la frase We are Americans. Just not legally (Siamo americani. Ma non legalmente). Il periodico statunitense aveva dedicato la cover story al giornalista di origini filippine il quale si è messo a nudo raccontando la sua vita da illegal alien (clandestino) evidenziando le difficoltà e le contraddizioni della legge americana in tema di immigrazione.

Legalità. Il suo contrario evoca immediatamente il concetto di criminalità. Amare e vivere con e per le parole vuol dire anche accuratezza, precisione. Scegliendo la scorciatoia degli stereotipi, parafrasando Vargas, priviamo le persone della loro umanità. La superficialità può creare dei danni irreparabili e intaccare la credibilità dell’intera categoria dei giornalisti che spesso ‘pompano’ le notizie creando falsi allarmismi. E, purtroppo, a volte, non è la disattenzione a offendere gli uomini, bensì la volontà di ferire dei loro simili.

“Faremo saponette con gli immigrati in Grecia”. Così Alexandros Plomeratis esponente di Alba dorata, partito ellenico di estrema destra, parla dei ‘non greci’ definendoli “primitivi, subumani e contaminati”. E aggiunge: “Siamo pronti ad aprire loro i forni”. Poco tempo fa queste parole hanno fatto indignare l’opinione pubblica a livello globale. Ma questa è la Grecia, mica l’Italia, potrebbe obiettare qualcuno. E invece non è proprio così: non solo perché è stato fondato circa un anno fa a Trieste un partito ispirato a quello filonazista greco.Poi c’è il caso di tuttiicriminidegliimmigrati.com, che fa per scelta quello che i giornali fanno per trascuratezza: utilizza la nazionalità dell’immigrato come elemento distintivo e caratterizzante, associandolo alla criminalità.

L’aspetto più interessante è che questi frammenti di xenofobia non sono prodotti da qualche analfabeta insensibile, bensì da giornalisti professionisti. Sì, perché il sito altro non è che una bacheca in cui vengono raccolti tutti gli articoli sugli stranieri, preferibilmente di cronaca nera, apparsi sulla stampa italiana. Termini come “clandestino” “illegale”, “extracomunitario”, “maghrebino” (da quando è una nazionalità?) si ripetono spesso sui quotidiani, nei telegiornali. Ecco cosa succede quando libertà d’espressione, media e mediocrità si incontrano. E questo accade in Italia, dove esiste un codice deontologico adottato dall’Ordine dei giornalisti nato con l’obiettivo fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità, osservando la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta e i migranti.

Si tratta della Carta di Roma, nata su impulso dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (al tempo la portavoce era Laura Boldrini) che, a seguito della strage di Erba nel gennaio 2007, scrisse ai direttori delle maggiori testate giornalistiche italiane denunciando la ‘scorrettezza’ (“Caccia al Marocchino”, Corriere della Sera) dei media nel trattare con approssimazione e sensazionalismo una situazione di per sé tanto controversa e difficile.

Stando alla Carta i giornalisti dovrebbero adottare termini giuridicamente appropriati per restituire al lettore la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti e tutelare quelli che scelgono di parlare con i giornalisti per non esporli a ritorsioni. E, infine, per garantire un’informazione più chiara e completa, che guardi anche alle cause dei fenomeni, interpellare, quando possibile, esperti in materia.

Promuovere una più corretta informazione in materia di immigrazione, non è poi così facile. Il linguaggio è spesso inappropriato, carico, involontariamente o meno, di pregiudizio e privo di significato giuridico. La realtà migratoria è complessa e lo è, più in generale, il diritto, piatto indigesto per molti. Maria Beatrice Deli, docente di diritto internazionale all’Università del Molise, inaugura ogni anno il suo corso spiegando agli studenti i rischi del ‘cattivo’ giornalismo in materia di diritto. “Il problema della correttezza delle informazioni fornite dai giornalisti è sentito nell’ambiente giuridico – afferma Deli – soprattutto con riferimento ai diritti umani e agli atti delle organizzazioni e delle corti internazionali. Ad esempio, questo accade per le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: capita spesso di leggere il riferimento alla Corte europea, provocando una immediata confusione con la Corte di Giustizia Ue di Lussemburgo”.

Posto il problema della correttezza dell’informazione, chi vigila sui giornalisti poco attenti? L’Unar, ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, è dotato di un osservatorio media e web, pronto a segnalare le dichiarazioni lesive ai danni dei cittadini che viaggiano su quotidiani, blog e tv. Ma non è chiaro se questo ente goda ancora di buona salute dopo i tagli della spending review.

Al di là dei tecnicismi, ogni uomo è una storia. Storia spesso drammatica per chi è costretto a lasciare la propria terra disperdendo frammenti di vita tra bombe, sofferenza e addii. Pasolini nel 1964 scriveva: “Alì dagli Occhi Azzurri, uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua”.

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Benvenuto social media editor, un lavoro pronto per la pensione http://ifg.uniurb.it/2012/02/29/ducato-online/benvenuto-social-media-editor-un-lavoro-pronto-per-la-pensione/27042/ http://ifg.uniurb.it/2012/02/29/ducato-online/benvenuto-social-media-editor-un-lavoro-pronto-per-la-pensione/27042/#comments Wed, 29 Feb 2012 21:53:05 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27042 LEGGI I SOCIAL MEDIA EDITOR DAL 2009 A OGGI/STORIFY]]>

Anna Masera, social media editor de La Stampa

URBINO – Essere connessi, riconoscere il valore di una notizia e comunicare con i lettori. Questi sono gli ingredienti per essere un social media editor, un giornalista che si occupa e trova le notizie sulle piattaforme social da Twitter a Facebook passando per Tumblr e Pinterest.

In Italia la figura è stata inserita per la prima volta in un quotidiano solo un mese fa. Anna Masera è entrata nella gerenza proprio come social media editor. In ritardo rispetto agli Stati Uniti: qui la figura del giornalista che si occupa di social media è ormai consolidata e i giornalisti più giovani sono già social media editor di se stessi.

I SOCIAL MEDIA EDITOR DAL 2009 A OGGI

La prima è stata Jennifer Preston che nel 2009 venne assunta al New York Times come giornalista inviata nei social media. Secondo Jonathan Landman, vice caporedattore del New York Times il social media editor è:

Colui che passa tutto il suo tempo nel diffondere l’uso dei social media e pubblicare gli articoli nelle piattaforme per sviluppare il giornalismo prodotto dalla testata e consegnarlo ai lettori. In pratica lavora a fianco ai direttori, giornalisti, blogger e a tutte quelle persone che utilizzano i social media per trovare fonti, tenere traccia delle tendenze e break news, nonché raccoglierle. Lei ci aiuta a prendere confidenza con le tecniche, diffondere le migliori pratiche e ci guida nel trovare il modo più efficace di coinvolgere una quota maggiore del pubblico su siti come Twitter, Facebook, Youtube, Flickr, Digg e altri.

Nell’agosto del 2010 la Preston lascia il suo incarico a Liz Heron. Un compito che però lei stessa definisce transitorio e che probabilmente non esisterà più tra cinque anni. “Tra qualche anno, avere il social media editor sarà come avere un consulente sull’uso del telefono”, afferma Jim Long, della Nbc.

Ma la Heron sottolinea quanto la figura del social media editor sia ancora centrale all’interno di una redazione: ‘È importante imparare come usare i social media per il giornalismo: per riportare, interagire con le persone e ridefinire il nostro modo di fare giornalismo’.

COSA SUCCEDE IN ITALIA
Nelle nostre redazioni il social media editor ha fatto la sua comparsa per la prima volta il 6 febbraio 2012 , quando il direttore della Stampa Mario Calabresi inserisce all’interno della gerenza del suo giornale Anna Masera, con il ruolo di social media editor. 51 anni, una laurea in Storia a Yale, un Master in giornalismo nella prestigiosa Columbia University, da più di dieci anni web editor del quotidiano torinese.

“Io sono ‘vecchia’ per questo ruolo, un social media editor tipo è sotto i trent’anni. Io lo sono diventata perché ultimamente avevo dimostrato molta presenza sui social networks, a nome del giornale. Sono apparsa adatta a rappresentarlo – ha detto Anna Masera al Ducato - il direttore mi ha chiesto di portare La Stampa (il giornale e i colleghi) sui social network e di osservare i social network per La Stampa. Bisogna conoscere bene Internet e saper dialogare con gli internauti. E bisogna conoscere bene il proprio giornale ed essere in sintonia con le sue esigenze”.

Anche la Masera, come già detto da Liz Heron, conferma che il suo incarico è solamente temporaneo. Questione di tempo: quando tutti i giornalisti della redazione saranno alfabetizzati all’uso dei social network, saranno autonomi e non occorrerà una figura ad hoc. Intanto quella di Anna Masera è una vita sempre connessa tra computer, Ipad e Iphone.

“Mi alzo e prima ancora di andare in bagno guardo sull’Iphone se ci sono news da twittare, poi passo tutta la giornata connessa, tra Twitter e Facebook e Google plus, fino all’ora di andare a dormire. Nel corso della giornata lavoro al giornale nella redazione web, fianco a fianco con l’ufficio centrale, vado in riunione di redazione, parlo col direttore, i vicedirettori e i caporedattori per scegliere le notizie che abbiamo su cui puntare da rilanciare e per cercare notizie più o meno ‘trending’ da segnalare al giornale”.

Gli ingredienti per essere un bravo social media editor sono la conoscenza ottima dell’inglese e altre lingue. Ma non bisogna soltanto avere confidenza con tutte le piattaforme social. E’ necessario il fiuto e la preparazione giornalistica. “Si legge e filtra un sacco di roba: si valuta, si verifica incrociando le fonti e contattandole direttamente”. Un lavoro che assomiglia a un esperimento almeno in Italia. “E’ una scomessa, ce la giochiamo e se andrà male potremo dire che ci avremo provato per davvero”.

Il quotidiano di Torino prosegue il suo cammino verso l’innovazione. E’ la stessa Masera ad anticipare al Ducato quali saranno i prossimi passi verso un’integrazione di tutte le piattaforme: “Noi stiamo per passare al sistema editoriale ‘Methode’, che ci aiuterà a integrare tutto, carta, web e social apps, speriamo entro l’estate”. Una piattaforma già in uso al Wall Street Journal Washington Post. Method  si basa su punti di flusso di lavoro, composte da massimo quattro persone, che possono lavorare su una storia contemporaneamente in diverse edizioni.

ALL’ESTERO Anche Eric Carvin, dell’Associated Press, in un’intervista ha spiegato la sua vita da social media editor: “Quando ho iniziato a farmi coinvolgere dai social media, qualcuno mi ha dato un buon consiglio: ‘Anche se usi gran parte di questi strumenti per lavorare, condividi anche qualcosa che riguarda la tua vita’. Io non condivido tutto, ma solo alcune cose personali. Condividere qualcosa umanizza. È importante dimostrare che sei una persona reale dietro l’account. Probabilmente ci sono persone là fuori che vogliono condividere ogni dettaglio della loro vita”.

Anthony De Rosa

Carvin non è l’unico social media editor in circolazione ovviamente: Anthony De Rosa lavora alla Reuters. “Oltre a gestire le piattaforme sociali – spiega al Ducato online – sto anche contribuendo a formare i nostri giornalisti utilizzano i social media per trovare contatti, fonti e altre informazioni che appaiono sui social network. La mia giornata tipo? Mi sveglio, controllo Twitter, i nostri network, le notizie e tutto ciò mi porta in un milione di direzioni. Cerco di concentrarmi su quello che penso avrà il maggior impatto a livello globale e provo a mettere in evidenza le piccole storie locali che contano. Si tratta di istinti editoriali”.

Per Gary Kemble, social media editor dell’australiana AbcNews, si tratta di “un ruolo variegato. Coordino le attività di social media di ABC News. Mi occupo di organizzare corsi di formazione, contribuisco a elaborare politiche e linee guida per l’uso sociale dei media, lavorando su strategie di social media per i diversi programmi, progetti pilota (come la nostro la copertura speciale per anniversario dell’11 settembre), e sto lavorando anche su altri

Gary Kemble

progetti”.

“Per esempio – continua Kemble – abbiamo appena avuto una storia politica importante qui, con il nostro primo ministro messo in discussione per la leadership del partito laburista, così, la maggior parte del mio tempo è stato speso curando l’attività di social media intorno a tale evento anche guardando le tendenze social media. Negli ultimi 12 mesi si è pensato molto a inserire la figura nelle redazioni. Abc è stato uno dei primi, se non il primo, dei media australiani”.

Stan Hannoun

E oltralpe Stan Hannoun, responsabile social media Nouvel Observateur, racconta ancora al Ducato: “Io sono a metà strada tra la redazione e il marketing. Devo ascoltare i giornalisti, capire le loro richieste in modo da trascriverle al meglio sui social network. Il mio lavoro è quello di promuovere il Nouvel Observateur evidenziando e valorizzando gli articoli del sito web sui social network. Si tratta di stabilire una vera e propria comunità attorno al giornale. Il mio lavoro è quello di interagire con gli utenti per creare una vera e propria affinità con loro. Da un punto di vista del marketing, devo anche fare in modo di aumentare il numero di visite del sito provenienti dal social network. Per i live utilizziamo uno strumento chiamato Scribble Live di aggregare account Twitter e metterli insieme in un articolo pagina. Tweet sono pubblicati in diretta sulla pagina di questo articolo. Questo permette agli utenti che non dispongono di Twitter per seguire ciò che viene detto sul social network”.

 

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