il Ducato » chiesa di sant’agostino http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » chiesa di sant’agostino http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Il mercato degli immobili universitari che muove milioni di euro http://ifg.uniurb.it/2013/05/31/ducato-online/ipoteche-e-compravendite-il-mercato-degli-immobili-universitari-che-muove-milioni-di-euro/49192/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/31/ducato-online/ipoteche-e-compravendite-il-mercato-degli-immobili-universitari-che-muove-milioni-di-euro/49192/#comments Fri, 31 May 2013 16:00:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49192 LEGGI E SFOGLIA Il nuovo Ducato]]>

Palazzo Albani

URBINO – Su quella casa “posta in la cità di Urbino in la quatra de la posterla appresso le vie da tre lati e la casa degli eredi di mastro Agnolo” aveva diritto Urbano di ser Vanne, al quale fu strappata dal conte Ugolino Baldi che la tenne per 27 anni. Ma il 16 maggio 1421 una sentenza condannò il Bandi a risarcire la parte lesa con 275 ducati e la lite terminò definitivamente nel 1438 con altri 315 ducati ceduti a Urbano di ser Vanne dal Baldi, che mantenne il possesso pacifico della casa e del vicino terreno ortivo  presso le mura cittadine.

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Con queste vicende iniziarono le trasformazioni dell’attuale Palazzo Passionei-Paciotti: appartenuto a più famiglie nobiliari, divenne orfanotrofio femminile nel 1842 e fu acquistato dall’Università degli studi di Urbino il 26 giugno 1972. Oggi è sede della biblioteca dedicata a Carlo Bo, il rettore più longevo a cui l’università fu intitolata nel 2003.

Dove oggi si assiepano studenti, libri e docenti, brulicano gli accenti e i dialetti italiani più disparati accanto alle lingue straniere, la cultura rinascimentale urbinate aveva trovato la sua culla e praticato i suoi interessi. Le sedi universitarie sono spesso palazzi storici, pareti tra cui è scorso il sangue blu dei duchi e quello ecclesiastico delle confraternite religiose.

Palazzo Bonaventura, il cui grande stemma in pietra sopra il portone d’ingresso è dedicato a Nicolò di Federico Novello Montefeltro e alla moglie Orlandina di Armanno Brancaleoni, apparteneva certamente alla famiglia ducale nel 1300. Passato poi ai Bonaventura per 2200 fiorini versati in contanti, fu acquistato dall’università il 12 marzo 1834 al prezzo di 2.977 scudi romani. Oggi ospita il Rettorato.

Fiorini, bolognini e scudi romani sono diventati banconote dell’Unione Europea, le cifre sono lievitate ma gli atti di compravendita della Carlo Bo si sono secolarmente mantenuti. Non invecchia l’attività finanziaria dell’università urbinate che, negli ultimi dieci anni, è stata coinvolta in 22 operazioni tra vendite, acquisti, cessioni e ipoteche.

Lo psicologo, scrittore e archeologo italiano Gabriele Mandel Khan volle festeggiare le 500 candeline che la Carlo Bo spense nel 2006 ricordando come cinque secoli di insegnamento equivalgono a “cinque secoli di luce e una miriade di stelle”. L’insegnamento è luce e l’università è il folle uomo nietzschiano che accende la sua lanterna nella calda luce del mercato mattutino. Un surplus di luce, come quello che l’università ha sempre dovuto infondere nei suoi studenti e che a Urbino si carica di una valenza ancor più evocativa.

“Sovra il non aspro giogo, onde si sente il Metauro mugghiar, dolce mio nido Urbin siede eminente”: la Urbino del poeta e matematico Bernardino Baldi, e non solo, è una città accoccolata su un dirupo, arroccata perché ideale. Carlo Bo, spesso criticato per il suo tratto utopico ed elitario, era fiero di un nucleo distante dal brusio di autostrade, stazioni e aeroporti. Quelli che il sociologo Marc Augé definiva non-luoghi erano (e sono) tenuti a distanza dalla città di Raffaello, dalla città in cui la luce del Rinascimento matematico si mescola a quella rossa dei mattoni bruciati. L’università è luce, è un distributore di sapere e un signore togato che istruisce noi lillipuziani venuti da lontano.

La Carlo Bo è profumo di storia, è imboccare il vicolo di Sant’Agostino scendendo via Saffi, bussare a un piccolo portale d’ingresso con lo stemma di papa Sisto IV Della Rovere e scoprire che dove vivevano gli agostiniani e poi i bambini dell’orfanotrofio voluto dall’arcivescovo Alessandro Angeloni oggi transitano studenti di giurisprudenza. È scoprire che Palazzo Veterani, attualmente sede degli studi di filologia moderna, linguistica e civiltà antiche, si trova in una via omonima che dal XV al XVII secolo era detta “androne dei giudei”, a causa delle varie famiglie israelitiche che vi abitavano. Perché l’università non è solo “in” Urbino, come vuole il dialetto della zona, ma è Urbino. È una ramificazione vestita dalla eredità delle casate nobiliari, dove ogni pezzo racconta una fetta del passato e il mosaico che ne deriva è la storia della città ideale.

Ideale, ma anche materiale. Perché la Carlo Bo è sempre stata e continua a essere un business, una macchina guidata da manovre imprenditoriali. L’università è un’azienda che in soli tre anni, dal 1971 al 1974, fece quindici acquisti di beni mobili e immobili e che sempre in tre anni, dal 1968 al 1970, incassò i guadagni di quindici vendite.

Negli ultimi dieci anni la quantità di attività si è ridotta, a differenza delle somme in ballo. Gli esempi più significativi riguardano la compravendita di edifici e terreni e le ipoteche. Nel 2008 il collegio Tridente fu venduto alla Regione Marche per un importo di 14.500.000 euro, mentre tre anni prima l’università aveva acquistato Palazzo Albani per 3.718.489,67 euro.

I dati registrati presso l’Ufficio provinciale di Pesaro-Urbino dell’Agenzia delle entrate dimostrano come la Carlo Bo sia stata protagonista, negli ultimi dieci anni, di altri grandi atti di compravendita e abbia sottoscritto due ipoteche volontarie. Nel 2004, dopo un mutuo concessole dalla Banca delle Marche, ipotecò per 20 anni e per un valore complessivo di 64 milioni di euro sette beni immobili, ossia scuole e laboratori scientifici. Un’ipoteca che l’università non ha ancora estinto, come quella da 5.410.500 euro del 2011, fissata a seguito di una concessione a garanzia di finanziamento da parte della Cassa depositi e prestiti. Quest’ultima ipoteca è stata creata su dei terreni posseduti a Urbino, mentre alcuni di quelli che l’università ha nel comune di Fermignano, per un totale di 5123 metri quadrati, sono stati venduti nel 2003 alla Catani Costruzioni  S.r.l. al prezzo di 261.000 euro.

 

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Urbino nascosta: le chiese chiuse che giugno libererà dall’oblio http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/urbino-nascosta-le-chiese-chiuse-che-giugno-liberera-dalloblio/42257/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/urbino-nascosta-le-chiese-chiuse-che-giugno-liberera-dalloblio/42257/#comments Sat, 13 Apr 2013 14:19:04 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=42257 IL DUCATO IN EDICOLA LEGGI La ricchezza artistica di Fermignano LEGGI E GUARDA Oratori aperti ma dimenticati]]>

Chiesa di San Bartolomeo

URBINO – Il convento di San Girolamo è stato sede del carcere urbinate e oggi ospita la scuola di restauro della Carlo Bo. La facoltà di Economia si è insediata dove prima dei docenti arrivarono i Benedettini e quella di giurisprudenza nel vecchio convento degli Agostiniani. Perché Urbino è una di quelle città in cui il profumo della storia si respira in ogni angolo. Quel profumo che nasce dall’intersezione di epoche e vicende diverse, dall’accavallarsi di tracce eterogenee che sanno fondersi in unico mattone, in un’unica identità.

Nell’arco dei secoli Urbino è stata accarezzata da quasi tutte le congregazioni religiose, che l’hanno scelta per poi doverla abbandonare. Dopo l’unità d’Italia, i due decreti di Lorenzo Valerio ordinarono la soppressione di tali ordini, in modo da destinarne gli edifici a un uso pubblico. Le Clarisse dovettero vagare tra varie strutture della città, mentre le Agostiniane furono le uniche a sfuggire alla soppressione.

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Un processo di secolarizzazione di una Urbino troppo ecclesiastica, la modernità che si infila tra i vicoli e che, come ogni forma di “riciclaggio”, non dà vita a tutto quello che tocca. Urbino, centro storico e non solo, è una costellazione di 29 chiese, ma molte di queste “erbose hanno le soglie”. Con questa espressione Anna Fucili (responsabile della biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Urbino) e Tiziano Mancini (responsabile per le relazioni pubbliche della Carlo Bo) hanno sottotitolato il loro testo dedicato alle chiese fuori le mura della città ducale. Ma per imbattersi nelle “erbose soglie” non è necessario oltrepassare i confini del centro storico; si incontrano anche da via Raffaello a piazza della Repubblica, proseguendo verso via Budassi o via Saffi. Sono le soglie costruite dal tempo e dall’oblio, delle chiese ormai chiuse e dimenticate, che sfuggono ai passanti e spesso anche ai residenti. Sono chiese svuotate, spogliate della loro identità per trasferirle al caldo dei musei, soprattutto del Palazzo Ducale. Spolverare Urbino da tutta la sua cristianità, non per eliminarla ma piuttosto per nasconderla, ha imposto a molte opere d’arte una destinazione museale per cui non erano state progettate. A rimetterci sono state quelle chiese non più aperte al pubblico, cadute nel vortice del dimenticatoio o destinate a funzioni completamente diverse da quelle originarie.

Solo in via Saffi, tra l’odore dei libri universitari e dei pranzi arrangiati nei piccoli bar, ce ne sono due, a pochi metri di distanza l’una dall’altra. La chiesa di Sant’Agostino si estende subito dopo il vicolo omonimo ed è chiusa da circa trenta anni. Non sconsacrata, ma neanche dedicata alla celebrazione dell’eucarestia. Piuttosto è utilizzata come deposito delle opere della Diocesi ed è un vero peccato, perché custodisce un tesoro scientifico. Si tratta di una delle due uniche meridiane a camera oscura (ossia da interno) delle Marche, un patrimonio difficile da scoprire e impossibile da visitare.

Risalendo via Saffi e fermandosi di fronte alla facoltà di Economia della Carlo Bo, si trova la chiesa di San Paolo, ormai sconsacrata e diventata sede di un restauratore. Il percorso volto alla ricerca delle chiese chiuse della città ha come tappa successiva Porta Lavagine, da cui inizia via Cesare Battisti che arriva fino a Piazza della Repubblica. Lavagine è una delle quattro porte incastonate nelle mura della città, ma è l’unica ad avere una chiesa appollaiata sulla sua struttura. É Santa Maria degli Angeli, un edificio a unica aula semplice e delicato, che ospita un dipinto della Madonna del latte. Da Lavagine, passando per una delle traverse di via Cesare Battisti che sboccano in via Nuova, si raggiunge via Budassi, dove si trova la chiesa di Santa Maria della Torre. Un arcobaleno di colori provenienti dalle vetrate che decoravano il portale del ‘500. Furono realizzate da Timoteo Viti e oggi accendono le stanze del Palazzo Ducale. Nel frattempo la chiesa delle Agostiniane continua a ospitare opere di pittori epigoni e allievi di Federico Barocci.

Prossima tappa: la chiesa di San Bartolomeo, o San Bartolo, presso il baluardo sporgente dalle mura roveresche. Questa chiesa del XIV secolo ospitava il grande trittico raffigurante la Madonna del latte e alcuni episodi della vita di San Bartolomeo, che fu forse realizzato da Antonio Alberti da Ferrara. Proseguire verso la fine di questo viaggio vuol dire arrivare a via Raffaello, nella chiesa di San Sergio e in quella dell’Annunziata. San Sergio, oggi caratterizzata da un’iconostasi bizantina, è stata la prima cattedrale di Urbino, e da alcuni anni ogni domenica mattina vi sono celebrate messe ortodosse. La chiesa dell’Annunziata, invece, passò dalla congregazione dei Servi di Maria a quella dei Carmelitani scalzi e fu ristrutturata nel XVII secolo da Giovan Battista Bartoli. Aperta saltuariamente, custodiva la pala d’altare di Raffaellino del Colle, raffigurante la Madonna del soccorso e oggi esposta al Palazzo Ducale.

Questo percorso verosimile sta per diventare realtà. Il primo fine settimana di giugno il Comune di Urbino organizzerà quattro percorsi tematici per risvegliare 20 chiese del centro storico. È una conquista soprattutto per quelle chiese dalle “erbose soglie” che saranno riaperte al pubblico. Il circuito cercherà di riproporre l’iconografia delle principali opere conservate, dando vita a fiori e strumenti musicali presenti nelle tele.

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La terrazza della chiesa di Sant’Agostino che nasconde una meridiana

URBINO – Fogli bianchi, vetrini neri, squadre e matite colorate. Ecco il materiale richiesto dal Galu (Gruppo astrofililegambiente di Urbino) a chi vorrà toccare “con mano” il prossimo equinozio di primavera. Quest’anno è atteso per il 20 marzo verso le 11 il momento in cui il sole si troverà perpendicolare all’equatore, in modo che la linea di separazione tra la zona in ombra e quella illuminata della terra passi per i poli.

Sono quattro gli eventi in programmazione nell’urbinate dal 20 al 22 marzo, gestiti da Galu e Cea (centro educativo ambientale) Casa delle Vigne. E, oltre alla comprensione del fenomeno astronomico, saranno anche occasione per riscoprire le meridiane della zona.

La manifestazione partirà alle 12 del 20 marzo nel Duomo di Fossombrone, dove i partecipanti saranno aiutati a capire i concetti di eclittica ed equatore celeste, a misurare il diametro del sole e a cogliere la discrepanza tra i segni zodiacali e l’effettiva astronomia delle costellazioni.

Il 21 marzo l’appuntamento si sposterà a Urbino: ore 11.45, Porta Santa Lucia. Il protagonista sarà un mappamondo portatile su cui rintracciare il meridiano che passa per la città ducale, confrontarlo con la longitudine rispetto a Greenwich e Catania e con la linea meridiana.

Il 22 marzo sono due gli eventi in programma. Dalle 11.45 alle 12.30 è prevista un’analisi dell’orologio solare presente nel cortile della facoltà di economia dell’Università Carlo Bo, che ha sede in via Saffi. Dalle 20 alle 22 l’iniziativa si concluderà osservando il cielo equinoziale dal parco cittadino muniti di telescopi.

Sfatare i falsi miti utilizzando metodi scientifici è uno dei fari che guidano l’iniziativa, in modo da “vivere il cielo come l’altra metà del paesaggio, ma puntando bene i piedi per terra”. Queste le parole di Antonina Speziale, astrofila del Galu dedita alla valorizzazione di strumenti quali orologi e meridiane. La serie di incontri nasce anche per applicare l’astronomia alla riscoperta di Urbino, dei suoi angoli (e meridiane) nascosti. Se “andare a scuola di tempo” è il desiderio espresso dalla Speziale, questo obiettivo sarà parzialmente raggiunto.

In occasione dell’equinozio, la Valle del Metauro aprirà le porte alle sue meridiane più nascoste, ma non a tutte. Resterà ancora invisibile quella della chiesa di Sant’Agostino, in via Saffi, che è una delle due uniche meridiane a camera oscura presenti nella regione Marche, assieme a quella del Duomo di Fossombrone. Gli astrofili del Galu l’hanno raggiunta su permesso della curia, ma aprirla al pubblico è al momento impossibile.

Se le meridiane da esterno sono orologi solari, quelle da interno sono dei fori realizzati in modo che alle 12 di ogni giorno la luce solare possa confluirvi e generare un fascio che attraversi il pavimento da nord a sud. La chiesa di Sant’Agostino fu scelta per questa operazione astronomica in quanto unica in tutta la città ad avere una parete libera esposta a sud dove poter praticare un foro. Non a caso fu restaurata nel ‘700 per volontà di Papa Clemente XI, nato a Urbino, che ordinò anche la realizzazione di una meridiana nella chiesa romana di Santa Maria degli Angeli.

“Trasformare queste chiese in aule di astronomia” è la missione della Speziale e degli altri astrofili del Galu, attraverso un percorso storico-artistico che confluirà in una pubblicazione. Nel frattempo siamo attesi numerosi dall’equinozio di primavera.

 

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