il Ducato » citizen journalism http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » citizen journalism http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it “Meydan”, una web tv della gente contro il regime dell’Azerbaijan http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/meydan-la-web-tv-di-emin-milli-contro-il-regime-dellazerbaigian/45725/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/meydan-la-web-tv-di-emin-milli-contro-il-regime-dellazerbaigian/45725/#comments Mon, 06 May 2013 17:43:39 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45725

Emin Milli, fondatore di Meydan tv

Meydan” in lingua azera vuol dire piazza. Quella piazza che è stata troppo spesso soffocata dal regime del presidente Ilham Aliyev, ma che non ha mai smesso di respirare con i suoi polmoni digitali.  L’ultimo tassello di questo mosaico è la web tv ideata dal giornalista, blogger e scrittore Emin Milli, un azero di 33 anni imprigionato nel 2009, probabilmente a causa di un video satirico sulla presidenza di Aliyev.

Dopo 16 mesi di carcere, Milli ha costruito il suo progetto dall’Europa, dando vita alla prima emittente che sul web diffonderà critiche e attacchi al regime. Il flusso di contenuti sarà trasmesso da Berlino sul sito Meydan tv, per poi passare su un canale satellitare da metà maggio.

Milli potrà contare su uno staff di uomini e donne collegati dal filo rosso della dissidenza e dalla sete di democrazia, da declinare soprattutto come interazione collettiva e possibilità di espressione offerta a tutti. I loro nomi? Zuzu, Caroline, Jamal Ali, Qurban, Araz, Habib e Fardi.

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Chiunque, come spiegato da Habib nel video di presentazione della Meydan tv, può comunicare dinanzi a una telecamera o decidere di realizzare un servizio su qualsiasi argomento. Il tutto sarà poi valutato dalla “redazione” diretta da Milli sulla base di un solo criterio: un livello qualitativo adatto alla messa in onda. Un principio vago e indefinito, questo, che potrebbe rivelarsi il tallone d’Achille del progetto, ma che per il momento si erge a speranza di libertà per molti azeri.

L’Azerbaijan, secondo l’ultima stima dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, offre una garanzia delle libertà civili nettamente peggiore a quella di dieci anni fa. Si tratta di un paese in cui è vietato manifestare e dove il bavaglio all’opposizione è legittimato dalle istituzioni; per averlo violato in nome della libertà d’espressione, nove giornalisti sono in prigione dal 2012.

Ayan, 14enne azera sostenitrice di Meydan tv

Tra gli azeri emigrati, molti sono fieri di contribuire alla realizzazione della Meydan tv. Una di loro è Ayan, 14 anni, residente a Magonza e con 20 euro da donare al progetto. Perché quello che Milli e la sua squadra hanno voluto precisare è il marchio di autosufficienza della neonata piattaforma.

“Non vogliamo dipendere da nessuno, non vogliamo che qualcuno ci etichetti come servi di una certa propaganda ideologica”, sottolinea Habib nel video di presentazione, che su youtube ha avuto quasi 18.000 visualizzazioni. Milli ricorda che anche “solo uno o cinque euro sono un grande aiuto”, come piccoli finanziamenti di questo centro di protesta in cui ogni azero “possa sentirsi responsabile del proprio destino”, afferma Qurban.

Un sentimento di responsabilità che sicuramente anima la partecipazione di Zuru, azera arrivata a Berlino dalla Norvegia per frequentare uno stage di musica elettronica e che, inaspettatamente, in Germania è tornata ad accarezzare una delle sue debolezze, “un qualcosa di molto intimo”, come quell’Azerbaijan lasciato da bambina.

Dall’Azerbaijan verso la Scandinavia se ne sono andati in molti, e dalle punte più a nord dell’Europa i sostegni alla Meydan tv arrivano già da qualche mese, come le 4800 corone svedesi (575 euro) donate dagli azeri che vivono a Linkoping, oppure la torta preparata da Tamara in occasione della presentazione del progetto nella cittadina svedese di Goteborg .

La Meydan tv è una cassa di risonanza, una voce di protesta che vuole scuotere non solo la realtà azera, ma anche tutta la comunità internazionale. È un progetto di crowdsourcing, come già altri se ne sono visti nel mondo della dissidenza: ad esempio, nel 2010, Natalia Sindeeva fondava in Russia la tv Dozhd, l’unico canale che ha mostrato le piazze ribelli e aperto le dirette delle manifestazioni contro Putin. Natalia ed Emin hanno avuto lo stesso coraggio, ma in tre anni le sorti del giornalismo sono cambiate. Il crowdsourcing era un bozzolo oggi diventato maturo, un bozzolo che oggi affatica e facilita allo stesso tempo la ricerca della verità.

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La folla nelle redazioni: nuove app e strumenti sul giornalismo dal basso http://ifg.uniurb.it/2013/03/26/ducato-online/il-crowdsourcing-entra-nelle-redazioni-le-novita-del-giornalismo-dal-basso/40237/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/26/ducato-online/il-crowdsourcing-entra-nelle-redazioni-le-novita-del-giornalismo-dal-basso/40237/#comments Tue, 26 Mar 2013 12:02:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=40237 crowdsourcing offre ai reporter nuovi strumenti per verificare e raccogliere le notizie. Tra nuovi software e app, molti dei quali legati ai social network e ai telefoni, il futuro dei media prende sempre nuove forme]]>

il crowdsourcing consente di attingere alla folla come fonte

Crowdsourcing: un neologismo composto tipicamente all’inglese, una crasi delle parole crowd (folla) e outsourcing (esternalizzazione di una parte delle proprie attività). Ed è, come dice la fusione dei due significati, la tendenza a utilizzare i contributi  di una folla per raggiungere uno scopo. E’ una tecnica aziendale, grafica, architettonica, e dal 2013 anche musicale. Ma anche una nuova frontiera del giornalismo, capace di scardinare la tradizionale comunicazione top-down (dall’alto in basso) per passare a un sistema bottom-up (dal basso in alto).

Un giornalismo dal basso, insomma, dove le fonti sorgono e crescono senza la consapevolezza di esserlo, nei social network e nelle piccole realtà locali.

Il 27 febbraio il dj Avicii lanciava “X You”, il primo brano al mondo che ha unito le note di 4.000 musicisti sparsi in 140 paesi. Lo stesso giorno, Italia2013 concludeva il suo esperimento. E’ stata l’unica, e anche la prima, redazione italiana a seguire l’intera campagna elettorale attraverso l’aggregazione di notizie raccolte dai social media. Twitter, Facebook, Instagram e Youtube sono l’eterogeneo flusso di informazioni e testimonianze che, dal 25 gennaio fino a fine febbraio, il team di Italia2013 ha passato al setaccio.

Perché la vera sfida del quinto potere non è più l’accettazione dei contributi esterni dalla redazione ma piuttosto la capacità di integrarlo con quello tradizionale. Una redazione che con un’attività continua di content curation (controllo del materiale raccolto) costruiva storie, dibattiti, gallery e video in modo che i lettori potessero avere un quadro completo di ogni candidato al Parlamento: questo il progetto avviato da Marco Pratellesi e Riccardo Luna, i due pigmalioni del sito e delle tre app corrispondenti.

Italia2013: la prima redazione online che ha raccolto post dai social media per stare al passo con la campagna elettorale

Come è stato possibile? Grazie a Seejay, il primo gestionale per il crowdsourcing dedicato alle redazioni online. Seejay  è uno strumento ideato dalla società romana Maior Labs per intrecciare in modo nuovo i fili del giornalismo, e soprattutto per semplificare il lavoro di quelle testate che accettano contributi dal giornalismo partecipativo. Non più valanghe di mail da spulciare all’alba, ma piuttosto canali tematici in cui ricevere notizie catalogate e georeferenziate: ecco la formula di questo Saas (software as a service) nato a ottobre 2012, al momento in fase beta privata ma che punta al passaggio in beta pubblica entro aprile 2013.

Gli strumenti a disposizione del giornalismo crowdsourcing sono sempre di più. Uno di questi è salito agli onori della cronaca perché, usato insieme ai social network, ha permesso di verificare una notizia diffusa dalla tv. In Pennsylvania, nella Contea di Montgomery, il 4 gennaio 2012 Andy Stettler, direttore di Main line media news, venne a sapere che il centro commerciale King of prussia era stato evacuato a causa di una bomba. Iniziando a twittare con un suo follower che si  trovava proprio lì scoprì che solo una parte del centro commerciale era stata evacuata, a differenza di quanto comunicato da alcune stazioni televisive.

E per farlo non ha usato solo Twitter ma un’altra applicazione che ha dimostrato così la sua funzione ‘giornalistica': Banjo, nato per Apple e Android nel 2010 e sbarcato in Italia solo a dicembre 2012. Banjo è in grado di aggregare e geolocalizzare i post provenienti da tutti i social network a cui siamo iscritti, in modo da ordinare gli utenti in base al luogo in cui si trovano.

Per arrivare alla “folla” il giornalista ha a disposizione sempre più app. Quelle nate dalla frenesia della socialità e dell’interazione, che il giornalismo crowdsourcing ha scoperto come utili strumenti.

Tra le app geolocalizzatrici, nel bagaglio (virtuale) di un giornalista potremmo trovare Sonar o Geofeedia. La prima, nata nel 2011, ci dice chi si trova vicino a noi e perché la sua presenza potrebbe essere importante sulla base dei legami individuati nei social network. La seconda, messa sul mercato nel 2012, permette di verificare una notizia in tempi da record, scavando tra i social media attraverso la geolocalizzazione, come Banjo.

Il giornalista ha a disposizione sempre più app per ottenere le testimonianze della folla

Dal 2012 gli avvenimenti sono crowdsourced (testimoniati dalla folla) non solo attraverso l’aggregazione delle parole, ma anche delle immagini. E’ stato più semplice con la nascita di Vyclone, l’applicazione brevettata dal figlio di Sting e che da inizio marzo è anche su Android. Vyclone è in grado di unire e comprimere in un solo video più video realizzati in una stessa occasione da telefoni diversi. La pluralità contemporanea di prospettive entra nel giornalismo per accrescere la veridicità di ogni notizia. Quella stessa pluralità alla base di Rawporter, una app che consente a tutti di realizzare foto e video per poi caricarle in un mercato online dove blog e giornali possono acquistarli. Ecco così che il crowdsourcing si unisce con il citizen journalism e  può rendere freelance chiunque.

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Che cos’è oggi la #controinformazione? http://ifg.uniurb.it/2012/04/03/ducato-online/che-cose-oggi-la-controinformazione/30452/ http://ifg.uniurb.it/2012/04/03/ducato-online/che-cose-oggi-la-controinformazione/30452/#comments Tue, 03 Apr 2012 11:29:01 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=30452 WEBTALK: #reportersottozero / #socialtv #sfigatimonotoniemammoni / #parolepietre ]]> URBINO – Citizen journalism, opinioni, social network, nell’era del web tutti possono fare informazione e caricare in rete video, foto, commenti e racconti di attualità. Oggi questo può essere considerato un modo alternativo di scambiarsi notizie senza passare dai media ufficialmente riconosciuti come telegiornali, stampa e radio. E’ stato quindi allargato il concetto di #controinformazione. Negli anni ’70, quando tutto ebbe inizio, controinformare significava anche contestare, raccontare grandi verità scomode che non passavano dai media tradizionali. Ma se oggi tutti possono informare cos’è diventata la #controinformazione?

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a cura di Nadia Ferrigo e Maddalena Oculi

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#reportersottozero, la prima puntata di ‘Talk in progress’ http://ifg.uniurb.it/2012/03/20/ducato-online/reportersottozero-la-prima-puntata-di-talk-in-progress/28898/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/20/ducato-online/reportersottozero-la-prima-puntata-di-talk-in-progress/28898/#comments Tue, 20 Mar 2012 11:12:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=28898 Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Armati di taccuino e handycam, i giornalisti del Ducato non si sono fatti spaventare dal “nevone” che lo scorso febbraio ha sommerso la provincia di Pesaro – Urbino, senza mai smettere  di informare i cittadini. Questo il tema della prima delle undici puntate di “talk in progress”, il nuovo spazio del Ducato on line dedicato al web talk.  Realizzate dalla nostra redazione in collaborazione con Altratv sono tutte dedicate al mondo del web, con dibattiti e link interattivi. Partecipate al dibattito su twitter digitando #reportersottozero

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A cura di Nadia Ferrigo e Maddalena Oculi

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Massachusetts, tribunali aperti anche ai citizen-journalist http://ifg.uniurb.it/2012/03/05/ducato-online/massachusetts-tribunali-aperti-anche-ai-citizen-journalist/27352/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/05/ducato-online/massachusetts-tribunali-aperti-anche-ai-citizen-journalist/27352/#comments Mon, 05 Mar 2012 15:40:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27352

La Corte Suprema dello stato del Massachusetts

URBINO – Il 2 marzo nei tribunali dello stato del Massachusetts i citizen-journalist (quei giornalisti, come i blogger, che non sono legati ad una testata tradizionale) avranno, durante le udienze, gli stessi diritti dei giornalisti ufficiali. Lo ha deciso la Corte Suprema dello stato con la New rule 1:19 On Electronics acces to courts, un emendamento che va a modificare il vecchio regolamento dei tribunali.

La nuova regola è in realtà una riforma di tutto il rapporto tra tribunali e media.  Grazie alla New rule i giornalisti potranno usare laptop e smartphone durante le udienze, trasmettendo le notizie in diretta.

Si tratta di un grosso cambiamento. Ma più ancora del “cosa” potranno fare i giornalisti, è importante il “chi” lo potrà fare: questi nuovi diritti verranno estesi anche ai giornalisti che non appartengono alle testate tradizionali. Per avere accesso alle aule di tribunali con le proprie strumentazioni sarà sufficiente “essere regolarmente impegnati nella diffusione di notizie e pubblicazioni su materie di interesse pubblico”. Questa definizione include blogger, autori di siti internet locali e giornalisti, diremmo all’italiana, non professionisti.

Per poter partecipare come giornalisti ad un udienza sarà sufficiente soddisfare questi requisiti, iscriversi al registro Pubblica informazione della Corte Suprema del Massachusetts oppure ottenere direttamente dal giudice il permesso di assistere all’udienza.

“La nuova norma ha lo scopo di adattare il regolamento ai cambiamenti che ci sono stati in materia di giornalismo e tecnologia da quando il regolamento venne originariamente promulgato”, hanno scritto i giudici della Corte Suprema.  Il nuovo regolamento entrerà in vigore dal primo luglio 2012.

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Finanzia quel che vuoi e leggi quel che chiedi http://ifg.uniurb.it/2010/04/21/ducato-online/finanzia-quel-che-vuoi-e-leggi-quel-che-chiedi/2984/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/21/ducato-online/finanzia-quel-che-vuoi-e-leggi-quel-che-chiedi/2984/#comments Wed, 21 Apr 2010 12:33:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2984 I primi, come spesso accade, sono stati gli americani con Spot.us. Ora il crowdfunding arriva anche nel giornalismo italiano. L’idea è semplice: se sempre meno persone comprano i giornali, allora si può proporre al pubblico di finanziare le inchieste che più interessano.

A giugno dell’anno scorso l’associazione culturale Pulitzer aveva organizzato un convegno nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana in merito alle nuove tematiche del Citizen Journalism e dell’informazione finanziata dal basso. Proprio in quella occasione il segretario della Fnsi Roberto Natale aveva convenuto con gli organizzatori che allora mancavano gli spazi per queste nuove forme di giornalismo.

Così nasce YouCapital lanciata proprio dall’associazione Pulitzer. “Su YouCapital uno o più giornalisti possono fare richiesta di pubblicazione di un progetto” spiega Antonio Rossano, presidente di Pulitzer “il progetto viene valutato da parte del nostro coordinamento, in base al suo interesse, alla sua attualità e ad altre features. Poi per ogni progetto nasce un gruppo sui social network dove se ne discute”.

La promozione del progetto non avviene, però, solo nel web, ma anche sul territorio, discutendone con la gente durante conferenze o convegni. Rossano, ad esempio, è stato invitato alla tavola rotonda sui business model al Festival internazionale del giornalismo di Perugia (24 aprile).

“Abbiamo acceso i motori il 10 marzo, con la pubblicazione del primo progetto e dei duemila euro che servono ne abbiamo raccolti 200 . Ma contiamo di ultimare la raccolta in quattro mesi e uno dei motivi di questa lentezza iniziale è dovuta al fatto di essere partiti ora”. I duemila euro permetteranno la pubblicazione di un’inchiesta sulla stagione del terrore in Belgio. L’autrice Antonella Beccaria specifica che i contenuti verranno sì pubblicati da un editore di carta stampata già individuato, ma anche che verranno rilasciati in Creative Commons. Chiunque insomma avrà accesso.

I fondatori di YouCapital hanno fatto in modo che il meccanismo sia quanto più semplice possibile. I progetti, ciascuno con un codice proprio, vengono presentati nel dettaglio: quali temi verranno affrontati, chi verrà intervistato, che spostamenti nel territorio verranno effettuati. L’autore specifica anche come intende rendere pubblica l’inchiesta. Le donazioni avvengono attraverso quote di 5 euro ciascuna e ogni utente può donare più quote. Il processo è estremamente chiaro: i soldi necessari per il reportage e quelli già raccolti sono indicati. Il secondo e ultimo progetto sulle ombre del nucleare in Sardegna – pubblicato il 18 aprile – ha raccolto finora solo 15 euro sui cinquemila richiesti.

Dato che a prodotto ultimato il giornalista può proporre l’inchiesta a un’altra testata è chiaro che YouCapital non dispone dei diritti dell’opera e inoltre non trattiene una percentuale dei profitti. Il sostegno economico proviene unicamente dalle donazioni dei privati.

Ma YouCapital non è l’unica versione italiana della statunitense Spot.us. Nasce in questi giorni anche Dig-it.

“Che le persone, i lettori, avessero voglia di leggere qualcosa di diverso, qualcosa che fosse loro più vicino, notizie che non si trovano abitualmente sui giornali, era ormai cosa assodata – dice Claudia Del Vecchio, caporedattore di Dig-it – l’idea di realizzare solo inchieste che fossero interessanti per i lettori e che proprio loro, con il sostegno economico, permettessero di realizzarle, è un’idea fantastica”. A differenza di YouCapital, Dig-it trattiene una percentuale minima dei finanziamenti raccolti, ma il meccanismo è simile.

Ma quanto è sicuro questo meccanismo? Ovvero, come si garantisce al giornalista che il proprio progetto non venga “rubato”? “Questo  è un problema reale, un rischio che ci sentiamo di correre – continua Del Vecchio – anche la pirateria mette in vendita la musica prima che arrivi al pubblico dai canali ufficiali, stessa cosa accade per il cinema. Da qualche parte dobbiamo cominciare”. E infatti hanno cominciato da pochissimo tanto che non hanno ancora lanciato campagne di raccolta fondi. Per ora Dig-it propone inchieste già completate e aspetta le proposte dei giornalisti.

Oltreoceano Spot.us ha permesso la pubblicazioni di molti progetti. Organizzazioni e singoli cittadini hanno donato 5, 15 o 100 dollari e ora leggono le inchieste che hanno finanziato. Quali sono le aspettative italiane?

“Il non profit, anche negli Stati Uniti, non raccoglie molti fondi ma può essere un canale complementare – ammette Rossano – in Italia non sarà prioritario o dominante ma può sostenere certe forme di giornalismo. Magari saranno i giornalisti all’inizio della professione, o i precari a scegliere questo tipo di canale”.

Servizi collegati

Spot.us: due anni d’inchieste pagate dai lettori

Spotus.it: la versione italiana del crowdfunding

Guida alla rete:

Spot.us

YouCapital

Dig-it

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Haiti, dal terremoto una cronaca via sms http://ifg.uniurb.it/2010/01/27/ducato-online/haiti-dal-terremoto-una-cronaca-via-sms/708/ http://ifg.uniurb.it/2010/01/27/ducato-online/haiti-dal-terremoto-una-cronaca-via-sms/708/#comments Wed, 27 Jan 2010 11:50:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=708 di Andrea Tempestini e Veronica Ulivieri

Haiti, 26 gennaio: quattro persone sono intrappolate al secondo piano di una fabbrica, una di loro è gravemente ferita e non riesce a muoversi. Con il telefonino, mandano una richiesta di aiuto alla piattaforma haiti.ushaidi.com. Un volontario, Roz, intercetta il messaggio, contatta con Skype la Guardia costiera statunitense e fornisce le coordinate per il salvataggio. “Working on it”, rispondono dall’altra parte, e subito partono i soccorsi. Roz traduce il messaggio in inglese (spesso le segnalazioni arrivano in creolo) e lo localizza su una mappa.

Nei tempi del citizen journalism e del crowdsourcing, accade che nei casi di disastro anche gli sos diventino più tecnologici. Arrivano in un attimo, e i soccorsi sono più efficienti, più veloci, più mirati. E’ quello che succede su Ushahidi.com, una piattaforma web nata all’inizio del 2008 per raccontare i sanguinosi disordini in Kenya con l’aiuto di blogger e comuni cittadini, utilizzata in seguito per la condivisione di informazioni in particolari situazioni di emergenza anche in altre circostanze. Haiti è solo l’ultimo caso.

Ushahidi è pensato per il Terzo Mondo: per mandare un messaggio non occorrono tecnologie particolari, basta un telefono cellulare o una connessione internet per usare la posta elettronica, Twitter o fare una segnalazione direttamente sulla piattaforma. “Più dati abbiamo e meglio è. L’importante è che le informazioni vengano condivise, non immagazzinate”, dice Patrick Meier, responsabile del Crisis mapping e delle Strategic partnerships. E infatti ad Haiti chiunque tramite Ushahidi può lanciare un sos. Le segnalazioni sono divise per categorie: Emergenze, Minacce, Problemi logistici, Soccorsi, Notizie di persone, altro. Quando un messaggio arriva ai gestori della piattaforma, un volontario ne controlla la pertinenza, lo geolocalizza sulla mappa e ne verifica l’attendibilità (le segnalazioni sono classificate come verified o not-verified). Filtrare i messaggi è fondamentale: Twitter, per esempio, è invasa da messaggi che hanno come hash tag #haiti o #haitiquake, ma che in realtà non sono utili per i soccorsi.

Il tipo di segnalazioni ricevute da Ushahidi ad Haiti

Sulle cartine si possono consultare le emergenze divise per categoria: si scopre così che al General Hospital di Port au Prince le forniture mediche per la sala operatoria stanno per finire o che un medico di Delmas, che ospita 150 persone a casa sua, ha bisogno di cibo, acqua e medicine. Si possono anche leggere i report lasciati dagli utenti: più di 1.500. Quelli che si distinguono per la scritta “action taken” indicano che qualcuno si è mosso per fronteggiare l’emergenza. Con Ushaidi è possibile anche impostare gli alerts e i feed Rss, per essere avvertiti in automatico delle novità. Si possono taggare foto per aiutare i soccorritori a riconoscere le persone e utilizzare il Person finder (cercapersone), un’applicazione creata appositamente da Google per scambiarsi informazioni sui dispersi.

Organigramma del team Ushahidi che opera ad Haiti

Ushahidi non è una piattaforma autoreferenziale, ma opera in una rete molto estesa. Le informazioni che riporta vengono utilizzate da organizzazioni come la Croce rossa internazionale, il dipartimento di Stato americano, la Fondazione delle Nazioni Unite, la Guardia costiera americana e altri enti governativi per la gestione dei disastri umanitari. Anche il New York Times ha fiutato l’importanza della piattaforma: secondo l’aggregatore di blog Huffington Post, vorrebbe integrare sul sito web il software Ushahidi per seguire gli sviluppi della situazione ad Haiti.

La piattaforma è nata per raccontare i disordini scoppiati in Kenya in seguito alle elezioni presidenziali del 30 dicembre 2007 che videro vincitore il presidente uscente Mwai Kibaki. L’esito della votazione fu subito contestato, anche dagli osservatori europei. Libera, uno slum contiguo a Nairobi, e Kismu furono il teatro delle prime violenze post-elettorali: in 24 ore si contarono oltre cento morti. Lo scontro politico assunse subito i connotati di un conflitto etnico fra i Kikuyo e i Luo, le dinastie di Kibaki e Raila Odinga, il candidato sconfitto.

In questo contesto un pool di blogger e di programmatori che vivevano o avevano vissuto in Kenya si sono uniti per creare Ushahidi, che nella lingua Swahili significa “testimonianza”. Con il Kenya sull’orlo della guerra civile, su Ushahidi vengono mappati i focolai delle violenze e i centri d’aiuto grazie alle segnalazioni che arrivano per email o dai telefonini (nei Paesi del Terzo mondo spesso le reti cellulari funzionano assai meglio di quelle fisse). Ushahidi raccoglierà anche le testimonianze dei crimini commessi dalle forze dell’ordine impegnate in una sanguinosa repressione, e sarà successivamente utilizzato per facilitare le donazioni provenienti dagli altri Paesi.

Dopo i primi passi mossi in Kenya, Ushahidi è cresciuto, trasformandosi in una vera e propria organizzazione che continua a sviluppare la piattaforma perché sia utilizzata in situazioni di emergenza. Viene sosì utilizzata in Sudafrica, dove vengono mappate le violenze xenofobe, e successivamente nella Repubblica democratica del Congo.

Anche Al-Jazeera ha sfruttato le potenzialità di Ushahidi, utilizzando le sue cartine all’interno del sito “War on Gaza”, creato dall’emittente televisiva del Qatar per monitorare le operazioni di guerra che hanno sconvolto Gaza durante l’operazione Piombo Fuso del gennaio 2009. Ushahidi è stata inoltre utilizzata per mappare i casi di influenza suina, il percorso degli aiuti umanitari in Uganda, Malawi e Zambia, i reati della città di Atlanta, negli Usa, e gli avvistamenti di animali selvatici, ancora una volta in Kenya.

Il codice di Ushahidi è open source ed è in continua evoluzione. Per lo sviluppo l’organizzazione ha ricevuto dei finanziamenti dalla fondazione del colosso dell’informatica Cisco e supporto tecnologico da InSTEDD, una multinazionale per la tecnologia applicata alle emergenze. Nel 2008, l’associazione umanitaria Humanity United, ha contribuito con 200.000 dollari per lo sviluppo iniziale del software.

Guida alla rete:

Ushaidi
Ushaidi per Haiti
Blog di Ushaidi-Haiti
Ushaidi su Facebook
Twitter del NY Times per Haiti


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