il Ducato » crowdfunding http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » crowdfunding http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Mafiamaps, in arrivo (anche per i reporter) un’enciclopedia geografica sulla criminalità http://ifg.uniurb.it/2015/04/09/ducato-online/mafiamaps-in-arrivo-anche-per-i-reporter-unenciclopedia-geografica-sulla-criminalita/70157/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/09/ducato-online/mafiamaps-in-arrivo-anche-per-i-reporter-unenciclopedia-geografica-sulla-criminalita/70157/#comments Thu, 09 Apr 2015 11:07:19 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70157

l’anteprima grafica di Mafiamaps

URBINO – E’ la prima enciclopedia geografica multimediale sul fenomeno mafioso in Italia. Si chiama Mafiamaps ed è un’app per smartphone e tablet legata al sito WikiMafia che mostrerà dove operano le organizzazioni mafiose, quello che fanno e dove investono, dove sono avvenuti gli episodi di intimidazione, gli omicidi e le stragi e dove sono i beni confiscati e sequestrati. Le fonti: inchieste giudiziarie concluse e in corso, dati raccolti dalle associazioni antimafia e aggiornamenti costanti. L’app sarà disponibile a metà luglio.

Marker colorati indicheranno i fenomeni mafiosi sulle aree geografiche visibili sull’app: Cosa Nostra è in viola, azzurro per la Camorra, la ‘ndrangheta in blu, verde per la Sacra Corona Unita e giallo per le mafie estere. Mafiamaps mostrerà anche l’impegno di chi contrasta la mafia: sarà possibile visualizzare dove sono e cosa fanno le associazioni in un determinato territorio e si potrà accedere regione per regione ad articoli giornalistici che denunciano casi specifici.

colorimafiapiccolo

l’anteprima grafica di Mafiamaps

L’app è stata ideata da Pierpaolo Farina, fondatore di wikimafia.it, l’enciclopedia online nata due anni fa. Per finanziare il progetto, il team ha lanciato una campagna di crowdfunding accompagnata dall’hashtag  #mappiamolitutti. Fino al 23 maggio chiunque potrà partecipare direttamente dal sito.

In poco più di due settimane sono stati raccolti più di 5000 euro, l’obiettivo è 100 mila. Anche se non verrà raggiunto entro la fine della campagna, Mafiamaps partirà comunque con la copertura  delle principali città italiane.

“Quest’app è molto importante”, spiega a Il Ducato Federico Varese, direttore della rivista Global Crime. “Uno dei grandi problemi in Italia è la mancanza di dati accurati. Lo sforzo di raccoglierli e poi presentarli con chiarezza è utilissimo: permette di vedere e capire dove si trova il fenomeno, dove non c’è (ancora) e in che modo si evolve”. Varese, professore di Criminologia e Sociologia all’Università di Oxford, parteciperà venerdì 10 aprile a Milano all’incontro di apertura del ciclo #mappiamolitutti, una serie di eventi a sostegno della campagna di raccolta fondi.

Sette sociologi lavoreranno a tempo pieno per aggiornare i contenuti di Mafiamaps. Sarà uno strumento utile a studiosi, giornalisti, blogger, associazioni che si occupano di mafia. “Potranno  visualizzare velocemente tutto quello che c’è da sapere sull’attività della criminalità organizzata in un determinato posto” ha detto a Il Ducato l’ideatore dell’applicazione Pierpaolo Farina “Mafiamaps fornirà un punto di partenza per qualsiasi ricerca o inchiesta”. L’app sarà utile anche ai cittadini: “Una cosa è documentarsi sul problema della mafia, un’altra è sapere se ha operato sotto casa tua o in posti che frequenti e questo avviene spesso: due anni fa in pieno centro a Milano c’era un bar gestito dai Casalesi e frequentato da studenti” ha concluso l’ideatore.

Mafiamaps costerà 0,99 cent all’anno, ma se il crowdfunding avrà successo sarà gratuita.

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Crowdfunding per i reportage di guerra: l’idea anti-crisi del Giornale http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/#comments Tue, 11 Feb 2014 18:05:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57006 IlGiornale.it]]> Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

L’unione fa la forza e, in tempi di crisi economica, può fare anche l’informazione. Così l’edizione online del Giornale di Alessandro Sallusti ha pensato di finanziare dei reportage all’estero da zone di guerra con il metodo del crowdfunding, cioè attraverso la donazione libera dei lettori. Qualunque sia l’argomento che vorremo vedere approfondito, dalla guerra in Libia a quella in Afghanistan, passando per i disordini di Kiev, basta andare sulla piattaforma online Gli occhi della guerra e pagare (o almeno, contribuire a pagare) un reportage. Raggiunti i fondi necessari, che si aggirano intorno a qualche migliaio di euro a seconda delle destinazioni, il giornalista parte, documenta e torna, portando con sé in Italia un prodotto che – sperano al Giornale – apparirà sul sito del quotidiano.

“Al giorno d’oggi – spiega la responsabile del progetto Laura Lesèvre – i giornali non hanno le capacità finanziarie per pagare gli inviati all’estero e per una buona informazione le agenzie di stampa non bastano”. Per avere un’informazione di qualità, quindi, bisogna pagare direttamente e di tasca propria. L’idea sembra non sconvolgere i lettori, che hanno già finanziato in toto tre reportage: “Diario da Kiev” e “Afghanistan goodbye” di Fausto Biloslavo e “Libia, il nostro petrolio è in pericolo” di Gian Micalessin. Entrambi gli autori dei primi progetti sono già collaboratori del Giornale, ma Laura Lesèvre spiega che l’Associazione no profit per la promozione del giornalismo (creata dal Giornale ad hoc per la gestione della piattaforma) ha preso contatti anche con freelance indipendenti.

Per ora la trasparenza sulle donazioni è incompleta: si può solo sapere quanti soldi sono stati raccolti e quante persone hanno donato qualcosa, senza la possibilità di capire a quanto ammontano le singole somme. Ad esempio, a quanto è riportato sul sito, il reportage di Biloslavo in Ucraina è stato finanziato in meno di 24 ore da 32 persone che hanno raccolto in tutto 3000 euro. Non è dato sapere, quindi, se è corretto stimare circa 100 euro per donatore o se magari c’è stato un grande finanziatore che ha accelerato la raccolta.

“Mi auguro che nel futuro il sistema di donazioni sarà più trasparente – confessa Barbara Schiavulli, giornalista di guerra e blogger del Fatto Quotidiano, che è stata contattata dal Giornale per proporre un suo reportage – anche perché immagino che a finanziarmi saranno persone che conoscono me, non tanto lettori fidelizzati del Giornale”.

La pagina del finanziamento di "Afghanistan goodbye" sulla piattaforma Gli occhi della guerra

La pagina del finanziamento di “Afghanistan goodbye” sulla piattaforma Gli occhi della guerra

E’ però possibile capire il ‘taglio’ delle donazioni da un particolare: per ogni piccolo finanziamento (da 1 a 50 euro) è previsto un ringraziamento personalizzato da parte dell’autore del reportage sulle pagine Facebook e Twitter degli Occhi della guerra. Nei giorni del crowdfunding di “Diario da Kiev” non appare alcun ringraziamento su nessuno dei due social network. I donatori, quindi, hanno probabilmente versato più di 51 euro a testa, ricevendo un omaggio più consistente: dai 51 ai 200 euro una foto realizzata dal reporter nella zona di guerra; dai 201 ai 500 il libro “Gli occhi della guerra” e la raccolta del materiale prodotto dall’inviato; da 501 a 1000 euro il libro, la raccolta e una giornata in redazione; da 1001 euro, oltre a tutto quello già detto, ci si può azzardare addirittura ad invitare il reporter per una conferenza sul tema nella propria città.

Se la pubblicazione del reportage su IlGiornale.it è data per certa, in realtà i vincoli tra l’inviato che parte e il Giornale non sono ufficiali. “Tra noi e loro non c’è nessun contratto – chiarisce Lesèvre – quindi possono pubblicare il materiale dove vogliono. Ovvio, comunque partono grazie e noi e con i soldi dei nostri lettori, quindi ci aspettiamo un’esclusiva. Ma il materiale in più, gli autori possono darlo ad altre testate”.

Anche Barbara Schiavulli non ha dubbi sulla proprietà del reportage: “Sarà pubblicato sul IlGiornale.it, è chiaro, perché l’idea del crowdfunding è partita da loro. E’ per questo che lo fanno, perché conviene a entrambi”. Schiavulli vorrebbe lavorare ad un reportage sul radicalismo islamico in Europa: “L’idea è piaciuta, quindi stiamo facendo uno spot per lanciare il crowdfunding. E’ questione di giorni”.

L’informazione dall’estero, infatti, non è alla portata di tutti: per il giornalista, il crowdfunding diventa l’unica possibilità di partire; per la testata, è un occasione di avere esclusive costose. “Serve anche a fidelizzare i lettori – spiega Laura Lesèvre – perché scegliere e finanziare in fretta il reportage preferito diventa una gara stimolante. Non è vero che con gli esteri non si vende: i fondi che abbiamo raccolto ne sono la prova”.

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L’approfondimento giornalistico? Il futuro è a pagamento http://ifg.uniurb.it/2012/03/13/ducato-online/l%e2%80%99approfondimento-giornalistico-il-futuro-e-a-pagamento/28403/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/13/ducato-online/l%e2%80%99approfondimento-giornalistico-il-futuro-e-a-pagamento/28403/#comments Tue, 13 Mar 2012 18:17:23 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=28403 URBINO - Siamo disposti a pagare il costo di un caffè per un approfondimento online puntuale, preciso, fatto da professionisti? In un momento di crisi per il mondo dell’informazione di qualità, un gruppo di giornalisti – di testate del calibro di New York Times, Wired, Guardian, Economist, New Yorker – ha scommesso di sì. E offrono i loro servigi a un editore di eccezione: l’internauta.

Non aspettiamoci vecchi redattori in cerca di un’occupazione: i promotori di Matter, questo il nome del progetto, sono dei giovani di 30, massimo 40 anni.

CALIFORNIA – Scienze, tecnologia, economia, ambiente e futuro, sono gli argomenti tra i quali spazieranno gli articoli della start-up pensata in California.  In dieci giorni è riuscita a racimolare oltre 50mila dollari di contributi, indispensabili per iniziare il suo lavoro. La sua campagna di sottoscrizione terminerà il 19 febbraio, ma ha già abbondantemente superato l’obiettivo, in poco più di 38 ore.

ACQUIRENTI – La loro idea è di fare uscire un articolo a settimana. Non un articolo qualunque. “Non una recensione da quattro soldi – dicono nel loro manifesto - un articolo irriverente, o una classica lista di 10 link. Sarà proprio una storia imperdibile” I suoi promotori ne sono convinti: “Molte storie di interesse pubblico non vengono raccontate”. E qualcuno è disposto a pagare per averle.

L’iniziativa risponde a quanto sottolineato dallo State of The News Media 2011. Si tratta di un rapporto annuale, pubblicato negli Stati Uniti dal 2004, che costituisce un appuntamento importante per capire la crisi e l’evoluzione dei giornali. Secondo il Report “c’è ormai consenso sul fatto che la pubblicità online non riuscirà mai a sostenere l’industria delle news. Mentre le vecchie fonti di reddito continuano a declinare, la ricerca di nuovi canali di finanziamento diventa più urgente”.

THE MATTER IS – Il problema è che, mentre aumenta esponenzialmente il pubblico dei giornali online, negli Stati Uniti esattamente come da noi, si fatica a capire come trasformare la lettura online in fatturato.

Da marzo 2011 il New York Times, dopo 14 anni di fatiche in digitale, ha risposto al problema trasformandosi in quotidiano a pagamento. Arthur Sulzberger, editore del quotidiano, intervistato da Hubert Burda ha dichiarato la sua convinzione: “Il futuro digitale del quotidiano è a pagamento”. Attualmente sul sito si può approfittare di un’offerta: quattro settimane di quotidiano per iPhone, iPad o pc, allo stesso prezzo che propongono in casa Matter per un solo servizio: 99 centesimi.

In Italia siti simili alla mission di  Matter sono quelli di crowdfounding come Pubblicobene e youcapital.it. Vittorio Pasteris, coordinatore editoriale del progetto youcapital spiega quanto sia difficile in Italia trovare risorse sul web: “Non so se ce la faremo, al momento non abbiamo risorse sufficienti. Ma vogliamo restare sul mercato. E attendere. L’anno che verrà sarà importante per tutti i media tradizionali. Una parte di loro sarà strozzata dal peso della carta. Il modello di fare giornalismo delle grandi redazioni è ormai anacronistico, troppi giornalisti abituati a scrivere un pezzo al giorno.  Prima o poi una parte del sistema crollerà e allora si libereranno spazi che cercheremo di riempire”.

Il metodo crowdfounding è diverso da quello di Matter. Viene proposta un’inchiesta, viene fatta una specie di asta, che deve raggiungere un minimo di finanziamento (di solito 500 euro). Se la cifra viene raggiunta, l’inchiesta viene svolta. Su Matter invece l’utente trova già il prodotto finito e delineato nelle sue linee principali. In quel momento deve solo scegliere se acquistarlo.

“Il costo unitario proposto da Matter – spiega Pasteris – è molto basso ma se riescono a ottenere un traffico notevole potrebbero avere successo. A mio parere il modello del giornalismo investigativo e di approfondimento è un modello che a lungo andare paga. Un giornale come il Fatto Quotidiano in fondo è riuscito a fare qualcosa di molto simile”.

Resta da capire se l’internauta sia disposto a pagare, anche una cifra così irrisoria, per avere un contenuto proposto da un giornalista sconosciuto. Nel nostro Paese, dove l’idea di pagare per un contenuto web non è diffusa,  sembra difficile.

“L’Italia deve fare un percorso più lungo – spiega Pasteris – ma resta il fatto che ci sono molte notizie che non vengono pubblicate per scelte mainstream (ovvero legate al ruolo dei giornali più diffusi, ndr) e per motivi politici. I siti come il nostro e come Matter, se funzionano, possono dare informazione di qualità su temi altri”.

Eppure fare affari sul web deve convenire se Cnn (la notizia è del New York Times) ha deciso di acquistare Mashable, un avviato sito di informazione che fa di tecnologia e social network il suo focus. Il prezzo che Cnn è disposta a pagare? 200 milioni di dollari.

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Il Ducato 2 – 27 gennaio 2012 http://ifg.uniurb.it/2012/01/30/ducato/ducato-2-27-gennaio-2012/17259/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/30/ducato/ducato-2-27-gennaio-2012/17259/#comments Mon, 30 Jan 2012 03:49:52 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=17259 [continua a leggere]]]> Sfoglia il quindicinale della scuola di giornalismo di Urbino

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La rivoluzione del crowdfunding Vuoi un’inchiesta? Ora è su misura http://ifg.uniurb.it/2012/01/27/ducato-online/la-rivoluzione-del-crowdfunding-vuoi-uninchiesta-ora-e-su-misura/17267/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/27/ducato-online/la-rivoluzione-del-crowdfunding-vuoi-uninchiesta-ora-e-su-misura/17267/#comments Fri, 27 Jan 2012 16:45:32 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=17267

L'home page di youcapital.it

Immaginate di avere la passione per il giornalismo e di voler approfondire e raccontare ai vostri concittadini i disagi causati dalla neve a Urbino. Non avendo i soldi per noleggiare le telecamere, per pagarvi gli spostamenti e il tempo necessario per un lavoro ricco di informazioni e di interviste, spesso siete costretti a rinunciare in partenza perché dite a voi stessi: “Non posso, io sono un dilettante”. Ora, invece, è nato un nuovo modo di fare inchiesta, finanziato e promosso dai lettori. E’ arrivato in Italia il crowdfunding journalism, il “giornalismo finanziato dalle folle”, già diffuso negli Stati Uniti e in altri Paesi europei, e promosso da alcuni portali su internet.

Si tratta di qualcosa di simile a ciò che sta facendo Michele Santoro con Servizio pubblico, offrendo un prodotto giornalistico in cambio della fiducia e del finanziamento dei telespettatori. Ma nel suo caso non c’è la dimensione del giornalismo partecipativo, i temi sono ancora imposti dall’alto, mentre il crowdfunding parte dal basso, è una sorta di ribaltamento un po’ anarchico del modo di fare giornalismo. “Gli editori sono i fruitori delle inchieste e ciascun utente non può offrire più del 20 % delle risorse complessive per realizzarla, così da evitare condizionamenti” – ci dice Giancarlo Basso, del nuovo portale italiano Pubblico Bene (tra i pionieri nel nostro Paese insieme a youcapital.it e dig-it.it, oltre al gemello del colosso americano spotus.it). Tutto in nome dell’interesse pubblico delle inchieste e di un’informazione alternativa a quella dei grandi media. Le idee possono essere proposte anche dagli utenti, ma queste si traducono in inchieste solo se viene raggiunta una somma decisa in partenza dall’autore ed entro una data stabilita. Altrimenti i soldi tornano a chi li ha offerti oppure vengono reinvestiti per altri progetti di inchiesta.

Il primo portale a lanciare il crowdfunding per il giornalismo è stato l’americano Spot.us, specializzato sulla città di San Francisco. Nato nel 2009, dopo un anno di vita aveva già raccolto 45 mila dollari da centinaia di persone nella sola città californiana, e aveva portato a termine 40 inchieste: ad esempio, sul gap tra ricchi e poveri, sulla chiusura della libreria Stacey, sulla crisi dell’industria del sesso o sulle potenzialità dell’energia solare.

Il concetto di giornalismo finanziato dal basso si adatta molto bene all’ambito locale, a una piccola rete di persone interessate e informate sui problemi della propria zona. Ed è in questo senso che pochi giorni fa ha lanciato il suo progetto italiano Pubblico Bene: nato dall’idea di un gruppo di amici, ha ottenuto un finanziamento dalla regione Emilia Romagna per realizzare le prime due inchieste-vetrina (una sul tema del welfare e l’altra sulla questione degli affitti a Bologna). In una seconda fase saranno gli utenti stessi a proporle e a finanziarle. “L’obiettivo – si legge sulla home page del portale – è realizzare uno slow journalism libero dalla logica dello scoop e dall’urgenza della cronaca”.

Il giornalismo lento e partecipato però non piace a tutti e ci sono molti nodi da sciogliere. Innazitutto c’è il problema delle responsabilità legali per eventuali errori: a risponderne sarebbe l’autore dell’inchiesta o il responsabile del portale che la ospita? Una prima sentenza della Cassazione si è espressa in favore del direttore responsabile di una testata online perché internet è un sistema fluido, non controllabile come un giornale, e perché l’apertura ai commenti lo rende un prodotto non chiuso, dialettico. Si veda, a questo proposito, un’altra recente sentenza sull’omesso controllo di commenti diffamatori dei lettori.
Gli scettici si appuntano anche sul problema dell’affidabilità di un’inchiesta finanziata “a scatola chiusa”. Chi sarebbe disposto a pagare in anticipo un giornalista
sconosciuto che voglia affrontare un tema di interesse pubblico? Il rischio è che ad essere sostenuti economicamente siano solo giornalisti già noti.

E poi c’è chi crede, come l’editorialista del Foglio, Stefano Cingolani, “nella funzione delle élite e nella loro capacità di dare un senso a fatti e notizie altrimenti slegati”. Tutte questioni aperte, ma non c’è dubbio che il finanziamento dal basso sia una grande opportunità per i giovani giornalisti in tempi di crisi.

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Spotus.it: la versione italiana del crowdfunding http://ifg.uniurb.it/2010/04/27/ducato-online/spotus-it-la-versione-italiana-del-crowdfunding/3151/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/27/ducato-online/spotus-it-la-versione-italiana-del-crowdfunding/3151/#comments Tue, 27 Apr 2010 13:55:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=3151 Finanzia quel che vuoi e leggi quel che chiedi Spot.us: due anni d’inchieste pagate dai lettori]]> E’ nata sabato scorso la versione italiana del sito americano di crowdfunding. A dare vita al progetto, un gruppo variegato: Antonio Badalamenti è un economista, manager e ricercatore, Federico Bo è un ingegnere informatico che si occupa di web 2.0 e social media, mentre Antonella Napolitano è social media consultant, community manager e giornalista.

Inizialmente i tre progettavano un altro genere di piattaforma. Un’idea che poi hanno preferito abbandonare. Si tratta di ToReport, anch’esso presentato appena qualche giorno fa. “Quello – precisa – è un modello business to business, il nostro è un po’ più social: sono due prospettive diverse”.

Rispetto alla versione americana, quella italiana presenta differenze di fondo e una novità: “Abbiamo ricevuto il benestare di David Cohn (fondatore di Spot.Us) ma si tratta di due entità giuridiche differenti”, dice Badalamenti. Mentre quella è appoggiata anche finanziariamente da fondazioni, in Italia ciò non accade: si è deciso di adottare una forma societaria diversa, che comunque punta ad avere sostenibilità economica. “Noi abbiamo introdotto la promessa di finanziamento”, spiega Badalamenti: ci si impegna a finanziare le inchieste giudicate interessanti, ma i soldi non vengono effettivamente versati fino a quando non viene raggiunta la cifra prestabilita. In ogni caso, se entro 60 giorni dall’inizio della raccolta dei fondi l’inchiesta non parte, i soldi vengono restituiti.

Importante sarà anche l’interesse delle testate, che possono anch’esse, come qualsiasi altro cittadino, finanziare i progetti di indagine. Se poi decidono di investire almeno il 50 per cento della cifra necessaria, oltre a occuparsi della supervisione dell’inchiesta, avranno il diritto della pubblicazione in anteprima. “Stiamo iniziando a contattare le testate, abbiamo alcuni feedback positivi. Ma il vero legame da instaurare sarà con le testate locali, per ragioni di naturale affinità”, chiarisce Badalamenti.

Ma come ci si assicura che i soldi investiti vengano spesi bene, senza sprechi? In primo luogo occorre dire che non si corre il rischio di trovarsi di fronte ad una situazione del tipo “prendi i soldi e scappa”. “Le risorse – rassicura Badalamenti – non vengono date tutte insieme all’inizio del lavoro”. La cifra viene infatti corrisposta al reporter per intero solo alla fine, e durante il lavoro questi viene affiancato da un redattore (all’inizio anche i tre fondatori svolgeranno questa mansione, insieme ad altri collaboratori) che controllerà la bontà del lavoro svolto. Inoltre ogni reporter avrà un suo blog per tenere aggiornati gli utenti-investitori. “Certo, non possiamo garantire di soddisfare tutti”, mette in chiaro Badalamenti. Ma questo non lo fanno neanche le testate più quotate e popolari.

Il sito è ancora piuttosto scarno, ma è nato da appena qualche giorno. Per ora ci sono solo due proposte di inchiesta: una sul terremoto a L’Aquila del 2009, l’altra sull’Expo di Milano nel 2015. Entrambe sono promosse da giornalisti iscritti all’Ordine, anche se questo non è un requisito vincolante per diventare ‘reporter’ di Spot.Us Italia.

“Non ci poniamo obbiettivi, il nostro è un esperimento”, conclude Badalamenti: “Abbiamo investito molto tempo e pochissimi soldi: potremmo evolverci o magari scoprire che il progetto in Italia non decolla”.

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A giugno dell’anno scorso l’associazione culturale Pulitzer aveva organizzato un convegno nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana in merito alle nuove tematiche del Citizen Journalism e dell’informazione finanziata dal basso. Proprio in quella occasione il segretario della Fnsi Roberto Natale aveva convenuto con gli organizzatori che allora mancavano gli spazi per queste nuove forme di giornalismo.

Così nasce YouCapital lanciata proprio dall’associazione Pulitzer. “Su YouCapital uno o più giornalisti possono fare richiesta di pubblicazione di un progetto” spiega Antonio Rossano, presidente di Pulitzer “il progetto viene valutato da parte del nostro coordinamento, in base al suo interesse, alla sua attualità e ad altre features. Poi per ogni progetto nasce un gruppo sui social network dove se ne discute”.

La promozione del progetto non avviene, però, solo nel web, ma anche sul territorio, discutendone con la gente durante conferenze o convegni. Rossano, ad esempio, è stato invitato alla tavola rotonda sui business model al Festival internazionale del giornalismo di Perugia (24 aprile).

“Abbiamo acceso i motori il 10 marzo, con la pubblicazione del primo progetto e dei duemila euro che servono ne abbiamo raccolti 200 . Ma contiamo di ultimare la raccolta in quattro mesi e uno dei motivi di questa lentezza iniziale è dovuta al fatto di essere partiti ora”. I duemila euro permetteranno la pubblicazione di un’inchiesta sulla stagione del terrore in Belgio. L’autrice Antonella Beccaria specifica che i contenuti verranno sì pubblicati da un editore di carta stampata già individuato, ma anche che verranno rilasciati in Creative Commons. Chiunque insomma avrà accesso.

I fondatori di YouCapital hanno fatto in modo che il meccanismo sia quanto più semplice possibile. I progetti, ciascuno con un codice proprio, vengono presentati nel dettaglio: quali temi verranno affrontati, chi verrà intervistato, che spostamenti nel territorio verranno effettuati. L’autore specifica anche come intende rendere pubblica l’inchiesta. Le donazioni avvengono attraverso quote di 5 euro ciascuna e ogni utente può donare più quote. Il processo è estremamente chiaro: i soldi necessari per il reportage e quelli già raccolti sono indicati. Il secondo e ultimo progetto sulle ombre del nucleare in Sardegna – pubblicato il 18 aprile – ha raccolto finora solo 15 euro sui cinquemila richiesti.

Dato che a prodotto ultimato il giornalista può proporre l’inchiesta a un’altra testata è chiaro che YouCapital non dispone dei diritti dell’opera e inoltre non trattiene una percentuale dei profitti. Il sostegno economico proviene unicamente dalle donazioni dei privati.

Ma YouCapital non è l’unica versione italiana della statunitense Spot.us. Nasce in questi giorni anche Dig-it.

“Che le persone, i lettori, avessero voglia di leggere qualcosa di diverso, qualcosa che fosse loro più vicino, notizie che non si trovano abitualmente sui giornali, era ormai cosa assodata – dice Claudia Del Vecchio, caporedattore di Dig-it – l’idea di realizzare solo inchieste che fossero interessanti per i lettori e che proprio loro, con il sostegno economico, permettessero di realizzarle, è un’idea fantastica”. A differenza di YouCapital, Dig-it trattiene una percentuale minima dei finanziamenti raccolti, ma il meccanismo è simile.

Ma quanto è sicuro questo meccanismo? Ovvero, come si garantisce al giornalista che il proprio progetto non venga “rubato”? “Questo  è un problema reale, un rischio che ci sentiamo di correre – continua Del Vecchio – anche la pirateria mette in vendita la musica prima che arrivi al pubblico dai canali ufficiali, stessa cosa accade per il cinema. Da qualche parte dobbiamo cominciare”. E infatti hanno cominciato da pochissimo tanto che non hanno ancora lanciato campagne di raccolta fondi. Per ora Dig-it propone inchieste già completate e aspetta le proposte dei giornalisti.

Oltreoceano Spot.us ha permesso la pubblicazioni di molti progetti. Organizzazioni e singoli cittadini hanno donato 5, 15 o 100 dollari e ora leggono le inchieste che hanno finanziato. Quali sono le aspettative italiane?

“Il non profit, anche negli Stati Uniti, non raccoglie molti fondi ma può essere un canale complementare – ammette Rossano – in Italia non sarà prioritario o dominante ma può sostenere certe forme di giornalismo. Magari saranno i giornalisti all’inizio della professione, o i precari a scegliere questo tipo di canale”.

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Spot.us: due anni d’inchieste pagate dai lettori http://ifg.uniurb.it/2010/04/21/ducato-online/spot-us-due-anni-dinchieste-pagate-dai-lettori/2986/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/21/ducato-online/spot-us-due-anni-dinchieste-pagate-dai-lettori/2986/#comments Wed, 21 Apr 2010 12:33:03 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2986 Spot.usAppena 30 dollari e potremo leggere dei disastri ecologici di Islais, un’insenatura di San Francisco, oggi minacciata da nuovi piani della compagnia dei trasporti cittadina. Solo 30 dollari da aggiungere ai 970 già raccolti da Spot.us per realizzare l’inchiesta di Matt Baume.

Il crowdfunding sta arrivando in Italia ma Spot.us esiste negli Stati Uniti dal 2008 e da allora ha reso possibile la pubblicazione di moltissime inchieste, una buona parte sviluppate in California. E d’altra parte qualcuno lo ha capito già: è il locale a prendere sempre più piede.

Dalle bidonville di San Francisco alle sue fogne, dalla scomparsa delle piccole scuole californiane all’efficacia di Twitter nei servizi pubblici. Tutte queste inchieste sono state finanziate dal pubblico che si è mostrato interessato all’una piuttosto che a un’altra.

Qualcuno ha donato cinque dollari, qualcun’altro cento. Privati cittadini e organizzazioni hanno permesso la pubblicazione di inchieste che altrimenti sarebbero potute invecchiare sulle scrivanie dei direttori dei giornali tradizionali. Invece oggi Alan Mairson e Megan Casey, due cittadini che hanno donato rispettivamente 25 e 10 dollari, leggono le storie di soprusi della polizia sulla popolazione nera di Oakland.

E in realtà non dovremmo parlare di donazione: in fin dei conti Mairson e Casey hanno comprato una notizia che volevano leggere, come avevano fatto prima di Spot.us comprando i giornali. E probabilmente non lo hanno fatto perché le “donazioni” sono detraibili dalle tasse, come la redazione di Spot.us tiene a precisare.

Ma Spot.us va oltre i giornali e sfrutta al massimo le potenzialità del web 2.0: filmati, gallerie fotografiche, inserti audio affiancano gli articoli. E come prassi affermata del web, i lettori possono lasciare commenti e contribuire alla completezza della notizia.

Il successo è confermato dal fatto che New York Times, Oakland Tribune, San Francisco Magazine, fondazioni e organizzazioni di informazione hanno iniziato a interessarsi a Spot.us e ora ne sono partner e alcune inchieste sono state pubblicate anche sul New York Times.

Tutto è documentato: le inchieste si dividono in “pubblicate”, “finanziate”, “quasi del tutto finanziate” e “da finanziare”. Il costo totale del singolo progetto è pubblico, come pubblico è il totale dei finanziamenti raccolti e chi li ha fatti.

Il giornalista che vuole proporre una storia deve solo registrarsi, presentare il progetto, aspettare il vaglio della redazione di Spot.us. Poi è il momento della raccolta fondi e successivamente della realizzazione del reportage. L’inchiesta finita viene controllata dalla redazione di Spot.us e poi pubblicata.

Cosa bisogna aspettarsi dal futuro? “Così tante cose!” si legge sul sito di Spot.us e infatti spiegano come per ora abbiano messo in pratica solo un quarto delle cose che hanno in mente per i tre soggetti a cui si indirizzano – cittadini, reporter e nuove organizzazioni. E in pieno spirito con la cultura della partecipazione aggiungono: “We are responsive to you, so your feedback is welcome”.

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Spotus.it: la versione italiana del crowdfunding

Guida alla rete:

Spot.us

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Le aziende non assumono, i giornalisti si fanno impresa http://ifg.uniurb.it/2009/12/11/ducato-online/le-aziende-non-assumono-i-giornalisti-si-fanno-impresa/127/ http://ifg.uniurb.it/2009/12/11/ducato-online/le-aziende-non-assumono-i-giornalisti-si-fanno-impresa/127/#comments Fri, 11 Dec 2009 21:41:43 +0000 http://ifg.uniurb.it/blog/?p=127 Ugo e Giorgio sono due giovani professionisti con un’idea in testa: il giornalismo può diventare impresa partendo dal basso. Circa quattro mesi fa hanno deciso di creare una piattaforma web per far incontrare la domanda e l’offerta di contenuti giornalistici professionali anche al di fuori delle grandi testate tradizionali: un giornalista produce un’inchiesta, ne pubblica un estratto e la mette all’asta sul sito, chi paga meglio e più velocemente ha l’esclusiva su quella notizia e il sito prende il dieci per cento.

Si chiama To Report, “riferire, riportare” in inglese ed è solo uno di una serie di progetti che in questo periodo stanno nascendo in Italia per organizzare e rifondare dal basso il mestiere del giornalista, indebolito dalla crisi del settore. Il Ducato online ne ha contati almeno cinque, nati nel giro di pochi mesi: vere e proprie piattaforme che intermediano la domanda e l’offerta, come To Report, o organizzazioni più o meno strutturate di giovani free lance. Insomma sembra che un giornalismo “diverso” non sia impensabile e che qualcuno in Italia stia provando a realizzarlo.
Il progetto To Report, un’impresa con molti investimenti finanziari e cinque soci, è nato durante i turni di notte all’Agenzia Italia di Ugo Barbàra e Giorgio Baglio: “Il principio è facile – spiega al Ducato Barbàra – Se un giornalista per piazzare un pezzo deve proporlo personalmente a un quotidiano e aspettare una risposta, perde un sacco di tempo. Il pezzo diventa vecchio. Invece così il meccanismo è veloce”. E’ stato lanciato a novembre e ora attende la verifica del mercato. (Guarda qui il loro progetto in alcune slides).

Un’idea simile l’hanno avuta quelli di Pulitzer. Anche questa è una piattaforma digitale che ospiterà inchieste, servizi d’iniziativa, notizie. Il progetto di business però è basato sul community funded reporting, ossia la produzione di contenuti giornalistici finanziata dalla community: la redazione, il giornalista o addirittura il fruitore del prodotto propongono un’inchiesta, un approfondimento. Parte un’asta preliminare nella community, nella quale si verifica l’interesse verso la realizzazione di quel prodotto e l’investimento necessario. Poi i giornalisti pubblicano una loro proposta che presenta e spiega in che modo vorrebbero svolgere il lavoro. Da lì parte la vera e propria asta. Una volta conclusa, il giornalista riceve quanto stabilito e Pulitzer prende il dieci per cento. Un sistema mutuato direttamente dall’esperienza americana di Spot.us, che ha recentemente piazzato un’inchiesta sul New York Times.

“Il nostro sistema crea concorrenza e non tutti lo gradiscono”, spiega Nicola Boccardi, uno degli ideatori. “Quando ho parlato del progetto la prima volta al Festival di Perugia i professionisti presenti mi hanno osteggiato. In un momento non roseo come questo, noi offriamo l’opportunità di fare un giornalismo più libero. Del resto i grandi giornali sono legati mani e piedi all’editore”. L’attivazione di Pulitzer, che in questo momento non ha un sito pubblico, è prevista per la fine di gennaio, almeno in via sperimentale.

To Report e Pulitzer sono progetti molto costosi, che hanno o hanno avuto bisogno di importanti finanziamenti per la loro creazione e che avranno bisogno di ingenti risorse per la manutenzione: nel caso di To Report ci sarà bisogno di una banda larga molto veloce; di un tecnico che verificherà costantemente il funzionamento dei server; di un gestore del flusso che regoli il traffico inopportuno e lo spamming. Antonio Rossano, per Pulitzer, ha recentemente chiesto un aiuto finanziario e di marketing a Telecom (guarda il video di presentazione del progetto al Working Capital). Ma ci sono anche giovani freelance che si organizzano in modo da sostenere insieme i costi, comunque meno forti. Si sono dati nomi come Il Carattere, Fps Media, Il Picco.

Il Carattere, ad esempio, per adesso è ancora un blog gratuito dietro al quale c’è un’idea che unisce cinque giornalisti e che porta molto più lontano. “E’ partita quando ho visto la cooperativa Smart News – spiega Federico Formica – e mi era piaciuta l’idea del service, una sorta di agenzia giornalistica dove il reporter pubblica parte dell’inchiesta e con un meccanismo di offerte la testata la compra. Solo che la cooperativa per noi adesso è troppo cara”. I giornalisti avevano dei contenuti già pronti e il blog era un modo veloce ed economico per pubblicarli subito. Ma il blog si trasformerà presto in un sito con un proprio dominio, da usare come vetrina delle proprie inchieste.

Per adesso il lavoro su Il Carattere è collaterale alle collaborazioni che ognuno degli autori ha con altre testate. Eppure già un paio di servizi sono stati ripresi da Antefatto (il sito web del Fatto Quotidiano) e da Alessandro Gilioli sul suo blog dell’Espresso, dove la notizia ha ricevuto oltre 2.300 visite in un solo giorno. In un momento come questo vendere è complicato e Il Carattere punta sulla pubblicità per rientrare delle spese. Intanto il materiale viene spedito alle testate, una mailing list con duecento contatti.

C’è, invece, chi la cooperativa di service l’ha costituita da subito. Si chiama FPS Media ed è stata fondata da 18 giornalisti, quasi tutti ex allievi della scuola di giornalismo De Martino di Milano. Il lancio vero e proprio avverrà il prossimo gennaio, ma il sito è già online, ha una pagina su Facebook e canali su Twitter e Friendfeed. Su Facebook, dove ha già oltre 350 fan, promuove le sue ultime iniziative e i progressi dello start-up. L’agenzia ha già fornito contenuti a Radio24 e ad alcuni house organ (cioè bollettini e riviste interni alle aziende). Il principio che muove la cooperativa è che ci sia bisogno di professionalità capaci e di spazi nuovi sui quali operare. La “freschezza” e la gioventù dei soci, la loro capacità di lavorare su tutti i mezzi tecnologici rappresentano un valore aggiunto. La grande sfida, spiegano, è sapersi “vendere”, saper fare anche marketing sulla propria attività giornalistica.

Altri cinque giovani giornalisti hanno creato ilPicco.it, definendolo un “portale d’informazione, attualità, politica e cultura”. Il loro scopo è mettere al servizio dei lettori competenza e professionalità. “Non più solo inchieste e servizi realizzati per giornali e network televisivi – si legge nel sito – ma anche la possibilità di pubblicare online i risultati di indagini proposte e sostenute dai cittadini, senza condizionamenti o pressioni editoriali”. Le notizie non sono prodotte ogni giorno, come si può vedere dal sito, il che fa pensare che per i giovani giornalisti quella de ilPicco.it sia ancora un’attività collaterale rispetto alle occupazioni principali di ciascuno.

Dall’altra parte dell’oceano il famoso editorialista Jeff Jarvis, sul suo blog BuzzMachine, sostiene da tempo che “il futuro del giornalismo è imprenditoriale”. In Italia, a quanto pare, lo sta diventando anche il presente.

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