il Ducato » data journalism http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » data journalism http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it NewsTown, giornalismo di cronaca, dati, e cultura a L’Aquila: “Non esiste posto più bello” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/newstown-giornalismo-di-cronaca-dati-e-cultura-a-laquila-non-esiste-posto-piu-bello/72056/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/newstown-giornalismo-di-cronaca-dati-e-cultura-a-laquila-non-esiste-posto-piu-bello/72056/#comments Fri, 24 Apr 2015 21:20:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72056 Nello Avellani

Nello Avellani, fondatore di NewsTown

URBINO – Dopo il terremoto del 2009 l’Aquila ha subito un’esplosione, materiale e umana. Il centro storico è disabitato, la popolazione dislocata nelle nuove ‘C.a.s.e.’ costruite dal governo e il tessuto sociale smembrato. Nello Avellani, giovane giornalista aquilano, due anni fa, insieme a tre colleghi, ha fondato il sito web NewsTown. Nello è tornato a vivere nella sua città per intraprendere un’avventura editoriale che è anche un progetto culturale: raccontare la ricostruzione e ricreare un collante sociale tra i cittadini.

Ospite al Festival del giornalismo culturale, Avellani è intervenuto alla tavola rotonda sul web, sul palco del teatro Sanzio. Alla domanda di fondo cui si è cercato di rispondere durante il dibattito – dov’è la cultura oggi? – il giornalista aquilano ha contribuito raccontando la propria esperienza – fare informazione ed essere allo stesso tempo parte di un fervore culturale nuovo in una città ancora in macerie.

Perché avete deciso di fondare NewsTown?
“Il nostro obiettivo è quello di raccontare la ricostruzione dell’Aquila sia dal punto di vista materiale, che da quello sociale ed economico. Il nome fa riferimento sia al gergo berlusconiano, che chiamava “new town” gli alloggi provvisori costruiti all’indomani del sisma, sia al fatto che l’Aquila coi suoi lavori in corso ogni giorno è diversa rispetto al giorno prima”.

Una pubblicazione può aiutare a riunire le persone intorno a una realtà che parla di loro?
“È uno dei nostri obiettivi. Vogliamo dare voce a movimenti, comitati, semplici cittadini che vogliono farsi sentire su un tema dal quale verrebbero altrimenti esclusi, quello della ricostruzione della città. Dare loro una voce perché sia possibile ascoltarla anche fuori. Le persone possono così ascoltarsi anche fra di loro”.

Che risposta avete avuto? Siete riusciti a creare una comunità intorno a voi?
“In una città di medie dimensioni, 80mila abitanti, abbiamo 6mila utenti unici al giorno. Nell’ultimo anno e mezzo 500 persone hanno deciso di sostenerci anche economicamente con versamenti di 30-50 euro. Sui social network si creano dibattiti a partire dai nostri articoli. Ci mandano email, ci segnalano eventi, ci chiamano per qualsiasi cosa, anche per lamentarsi. Abbiamo tante occasioni di conoscere i nostri lettori anche di persona, perché come NewsTown organizziamo eventi in città, nell’ultimo ad esempio abbiamo invitato Erri De Luca.”

Qual è la necessità di NewsTown in una città ferita in cui però erano già presenti altre testate locali?
“A L’Aquila ci sono quattro giornali online e tre cartacei. Noi però vogliamo essere indispensabili per gli aquilani. Proviamo a essere diversi facendo un enorme e difficile lavoro di ricerca e di spiegazione di tutto quello che succede a livello amministrativo, che può essere utile al cittadino. Non ci limitiamo a pubblicare il comunicato stampa così come arriva. I cittadini dell’Aquila sono alla continua ricerca di risposte. In questi anni le hanno cercate nel posto sbagliato, ovvero sui social network. Facebook è diventata una specie di piazza – in mancanza di quella vera che era sotto le macerie – in cui si affollavano voci e notizie non verificate o verificabili. In questa situazione di caos il nostro lavoro si può definire di data journalism e serve a rendere più semplice la vita quotidiana di una città difficile. Mettiamo tantissimi link, prendiamo tutti quei documenti amministrativi poco accessibili e li scannerizziamo sul sito, non ci perdiamo un consiglio comunale. Vorremmo dare tutte le risposte a cittadini spesso frustrati per la mancanza di chiarezza delle istituzioni”.

Che cosa offre l’Aquila oggi da un punto di vista culturale?
“A livello culturale L’Aquila ha subito come un’iniezione, una scossa. Penso sia stato un modo di reagire al trauma del terremoto. Oggi L’Aquila è piena di cose da fare. Ci sono piccoli teatri indipendenti, varie associazioni che fanno ogni sera una cosa diversa, tantissimi bar, concerti di musica live. È meglio adesso che prima. Io sono tornato a viverci e non me ne voglio andare”.

A che punto è la ricostruzione?
“In centro non è mai partita. Siamo al 3% di edifici ricostruiti. In periferia siamo più avanti perché ci sono meno problemi di spazio ad esempio, non ci sono le stradine strette del centro. Però ci sono ancora 12mila persone nei container, 3-4000 che vivono in affitto concordato. Molti sono andati via e non sono più tornati. È dura da vivere, è un cantiere da anni, noi siamo abituati ma per chi viene da fuori è straniante. Da un punto di vista giornalistico, però, non esiste un posto più bello da raccontare”.

Foto di Dania Dibitonto e Anna Saccoccio

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Massimo Russo e Luca Tremolada a Urbino: “Il futuro del giornalismo è già arrivato” http://ifg.uniurb.it/2014/04/05/ducato-online/massimo-russo-e-luca-tremolada-a-urbino-il-futuro-del-giornalismo-e-gia-arrivato/60807/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/05/ducato-online/massimo-russo-e-luca-tremolada-a-urbino-il-futuro-del-giornalismo-e-gia-arrivato/60807/#comments Sat, 05 Apr 2014 14:45:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=60807 a sinistra Luca Tremolada (Il Sole 24 Ore), accanto Massimo Russo (direttore Wired)

a sinistra Luca Tremolada (Il Sole 24 Ore), al suo fianco Massimo Russo (direttore di Wired)

URBINO – Ci sono un matematico, un programmatore e un giornalista. Non è l’inizio di una barzelletta ma l’assetto di lavoro al quale le redazioni dovranno fare l’abitudine se non vogliono rimanere fuori dalla nuova era del data journalism.

È il messaggio del direttore di Wired Massimo Russo e Luca Tremolada, giornalista del Sole 24 Ore, che questa mattina hanno aperto la giornata di appuntamenti dedicata all’Ifg di Urbino e ai suoi ex allievi.

Un argomento che avrebbe interessato Luca Dello Iacovo, allievo del biennio 2004-2006, scomparso nel dicembre 2013 e ricordato oggi dai suoi colleghi di corso. Luca, che collaborava con l’inserto Nòva del Sole 24 Ore, era un grande appassionato di innovazione anche nel giornalismo.

Nel video: la giornalista Laura Troja legge i ricordi scritti dai compagni di corso di Luca Dello Iacovo.

“La novità che viviamo oggi – ha spiegato Luca Tremolada – sta nella grande disponibilità di dati e nella facilità d’uso di un gran numero di strumenti che permettono di rielaborare le informazioni per renderle fruibili a tutti”. I numeri nel giornalismo ci sono sempre stati, soprattutto nei quotidiani economici: “Al Sole una volta ci chiedevano di mettere una cifra ogni tre righe – ricorda Tremolada – oggi non possiamo farne a meno visto che solo le stesse amministrazioni pubbliche che cominciano a rendere pubblici i propri dati”.

Le redazioni dei grandi gruppi editoriali italiani si stanno gradualmente aprendo al lavoro sui dati: “Il grande fermento – aggiunge Tremolada – arriva anche da una serie di collettivi autonomi, gruppi di bravi giornalisti e programmatori che grazie ai dati sperimentano strade nuove”. Un esempio è il newsgame, videogiochi utilizzati come strumenti per interpretare le notizie, come l’americano DebTetris di David McCandless, che attraverso un videogame spiega il meccanismo dei mutui subprime.

LIVETWEETING – La cronaca della giornata

Emblematici sono stati poi i casi di Wikileaks di Julian Assange e le rivelazioni emerse dai documenti decapitati dall’ex analista della Nsa Edward Snowden. Sono i big data, imponenti quantità di dati e informazioni che nel primo caso in particolare: “Hanno costretto le cinque grandi redazioni che li hanno ricevuti – spiega Tremolada – a elaborare enormi quantità di file pubblicati in una serie di articoli in contemporanea: Assange ha saputo hackerare il sistema giornalistico mondiale sfruttando anche il timore di ogni redazione di ‘prendere un buco’ dagli altri che possedevano i dati”.

“Ci sono state più innovazioni negli ultimi cinque anni che da cinquant’anni a questa parte – ha detto Massimo Russo – siamo e saremo costretti a modificare il nostro modo di produrre le notizie e anche di fruirle, viviamo in un momento storico paragonabile solo al 1775 quando fu inventata la macchina a vapore”.

Una rivoluzione che come è sempre successo nella storia non arriva da dove ce l’aspettiamo: “Non sono gli establishment a portare i cambiamenti, questi arrivano dalla periferia, dagli attori secondari, da chi ha un’idea e fa l’uso migliore della tecnologia”.

Anche il giornalismo dovrà cambiare secondo Massimo Russo, prendendo ad esempio l’evoluzione dell’iOs, il sistema operativo della Apple su iPad e iPhone: “Le interfacce grafiche stanno abbandonando lo scheumorfismo, cioè il richiamo ad oggetti di uso comune associato alle funzioni dell’apparecchio che utilizziamo, come ad esempio la bussola che simula graficamente proprio le vere e proprie bussole. Allo stesso modo, oggi i siti internet dei quotidiani vengono ancora impostati come una “copia digitale” del giornale cartaceo. Sul web, però, il paradigma è diverso”. Nelle redazioni online, insomma, serve più coraggio. “Fare o non fare. Non esiste ‘provare'”. Ha concluso Russo citando il maestro Yoda di Guerre Stellari.

Tutto questo, senza dimenticare i cardini che hanno sempre sostenuto il mestiere del giornalismo: “Silvano Rizza sarebbe stato d’accordo con Giuseppe D’Avanzo, secondo il quale il giornalista scova, ricerca e racconta le notizie. Questo non può cambiare, ma dobbiamo considerare che ci rivolgiamo a un ecosistema dell’abbondanza: non possiamo essere totalmente esaustivi, dobbiamo portare valore nelle cose di cui ci occupiamo. Dimentichiamoci dell’organizzazione gerarchica verticale delle notizie: oggi è roba da giornali cattedratici”.

Un concetto non condiviso da Paolo Gambescia, l’ex direttore dell’Unità, del Mattino e del Messaggero che è intervenuto subito dopo Massimo Russo. “Non possiamo confondere la quantità con la qualità e le gerarchie vanno mantenute. I giornali – ha sostenuto Gambescia –  dovrebbero avere meno pagine, i telegiornali meno servizi, ma il tutto dovrebbe essere più denso e filtrato da professionalità”.

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Simon Rogers lascia il Guardian: sarà data journalist di Twitter http://ifg.uniurb.it/2013/04/20/ducato-online/simon-rogers-lascia-il-guardian-sara-data-journalist-di-twitter/43812/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/20/ducato-online/simon-rogers-lascia-il-guardian-sara-data-journalist-di-twitter/43812/#comments Sat, 20 Apr 2013 08:33:42 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43812

Se fin ora i giornalisti hanno usato Twitter per trovare dati e notizie, da oggi sarà Twitter ad “usare” i giornalisti. Il social network diventa, infatti, editore e assume uno dei pionieri del Data journalim: Simon Rogers.

Rogers sarà il primo data editor di Twitter: siederà dietro una scrivania nell’assolata San Francisco e leggerà i tweet che ogni giorno riempiono le nostre timeline per costruirci sopra delle storie. Quello che fanno già ora molti giornalisti? Si; con la differenza che, per la prima volta, non lo farà per un giornale.

Quello di Rogers è un nome tutt’altro che sconosciuto per gli addetti ai lavori. Giornalista del The Guardian, Rogers è diventato famoso come uno dei pioniere del Data journalism: una forma di giornalismo che, invece di usare solo le parole, fa uso intensivo di database, mappe digitali e software per analizzare, raccontare e visualizzare un fenomeno o una notizia.

Rogers – oltre a guidare il team che produce prodotti interattivi per il sito del quotidiano, facendo collaborare strettamente giornalisti, grafici e programmatori – è anche il “papà” della sezione del quotidiano londinese Datablog and Datastore, una banca dati online che mette a disposizione dei lettori dati grezzi perché li analizzino. Numeri e dati ad accesso libero per trasformare il lettore in citizen journalist.

Dopo 15 anni passati nella redazione del Guardian, Rogers ha appena annunciato la sua decisione di lasciare il giornale per unirsi al team di Twitter media dove si occuperà, appunto, di analizzare i “cinguettii” e trasformarli in prodotti giornalistici perché:

Twitter è diventato un elemento così importante nel nostro modo di lavorare come giornalisti. E’ impossibile ignorarlo, perché è sempre al centro di ogni evento importante, dalla politica allo sport, allo spettacolo. Come editor di dati, aiuterò a spiegare come funziona questo fenomeno. E non riesco a immaginare un lavoro migliore per arrivare a raccontare storie sulla base di alcuni dei dati più sorprendenti in giro.

Una risposta – indiretta e forse un po’ scomoda – a chi continua a chiedersi se quello fatto su e con i social network sia vero giornalismo.

 

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Passi avanti dell’Italia nella corsa agli Open Data http://ifg.uniurb.it/2012/03/21/ducato-online/passi-avanti-dellitalia-nella-corsa-agli-open-data/29054/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/21/ducato-online/passi-avanti-dellitalia-nella-corsa-agli-open-data/29054/#comments Wed, 21 Mar 2012 17:37:41 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=29054 URBINO – Gli Open Data conquistano il mondo e l’Italia non ha intenzione di essere seconda a nessuno: si moltiplicano le iniziative nel nostro Paese per avvicinare l’amministrazione pubblica ai cittadini. Una policy di trasparenza che apre le porte dei palazzi: con un click è possibile trovare gli stipendi dei dipendenti pubblici, le proposte di legge, ma anche le assenze in parlamento o fare addirittura il calcolo dei requisiti necessari per andare in pensione.

DA GREZZO A OPEN
Per far diventare ‘aperto’ un dato grezzo serve la possibilità legale e tecnica che ne sia permesso al riuso. Dal punto di vista tecnico un dato non è open quando per ottenerlo dobbiamo fare mille telefonate a dieci amministrazioni diverse, e non quando, grazie ad un sistema di aggregazione e ricerca, un facile click ci porta a lui.

Dal punto di vista legale esistono vari tipi di licenze per rendere queste informazioni accessibili liberamente: Creative Commons, Copyleft, Open Data Commons License, etc. In Italia il Formez, il centro studi e formazione per l’ammodernamento delle Pubbliche amministrazioni, ha creato la Iodl, Italian Open Data License, con lo scopo di promuovere la liberazione dei dati delle Pa italiane.

L’UTILIZZO
Non solo trasparenza e stimolo per un processo democratico più partecipativo: il campo di utilizzo degli open data è molto ampio. Neelie Kroes, Commissaria europea per l’Agenda Digitale, li definisce come “il carburante per la futura economia” perché stimolano “la creazione di grandi contenuti web”.

Per il giornalismo i dati non sono certo una novità, ma la loro progressiva apertura sta contribuendo alla forte diffusione del data journalism: un giornalismo che parte dai dati per arrivare alla notizia. Non solo numeri secondo Simon Rogers, direttore di Datablog, il blog del Guardian dedicato a questo tipo di produzioni, ma anche storie e soprattutto molta fatica: “80% sudore, 10% grandi idee e 10% risultati”, il bravo giornalista deve essere in grado di “fare da ponte tra i dati e le persone che vogliono capire di cosa si sta davvero parlando”.

LE NOVITÀ
Marzo sembra essere il mese open, negli ultimi giorni le iniziative da parte delle istituzioni si stanno moltiplicando. Il Comune di Firenze ha annunciato con un tweet un’estensione del proprio portale opendata.comune.fi.it: un nuovo dataset dedicato tutto ai musei, dove con un colpo di mouse si potranno scoprire quanti sono, dove sono e soprattutto quando sono aperti.

Il 16 marzo il Ministero dell’Istruzione ha lanciato una banca dati che aggrega informazioni su strutture, personale e alunni. Ma è solo il primo passo per il dicastero di Francesco Profumo che vorrebbe far diventare il Miur un esempio di trasparenza.

Di nuovo marzo, questa volta il 10, e in Basilicata arriva una proposta di legge che ribadisce un concetto fondamentale per il mondo open: il diritto di accesso alle informazioni prodotte dalla pubblica amministrazione, sulla base del principio del Freedom of Information Act (Foia).

Ci aveva provato anche Pietro Ichino ai tempi della legge Brunetta sulla semplificazione e digitalizzazione delle Pa, ma successivi emendamenti avevano cercato di smussare la forza del provvedimento.

L’ITALIA
Gli Open Data non nascono all’interno della pubblica amministrazione. Uno dei primi progetti è OpenStreetMap, targato wiki, ed è la creazione di uno stradario mondiale costruito grazie al contributo volontario di collaboratori che lo rendono continuamente modificabile e fruibile.

Il passo avanti a livello governativo lo fa il ministro Renato Brunetta che il 18 ottobre 2011 lancia dati.gov.it che oltre a spiegare cosa sono (e a cosa servono) gli Open Data, aggrega e segnala le iniziative a livello istituzionale in materia: dall’Inps al portale dedicato ad Udine.

Nonostante questa iniziativa manca ancora una norma: l’Italia ha recepito la normativa europea del 2003, ma non ha ancora approvato la legge che la traduce in pratica. Il governo Monti si è messo a lavoro. Il presidente del Consiglio ha fatto capire che quella sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione sarebbe stata una priorità del suo governo, tanto da parlare, già nel discorso di insediamento al Senato di “necessità di operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea”.

Era il 17 novembre e poco più di due mesi dopo, il 27 gennaio, si è arrivati al Decreto Semplificazioni (pdf), tra un articolo sugli appalti pubblici e uno sugli impianti termici all’articolo 47 appare “l’obiettivo prioritario della modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese”. Primo passo l’istituzione di una cabina di regia formata da cinque ministri (Sviluppo economico, Pubblica amministrazione e semplificazione, Coesione territoriale, Istruzione, Economia ) che dovrà coordinare gli interventi degli enti locali. La prima riunione c’è stata il 9 febbraio, all’ordine del giorno proprio gli Open Data.

L’EUROPA
E’ proprio da Bruxelles che arriva la necessità di trasformare buone prassi di trasparenza in leggi. La prima norma (pdf) comunitaria risale al 2003, ma il dibattito non si è mai fermato.

C’è infatti una proposta (pdf) che intende estendere il campo di applicazione della direttiva. Quello degli Open Data è solamente uno degli aspetti della rigida agenda digitale che si è data l’Unione Europea: è possibile vedere il progresso degli obiettivi grazie ad un grafico presente sul portale della Commissione.

IL PIEMONTE
Se il governo nazionale si muove ancora lentamente arrivano spinte importanti da parte delle istituzioni locali. Sul podio c’è sicuramente il Piemonte, unica regione ad aver approvato una legge dedicata esclusivamente alla regolamentazione della trasparenza con gli Open Data. Era il maggio 2010 quando è nato dati.piemonte.it e non ha mai smesso di crescere. Non solo delibere e norme, ma anche stradari e censimenti. Con un click si possono scoprire quanti sono gli uomini di Fossano e le palestre comunali di Verbania.


Visualizza Open Data in Italia in una mappa di dimensioni maggiori

NORME E PRASSI
A seguire l’esempio del Piemonte ci sono solo sette regioni, ma questo non significa che le altre dodici abbiano deciso di lasciare all’oscuro i loro cittadini. Sul sito di ogni ente è possibile fare ricerche sulle leggi approvate e in discussione, in molti casi, tra cui Liguria e Valle D’Aosta, si può anche assistere in alle riunioni del consiglio. Il Veneto e l’Emilia Romagna hanno anche costruito un portale sul modello piemontese, nonostante nessun gruppo si sia mosso per proporre una legge.

Per quanto riguarda le norme attualmente in discussione se si dà uno sguardo ai firmatari ci si accorge presto che gli Open Data non hanno un colore politico: dall’Italia dei Valori (in Umbria) al Popolo della Libertà (in Basilicata) ognuno presenta la sua mossa e c’è anche chi si trova a collaborare: la legge approvata in Piemonte porta in calce le sigle di due partiti che vengono accostati molto raramente: Partito Democratico (con Roberto Placido) e Lega Nord (con Roberto de Magistris). Nel Lazio invece i radicali si sono sdoppiati e di proposte ne hanno presentate addirittura due.

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Wikileaks, grafici e tabelle: il giornalismo punta sui dati http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato-online/wikileaks-grafici-e-tabelle-il-giornalismo-punta-sui-dati/27795/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato-online/wikileaks-grafici-e-tabelle-il-giornalismo-punta-sui-dati/27795/#comments Fri, 09 Mar 2012 18:28:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27795 data journalism vanta ora un premio internazionale. Presto sarà pronto anche il primo manuale per insegnare ai giornalisti come trasformare i numeri in notizie LEGGI Dieci punti per il data journalism]]> URBINO – Non più solo parole ma dati. È sempre più frequente, soprattutto sul web, trovare tabelle, grafici interattivi, mappe che accompagnano un articolo o sono essi stessi l’articolo. È il cosiddetto data journalism, un tipo di giornalismo che parte dai dati e li usa come mezzo per arrivare alle notizie.

Una competenza sempre più richiesta oggi nei giornalisti, tanto che è appena nato il “Data journalism award”, un riconoscimento internazionale proprio per il giornalismo dei dati. Tra il 30 maggio e l’1 giugno, a Parigi,  verranno premiati per la prima volta i sei migliori lavori giornalistici basati su dati, siano essi inchieste, applicazioni, visualizzazioni o storytelling.

A promuoverlo il Global Editors Network (un’associazione che unisce direttori editoriali e altri vertici editoriali delle principali testate del mondo con l’intento di rompere le barriere tra i vecchi e i nuovi media e creare nuovi strumenti per il giornalismo) in collaborazione con l’European Journalism Center e con il supporto di Google. Partner italiana Wired Italia.

Quello che ha tutta l’aria di essere il Pulitzer del data journalism mira a diffondere  questo nuovo modo di fare giornalismo. “Come giornalisti – dice il presidente della giuria Paul Steiger al Daily Wired.it – stiamo utilizzando sempre più massicciamente dati numerici e banche dati per produrre informazione. Il premio punta proprio a premiare l’innovazione in questo settore e a stimolarne l’evoluzione”.

Un settore, quindi, in rapida espansione. Soprattutto in un momento in cui la rete pullula di dati, grazie agli open data (i dati accessibili a tutti senza alcuna restrizione o controllo) e a politiche di open government (secondo cui l’attività dell’amministrazione pubblica dovrebbe essere aperta e a disposizione di tutti i cittadini). Ma non solo.  “Le più importanti storie degli ultimi due anni – ci spiega Simon Rogers, direttore del Datablog e del Datastore del quotidiano The Guardian – sono state modellate dal data journalism. WikiLeaks, la crisi finanziaria, le rivolte in Inghilterra: senza il data journalism il modo in cui avremmo compreso questi eventi sarebbe stato completamente diverso”.

Tutto questo, però, non dovrebbe essere una novità. Rogers ha scritto una guida con la quale spiega cos’è il data journalism e come viene usato nella sua redazione. Nel primo punto si legge: “Il giornalismo dei dati esiste da quando esistono i dati”. Niente di nuovo, quindi? La differenza, secondo Rogers, è che mentre prima “i dati venivano pubblicati in libri molto costosi” oggi abbiamo fogli di calcolo e computer che aiutano a fare gran parte del lavoro.

Detta in questo modo sembrerebbe quasi che chiunque, grazie a strumenti semplici come Many Eyes, Google Fusion Tables o Timetric, sia in grado di raccogliere e aggregare insieme dati grezzi, dandogli un significato. Ma non è esattamente così.
Dire che i dati sono ‘aperti’, liberi, pubblici non equivale a dire che sono anche facilmente accessibili. C’è bisogno di una mediazione, di qualcuno che sappia leggerli, interpretarli  e spiegarli. Che sappia ‘tradurli’ in un linguaggio comune e comprensibile a chiunque. Qualcuno che faccia le domande giuste e tiri fuori le storie che stanno dietro i numeri. Quel qualcuno è il giornalista che continua, quindi, a rivestire un ruolo fondamentale.

Perché, come scrive Rogers nel suo decalogo, “siamo noi la connessione tra i dati e le persone che vogliono capire di cosa si sta effettivamente parlando”.

L'immagine rappresenta i collegamenti tra i 11.616 documenti - rilasciati da WikiLeaks - riguardanti le azioni più importanti della guerra in Iraq nel solo mese di dicembre del 2006. Ogni punto è un documento, etichettato con le tre parole più rilevanti che lo riguardano. I documenti simili sono collegati tra loro da una riga. Le posizioni dei punti sono astratte e non indicano una posizione geografica.

Un esempio tra tutti WikiLeaks. Dal novembre 2010 centinaia di migliaia di documenti segreti sono stati pubblicati on line nel sito creato da Julian Assange. Il suo intento era quello di dare ai cittadini le informazioni in modo diretto e allo stato puro. Ma senza l’intermediazione dei giornali, a cui poi Assange ha dovuto cedere, difficilmente si sarebbe venuti a conoscenza delle notizie celate in migliaia di pagine.

Sono proprio i giornalisti che le hanno cercate, trovate e rese ‘leggibili’ a tutti. Le hanno ordinate, filtrate, rese comprensibili. E ne hanno permesso la diffusione a livello mondiale.

Che si usino grafici, mappe o numeri, dietro ognuno di essi, quindi, ci deve essere una storia. L’abilità del giornalista sta nel nel trovare il modo migliore per raccontarla.

Anche per questo motivo a novembre è nato un progetto, il “Data Journalism Handbook”, un manuale che vuole essere una guida per gli stessi giornalisti che si avvicinano a questo tipo di giornalismo, dando indicazioni sulla tipologia dei dati disponibili ma dispersi disordinatamente nel web e sugli strumenti di lavoro migliori per aggregarli.

Un libro alla cui stesura partecipano circa quaranta giornalisti di diversi Paesi, ma aperto anche al contributo di chiunque voglia collaborare con la propria esperienza e professionalità. Basta iscriversi alla mailing list del sito Data Driven Journalism e quando il libro sarà terminato, forse tra poco più di un mese si augurano i coordinatori del progetto, lo si potrà poi scaricare gratuitamente online.

Essere un data journalist oggi è sempre meno una scelta o qualcosa da cui un bravo giornalista può prescindere. “Usare dati e numeri per raccontare le storie – conclude Rogers – non è più inusuale. E’ semplicemente giornalismo”.

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Dieci punti per spiegare il giornalismo dei dati http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato-online/dieci-punti-per-spiegare-il-giornalismo-dei-dati/27876/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato-online/dieci-punti-per-spiegare-il-giornalismo-dei-dati/27876/#comments Fri, 09 Mar 2012 18:19:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27876 URBINO – Il giornalista del Guardian Simon Rogers, direttore di Datablog, il blog del quotidiano inglese dedicato al data journalism, ha stilato una guida in dieci punti per spiegare cos’è questo ‘nuovo’ tipo di giornalismo. Eccola:

1. Forse oggi va di moda, ma non è qualcosa di nuovo
Il giornalismo dei dati esiste da quando esistono i dati. A metà dell’Ottocento Florence Nightingale, un’infermiera britannica,  scrisse una relazione sulle condizioni dei soldati inglesi nel 1858. Nella prima edizione del Guardian (1821) venne pubblicata una tabella che elencava tutte le scuole di Manchester, il costo e il numero degli studenti. La differenza è che mentre in passato i dati venivano pubblicati in libri molto costosi, ora computer con fogli di calcolo e programmi specifici fanno da soli metà del lavoro.

2. Open data significa anche open data journalism
Oggi i numeri e le statistiche non sono più riservate a pochi ma sono a disposizione di tutti coloro che hanno un foglio di calcolo sul proprio computer, tablet o smartphone. Chiunque può accedere a un database e dargli la forma che preferisce. Per un giornalista è facile sbagliare, ma è altrettanto facile trovare l’aiuto di alcuni gruppi indipendenti (per esempio ProPublica, Wheredoesmymoneygo?Sunlight Foundation) che si muovono con semplicità nel mondo dei dati.

3. Il data journalism è diventato una vetrina?
Qualche volta. Oggi ci sono così tanti dati a disposizione che si cerca di dare ai lettori i fatti chiave di una vicenda. La loro ricerca è, quindi, tanto complessa e importante quanto lo è la ricerca dell’intervista giusta per un articolo di giornale.

4. Database sempre più grandi su questioni specifiche
I dati a disposizione dei giornalisti sono sempre più numerosi (basta solo pensare ai 391 mila documenti rilasciati da WikiLeaks sull’Iraq) e riguardano questioni specifiche. Un bravo data journalist dovrebbe riuscire a rendere tali dati accessibili e comprensibili a tutti.

5. Il data journalism è 80% sudore, 10% grandi idee, 10% risultati.
Si passano delle ore a fare in modo che i database funzionino, a riformattare i dati e a mescolarli. I giornalisti agiscono soprattutto da ponte tra i dati e le persone che vogliono capire di cosa si sta davvero parlando.

6. Forma lunga e forma breve
Lavorare sui dati tradizionalmente significa passare settimane ad analizzare un singolo database, elaborarlo e infine estrapolarne qualcosa. A volte il risultato è un incredibile scoop, altre è un buco nell’acqua. Ma sempre di più oggi si sta affermando una ‘forma breve’ di data journalism, secondo cui i dati chiave vengono individuati immediatamente, analizzati e fornirli ai lettori mentre la notizia è ancora in circolo. Il trucco sta nel formulare queste analisi con le tecnologie a disposizione nel minor tempo possibile. E farlo comunque in modo corretto.

7. Tutti possono farlo…
Soprattutto grazie a strumenti come Google Fusion Tables, Many Eyes, Google Charts o Timetric, che si trovano gratuitamente nel web, è possibile creare grafici e tabelle di ogni genere e dimensione partendo dai dati in nostro possesso.

8…ma l’aspetto è molto importante
Un buon design è, però, ancora importante. Alcune delle migliori visualizzazioni del Guardian (come quella che spiega le relazioni tra i protagonisti delle intercettazioni telefoniche dello scandalo News of the World o la mappa sull’apparato governativo britannico) funzionano perché non sono state disegnate da un computer ma da persone che capiscono le vicende rappresentate.

9. Non c’è bisogno di essere un programmatore
Il compito principale è quello di pensare ai dati come un giornalista e non come un analista. Perché determinati numeri sono interessanti? Cosa c’è di nuovo? Cosa può succedere se si incrociano con altri dati? Rispondere a queste domande è ancora la cosa più importante.

10. Si tratta (ancora) di storie
Il data journalism non riguarda solo grafici, tabelle e visualizzazioni. Si tratta di raccontare le storie nel miglior modo possibile cercando nuove modalità di narrazione. I giornalisti se ne stanno rendendo conto sempre di più, tanto che essere un data journalist oggi non è più qualcosa di inusuale. È solo giornalismo.

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Il Ducato 5 – 9 marzo 2012 http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato/il-ducato-5-9-marzo-2012/28020/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/09/ducato/il-ducato-5-9-marzo-2012/28020/#comments Fri, 09 Mar 2012 15:10:18 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=28020 Sfoglia il quindicinale della Scuola di Giornalismo di Urbino

Ducato 9-3

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