il Ducato » deontologia http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » deontologia http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Codice etico per i giornali, una app per scegliere i propri paletti, sviluppata dall’Ona http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/codice-etico-per-i-giornali-una-app-per-scegliere-i-propri-paletti-sviluppata-dallona/70898/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/codice-etico-per-i-giornali-una-app-per-scegliere-i-propri-paletti-sviluppata-dallona/70898/#comments Fri, 17 Apr 2015 18:43:08 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70898 11139685_10205918501189155_1886121479_n

PERUGIA – Immaginate. Scoppia una bomba nel mercato della vostra città. Voi scattate una foto di una donna disperata, coperta di sangue e col vestito a brandelli che le lascia scoperto il seno. Siete disposti a pubblicarla sul vostro sito, o credete che anche in un caso limite come questo quella donna abbia diritto alla sua privacy? Ecco, per sciogliere i vostri dubbi dovreste rifarvi a un codice etico.

L’Ona, Online News Association, sta lavorando a un codice etico ‘fai-da-te’, da pubblicare sul proprio sito d’informazione, testata o blog, che dichiari al pubblico le linee guida editoriali seguite e applicate su quelle pagine.

Mario Tedeschini Lalli, vice responsabile dell’innovazione e dello sviluppo del Gruppo Editoriale L’Espresso, nonché membro italiano dell’Ona, ha lanciato al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia “Do-it-yourself ethical code”, un insieme di materiali per guidare organi d’informazione, testate giornalistiche, singoli giornalisti e cittadini a creare il proprio codice di comportamento per poi pubblicarlo online. “È un progetto che nasce per fare sì che chiunque voglia fare informazione di qualità possa munirsi di regole etiche proprie”, ha spiegato Tedeschini Lalli. Alcune testate straniere, come ad esempio il Guardian, hanno già una pagina in cui espongono i propri valori. In Italia nessun media ha adottato questo modello.

Il percorso da seguire per costruirsi il proprio codice si divise in varie fasi. Bisogna per prima cosa stabilire alcuni postulati non discutibili. Dire la verità, non plagiare il lavoro altrui, non accettare soldi per cambiare le informazioni, correggere i propri errori. Accettarli significa muoversi in un perimetro etico-deontologico ampio ma comunque dai confini precisi. Tracciati questi si passa ad altre due fasi.

  • Stabilire quale tipo di giornalismo offrire al pubblico. Objective o point of view? Uno imparziale che racconta i fatti in modo oggettivo o uno che dispone di un punto di vista preciso. Indipendent or involved? Una testata indipendente o ‘di parte’?
  • Esaminare varie domande etiche e deontologiche, analizzando i pro e i contro di ogni questione al fine di potersi costruire un codice personale. Sono 40 i temi affrontati e spaziano dalla gestione della censura, la protezione dei minori fino alla cura dei virgolettati

Quest’ultima è la fase di personalizzazione vera e propria del codice. Le possibili questioni sono analizzate nello specifico, punto per punto, e attraverso delle domande si cerca di far emergere la posizione specifica della testata sui singoli temi. Nella sezione che riguarda i suicidi, ad esempio, si pone preliminarmente la questione – è giusto pubblicare la notizia di un suicida? –  e si prosegue nel particolare: rilevanza pubblica della persona morta, dinamica della morte (privata o in un luogo pubblico), età del suicida. Immaginando che si tratti di una testata favorevole alla pubblicazione di queste notizie bisogna stabilire la metodologia. La meccanica va raccontata? Oppure è meglio usare la forma asciutta del necrologio, rituale e distaccato?

Sono 40 in tutto i temi affrontati con questo dettaglio, si può capire quanto specifico sarà il codice così stilato.

Per i promotori del progetto Thomas Kent, deputy managing editor della Associated Press, e Jane McDonnell, direttrice Online News Association, il punto è creare un meccanismo generale che possa funzionare per le redazioni di ogni latitudine. Per farlo bisogna immaginare una serie di situazioni ‘limite’ che verrebbero trattate diversamente a seconda della sensibilità culturale del giornalista e del paese in cui vive. È giusto pubblicare una vignetta razzista al centro di una polemica per mostrarne il contenuto ai propri lettori o sarebbe più corretto non farlo? In un’intervista è giusto virgolettare il pensiero condensato dell’intervistato o è meglio riportarlo parola per parola?

Domande a cui non è possibile dare una risposta univoca, ma che possono essere risolte soltanto dopo una mediazione tra la volontà di riportare le notizie, il contesto culturale in cui si lavora e le scelte etiche fatte a monte. Grazie alla nuova App in uscita a settembre, ogni editore e freelance sarà libero di costruirsi il proprio decalogo sulla base delle risposte che lui ritiene corrette e rendere i suoi lettori partecipi.

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“Internet nuoce al giornalismo ragionato” cancellata la domanda dal quiz dell’Ordine http://ifg.uniurb.it/2014/02/26/ducato-online/internet-nuoce-al-giornalismo-ragionato-cancellata-la-domanda-dal-quiz-dellordine/57803/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/26/ducato-online/internet-nuoce-al-giornalismo-ragionato-cancellata-la-domanda-dal-quiz-dellordine/57803/#comments Wed, 26 Feb 2014 09:49:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57803 URBINO – Il giornalismo “ragionato” contro la “cultura di Internet”. La singolar tenzone vista dal podio dell’Ordine nazionale dei giornalisti sembrava avere un esito netto, cioè che “Il giornalismo ragionato e d’approfondimento della carta stampata rischia di essere indebolito dal primato della cultura di internet”. Un assunto, una sentenza, che non poteva passare inosservata per molto. E infatti il giornalista Pino Rea  ha subito denunciato quel quesito (il numero 9), parte di un test del primo corso online da dieci crediti organizzato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti. Dopo 24 ore di indignazione scatenate dal suo post e da quello di Marco Pratellesi su L’Espresso, la domanda è stata rimossa dai test.

Deontologia

Dentologia2

Il fatto era stato segnalato il 24 febbraio da Rea, che peraltro è anche un membro del Consiglio nazionale dell’Ordine e membro del gruppo “Liberiamo l’informazione“, sul sito Lsdi di cui è responsabile: “Mi riesce difficile – scrive Rea nel suo articolo –  immaginare di far parte di un organismo retto da qualcuno che non solo la pensa in quel modo ma ritiene quel giudizio un fatto assodato, un assioma ”deontologico”, tanto da farlo inserire (o permettere che esso venga inserito) fra i principi del corso online di deontologia”.

Il giorno seguente il Comitato tecnico scientifico dell’Ordine  (che ha in mano tutta l’organizzazione della formazione permanente dei giornalisti ed è incaricata di approvare i test), ha deciso di eliminare la domanda ‘incriminata': “ È innegabile – si legge nel comunicato diffuso dal Cts – che, per sua natura, Internet sia più ‘reattivo‘ rispetto alla carta stampata che ha invece tempi più dilatati. È altresì innegabile che gli sviluppi dell’informazione sembrano portare nella direzione ‘suggerita’ in qualche modo dalla domanda: se vorrà sopravvivere, la carta stampata dovrà approfondire i temi che Internet sarà in grado di sviluppare in tempo reale. La domanda però si presta evidentemente a interpretazioni differenti rispetto allo spirito degli estensori del testo. Per questo motivo, il Cts ha proposto al Cdg (il centro di documentazione giornalistica che ha redatto il quiz  n.d.r.) di sostituirla con un’altra domanda e di controllare che nei test già effettuati la risposta non sia stata determinante ai fini del passaggio alla lezione successiva”.

Pentito o no dell’errore, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, non sembra aver particolarmente apprezzato la segnalazione del giornalista Pino Rea e ha dichiarato al Ducato: “Ringrazio Pino per la segnalazione, ma trovo che questa sua uscita pubblica sia pura demagogia accattona”.  Mentre il gesto è stato apprezzato da Marco Pratellesi nel suo mediablog su L’Espresso: “Non so chi abbia realizzato il corso per l’Ordine. Possiamo convenire che il giornalismo non sia una scienza esatta, ancorché abbia regole codificate in almeno duecento anni di professione. Però francamente, sono sbalordito e non riesco a capire, come l’ottimo Pino Rea”.

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Il caos calmo della rettifica online: se la deontologia non basta http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/il-caos-calmo-della-rettifica-online-se-la-deontologia-non-basta/48928/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/il-caos-calmo-della-rettifica-online-se-la-deontologia-non-basta/48928/#comments Thu, 13 Jun 2013 12:55:49 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48928 “Il cielo stellato sopra di me – diceva Immanuel Kant – la legge morale dentro di me”. Quando non esistono regole certe, l’unica barriera ad arginare l’istinto degli uomini (e dei giornalisti) è la sottile e variabile linea della moralità. E’ questo il caso del giornalismo online e dell’obbligo di rettifica, sul qual c’è un’assenza di norme che rischiano di produrre squilibri nella tutela dei diritti dei cittadini che la chiedono.

La stampa online è regolata, come il resto dell’informazione italiana, da una legge datata 8 febbraio 1948 . Ben prima della Rete, e quando la tv non era ancora arrivata in Italia. Chiaro quindi che ci siano dei problemi. Cosa deve fare il cittadino che vuole rettificare una notizia su un giornale online? E come deve comportarsi il giornalista?

Come detto, una norma di legge non esiste. La legge del 1948 detta i requisiti per la rettifica sui mezzi d’informazione tradizionali. La testata giornalistica è obbligata a pubblicare tempestivamente le rettifiche – anche qualora contengano informazioni false – entro un certo numero di edizioni, a seconda del tipo di pubblicazione (settimanale, giornale radio, quotidiano).

Nel caso di internet, però, sorgono due grossi problemi:

  1. le edizioni, in senso proprio, non esistono,
  2. il web non è contemplato dalla legge tra i mezzi d’informazione

Di conseguenza, non esistono regole per stabilire quando esista il diritto di replica da parte della persona che si sente offesa da un contenuto e la forma che deve prendere questa rettifica.

“Non c’è nessuna regola – conferma Carlo Melzi D’Eril, avvocato penalista esperto di giornalismo (per la trasparenza: è anche docente dell’Ifg) – salvo il codice deontologico dei giornalisti. Se il giornalista online venisse citato in giudizio per una mancata rettifica, infatti, la sua posizione verrebbe immediatamente archiviata perché non c’è nessuna norma che regola la materia, a differenza di ciò che avviene per gli altri mezzi d’informazione”. È bene precisare che si parla soltanto dell’obbligo di rettifica: il giornalista online, come tutti gli altri, risponde penalmente per il reato di diffamazione.

“Una buona soluzione normativa – sostiene ancora Melzi D’Eril – sarebbe far scattare l’obbligo di rettifica per le testate e i mezzi d’informazione online secondo un criterio temporale, magari con un limite di spazio e con la condizione che la notizia da rettificare sia falsa, come avviene per le televisioni”.

Così la deontologia professionale rimane l’ultimo argine all’anarchia, anche se per l’Ordine dei giornalisti è quasi come fermare la marea con le mani. Dario Gattafoni, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, sostiene che “una norma di legge ben fatta sarebbe utile e auspicabile, ma noi non ne abbiamo bisogno: il codice deontologico parla chiaro, il giornalista è comunque obbligato alla rettifica, quindi se la regola legislativa interviene a fissare un paletto, sicuramente ne beneficeremo tutti, altrimenti comunque ci sono delle norme inderogabili sul comportamento dei giornalisti”.

Va detto, però, che se queste regole sanzionano i giornalisti, non tutelano in modo diretto i cittadini interessati alla rettifica, proprio perché sono norme la cui applicazione spetta all’Ordine che non è un tribunale e che non ha potere sui non iscritti. Il cittadino viene tutelato dall’Ordine solo in via indiretta, attraverso il potere di controllo e censura sui giornalisti, compresi quelli del web (esclusi i blogger).

Fin qui la teoria, ma in pratica, come deve comportarsi il giornalista ? Come si rettifica un pezzo online, per definizione immateriale? Ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi corregge il pezzo originale, chi aggiunge in testa o in coda la rettifica, chi sbarra la frase da rettificare con una riga e scrive accanto in corsivo le parole nuove che correggono il “tiro” della notizia, chi rettifica in un nuovo pezzo, chi – salomonicamente – si toglie dall’imbarazzo cancellando totalmente il pezzo originale.

I giornalisti si muovono quindi in ordine sparso. A  mettere ordine nella faccenda dovrebbe essere il parlamento che, anche se frammentariamente, ci ha anche provato: nel 2009, maggioranza e opposizione presentarono, all’interno del disegno di legge sulle intercettazioni, due emendamenti contraddittori.

Il senatore D’Alia, messinese in quota Udc, presentò un emendamento che fu ribattezzato “ammazza-blog”: prevedeva che i gestori dei siti d’informazione dovessero procedere “immediatamente” alla pubblicazione della rettifica. Ma cosa vuol dire “immediatamente” in un modo che si muove alla velocità dei bit? Il Pd propose invece un periodo di tempo di 48 ore dalla richiesta di rettifica alla sua pubblicazione. Ma il Ddl intercettazioni non vide mai la luce, e gli emendamenti quindi sono finiti nella soffitta di Palazzo Montecitorio. Lasciando da sola la deontologia.

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Carta di Milano per i giornalisti su carceri, detenuti o ex detenuti http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/carta-di-milano-per-i-giornalisti-su-carceri-detenuti-o-ex-detenuti/38567/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/carta-di-milano-per-i-giornalisti-su-carceri-detenuti-o-ex-detenuti/38567/#comments Thu, 14 Mar 2013 14:31:52 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38567 [continua a leggere]]]> CNOG – COMMISSIONE GIURIDICA

CARTA DI MILANO
Protocollo deontologico per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, detenuti o ex detenuti.

Il Consiglio nazionale dei giornalisti esprime apprezzamento per l’impegno volontario dei molti colleghi che realizzano strumenti di informazione all’interno degli istituti di pena in collaborazione con i detenuti e che hanno dato vita alla Carta di Milano, fatta propria da molti Ordini regionali. Richiamandosi ai dettati deontologici presenti nella Carta dei doveri del giornalista, con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare nessuno per razza, religione, sesso, condizioni fisiche e mentali e opinioni politiche, riafferma il criterio deontologico fondamentale del “rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati” contenuto nell’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine nonché i principi fissati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dal Patto internazionale Onu sui diritti civili e politici e dalle Costituzioni italiana ed europea.
Consapevole che il diritto all’informazione può trovare dei limiti quando venga in conflitto con i diritti dei soggetti bisognosi di una tutela privilegiata, fermo restando il diritto di cronaca in ordine ai fatti e alle responsabilità, invita a osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i cittadini privati della libertà o in quella fase estremamente difficile e problematica del reinserimento nella società.

Il Consiglio nazionale invita quindi i giornalisti a:

1) Tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che può avvenire a fine pena oppure gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i permessi ordinari, i permessi-premio, la semi-libertà, la liberazione anticipata e l’affidamento in prova ai servizi sociali;

2) Usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici penitenziari evitando di sollevare un ingiustificato allarme sociale e di rendere più difficile un percorso di reinserimento sociale che avviene sotto stretta sorveglianza. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena;

3) Fare riferimento puntuale alle leggi che disciplinano il procedimento penale e l’esecuzione della pena e alla legge sull’ordinamento penitenziario (354 del 1975);

4) Fornire dati attendibili e aggiornati che permettano una corretta lettura del contesto carcerario;

5) Considerare che il cittadino privato della libertà è un interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, ma può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione attraverso i media;

6) Tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti, non coinvolgendo inutilmente i suoi familiari, evitando di identificarlo solo con il reato commesso e valorizzando il percorso di reinserimento che sta compiendo;

7) Garantire al cittadino privato della libertà di cui si sono occupate le cronache la stessa completezza di informazione qualora sia prosciolto;

8) Tenere conto dell’interesse collettivo ricordando, quando è possibile, i dati statistici che confermano la validità delle misure alternative e il loro basso margine di rischio.

Le indicazioni elencate riguardano anche il giornalismo online, multimediale e altre forme di comunicazione che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo.

Il Consiglio nazionale si adopererà affinchè il tema del rapporto fra informazione e realtà carceraria sia inserito fra gli argomenti oggetto dell’esame professionale. Invita inoltre i Consigli regionali a favorire rapporti di collaborazione con i garanti dei diritti del detenuto.

La violazione di queste regole integranti lo spirito dell’art. 2 della Legge 03.02.1963 n. 69 comporta l’applicazione delle norme contenute nel Titolo III della stessa legge.

Roma, 13 marzo 2013

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Detenuti ed etica, la Carta di Milano approvata dal Consiglio nazionale http://ifg.uniurb.it/2013/03/13/ducato-online/detenuti-ed-etica-la-carta-di-milano-approvata-dal-consiglio-nazionale/38160/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/13/ducato-online/detenuti-ed-etica-la-carta-di-milano-approvata-dal-consiglio-nazionale/38160/#comments Wed, 13 Mar 2013 18:59:10 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38160

Un codice etico per il trattamento di detenuti o ex detenuti, soprattutto in quella fase difficile che è il reinserimento nella società. È la Carta di Milano – la “Carta del carcere e delle pene” – il documento steso in prima battuta proprio tra le mura di alcune carceri (Padova, Milano e Piacenza) e approvato ieri pomeriggio dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Già sottoscritta dagli ordini regionali di Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata, Liguria, Sicilia e Sardegna, la Carta fissa alcuni punti i limiti tra la corretta e la cattiva informazione.

IL TESTO DELLA CARTA DI MILANO

“Abbiamo voluto creare – spiega Carla Chiappini, direttore del giornale carcerario di Piacenza Sosta Forzata e tra i fautori del documento – una nuova carta pur sapendo che esistono altri documenti deontologici. Per noi ne valeva la pena, sia per la complessità del tema, sia per quel cambiamento culturale che auspichiamo”.

Il documento invita a “usare termini appropriati” e a “considerare sempre che il cittadino privato della libertà è un interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi”. Lo scopo è tutelare il cittadino detenuto o ex detenuto dalla “gogna” mediatica cui può essere esposto: per questo, i giornalisti devono tenere conto, ad esempio, che “il condannato che decide di parlare con i giornalisti non va identificato con il reato connesso, ma con il percorso che sta facendo”.

“Ci siamo accorti – chiarisce Chiappini – che c’era confusione rispetto alla certezza della pena. Il Italia la certezza della pena è data, ma la fortuna è che il modo di scontarla è flessibile: ci sono le misure alternative, la semilibertà, i domiciliari. Pene ‘extra – murarie’, che nulla tolgono alla pena in sé. Se questo viene spiegato male nascono equivoci, sembra che le pene siano più leggere, mentre nel nostro Paese sono ancora impegnative”.

Rispetto alla stesura che ne era stata fatta inizialmente – in cui il diritto all’oblio era regolato anche in riferimento ai diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione all’articolo 2 – la carta non prevede più un punto dedicato. Pierpaolo Bollani, consigliere dell’Ordine e in commissione giuridica, spiega che la norma “non è stata recepita perché pone problemi relativi al diritto di cronaca, in un dibattito che va aldilà delle carte”. Dello stesso avviso è la direttrice Chiappini, per due motivi. “È la parte più delicata – spiega – per alcuni reati nella storia del nostro Paese, come i reati politici, la mafia e le stragi, sarebbero necessari troppi distinguo. Con Internet, poi, sarebbe difficile da garantire”.

La carta si aggiunge ai documenti deontologici che l’Ordine dei giornalisti ha adottato finora, molti dei quali a tutela delle categorie più sensibili: la Carta di Treviso, approvata nel ’91, è stato il primo documento che impegna i giornalisti a norme e comportamenti eticamente corretti nei confronti dei minori ed è a firma della Federazione nazionale della Stampa, dell’Ordine e di Telefono Azzurro.

La Carta dei doveri del giornalista, sottoscritta nel ’93, costituisce uno statuto completo della deontologia professionale e contiene, tra gli altri, il divieto di pubblicare immagini violente o raccapriccianti, nonché l’obbligo di tutela della privacy dei cittadini e, in particolare, dei minori e delle persone disabili o malate.

La Carta di Roma, approvata nel 2008, regolamenta il trattamento dei richiedenti asilo, dei rifugiati, delle vittime della tratta e dei migranti, richiamandosi alla Carta dei doveri del giornalista. Il documento invita i giornalisti ad adottare termini giuridicamente appropriati, per “restituire al lettore la massima aderenza alla realtà dei fatti”, per evitare di alimentare eventuali atteggiamenti razzistici.

Nel 2009, un altro codice di autoregolamentazione è stato sottoscritto a Roma e riguarda i processi in tv: per impedire i “processi–show” trasferiti dalle aule di giustizia sul piccolo schermo, il codice ha chiarito le differenze tra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra accusa e difesa, sempre nel pieno rispetto dei diritti inviolabili della persona.

Venerdì la Carta di Milano verrà presentata nella sala conferenze del carcere di Regina Coeli a Roma e, nel pomeriggio, sempre a Roma, si terrà un seminario nella sede della Fnsi, in corso Vittorio Emanuele II. “Due luoghi con valenza simbolica – chiude Carla Chiappino – nel cuore di Roma e nel cuore del giornalismo. La scelta non è casuale”.

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“Ma quali ‘Omicidi passionali’!”: rivolta Twitter contro i cliché http://ifg.uniurb.it/2012/01/26/ducato-online/ma-quali-omicidi-passionali-rivolta-twitter-contro-i-cliche/17056/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/26/ducato-online/ma-quali-omicidi-passionali-rivolta-twitter-contro-i-cliche/17056/#comments Thu, 26 Jan 2012 14:19:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=17056 RACCONTO La protesta su Twitter SCHEDA Così in Europa LEGGI Il caso di AlerteCliché - SONDAGGIO]]> Frasi fatte, luoghi comuni, inesattezze. Parole come pietre: a volte sono sassolini, altre veri e propri macigni. Il giornalismo trabocca di questi termini inappropriati e i lettori protestano. E’ successo il 15 gennaio, quando in centinaia hanno fatto balzare nei trending topic di Twitter l’hashtag #parolecomepietre lanciato, dopo una ricerca di gruppo, da Arianna Ciccone e altre blogger e scrittrici.

LEGGI CINGUETTII COME PIETRE: LA PROTESTA SU TWITTER

Le espressioni considerate fastidiose sono tante. Da ‘tragica fatalità’ a ‘dramma della gelosia’ passando per ‘i furbetti del quartierino’. C’è anche chi, però, denuncia un utilizzo improprio della nazionalità quando viene commesso un reato.  Una ‘tradizione’ giornalistica che non solo non informa, ma che molto spesso non fa altro che legittimare e instaurare nel lettore lo stereotipo e il pregiudizio.

Come sottolinea Gi.U.Li.A.’ , (Rete delle giornaliste unite libere e autonome), con un appello ai giornalisti che chiede di smettere di utilizzare il termine ‘omicidio passionale’.

Il problema non è solo di stile e di convenzioni decise dalle redazioni, ma abbraccia un argomento più ampio: la deontologia.

SCHEDA Stereotipi e stampa europea

I SOCIAL NETWORK CONTRO I CLICHÉ. “Cosa c’è di passionale nel massacrare una donna?” E’ questo il tweet della giornalista Arianna Ciccone dopo avere letto sui giornali italiani titoli con il termine ‘omicidio passionale’.

Arriva subito l’appoggio della scrittice Michela Murgia. “Ne abbiamo approfittato per lanciare un appello ai giornalisti, visto che ormai è una moda essere su Twitter, di stare più attenti all’utilizzo di questi termini” dice Ciccone al Ducato Online. In poche ore l’hashtag supera la tendenza della domenica pomeriggio, quella televisiva con #sanremo (erano appena stati annunciati i nomi dei cantanti in gara).

Twitter può aiutare a far sì che i luoghi comuni e le inesattezze si attenuino nelle testate giornalistiche? Da tre anni in Francia è attivo AlerteCliché, creato da Yann Guégan, vice caporedattore della testata online francese Rue89 . Grazie a un algoritmo su Google News ogni giorno vengono segnalati su Twitter centinaia di luoghi comuni presenti negli articoli delle testate online francesi. “In un anno abbiamo trovato circa 2000 volte la frase ‘ciliegina sulla torta’ e ogni mezz’ora ne viene rilevato uno”, racconta Guégan.

LEGGI Il caso di Alertecliché

Oltre a Twitter, anche Facebook è un social network utilizzato per denunciare formule abusate nel giornalismo. Come questo gruppo francese dal titolo ‘Contro i luoghi comuni giornalistici. Per coloro che non ne possono più delle frasi giornalistiche come: Domani la colonnina di mercurio sfiorerà i 30 gradi’.

Anche in Italia però ci sono gruppi su Facebook che chiedono di smettere di utilizzare alcune formule giornalistiche pesanti come macigni. E’ il caso di ‘Basta dire la nazionalità di chi commette reati sui mass media’

I social network sono l’extrema ratio per regolare l’uso di termini che a volte possono anche ‘fare male’ come pietre. Ma prima dei siti web, almeno in Italia, questo compito dovrebbe essere svolto da leggi, carte deontologiche e decaloghi di redazione, ma come sostiene Arianna Ciccone, “molto di frequente, come è successo con le foto di Sarah Scazzi pubblicate dal Corriere del Mezzogiorno, non vengono assolutamente rispettate”.

LE PAROLE COME MACIGNI. ‘Caccia al rom’, ‘Schettino era con una moldava‘, ‘Omicidio passionale’ sono solo alcuni dei titoli apparsi nei giorni scorsi sulle testate nazionali. Non sempre hanno rispettato quello che è prescritto nei codici deontologici dell’Ordine dei giornalisti.

Un codice deontologico generale è la raccolta delle leggi e delle carte elaborate negli anni. Franco Abruzzo, ex presidente del Ordine dei giornalisti della Lombardia le ha raccolte in un Codice deontologico generale per la professione giornalistica.

Uno dei primi protocolli è la Carta di Treviso, formulata nel 1990 e sottoscritta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, la Fnsi e il Telefono Azzurro, che disciplina come i media devono trattare le notizie riguardanti i minori.

Punto dolente dalla stampa italiana è il trattamento delle notizie che vedono gli ‘immigrati’ come protagonisti. Non sempre la nazionalità è rilevante nella notizia. Può essere inserita, come citato nell’articolo 6 ‘se è indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della qualificazione dei protagonisti’, ma spesso la nazionalità non dà informazioni aggiuntive al lettore. Nella Carta dei doveri del giornalista sottoscritta nel 1993 si legge:

Articolo 6 – Essenzialità dell’informazione

La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.

Articolo 9 – Tutela del diritto alla non discriminazione

Nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali.

Per disciplinare il trattamento di notizie con protagonisti immigrati, rifugiati politici e richiedenti asilo è stata sottoscritta nel 2007 Carta di Roma. La proposta fu lanciata da Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, dopo l’attacco dei media verso il tunisino Azouz Marzouk per la “strage di Erba”, in realtà compiuta da una coppia di italiani.

Il primo punto è relativo all’utilizzo improprio di alcuni termini quando si parla di migranti:

Adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore ed all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri.

L’attenzione dei media italiani nel collegare la nazionalità con il reato è dimostrata anche da una ricerca condotta dal professore Ernesto Calvanese che ha analizzato i contenuti degli articoli riguardanti immigrati su La Repubblica, Il Giornale e Corriere della Sera dal 2005 al 2008. In sintesi risulta che la carta stampata parla tanto degli stranieri ma lo fa esclusivamente in termini di conflittualità e di problematicità sociale.

Emerge chiaramente come le testate analizzate abbiano sostanzialmente riportato pressoché globalmente la delittuosità straniera (con uno scarto del 3,47% tra quella denunciata e rappresentata), mentre, secondo un andamento inverso, la delittuosità degli italiani è stata fortemente sotto-rappresentata (30,61% in meno rispetto ai dati statistici ufficiali).

PAROLE COME SASSOLINI. La stampa italiana è ricca non solo di parole come macigni, ma anche di tanti sassolini: i luoghi comuni. L’abuso di questi termini è una cattiva abitudine che spinse Arrigo Benedetti, direttore di Paese Sera, a emanare nel 1976 un decalogo di regole su “come scrivere” in cui uno dei punti era proprio quello relativo ai luoghi comuni e alle frasi fatte da evitare.

Non si usano verbi inventati, come evidenziare, presenziare, potenziare, disattendere; o superflui come effettuare per fare, iniziare per cominciare; i francesismi come ‘a mio avviso'; le frasi fatte come madre snaturata, folle omicida, agghiacciante episodio, in preda ai fumi dell’alcool, i nodi da affrontare, nell’occhio del ciclone, l’apposita commissione, e gli aggettivi che servono a caricare d’infamia chi non ne ha bisogno, come criminale fascista, l’infame dittatore.

Una regola, quella dei decaloghi, che è arrivata fino ai giorni nostri. Un esempio è quello voluto da Marco Travaglio prima dell’uscita de Il Fatto Quotidiano.

In vista dell’uscita del Fatto Quotidiano, il giornale che ho contribuito a fondare (…) affiggerò in redazione l’elenco delle frasi fatte e luoghi comuni che mi danno l’orticaria sugli altri giornali e che non vorrei mai trovare sul nostro.

LE DUE FACCE DI TWITTER. I giornalisti interpellati sono tutti d’accordo sulla facilità con cui si può cadere nei tranelli delle frasi fatte soprattutto ora nell’epoca dell’immediatezza di Twitter. Se da una parte si rischia di usare con più facilità luoghi comuni e termini non deontologicamente corretti, dall’altra, grazie all’attenzione degli utenti che le segnalano, i media non possono fare finta di niente.

Secondo Yann Guégan la stampa continua ad abusare dei cliché perché “permettono una rapida traduzione delle idee in tempi veloci, quelli richiesti per la stesura di un articolo”, invece per Arianna Ciccone “è un retaggio sub culturale. Per i giornalisti prima era la chiusura del giornale a far sì che capitasse di cadere in luoghi comuni, ora con la velocità di Twitter è ancora più facile incappare in queste trappole”.

“La vera sfida – conclude Arianna Ciccone – resta la qualità, la riflessione, la cura verso la notizia. Vincerà chi riuscirà a coniugare la velocità con la qualità”.

 

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http://ifg.uniurb.it/2012/01/26/ducato-online/ma-quali-omicidi-passionali-rivolta-twitter-contro-i-cliche/17056/feed/ 1
Gli stereotipi nella stampa europea http://ifg.uniurb.it/2012/01/26/ducato-online/gli-stereotipi-nella-stampa-europea/17069/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/26/ducato-online/gli-stereotipi-nella-stampa-europea/17069/#comments Thu, 26 Jan 2012 13:57:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=17069 [continua a leggere]]]> In Svezia la nazionalità del reo non può essere indicata, in Francia bisogna specificare se è residente o no, in Gran Bretagna i media sono accusati di essere sessisti. Il problema degli stereotipi e luoghi comuni nella stampa non riguarda solamente l’Italia ma anche altri Paesi.

FRANCIA. “Se l’origine etnica è rilevante per la notizia – spiega Yann Guégan di Rue89 – deve essere inserita, altrimenti no. Qui in Francia La Provence è nota come la testata che ne fa un uso improprio”.

Claire Poinsignon di Arte France invece cerca di minimizzare: “La stampa riflette i cliché razzisti e sessisti che ci sono nella società. Fortunatamente c’è una certa stampa e certi giornalisti che attenuano o combattono gli stereotipi esistenti”.

Nei Paesi dell’Unione Europea, non essendoci un ordine dei giornalisti, prevalgono le carte interne alle redazioni. Come sostiene Poinsignon: “Qui siamo più favorevoli alla responsabilità individuale, piuttosto che adottare carte deontologiche per un buon comportamento da parte dei media”. Che come abbiamo visto,  in Italia vengono poco applicate.

Anche Guégan spiega che non ci sono carte deontologiche generali ma “sono presenti solo in alcune organizzazioni e soprattutto sul trattamento dei fatti di cronaca”.

Sono per lo più le testate economiche ad adottare carte interne come La Tribune o inerenti al trattamento di notizie di fatti di cronaca, come quella del quotidiano Ouest France. Il  quotidiano di Rennes raccomanda ai propri giornalisti di non definire il reo secondo “la professione, la comunità etnica e religiosa” e “non utilizzare termini peggiorativi, e se l’autore di un delitto è straniero, assicurarsene, precisare la sua nazionalità aggiungendo però se risiede o no in Francia”.

GRAN BRETAGNA. In Gran Bretagna sono diverse le redazioni che al loro interno hanno adottato delle carte deontologiche. E’ il caso del Guardian che ha realizzato la Carta etica nel 2003, come pure quella della Bbc .

Come conferma un giornalista del Guardian Ben Quinn, esiste un’autorità, la Press Complaints Commission , finanziata dagli editori inglesi, alla quale ci si può rivolgere per segnalare lamentele su errori e abusi della stampa. A causa della mancanza di sanzioni nello scandalo delle intercettazioni del News of the World, però, ha ricevuto diverse critiche, tra cui anche quella del primo ministro David Cameron. Solo alla fine del 2011 è stato siglato un Editors’code of practice .

Nei giorni scorsi un gruppo di rappresentanti di associazioni di donne ascoltata della Commissione Leveson, sorta dopo lo scandalo delle intercettazioni con l’obiettivo di monitorare la stampa inglese, ha denunciato l’uso degli stereotipi femminili nei media inglesi. Periodici come il Sun, il Daily Star e il Sunday Sport sono criticati per avere descritto le donne come “un riassunto di parti del corpo erotizzate” mentre dovrebbero “assolutamente condannare stupri e violenze contro le donne e le ragazze”.

GERMANIA. Il ‘German press council’ ha siglato nel 1973 a Bonn con le associazioni della stampa il ‘Codice della Stampa’.

E’ esplicitato all’articolo 12 che nelle notizie di cronaca nera “non è possibile fare riferimento all’appartenenza religiosa, etnica del sospettato se l’informazione non è strettamente essenziale alla comprensione dei fatti per il lettore. Bisogna ricordare che questi riferimenti possono incitare a pregiudizi contro le minoranze”.

 

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Dieci regole (e qualche polemica) per il fotogiornalismo http://ifg.uniurb.it/2010/04/02/ducato-online/dieci-regole-e-qualche-polemica-per-il-fotogiornalismo/2040/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/02/ducato-online/dieci-regole-e-qualche-polemica-per-il-fotogiornalismo/2040/#comments Fri, 02 Apr 2010 17:15:37 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2040 fotografo in piazza tien an men

Foto Philip McMaster Institute for Sustainable Development in Commerce, distribuita con licenza Creative Commons

Il primo “Decalogo di autodisciplina dei fotogiornalisti” dell’Ordine dei giornalisti entra in vigore a metà aprile, ma i suoi dieci punti sull’uso deontologicamente corretto della fotografia sono stati accolti con qualche riserva da parte di alcuni fotoreporter e fotoeditor, che ne discutono l’effettiva utilità.

“È stato approvato all’unanimità nel Consiglio nazionale – ricorda il consigliere dell’Ordine dei giornalisti Rodolfo Valentini - È da un anno che ci lavoriamo, sulla scorta del caso Fabrizio Corona e da quando Il Giornale ha pubblicato durante la guerra a Gaza una foto in cui erano stati aggiunti elicotteri che bombardavano, ma si era omesso di scrivere che c’era stato un fotomontaggio. In 50 anni il fotogiornalismo non è mai stato toccato dall’Ordine dal punto di vista deontologico: prima nessuno poteva sanzionare il direttore o il giornalista per una fotografia, oggi invece queste norme ci sono”.

La questione è controversa. Amedeo Vergani – fotogiornalista, presidente del Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva dell’Associazione lombarda dei giornalisti – sostiene invece che “il comportamento professionale dei fotogiornalisti è sottoposto ormai da più di trent’anni, con il decreto Bonifacio del 1976, alla disciplina dell’Ordine. I fotogiornalisti devono rispettare i principi dell’articolo 2 della legge sulla nostra professione”.

Vale a dire, come recita il secondo articolo della legge del 1963 che istituisce l’Ordine, la “tutela della personalità altrui”, “il rispetto della verità sostanziale dei fatti”, “i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.

Principi che – insieme alle norme deontologiche del “Codice della privacy” del 1998 – si ritrovano nel Decalogo di autodisciplina dei fotogiornalisti.

Secondo Mariella Sandrin, della commissione sindacale del Gruppo redattori iconografici nazionale, non c’era “una tremenda necessità” del decalogo: “E’ semplicemente una ripetizione – dice – i fotogiornalisti sono giornalisti, quindi devono attenersi alla deontologia che esiste già. Comunque tutto quello che viene rimarcato è sempre utile”.

Sandrin solleva piuttosto un’altra questione: “Nel decalogo vengono gettati i problemi deontologici sui fotogiornalisti, quando poi sono invece altre figure redazionali ad avere un comportamento allegro nella pubblicazione delle fotografie. Non mi sembra giusto addossare tutte le responsabilità ai fotogiornalisti, andrebbero piuttosto condivise”.

Altro punto controverso è che l’Ordine può dettare norme solo ai suoi iscritti. “Su circa tremila fotoreporter che operano in Italia – speiga  Amedeo Vergani – oltre la metà non appartengono all’Ordine”.

E allora come si fa a regolamentare un settore in cui chi vi opera non deve sottostare alle norme?

“È logico che chi non è dell’Ordine non si può sanzionare – risponde Rodolfo Valentini - ma il decalogo è un codice morale rivolto non solo a chi fa le fotografie, ma anche ai giornali. Siccome quelli che mettono le foto in pagina sono giornalisti, devono rispettare il codice”.

Valentini prospetta un cambio di rotta nei confronti delle agenzie fotografiche che non operano come testate giornalistiche. “D’ora in poi non sarà più ammissibile che vengano pubblicate fotografie che provengono da chiunque, magari vendute a cinque euro. L’Ordine si è impegnato a rimettere a posto le cose, il fotografo abusivo è finito. Non devono più esistere le cosiddette agenzie fotografiche che vendono le foto come un prodotto qualunque. A maggio – prosegue Valentini – ci saranno le elezioni dell’Ordine. Se sarò rieletto verrà costituito un osservatorio che effettuerà i controlli, e nei casi in cui noteremo comportamenti abusivi chiameremo la Guardia di Finanza”.

Guida alla rete

Decalogo di autodisciplina dei fotogiornalisti

Legge istitutiva dell’Ordine del 1963

Codice della privacy

Ordine dei giornalisti

Gruppo redattori iconografici nazionale

Fotografia e informazione

Fotogiornalisti italiani al World press photo

Federazione italiana associazioni fotografiche

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