il Ducato » editoria http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » editoria http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Giornalismo in crisi: tutti i numeri. In tre anni -3722 contratti di lavoro http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/giornalismo-in-crisi-tutti-i-numeri-in-tre-anni-3722-contratti-di-lavoro/51298/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/giornalismo-in-crisi-tutti-i-numeri-in-tre-anni-3722-contratti-di-lavoro/51298/#comments Thu, 13 Jun 2013 16:12:23 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=51298 Cinque anni di crisi. Contratti di solidarietà in aumento del 193%. Centinaia di migliaia di copie di quotidiani perse. Investimenti pubblicitari che regrediscono ai livelli di ventidue anni fa. Albert Camus definì il giornalismo “il mestiere più bello del mondo”, ma probabilmente con i dati alla mano oggi avrebbe cambiato idea.

In Italia c’è una città grande come Ancona registrata negli albi dell’Ordine dei Giornalisti: è la città di quelli che hanno seguito Camus e armati di telecamere, pc, tablet e le intramontabili carta e penna, hanno deciso di cimentarsi con il giornalismo. I professionisti, ovvero i giornalisti che per legge devono vivere ‘esclusivamente di giornalismo’, sono 27.958. Di questi 7.646 hanno messo penna e calamaio da parte e sono andati in pensione, mentre 17.364 lavorano e versano regolarmente i contributi. Dato che la matematica non è un’opinione, rimangono 3.000 persone in cerca di un editore.

-3,8% I contratti di lavoro giornalistico persi nel 2012
-3722 Rapporti di lavoro giornalistico persi dal 2010 a oggi
-292 Licenziamenti, prepensionamenti e contratti non rinnovati nei quotidiani italiani nel 2012
+193% La crescita dei contratti di solidarietà nelle testate italiane nel 2012
+28,3% La crescita dei giornalisti in cassa integrazione
253 Prepensionamenti nel 2012

Stando ai dati dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) i pensionamenti sono aumentati del 4,3% rispetto al 2011, mentre è sceso del 3% il numero dei giornalisti con un contratto.

I dati più allarmanti riguardano la spesa che l’istituto di previdenza ha sostenuto per ammortizzatori sociali come disoccupazione, cassa integrazione e contratti di solidarietà. Con un +43,23% ovvero 7 milioni in più rispetto al 2011, l’Inpgi ha visto crescere la spesa per i trattamenti di disoccupazione del 9,02% rispetto all’anno precedente. La disoccupazione percepita dai giornalisti a causa di licenziamento è aumentata del 35%, e del 9,7% sono aumentati i trattamenti per disoccupazione in seguito a dimissioni.

Significativo è l’aumento del 193% dei contratti di solidarietà, ovvero quegli accordi stipulati tra l’azienda e i sindacati che prevedono meno ore di lavoro (e stipendi ridotti) per favorire le nuove assunzioni, senza ricorrere ai licenziamenti. Sono aumentate rispetto al 2011 anche le spese per la cassa integrazione, che costano all’Inpgi circa 3,6 milioni di euro. Tra i fortunati che sono riusciti a vivere grazie alla propria professione, 6.101 lavorano nel settore dei quotidiani (-1856 rispetto al 2008), 2872 nei periodici (nel 2008 erano 4000) e 935 lavorano nelle agenzie stampa (contro i 1316 del 2006). Non sono invece disponibili i dati scorporati di radio, tv e giornali online.

I numeri della diffusione dei quotidiani non sono più felici, anzi si tratta proprio di quelli più critici. Nella media generale la Fieg (Federazione italiana editori giornali) parla di un calo delle vendite pari al 6% nell’ultimo anno e al 22% dal 2007 a ora. Tradotto in carta, guardando i dati di Prima online, significa che La Repubblica e il Corriere della Sera, da sempre tra i più venduti nelle edicole, hanno perso insieme 463.948 copie. In particolare La Repubblica ha subito un calo di vendite del 42%, mentre il Corriere si ferma a -37%Il Fatto Quotidiano alla nascita vendeva 69.229 copie, oggi 54.035. Libero e Il Giornale hanno perso rispettivamente il 31% e il 43% delle copie.

Qualche segno positivo è rintracciabile tra i numeri dei settimanali, dove Vanity Fair è riuscita ad aumentare il numero di copie di 32.120 unità. Ma al di là di questa nota positiva, lo storico Oggi ha perso il 49%, Panorama il 45%, l’Espresso il 56%. Perfino Topolino – che è appena arrivato al numero 3000 – se la passa male, con un calo del 59%. In generale la stampa periodica ha registrato una riduzione ininterrotta di ricavi, che nel 2012 è arrivata al 9,5%.

Aggiungiamo anche che, proprio quello appena concluso è il primo anno in cui il segno meno è arrivato anche davanti al numero di chi i giornali li comprava tutte le mattine. Se finora l’aumento dei lettori era servito a compensare l’andamento negativo della diffusione delle vendite, adesso il calo di circa un 15% per i quotidiani e del 9,4% per i periodici rende ancora più difficile immaginare una ripresa, almeno in tempi brevi. Inoltre per la prima volta dal 2003, i fondi derivanti dalla pubblicità sono scesi al di sotto degli 8 miliardi di euro, che in termini reali significa una recessione ai livelli del 1991.  Ciò vale per tutti i mezzi di informazione eccetto internet, dove  gli investimenti sono cresciuti del 147%, anche in virtù dei bassi livelli di partenza e dei prezzi. Per tornare ai numeri: gli utenti unici del Corriere.it sono passati dai 963.605 di tre anni fa ai 1.168.112 dello scorso aprile, quelli di Repubblica.it sono 1.515.242, il 18% in più in un triennio. Numeri che non permettono di compensare, con gli introiti pubblicitari pari a 1,3 miliardi di euro, il crollo dell’advertising sulla carta stampata.

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Legnini: “Equo compenso anche senza editori, è il mio dovere” http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/#comments Wed, 12 Jun 2013 07:01:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50786 Ducato: l'importanza dell'accordo sulle tariffe minime per i freelance ("ma se serve più tempo, va concesso"), l'ipotesi di un accordo con Google e l'importanza dell'Ordine dei giornalisti]]>

Il sottosegretario con delega all’editoria Giovanni Legnini

L’equo compenso va attuato con o senza gli editori. Giovanni Legnini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’editoria, sente pesare sulle spalle il dovere dell’attuazione della legge che dovrebbe garantire dei compensi minimi ai freelance. Una legge approvata a gennaio, che prevedeva entro tre mesi i primi risultati, e ad oggi è ancora inattuata.

Legnini vorrebbe tempi brevi e l’accordo di tutte le parti. Un’utopia? Gli abbiamo chiesto come intende muoversi nel mare di questo e degli altri problemi dell’editoria italiana: contributi pubblici alle testate, accordo con Google, crisi della stampa, controllo dell’informazione online e abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Legnini parla della notizia come di una “merce preziosissima” e crede nell’Ordine come la migliore tutela dell’attività giornalistica.

Sottosegretario Legnini, la commissione che dovrebbe definire l’equo compenso per i giornalisti precari non riesce a riunirsi per la mancanza di un delegato unico degli editori. Come pensa di risolvere il problema?
Abbiamo parlato con gli editori per persuaderli a sbloccare questa situazione e abbiamo ricevuto una certa disponibilità. La Commissione è stata riconvocata per giovedì 13 giugno: lì vedremo se questa volontà è concreta. Se dovesse persistere la diserzione, noi andremo avanti ugualmente.

Quindi procederete senza gli editori?
Sono convinto che procederemo con gli editori. Ciò che è certo è che c’è una norma di legge che va attuata. Io sono anche titolare della responsabilità di attuazione del programma di governo: ho il dovere di attuarla. Punto. Se il tema è quello di favorire una più estesa partecipazione degli editori, si possono trovare altre forme, anche di consultazione extra-commissione.

La commissione ha una composizione mista: editori, rappresentanti dell’ordine, sindacati. Quanto tempo ci vorrà per mettere d’accordo tutte le parti?
Fosse per me chiuderei i lavori nel giro di poche settimane. Ma se le parti mi chiedessero più tempo per raggiungere un accordo, io glielo concederei. Ho la ferma intenzione di privilegiare la via negoziale: vorrei che i diversi soggetti si mettessero d’accordo nell’individuare i criteri per l’equo compenso. Se non ci riusciranno, o se non vorranno farlo, o se si creeranno ostacoli, allora individueremo una soluzione che non sia unanime o consensuale.

La norma prevede che le testate che non aderiscono alle tariffe dell’equo compenso perdano i contributi pubblici. Ma il 90% delle testate italiane non li prende. In questo caso, non c’è alcuna sanzione?
Le testate che non accedono ai contributi dovranno applicare la norma comunque. Se non la applicheranno i soggetti eventualmente lesi potranno agire giudizialmente. Il mio timore è che se non si definisce bene la natura giuridica del risultato del lavoro della commissione, possano generarsi dei conflitti: per questo voglio privilegiare il negoziato, così si attenuerebbe il rischio di impugnazione.

I contributi pubblici all’editoria sono un tema molto dibattuto e c’è chi chiede di abolirli del tutto. Ma perché l’industria editoriale deve essere diversa da altri settori e ha bisogno di sostegno? Non può essere autosufficiente?
La ragione giuridica e costituzionale di questo sostegno è favorire il pluralismo. Negli altri settori non si producono idee o notizie, ma beni o servizi: lì la liberalizzazione fa bene al mercato e ai consumatori. Ma qui la merce è preziosissima: è la notizia, l’informazione che orienta l’opinione pubblica. Quindi il trattamento deve essere necessariamente differente.

Lei ha ipotizzato un accordo con Google sul modello francese per sostituire con quei soldi i fondi per il finanziamento pubblico. Ma non c’è il rischio che – invece di aiutare la digitalizzazione dei giornali italiani – così si sovvenzioni la carta stampata, a ‘fondo perduto’ diciamo?
Non è così, non ho mai ipotizzato che con quelle risorse si debba sostituire il finanziamento pubblico e quindi dare soldi alla carta stampata. Quei fondi eventualmente servono per finanziare l’innovazione dell’editoria, non la conservazione. Progetti innovativi, che consentono di accrescere la quota dell’informazione online e di far entrare in questo comparto i giovani, per rendere l’editoria italiana al passo coi tempi, più dinamica, più attrattiva.
Inoltre le eventuali risorse saranno messe a disposizione come corrispettivo del fatto che Google attinge ai prodotti editoriali che oggi si producono: quindi è anche una sorta di compensazione, diciamo così, del diritto d’autore.

Il giornalismo online oggi è meno regolamentato di quello cartaceo, e le leggi sulla stampa creano una disparità di trattamento tra i giornalisti della carta e dell’online. Ci sono delle proposte per disciplinare anche il mondo dell’online e per livellare la normativa rivolta ai giornalisti?
Il fatto che i giornali online crescano è un bene e da parte mia non c’è la volontà – attraverso una migliore regolamentazione – di “controllare” le notizie, come qualcuno ipotizza. Ci mancherebbe altro: io sono un fermissimo assertore del pluralismo, della totale libertà di espressione del pensiero. Detto questo, che ci sia la necessità di un regolamento più preciso sulla nascita e la vita dei giornali online è pacifico. Il fatto che sulla Rete circolino sistematicamente notizie inventate è un problema serio, che impone la rivisitazione della disciplina relativa, anche quella penalistica.

L’Ordine dei giornalisti, come associazione di categoria, riceve molte critiche. Crede che nel prossimo futuro possano esserci proposte per la sua abolizione?
Personalmente credo che gli ordini debbano essere mantenuti per quelle professioni che hanno un rilievo costituzionale; per gli altri settori, no. L’attività giornalistica ha un indiscutibile rilievo costituzionale, e ha bisogno di una regolamentazione e di una tutela. Ogni tanto invochiamo i modelli di altri paesi, ma non è detto che siano migliori dei nostri.

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Notizie disegnate: per gli illustratori un futuro dal tratto incerto http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/notizie-disegnate-per-gli-illustratori-un-futuro-dal-tratto-incerto/42637/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/notizie-disegnate-per-gli-illustratori-un-futuro-dal-tratto-incerto/42637/#comments Sat, 13 Apr 2013 17:04:34 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=42637 Affettare libri, volare via dalla propria mente con un palloncino, stendere un telo con un cielo azzurro in una stanza grigia: nel mondo dell’illustrazione tutto è possibile. Ad una condizione, però: che dietro al disegno si nasconda sempre, nuda e cruda, la realtà.

Ma quanto è difficile la vita per chi ha scelto di raccontare il mondo con matita e colori? “Gli illustratori a tempo pieno in Italia – dichiara Dario Albini ex presidente dell’Associazione illustratori italiani – sono 600 mentre i ‘simpatizzanti’, cioè tutti gli appassionati non professionisti del disegno, sono circa 4000”.

Negli anni, però, sono diminuiti i professionisti del settore: “E’ sempre più difficile campare facendo solo l’illustratore”. Se l’85% degli autori disegna per l’editoria dell’infanzia, “il mondo del giornalismo illustrato in Italia – afferma Dario Albini – occupa solo una piccola fetta, visto che i quotidiani preferiscono le fotografie”.

“Ho sempre disegnato anche da bambino. Mio papà dipingeva per passione: nei weekend la cucina si riempiva di colori”: è stata questa la prima ispirazione che ha fatto di Beppe Giacobbe un illustratore di successo. Pubblicato in cinque nazioni, in Italia collabora con diverse case editrici e testate giornalistiche, tra cui l’inserto culturale “La lettura” del Corriere della Sera. Un lungo percorso iniziato con la cartella degli originali sotto il braccio, quando bastava aprire il proprio portfolio o fare una decina di telefonate per farsi commissionare un lavoro. Oggi tutto è cambiato.

Se gli stipendi fissi sono rari, non è raro trovare giovani promettenti. E’ a loro che Beppe Giacobbe consiglia di mettersi in gioco, soprattutto sul web. “Qualche anno fa, immaginare di lavorare per editori stranieri era quasi impossibile – afferma l’illustratore – dagli anni ’90 in poi, invece, tutto è diventato più facile: la rete ha gettato ponti, ha allargato il mercato”.

Ma cosa possono fare i giovani oltre a puntare sulla tecnologia? Scommettere su se stessi, elaborando uno stile personale che li renda unici agli occhi degli editori. “Aprire la mente, leggere, andare al cinema, arricchirsi, guardare al lavoro di quelli più bravi: sono tutti modi – spiega Giacobbe – per acquisire consapevolezza di quello che si è e di quello che si vuole esprimere. E’ su questo che si forma lo stile”.

È necessario, dunque, creare un archivio culturale dal quale attingere le proprie idee. Tratteggiate sul foglio, e senza l’aiuto di parole, queste idee saranno poi capaci di spiegare la realtà, più di qualsiasi testo. “L’immagine illustrata è un’immagine che diventa a sua volta un commento, è un punto di vista”, afferma Giacobbe. Ma è insostituibile: “E’ quel tipo di linguaggio che nessuna fotografia può eguagliare”.

illustrazioni di Roberto La Forgia e Dario Campagna

La nicchia degli illustratori non è fatta solo da mostri sacri del disegno ma anche da ragazzi giovani, pieni di talento e di tecnica. Tra loro c’è chi coltiva da sempre questa passione come Roberto La Forgia, conosciuto all’estero per le sue illustrazioni, e chi invece ha iniziato a cimentarsi di recente nel disegno.

Uno di questi è Dario Campagna, ‘killer della satira’ e redattore della rivista satirica “Il Male di Vauro e Vincino”. “Ho iniziato come giornalista poi sono passato al disegno – afferma Campagna – mi considero un allievo di Vincino. Sono d’accordo con lui quando dice: ‘Se nella prima pagina di un giornale c’è una vignetta stai sicuro che l’occhio cadrà sempre prima su quella che sul testo’. D’altronde il disegno è la prima forma di comunicazione umana”.

Ma nell’epoca dei social network, dove tutto è veloce e condivisibile, c’è ancora tempo per soffermarsi sulle immagini? Secondo La Forgia, no: “Ormai le immagini non dicono più nulla agli utenti. Bisognerebbe insegnare a comprenderle ai bambini nelle scuole”. Al contrario Dario Campagna crede che l’utente preferisca le immagini a tutto il resto: “Le persone non hanno più tempo di leggere un pezzo di approfondimento. L’immediatezza nelle vignette è fondamentale”.

illustrazione di Beppe Giacobbe

Bisogna, quindi, cercare di essere incisivi. Ma è uno sforzo che spesso non viene ripagato. Ogni mese i disegnatori freelance devono scovare nuovi clienti a fronte di bassi compensi, per via delle vendite scarse di libri e riviste. “Lavorando sia in Francia che in Italia – spiega La Forgia – posso dire che all’estero i lavori vengono pagati un po’ di più, ma lì c’è più concorrenza”. I vignettisti che cercano collaborazioni sono moltissimi: “O sei già conosciuto, magari perché sei esploso sul web – dice Campagna – oppure è molto difficile farsi notare”.

Divisi tra voglia di emergere e una realtà che lascia poco spazio alle speranze, i giovani illustratori disegnano un quadro fosco del proprio futuro. Ma chi ce l’ha fatta li rassicura: “Di cultura si può vivere e sarà sempre di più così – afferma Giacobbe – quando l’Italia finalmente capirà che deve investire sulle sue ricchezze, ci sarà tanto da fare. Tanto da lavorare. Dobbiamo valorizzare quello che abbiamo. Altrimenti siamo proprio dei fessi”.

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Sara ed Emanuele via da Urbino: una città che vive sull’impiego statale http://ifg.uniurb.it/2013/03/25/ducato-online/impiego-statale-o-fuga-dalla-citta-il-dilemma-dei-giovani-urbinati/39594/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/25/ducato-online/impiego-statale-o-fuga-dalla-citta-il-dilemma-dei-giovani-urbinati/39594/#comments Mon, 25 Mar 2013 08:00:01 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39594

Sara Moschini, una giovane urbinate costretta a trasferirsi a Milano per lavorare

URBINO – Sono le cinque e mezza di venerdì pomeriggio. Chiamiamo Sara. È in treno e sta tornando, come tutti i fine settimana, da Milano a Urbino.

Sara ha 32 anni, si è laureata in lingue a Urbino e ha poi seguito un master in lettere. Nel 2006 è andata a fare stage a Bruxelles e Bologna. Aveva 27 anni. Da allora, è tornata a Urbino solo per pochi mesi, lavorando nell’organizzazione di eventi per l’Università. Le sue passioni l’hanno però portata di nuovo lontana dalle Marche. Il mondo della moda e dell’editoria l’ha chiamata a Milano, dove ora lavora per Donnamoderna e Grazia.

La prima cosa che Sara vuole sottolineare è la mancanza di case editrici a Urbino. “Non ci sono possibilità di lavorare nel mondo editoriale – dice Sara – e ancora di più manca il collegamento tra moda ed editoria”. Eppure nella città ducale esiste una scuola di moda. Nelle vicinanze di Urbino ci sono varie aziende del settore, come Piero Guidi.

“Le persone che lavorano in azienda nell’area urbinate ci sono, ma non in città. In molti vanno a Rimini”, sostiene Sara. Il vero problema è l’assenza di lavori creativi. Come esempio Sara porta il caso dei grafici, che in città praticamente non esistono.

Urbino rimane un’isola felice, ma sempre di un’isola si tratta e il problema è proprio quello dell’isolamento. “Gli urbinati hanno paura di rovinare la città con l’industria – continua Sara – e stesso discorso vale per il turismo”.
Parla di un’isola felice anche Emanuele, un ragazzo di 35 anni che lavora a Milano ma che è molto legato a Urbino. La vita l’ha costretto ad abbandonare la sua città, ma la voglia di tornare è tanta. Lo dimostra la sua attività online: Emanuele partecipa a chat e forum su internet e su Facebook, parlando dei problemi del lavoro a Urbino.

Emanuele è andato via  dopo aver concluso i suoi studi universitari. Voleva fare il giornalista o il fotoreporter. Alla fine si è trovato a lavorare nel mondo dello spettacolo. E ora vorrebbe tornare a Urbino, ma non ci sono possibilità di lavorare nel suo settore. L’unica possibilità è inviare il curriculum ad aziende di Pesaro o di Fano. Emanuele, però, ha voluto a tutti i costi che suo figlio nascesse nella città ducale. “È singolare, ma solo fra le mie conoscenze posso contare circa 60 ragazzi urbinati di 30 anni che lavorano e vivono fuori da Urbino”.

Così esordisce Emanuele. Si nota subito che a lui è chiaro il problema: “Urbino ha basato la sua economia solo sullo Stato – scuole, università, ospedale, tribunale. Manca una politica economica strategica”. Ma ora lo Stato ha difficoltà ad assumere. E l’unica vera “industria” di Urbino è l’università.

“Le imprese non vengono incentivate a sufficienza, non esistono vere politiche commerciali”, continua Emanuele. L’unica vera possibilità “non statale” per i lavoratori urbinati è la Benelli. Ma il paradosso è che la fabbrica di armi cerca ingegneri e operai. Peccato che l’università di Urbino non abbia una facoltà di ingegneria e che gli urbinati siano, per lo più, laureati che non puntano a un posto da operaio.

“Mancano, dunque, le aziende che offrono posti di lavoro ai neo-laureati. E manca, di conseguenza, un ipotetico ponte che l’università dovrebbe creare col mondo del lavoro – continua Emanuele – questo, però, non è certamente solo un problema di Urbino”.

Altro spunto interessante emerge dalla “socializzazione online” che Emanuele quotidianamente compie. La sua partecipazione a forum e chat gli ha permesso di sviluppare l’idea che esista una netta frattura generazionale: i giovani fino ai 35-40 anni, infatti, lo sostengono nelle sue critiche alle politiche lavorative del Comune. Diversamente, le persone dai 45 anni in su si mostrano molto conservatrici e vorrebbero che non cambiasse nulla della situazione esistente. “Hanno paura che la città possa rovinarsi con nuove attività commerciali. Il turismo basta e avanza”. Questa è la sua ipotesi.

Urbino è, per lui, “un’isola felice che si regge sull’impiego statale”. Così i meno giovani non si rendono ancora conto della situazione. I loro figli sono ancora piccoli e non hanno necessità di inserirsi nel mondo del lavoro. Ma presto anche loro si troveranno di fronte al problema della mancanza di lavoro e sarebbe opportuno muoversi prima per evitare che questo giorno arrivi.

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Svendita online: i giornali ‘vendono’ reporter e archivi http://ifg.uniurb.it/2013/02/26/ducato-online/svendita-online-i-giornali-vendono-reporter-e-archivi/36157/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/26/ducato-online/svendita-online-i-giornali-vendono-reporter-e-archivi/36157/#comments Tue, 26 Feb 2013 15:03:05 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=36157

Giornali

L’editoria è in crisi, i giornali tagliano drasticamente il personale e i giornalisti sopravvivono contando gli spiccioli guadagnati con un articolo. Chini su grandi tavoli rettangolari, circondati da personale preoccupato e indiscreto,  editori e produttori di tutto il mondo si spremono le meningi cercando un modo per limitare i danni e magari guadagnare qualche soldo. Alcuni professionisti ci sono riusciti e aguzzando l’ingegno, come spesso avviene in caso di necessità, si scopre che la formula vincente si basa su due parole: cambiamento e lettori.

Il giornale olandese De Nieuwe Pers ha creato un’ applicazione che consente ai lettori di abbonarsi non solo all’intera testata ma anche a un singolo giornalista per 2,50 dollari al mese (23 dollari all’anno, 18 euro circa).  Per abbonarsi a tutti i giornalisti il prezzo sale a 50 dollari l’anno (38 euro).  Secondo l’editore del giornale Jan Jaan – Heji  oltre 200 persone avevano già acquistato l’abbonamento meno di 48 ore dopo il lancio dell’applicazione. Considerando che il giornale prende il 75 percento dell’introito per ogni abbonamento, 200 abbonamenti a tutti i giornalisti significano un guadagno pulito di 7.500 dollari al mese in meno di due giorni. La percentuale aumenta a 85 se il numero degli abbonamenti supera i 500.

L’ editore del giornale locale The Dallas Morning News Jim Moroney  ha messo a disposizione anche gli archivi della redazione, per la prima volta in un giornale locale online,  come contenuti aggiuntivi a pagamento tramite paywall. Questo sistema ha permesso al giornale una crescita del 40 percento nel 2009 fino a oggi, con un guadagno sugli abbonamenti totale di  4.000 dollari al mese.

A far quadrare il bilancio dei giornali non c’ è più solo la pubblicità che anzi sta diventando una fonte secondaria. Per aumentare le entrate la maggior parte delle strategie economiche degli editori guarda ai lettori, sia aumentando la diffusione dei contenuti a pagamento, che devono essere nuovi o di forte interesse, e sia chiedendo la partecipazione attiva attraverso il sistema del crowdfunding (donazioni individuali).

Spiega Moroney, durante la Key Executive Media Conference di New Orleans il 20 febbraio 2013 che  “il marketing è diventato una guerra sui contenuti”  e sottolinea come i giornali per sopravvivere “devono far pagare di più gli abbonati, non si può più contare sulla pubblicità”.A dargli ragione è stato il bilancio 2012 del New York Times : per la prima volta le entrate degli abbonamenti (936.264 dollari) hanno superato quelle della pubblicità (883.221 dollari) e il bilancio si è chiuso con un positivo 0,3 percento.

Da questo punto di vista la soluzione di Andrew Sullivan, opinionista dell’americano The Daily Beast, risulta azzeccata. A gennaio del 2013 il giornalista ha lasciato la testata nazionale per creare il suo blog The Dish, convinto del fatto che l’unico business vincente per il giornalismo è quello degli abbonamenti secondo la regola del giusto rapporto qualità – prezzo. Per Sullivan il lettore è nella maggior parte dei casi disposto a spendere il giusto per avere contenuti di qualità e di suo interesse. Facendo pagare ai suoi ‘seguaci’ 19,99 dollari al mese, il giornalista ha guadagnato 100.000 dollari in nemmeno 24 ore dall’annuncio della creazione del blog, arrivando a 400.000 dopo tre giorni.

Ma i lettori possono scegliere anche che tipo di giornalismo vogliono avere. Spot.us è un sito di citizen journalism che vive di  crowdfounding: attraverso piccoli finanziamenti privati la comunità crea reportage di interesse locale. Nel giro di due anni spot.us è riuscito a ricavare oltre 120.000 dollari per finanziare più di 160 reportage investigativi e storie di interesse generale, con un contributo individuale che non supera mai i 65 dollari (circa 50 euro).

Le scelte economiche degli editori dimostrano che allineare le strutture editoriali alle correnti dinamiche di mercato è possibile, ma solo se si è disposti a cambiare e ad affrontare gli imprevisti, come l’andamento dell’economia o l’impatto sui lettori. Due sole sono le certezze: la necessità per il giornalismo di ripensare la propria offerta e di riuscire con il cambiamento a guadagnare la fiducia degli abbonati e i lettori, che dovranno in ogni caso mettere mano alle tasche per avere contenuti di sempre più alta qualità.

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Tipografi ‘di nicchia': due storie per battere la crisi http://ifg.uniurb.it/2013/02/19/ducato-online/tipografi-di-nicchia-due-storie-per-battere-la-crisi/34962/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/19/ducato-online/tipografi-di-nicchia-due-storie-per-battere-la-crisi/34962/#comments Tue, 19 Feb 2013 08:00:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=34962 Con l’incedere del web, la carta stampata è sempre più in crisi. Ma non è sempre vero, non per tutti. A volte un’azienda, con lungimiranza e attenzione, riesce a ritagliarsi un po’ di spazio. Questo sono riuscite a fare due aziende marchigiane: la Rotopress di Loreto e l’Age di Urbino.

Silvia Argalia direttrice dell’AGE

“Il mercato può sopravvivere se facciamo cose diverse, se ognuno si prende una nicchia – sostiene Silvia Argalìa, direttrice della Arti Grafiche Editoriali di Urbino – con la competizione ci massacriamo l’un l’altro”.

Silvia Argalìa da vent’anni dirige l’Age, azienda specializzata nella stampa editoriale (per la trasparenza: è anche la tipografia dove viene stampato Il Ducato cartaceo). Un’attività avviata dal nonno negli anni ‘30 quando, arrivando da Fabriano, decise di trasferire la sua passione per il libro in una città dalla grande tradizione culturale.

Quello editoriale è il settore della stampa che si occupa della stampa in bianco e nero (libri, etc), mentre quello della stampa a colori è rivolto a quotidiani, periodici, dépliant e pubblicità. La crisi iniziata nel 2008 ha colpito fortemente un settore delicato come quello dell’editoria. Ma se il mercato del bianco e nero è tornato nell’ultimo anno a salire di un debole 0,3%, quello della stampa a colori stenta a riprendersi dall’urto; basti pensare che dal 2008 al 2012 la vendita dei quotidiani è scesa più del 12%.

“La crisi che ha colpito il settore della stampa a colori ha assunto proporzioni drammatiche, per sopravvivere occorre iniziativa, per questo abbiamo deciso di diversificare i prodotti” racconta Pierpaolo De Sanctis, direttore generale della Rotopress International .

La Rotopress è una stamperia con sede a Loreto nata nel 2002 che stampa quotidiani come il Corriere Adriatico e il Resto del Carlino. Per fronteggiare la crisi ha deciso di diversificare la produzione allargandola a riviste, cataloghi e volantini pubblicitari. L’intuizione è stata quella di realizzare entrambe le tipologie di prodotti utilizzando la stessa macchina offset.

Pierpaolo De Sanctis nel deposito carta della Rotopress

La rotativa offset che prima veniva attivata soltanto nelle ore notturne per la stampa dei quotidiani, è stata convertita in rotativa ibrida in grado di stampare le riviste su carta patinata durante il giorno. Un espediente che consente di avere una qualità alta per i giornali e comunque media per le riviste.

Accortezza e spregiudicatezza” dice Silvia Argalìa, sono le parole chiave di chi voglia fronteggiare la crisi. Già in passato l’Age aveva fatto di queste parole il proprio cavallo di battaglia “Siamo nel mondo del digitale da 13 anni – ha aggiunto – e nel 2006 siamo stati i primi a sperimentare la stampa inkjet adattata al mercato del libro, mentre prima era applicata solo al mercato del modulo continuo”.

La stampa digitale permette di stampare volumi minori di prodotti, evitando così la costosissima piaga delle giacenze. Sempre più manager sostituiscono i vecchi macchinari offset con quelli digitali: dal 2009 al 2011 il fatturato dei primi è sceso del 41,6%, mentre quello delle macchine digitali è in costante crescita (intorno al 14% annuo).

Ma insieme ai pregi, quello della stampa digitale ha i suoi difetti. “ Il futuro va verso il digitale – spiega De Sanctis – ma abbandonare l’offset per gli strumenti di ultima generazione implicherebbe prima di tutto un cambiamento di mentalità. La digitalizzazione ridurrebbe gli sprechi iniziali di carta ed eviterebbe l’accumulo di copie di scarto, però i costi dei macchinari e soprattutto quelli di manutenzione sarebbero molto pesanti. Gli impiegati che lavorano per la Rotopress oggi sono 68, se venisse avviato il passaggio al digitale sarebbe difficile convertirli tutti al nuovo metodo. Solo due o tre di loro sarebbero pronti ad affrontare questo mondo”.

Il mercato del digitale costringe gli stampatori a una corsa verso la novità, perché, se è vero che in affari bisogna essere prudenti, la spinta verso l’innovazione tecnologica è una gara in cui spesso vince chi arriva per primo. Un deterrente del mondo della nuova stampa è inoltre la qualità del prodotto che, sebbene sia alta, non riesce ancora a eguagliare la qualità della stampa ‘vecchio stile’.

“Adesso che il mercato digitale ha virato verso la stampa inkjet – racconta ancora l’Argalìa – abbiamo deciso di andare ancora una volta in controtendenza. A marzo sarà installato un motore di stampa digitale toner a bobina con una qualità da 1200 dpi. Andare verso l’altissima qualità, e quindi precludersi una fetta di mercato, non significa fare un passo indietro, ma costruirsi una nicchia di consumatori”.

De Sanctis e Argalìa rappresentano le due facce della stampa in tempo di crisi, ed entrambi hanno deciso di andare controcorrente. Il primo decidendo di non cedere il passo al digitale e di differenziare la produzione, l’altra puntando sull’altissima qualità in un momento e in un settore, quello del bianco e nero, che cerca di allargare sempre più il suo raggio d’azione.

Da tempo si discute sul se e sul quando la carta stampata soccomberà all’invasione del web, della crisi e della tendenza globale alla digitalizzazione. Ma forse alcune scelte mirate degli imprenditori del settore e le nuove tecnologie sviluppate per l’analogico, riusciranno a dare una nuova spinta alla cara, vecchia carta stampata.

SCHEDA: LE TECNICHE DI STAMPA PIÚ USATE

Stampa Offset Processo di stampa indiretto che si basa sul fenomeno di repulsione tra acqua e inchiostri. Anziché stampare il foglio a contatto diretto con la lastra di alluminio, la stampa avviene attraverso l’impiego di tre cilindri a contatto tra loro
Stampa digitale Sistema di stampa dove la forma da stampare viene generata attraverso processi elettronici e impressa direttamente sul supporto da stampare. Dato l’elevato costo di queste macchine i principali utilizzatori sono le medie e grosse tipografie che affiancano questo nuovo concetto di stampa alle macchine già presenti, per far fronte alla domanda di prodotti stampati in bassissime tirature antieconomiche sulle classiche macchine offset
Stampa Inkjet Metodo di stampa digitale. Le macchine a getto di inchiostro utilizzano una testina che muovendosi sulla superficie da stampare rilascia l’inchiostro liquido direttamente, attingendolo da appositi serbatoi. La risoluzione e la qualità di stampa di queste testine raggiunge livelli paragonabili alla fotografia tradizionale, ma solamente utilizzando carta la cui superficie sia stata opportunamente trattata per ricevere l’inchiostro. Il problema più grave di questa tecnica è l’essiccamento dell’inchiostro nelle testine, che è frequente causa di malfunzionamenti. Un altro svantaggio è dato dall’elevato costo per copia stampata se confrontato con le altre tecnologie
Stampa inkjet a modulo continuo La stampa su modulo continuo è un servizio richiesto soprattutto per quanto concerne gli adempimenti di carattere fiscale. Questo tipo di stampa consente, infatti, di stampare su fogli uniti tra loro.
Stampa tipografica E’ la tecnologia per produrre testi stampati usando matrici in rilievo (rilievografia) composte di caratteri mobili o di clichès inchiostrati

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