il Ducato » edward snowden http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » edward snowden http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Snowden al Festival: “Democrazie e dittature usano gli stessi metodi di sorveglianza di massa” http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/snowden-al-festival-non-importa-dove-vivi-democrazie-e-dittature-usano-gli-stessi-metodi-di-sorveglianza-di-massa/70979/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/snowden-al-festival-non-importa-dove-vivi-democrazie-e-dittature-usano-gli-stessi-metodi-di-sorveglianza-di-massa/70979/#comments Fri, 17 Apr 2015 22:18:09 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70979 VIDEO L'intervista a Wizner, il suo avvocato]]> snowden_home2

Edward Snowden in collegamento via skype al festival di Perugia

PERUGIA – “Se siete seduti in questa stanza e avete un cellulare in mano, dovete essere consapevoli che il vostro governo sa dove siete. La questione della privacy ci riguarda tutti” così si è rivolto al pubblico del festival del giornalismo di Perugia Edward Snowden, ex informatico dei servizi segreti americani che nel 2013 ha svelato al mondo le attività di controllo di massa dell’intelligence statunitense.

Ora Snowden vive in una località segreta in Russia da dove stasera si è collegato via Skype per discutere di  sorveglianza e privacy insieme al giornalista freelance Fabio Chiusi, al fondatore di Privacy International Simon Davies, a Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone e Andrea Menapace di Cild, a Ben Wizner, consulente legale di Snowden.

In collegamento Skype c’era anche Laura Poitras, la regista premio Oscar del documentario “Citizenfour”, che documenta le riunioni avvenute tra Snowden e Glenn Greenwald ed Ewen MacAskill a cui l’informatico ha fornito le prove delle attività di controllo di massa americane.

La sala dei Notari a Perugia era piena di blogger, giornalisti, curiosi, interessati che hanno fatto più di due ore di fila per assistere al dibattito. Snowden ha risposto alle domande dei moderatori, spiegando perché è fondamentale proteggere i nostri dati e quali sono i pericoli di un sistema di sorveglianza di massa.

“Dobbiamo criptare i nostri dati attraverso sistemi informatici, non importa se viviamo in una società autoritaria o in una democratica. I loro metodi di sorveglianza sono simili – ha spiegato il whistleblower – la differenza è il modo in cui i governi utilizzano i dati raccolti e se lo fanno con un intento politico”.

“Nessuno di noi vuole credere che i governi occidentali democratici abusino dei dati che hanno, il problema però è che potrebbero farlo” ha continuato Snowden. L’evoluzione della tecnologia ha permesso un controllo massiccio, che in termini monetari costa relativamente poco. Il pericolo, secondo Snowden, non è solo che gli stati abusino dei dati. Ad approfittare del sistema possono essere anche i funzionari che lavorano nelle agenzie segrete: “Ci sono stati casi di dipendenti dei servizi segreti che spiavano le proprie mogli, alcuni sono stati scoperti e si sono dovuti licenziare, ma nessuno di loro è finito in tribunale” ha raccontato l’ingegnere informatico statunitense.

Snowden ha parlato anche del suo lavoro nei servizi segreti: “Quando lavoravo negli Stati Uniti passavo le mie giornate a controllare conversazioni private delle persone. Quando fai questo tipo di lavoro, trovi colpevoli anche dove non ci sono, vedi tracce di terrorismo ovunque, questo è il pericolo della sorveglianza di massa. Non importa se hai fatto qualcosa di sbagliato o no, sei sorvegliato e basta. Sei sorvegliato e solo dopo sospettato, mentre dovrebbe essere il contrario. Tutto questo controllo è inutile e non è mai servito ad evitare stragi terroristiche”.

Il dibattito di Perugia si è concluso con una riflessione su cos’è la privacy. “Privacy non è rivelare o no dati, privacy vuol dire potere e democrazia” ha affermato Ben Wizner, avvocato di Snowden. “Privacy è libertà di avere una vita privata e questo è un diritto che solo i cittadini possono far proteggere, non lo stato” ha concluso Snowden.

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Ben Wizner (avvocato di Snowden): “A due anni dal caso Nsa non è troppo tardi per intervenire” http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/ben-wizner-avvocato-di-snowden-a-due-anni-dal-caso-nsa-non-e-troppo-tardi-per-intervenire/70928/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/ben-wizner-avvocato-di-snowden-a-due-anni-dal-caso-nsa-non-e-troppo-tardi-per-intervenire/70928/#comments Fri, 17 Apr 2015 18:05:54 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70928 VIDEO Ben Wizner, legale dell'informatico che ha sfidato gli Stati Uniti rivelando alla stampa gli abusi sulla privacy di milioni di cittadini, spiega al Ducato: "Edward ha portato il tema della sorveglianza agli occhi del mondo. Sta a noi spingere i governi a rimediare" I NOSTRI SERVIZI DA PERUGIA SPECIALE - Sui siti del gruppo Espresso LIVE I NOSTRI TWEET]]> PERUGIA – Lo scandalo Nsa risale al 2013 ma le sue conseguenze sono appena cominciate secondo Ben Wizner, avvocato di Edward Snowden che in un’intervista al Ducato afferma: “Non è troppo tardi per discutere dei metodi di controllo che gli Stati applicano sui cittadini”. A margine della conferenza “Edward Snowden e il dibattito su sorveglianza e privacy”, al Festival del giornalismo di Perugia, il legale dell’ex tecnico di Cia e Nsa ci ha spiegato come il mondo sia solo all’inizio del percorso che dovrebbe portare maggiori diritti ai cittadini.

“La cosa più importante che Edward ha fatto – ha affermato Wizner – è aver portato la questione del controllo governativo all’attenzione di tutti. Ora sta a noi decidere come spingere i governi a legiferare. La cosa fondamentale però è parlarne. Negli Usa il dibattito ha portato a delle riforme del sistema mentre in altri Paesi – come Canada o Francia – i governi sembrano aver assunto persino maggior controllo”.

Il fatto. Nel giugno del 2013 Edward Snowden rivelò al mondo intero i segretissimi programmi di sorveglianza di massa applicati dall’agenzia governativa degli Stati Uniti su milioni di persone. In seguito a questa rivelazione, l’informatico americano stato accusato di aver rubato e rivelato informazioni sensibili alla stampa. Da allora vive in Russia dove ha trovato asilo politico per scampare ad una pena assicurata. “La speranza è di riuscire a riportarlo a casa presto, senza che debba scambiare la sua libertà con una tenuta da carcerato. La sua reputazione nel mondo è straordinaria, superiore a quella che ha negli Stati Uniti”.

Snowden al Festival. A distanza di due anni dalla rivelazione Snowden ha deciso di partecipare in diretta Skype al Festival di Perugia per raccontare la sua storia. L’Italia è uno dei tanti paesi in cui ha fatto richiesta di asilo politico nonostante il suo avvocato non voglia tornare su questa vicenda:” So che quando si trovava intrappolato nell’aeroporto di Mosca ha mandato più di venti richieste ma non ricordo esattamente dove”.

L’hacking made in Italy. Diverse società private, tra le quali l’italiana Hacking Team, sono sospettate di fornire ai governi gli strumenti per spiare e controllare i cittadini. Quello della Dea, l’agenzia antidroga americana, è il primo caso comprovato di un’agenzia statunitense diventata cliente dell’azienda. Alla domanda se sia un rischio che alcune società occidentali forniscano sistemi di controllo ai governi l’avvocato di Snowden ha risposto che è “difficile regolare questo mercato così come lo è per il mercato delle armi. Dobbiamo riflettere seriamente se, come società libere, ci sentiamo a nostro agio con l’idea che alcune nostre aziende favoriscano le dittature in giro per il mondo”.

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“La storia è l’eroina di un cronista”. Addio a David Carr, editorialista del NY Times http://ifg.uniurb.it/2015/02/16/ducato-online/la-storia-e-leroina-di-un-cronista-addio-a-david-carr-editorialista-del-ny-times/65501/ http://ifg.uniurb.it/2015/02/16/ducato-online/la-storia-e-leroina-di-un-cronista-addio-a-david-carr-editorialista-del-ny-times/65501/#comments Mon, 16 Feb 2015 14:24:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=65501 (New York Times)

David Carr (New York Times)

“Il cronista è un eroinomane che si sveglia e sente l’impulso di uscire alla ricerca della droga, poi torna a casa e se le inietta, o inala. Il cronista esce alla ricerca di una storia, poi torna a casa e la scrive, la mette online”. E lui è stato un cronista fino alla fine, all’insegna di questa convinzione: David Carr è morto la sera del 12 febbraio nel suo ufficio del New York Times, dove lavorava dal 2002.

Poco prima aveva partecipato ad un dibattito sul futuro del giornalismo. Poi, tornato nella sua stanza, è caduto a terra, dove lo hanno trovato i colleghi. E’ stato portato al St. Luke’s-Roosevelt Hospital, dove però i medici hanno potuto solo constatare la sua morte, all’età di 58 anni, si ipotizza per un collasso cardiaco.

Le colonne dello storico giornale newyorkese hanno ospitato la sua visione chiara e cristallina di quello che era, e doveva essere il mondo dei mass media. La sua rubrica “The Media Equation” non aveva alcuna pretesa di moralismo, semplicemente raccontava i legami tra l’universo dell’informazione americana e la società, la politica, e l’economia.

Carr ha fatto del suo passato l’inchiesta più bella che potesse scrivere. Nel libro The night of gun, pubblicato nel 2008, il giornalista da intervistatore si è trasformato in intervistato. Nel suo libro, Carr discende nel buio dei suoi ricordi come se raccontasse la storia di una persona estranea, un ‘viaggio’ che lo porta di commissariato in commissariato, tra spacciatori e vittime. La ricerca della verità è il filo conduttore della storia: ha intervistato i suoi pusher, la gente con cui aveva litigato e le donne che aveva picchiato.

La vita privata e quella lavorativa hanno sempre viaggiato sui binari  della ricerca della verità, senza che il treno deragliasse mai verso la presunzione di dire cosa è giusto. David Carr esprimeva la sua opinione sul giornalismo con ironia e con sarcasmo: “Per quel che ne so, il futuro del giornalismo indossa un cartellino e parla su un palco” ha dichiarato poche ore prima di morire durante l’incontro “Citizenfour” con Glenn Greenwald, Laura Poitras, Edward Snowden.

David Carr nasce come cronista in quotidiani locali come il Twin City Reader, o il Washington City Paper. Una propensione innata per le questioni economiche e del mondo dei mass media, che lo portano a trattare di questi temi prima sul The Atlantic Monthly, e poi sul New York Magazine, per poi approdare in pianta stabile nel New York Times dove è diventato un punto di riferimento letto e studiato per chiunque si occupi di media e Internet.

Le immagini di “Page One”, documentario del Times sulla trasformazione delle notizie dalla carta al web, la cui voce narrante era proprio dello stesso Carr, mostrano i segni visibili di malattie e abusi di droga di questo fragile ed esile cinquantenne diventato tuttavia una colonna portante del giornale.

“Questo suo essere schietto a volte lo rendeva brusco, ma era allo stesso tempo spietatamente sincero riguardo se stesso” scrive il New York Times in suo ricordo.

Aveva uno stile spiccio e diretto: famosa la scena in cui, nel documentario, David Carr risponde duramente a Shane Smith, il fondatore di Vice, che aveva parlato superficialmente del lavoro giornalistico del New York Times in Africa. “Prima che a te venisse in mente di andare in Africa quelli del Times erano lì raccontando genocidio dopo genocidio. Metterti un elmetto da safari e filmare un po’ di cacca per terra non ti dà il diritto di insultarci”.

Una penna brillante e un uomo straordinario: così lo ricorda il direttore del Nyt Dean Baquet. “Ci mancherà la sua infinita passione per il giornalismo e per la verità, mancherà ai suoi lettori di tutto il mondo e alle persone che amano il giornalismo”.

In un mondo in continua apnea come quello dell’informazione digitale, le sue riflessioni sul giornalismo erano una boccata d’aria presa a pieni polmoni. Fino al capitolo conclusivo della sua vita.

“Ha capito meglio di chiunque altro quanto il lavoro può essere difficile, solitario, confuso, pieno di tentazioni di cinismo e compromesso”
- Dean Baquet

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Datagate, il ruolo di Snowden e la semantica di uno scandalo http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/#comments Wed, 12 Jun 2013 05:56:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50739 E fu così che uno dei più grandi scandali del mondo, da mediatico, si fece semantico. Come deve essere definito Edward Snowden, l’informatico di 29 anni al centro dello scandalo Datagate e  sulle cui tracce c’è l’intelligence di mezzo mondo? Un informatore? Una talpa? Solo fonte? Il dibattito sul tema è piuttosto acceso.

“’Talpa’ non è il termine adatto – scrive su Repubblica.it Stefania Maurizi – perché Snowden non ha acquisito notizie segrete per fornirle a organizzazioni avversarie o nemiche. Lo ha fatto per la democrazia”. Ma mentre i giornali italiani lo definiscono indiffentemente come “talpa”, la “gola profonda” o “fonte” del Guardian, il quotidiano di Londra decide di chiamarlo con lo stesso appellativo con cui definì Bradley Manning, il soldato dei 700mila documenti segreti spifferati a Wikileaks: whistle-blower. La parola – che curiosamente non ha una traduzione italiana – deriva dall’espressione inglese “blow the whistle” (soffiare il fischietto) e qualifica tutte quelle persone che, a un certo punto, decidono di denunciare le attività illecite commesse dall’organizzazione pubblica o privata per cui lavorano, esponendosi così a ritorsioni o minacce.

Negli Stati Uniti numerose leggi statali e federali sono state fatte a tutela dei whistle-blower, questo per non rendere ancora più arduo trovare qualcuno disposto a denunciare la corruzione, gli illeciti e le attività illegali del proprio datore di lavoro. Ma molti sostengono che nessuna di queste azioni, al momento, è imputabile alla Nsa (National Security Agency) né tantomeno al governo Obama. O comunque non ci sono prove schiaccianti di illeciti.

Snowden, infatti, avrebbe “soltanto” annunciato che i servizi di sicurezza americani, con l’alibi della lotta al terrorismo, controllavano sistematicamente le telefonate e le comunicazioni via internet utilizzando i dati di grandi compagnie come Verizon, Google e Facebook. Ma “questo è perfettamente legale – ha affermato Obama – nessuno ascolta le telefonate dei cittadini americani”. In realtà, sebbene il presidente abbia dichiarato che il programma di raccolta dati è stato “più volte autorizzato dal Congresso con un appoggio bipartisan e che il governo ne è stato sempre tenuto al corrente”, la stampa ha accusato Obamae di aver perso ogni credibilità.

È necessario, secondo i media internazionali, operare una distinzione: una cosa è esporre una politica con cui non si è d’accordo, ben altra cosa è rivelare degli illeciti realmente compiuti. Secondo molti, come detto, il caso di Snowden si avvicina di più alla prima ipotesi. Ecco spiegato, allora,  perché le testate estere hanno avuto qualche piccola esitazione nel categorizzarlo. Ed ecco perché Tom Kent, responsabile degli standard editoriali dell’Associated Press, ha inviato a tutti i redattori un memo con le linee guida con cui accompagnare d’ora in poi il nome di Snowden. “Per quanto eclatanti, non è stato dimostrato che le azioni compiute dall’Agenzia per la sicurezza nazionale esposte da Snowden siano illegali – ha affermato Kent – perciò non dovremmo chiamarlo whistle-blower. Un termine migliore da usare è leaker oppure source”.

Source in italiano è genericamente tradotto come ‘fonte’, mentre manca una parola per tradurre leaker, che deriva da leakfuga di notizie – e indica l’individuo che rilascia, attraverso media o organizzazioni, informazioni riservate o coperte da segreto riguardanti il governo o un’azienda. Meglio ancora, continua Kent nel memo, “dire ciò che hanno fatto ed evitare etichette: ha fatto trapelare, o esposto, o rivelato informazioni classificate”

Ecco il memo integrale dell’Ap, rivelato dall’Huffington Post:

Colleagues,

With two secret-spilling stories in the news — NSA/Snowden and Wikileaks/Manning — let’s review our use of the term “whistle-blower” (hyphenated, per the Stylebook).

A whistle-blower is a person who exposes wrongdoing. It’s not a person who simply asserts that what he has uncovered is illegal or immoral. Whether the actions exposed by Snowden and Manning constitute wrongdoing is hotly contested, so we should not call them whistle-blowers on our own at this point. (Of course, we can quote other people who call them whistle-blowers.)

A better term to use on our own is “leakers.” Or, in our general effort to avoid labels and instead describe behavior, we can simply write what they did: they leaked or exposed or revealed classified information.

Sometimes whether a person is a whistle-blower can be established only some time after the revelations, depending on what wrongdoing is confirmed or how public opinion eventually develops.

Tom

Sono in parecchi adesso ad inseguirlo, compresi gli agenti del “Gruppo Q” della Nsa, una sorta di direzione affari interni il cui unico fine è quello di impedire fughe di notizie e, in caso di fallimento, catturare il colpevole. Ma il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale: Hong Kong è controllata dall’intelligence cinese e proprio le autorità cinesi sono le uniche a poter impedire la sua estradizione. Se così non fosse, Snowden ha già in mente il piano B: volare in Islanda e chiedere asilo politico al paese che più si batte per la libertà su internet. Difficile dire se riuscirà a sfuggire al governo Usa. Se così fosse, più che la “talpa” forse dovrebbe essere  chiamato la “volpe”.

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