il Ducato » fact checking http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » fact checking http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Giocare con serietà: la nuova sfida degli inserti culturali http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/giocare-con-serieta-la-nuova-sfida-degli-inserti-culturali/45290/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/giocare-con-serieta-la-nuova-sfida-degli-inserti-culturali/45290/#comments Sat, 04 May 2013 13:27:19 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45290 VIDEO]]>

“La vivace stagione degli inserti culturali”

URBINO – Pomodori, cotolette cotte male ma firmate Dolce e Gabbana, water dell’aeroporto di Amburgo con una mosca disegnata al loro interno: sembrano notizie utili per riempire i vuoti dei menabò, mentre sono pezzi delle nuove frontiere del giornalismo. Gli inserti culturali, cui oggi è stata dedicata una delle sei conferenze al Legato Albani, devono essere “autorevoli, ma anche giocosi – ha sottolineato Armando Massarenti, de IlSole24Ore – perché la cultura è continuazione del gioco”, capacità di coniugare i saperi con la ludicità.

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Una capacità non da giudicare come forzata apertura ad argomenti più bassi a causa delle sempre meno copie vendute, ma piuttosto da leggere al contrario, come spinta positiva contro l’autoreferenzialità che sta uccidendo il giornalismo culturale. Lo ha detto Roberto Danese, docente della Carlo Bo, riprendendo la lectio di Piero Dorfles che ha aperto la giornata di oggi, e lo ha ribadito Christian Raimo, scrittore e professore di storia e filosofia in un liceo romano.

“Parliamo solo tra di noi – ha sottolineato Danese – ghettizzandoci e impedendo un dialogo aperto con la gente”, mentre Raimo ha inserito l’autoreferenzialità tra le quattro malattie tumorali del giornalismo culturale, assieme all’ufficiostampizzazione, alla narrativizzazione e all’anticipazionismo. Questa è la più insensata, perché “un libro, a differenza di molti altri beni di consumo, è anticiclico”. Il confronto improvvisato da Raimo è tra un ipad e il romanzo di Moby Dick: se il valore del primo tra pochi mesi sarà diminuito, quello del secondo è aumentato nei secoli. Far leva su questo aumento di valore deve essere la nuova sfida dei giornalisti dediti alla cultura, in modo da “sfruttare competenze accademiche trasversali come l’analisi dei testi, senza far prevalere l’impressionismo”.

Il senso delle parole di Raimo è il vettore, l’anello di congiunzione tra i quattro interventi di questo incontro dal titolo “La vivace stagione degli inserti culturali”, per ricordare come la stagionalità della cultura sulla carta stampata, e non solo, debba essere piuttosto un continuum in eterna evoluzione. Fare giornalismo culturale è capacità di “resistere all’aria del tempo, migliorandone la qualità”. Lo ha detto Luca Mastrantonio dal Corriere della Sera, ricordando come “lo spazio culturale dovrebbe sempre essere abitato attivamente, affinché le lucciole di cui parlava Pasolini possano tornare tra i giornali”.

Ma come? Ad esempio twittando per raccontare in modo nuovo il naufragio del Titanic, o raccontando in versi episodi vissuti in Siria, come nei reportage di Franco Targhetta. Mai, invece, come nelle interviste di De Benedetti, “freelance de Il Giornale che se le inventava di sana pianta” – ricorda Raimo – e mai come la bufala di Gramellini a “Che tempo che fa”, dopo il danneggiamento del reattore nucleare di Fukushima nel 2011. Un vecchio operaio senza figli ammalatosi dopo essere andato a spegnere il reattore era in realtà il sindaco di un comune giapponese. Due esempi citati da Raimo per sottolineare come avvicinarsi alla ludicità non significhi rinunciare alla serietà e al fact checking troppo spesso assente nel giornalismo culturale.

Un giornalismo che deve imparare a godere dei cambiamenti, “a sfruttare l’informalità, il fatto che siamo tutti culturalmente bulimici e che sappiamo sempre più gestire compiti non finiti”. Tutto questo affinché si esca “da uno spazio tradizionale che rischia di soffocare”, come ha affermato Danese. Questo docente della Carlo Bo sogna classi di studenti che conoscano gli inserti culturali ed edicolanti che la domenica sappiano vendere la Lettura a chi chiede il Corriere della Sera. Uscire dallo zoccolo duro dei lettori tradizionali, aprirsi alle nuove tecnologie non per fare una fallimentare copia del cartaceo, ma come spazio nuovo e interattivo, dire no ai finti dibattiti e mai alle marchette, giocare senza mescolarsi alla stupidità: realizzare tutto questo è la grande aspirazione del giornalismo culturale italiano.

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Le ‘notizie’ hanno le gambe corte: le sfide di Al Gore e Fabio Fazio http://ifg.uniurb.it/2013/03/23/ducato-online/dallambiente-alla-politica-caccia-alle-panzane-dellinformazione/39898/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/23/ducato-online/dallambiente-alla-politica-caccia-alle-panzane-dellinformazione/39898/#comments Sat, 23 Mar 2013 01:58:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39898 A cercarla nei dizionari italiani, l’espressione “fact checking” non si trova ancora. I vocabolari stranieri, invece, la spiegano bene: il “fact checker” è “colui che verifica le informazioni”. Sviluppatasi negli Stati Uniti, questa pratica di controllo ha assunto nel tempo diverse vesti.

L’ultima novità su questo fronte è “Reality Drop”, una piattaforma di fact checking ideata dal politico statunitense Al Gore e dedicata  all’ambiente. Il funzionamento è semplice: la redazione passa in rassegna le notizie che i media diffondono sul tema del cambiamento climatico verificando quali siano vere e quali siano false. Queste notizie vengono poi riportate sul sito che si divide in varie sezioni: in “Myth and reality”, ad esempio, vengono presentati e smentiti numerosi luoghi comuni sull’ambiente e cliccando su “This myth in the news” è possibile rintracciare anche gli articoli che li hanno riportati.

Gli utenti internet hanno poi un ruolo importante: possono esprimere la propria opinione, facendo sorgere dubbi e contestando le decisioni dei fact checker del sito. Ma non solo. Sono loro a dover decidere, in alcuni casi, se assumersi il compito di diffondere “la verità” sui social network. Più la diffonderanno più accumuleranno punteggio: strutturata come un videogame, la piattaforma classificherà gli utenti in “reclute”, “ispettori” o “detective”. Un ‘premio’, quindi, a cui possono aspirare tutti coloro che contribuiranno a questo processo di diffusione della verità.

Il grosso del lavoro di “smascheramento” delle falsità negli Stati Uniti viene fatto dalle redazioni. I grandi giornali sono dotati, di solito, di grandi dipartimenti che si occupano proprio del controllo dell’informazione e che hanno come obiettivo quello di evitare alla testata brutte figure dovute agli scivoloni di qualche giornalista.

Al lavoro quotidiano delle redazioni, alla professionalità insomma, si sono affiancati nel tempo siti dedicati a questa attività che, particolarmente impegnati nei periodi di campagna elettorale, sono sempre  in prima linea nella battaglia contro le menzogne.

Tra questi, il Washington Post ha aperto il blog The Fact Checker, che assegna da uno a quattro Pinocchi a seconda della gravità della bugia detta, e Thruth Teller, lanciato di recente, che verifica le affermazioni reperite online tramite un avanzato sistema di analisi semantica dei testi. O Polifact.com, vincitore del Premio Pulitzer nel 2008 per la copertura delle elezioni politiche di quell’anno, che si serve del Truth-O-meter, un metro di giudizio della veridicità dei fatti che va da “true” a “pants of fire” (letteralmente “pantaloni in fiamme”), attribuito a chi davvero l’ha sparata grossa.

Ma passare al setaccio le ‘sparate’ dei politici e dei giornali non è un grattacapo solo per gli americani. In Italia, dove le redazioni dei grandi giornali non sono dotate di adeguati “cani da guardia” dell’informazione, il fact checking si sta affermando in ritardo e con qualche gap rispetto al modello americano.

Uno dei siti di fact checking italiani più attivi parte proprio dall’esperienza di Polifact.com: si chiama Pagella Politica e passa al vaglio le dichiarazioni dei politici. Composta da una redazione di non-giornalisti, associa ad ogni notizia una scala di valori che va da “vero” a “c’eri quasi” a “nì” per finire a “Pinocchio andante” e “Panzana pazzesca”.

Un esempio. “La crescita non dà posti di lavoro, li toglie. La Germania, negli ultimi vent’anni, ha raddoppiato la produzione di qualsiasi cosa. I posti di lavoro sono diminuiti del 15%”: ecco una dichiarazione di Beppe Grillo, fatta durante lo Tsunami Tour di inizio anno, bollata come Panzana Pazzesca dalla redazione del sito. Per smentirlo, ecco riportati i dati dell’Eurostat, dell’Ocse e un reportage di Reuters.

“In Italia c’è un grande bisogno di fact checking perché qui, più che in altri paesi, si tende a scrivere le notizie un po’ a ‘tirar via’. I giornali hanno bisogno di vendere e per questo puntano sul titolone”, afferma Davide Maria De Luca, ex studente dell’Ifg di Urbino, fact checker per passione e ora anche per lavoro. Sul Post.it e in tv, il giovane giornalista cerca di fare quello che dovrebbero fare tutti i giornalisti prima di pubblicare una notizia: verificarla.

“E’ una tragedia ogni volta che la Banca d’Italia o l’Istat pubblicano i loro rapporti –continua Davide De Luca – perché i giornali tendono ad interpretare i loro risultati. Quando uscì il rapporto sulla povertà, quasi tutti i giornali titolarono: ‘Il 65% degli italiani non arriva a fine mese’. Ma non era così”.

Controllare tutti i dati, setacciare le fonti, scandagliare le enciclopedie come si faceva un tempo, non è impresa facile. Non tutti i giornalisti hanno il tempo necessario (e la voglia?) per dedicarsi a simili ricerche. Anche se questo dovrebbe essere il loro compito primario.

Il fact checking è poi un’analisi che viaggia su un “secondo piano”, ossia viene sempre dopo la notizia o la dichiarazione che si decide di analizzare. Mentre dovrebbe arrivare prima. “Avremmo bisogno di redazioni più giovani, più numerose, più dinamiche – afferma Davide Maria De Luca – in grado di verificare i fatti in cinque minuti”.

Ma qual è il vero freno allo sviluppo di un fact checking tutto italiano? “Il problema – continua De Luca – è che le notizie verificate non finiscono in prima pagina. Nessuno ha voglia di leggere approfondimenti su un argomento che ha già letto. Anche se quegli approfondimenti rivelano la verità. E’ sempre la notizia sbagliata a raggiungere il pubblico più ampio”.

Quali potrebbero essere, invece, i vantaggi del fact checking? In primo luogo, una pratica del genere potrebbe fare da ‘cane da guardia’ del potere. “Se i politici sentissero ‘il fiato sul collo’ dei giornalisti – afferma Davide Maria De Luca – starebbero più attenti a fare dichiarazioni false, perché saprebbero di poter venire subito smentiti”.

Insomma, starebbero attenti ai “rompiballe”, come vengono appellati i fact checker da Fabio Fazio e Massimo Gramellini, nella puntata di lunedì 18 marzo di Che Tempo che fa. Un tentativo, quello fatto durante la puntata, di portare il fact checking in televisione, con un botta e risposta di notizie lette da uno e smentite dall’altro.

Fazio: “Ultimamente va molto di moda il fact checking…”
Gramellini: “E che cos’è?”
Fazio: “Il fact checking è la verifica dei fatti. Ogni fatto che viene detto, letto, scritto sui giornali c’è qualcuno che lo controlla. Noi abbiamo voluto tradurre in Tv questo fact checking. Però lo abbiamo chiamato in un altro modo. E’ il dialogo tra uno che dice una cosa e un altro che la verifica. Quindi tra un Caccia balle e un Rompi balle“.

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