il Ducato » FNSI http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » FNSI http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Equo compenso per i giornalisti, primo passo in commissione http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/#comments Wed, 29 Jan 2014 15:48:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=55965 LEGGI Figli di un'editoria minore]]> precari_stanca-e1386155609929

Equo compenso per tutti. O meglio, equo compenso per tutti – Atto primo. Stamattina la Commissione all’interno del dipartimento dell’Editoria ha approvato, con sei voti su sette, la delibera quadro che stabilisce che le modalità di attuazione dei compensi minimi per i giornalisti non subordinati.

È un primo passo concreto per l’applicazione della legge 233/2012 che stabilisce la remunerazione proporzionata alla quantità e al lavoro svolto da tutti i freelance e gli autonomi che svolgono lavoro non dipendente nelle testate giornalistiche nazionali, a più di un anno dall’entrata in vigore della norma.

A favore della delibera sei componenti della Commissione: il sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, il presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, il segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, oltre che Paola Urso, rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Eva Spina, rappresentante del Ministero dello sviluppo economico. Unica astenuta durante la votazione la Fieg, Federazione italiana editori giornali

“Si tratta di una decisione molto importante – ha commentato il Sottosegretario Legnini – che andrà completata con la definizione dei parametri numerici dell’applicazione dell’equo compenso. Mi auguro che l’astensione costruttiva delle parti datoriali possa preludere ad una definizione positiva anche della seconda ed ultima decisione che dovrà essere assunta”. Tradotto: sarà possibile terminare i lavori solo se gli editori, come in questo caso, non ostacoleranno i prossimi passaggi.

Rimangono, infatti, da approvare le tabelle contenenti i compensi minimi (fermi al momento al 2007), che dovranno essere prodotte entro il 28 febbraio. Sui parametri economici relativi alle retribuzioni minime dei giornalisti non dipendenti la parola definitiva arriverà il prossimo 10 marzo.

iacopino

Il “tutti” in maiuscolo nel post scritto da Iacopino sul suo profilo Facebook, una volta conclusa la riunione della Commissione non è casuale. Nei giorni scorsi, infatti, era nata una polemica tra il presidente dell’Ordine  e la Fnsi. Il sindacato dei giornalisti voleva escludere dalle tabelle riguardanti i pagamenti minimi, i lavoratori autonomi. “Cioè quasi tutti – ha spiegato al Ducato lo stesso Iacopino – perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato”. Gli editori infatti potrebbero aggirare l’obbligo dell’equo compenso, chiedendo ai lavoratori parasubordinati di aprire una partita Iva.

Ma è la legge stessa che definisce la platea di giornalisti cui è rivolta

“In attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge e’ finalizzata a promuovere l’equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo di cui all’articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”.

Mentre assegna alla Commissione due compiti diversi

  • Definire il compenso minimo per i giornalisti
  • Compilare un elenco di tutte le pubblicazioni (quotidiani, periodici, anche telematici, agenzie stampa, emittenti radiotelevisive) che garantiscono l’equo compenso

LEGGI ANCHE - Figli di un’editoria minore: il compenso per i giornalisti non dipendenti è meno equo

Inoltre la legge 233/2012 prevedeva sia che la Commissione venisse istituita entro trenta giorni dall’entrata in vigore (era il 31 dicembre 2012), sia che questa valutasse i parametri numerici dell’equo compenso entro due mesi dall’insediamento. Da allora di tempo ne è passato.

Un primo passo, anche se tardivo, comunque importante: “L’abolizione della schiavitù – ha scritto oggi sul suo profilo Facebook Enzo Iacopino  – non fa sparire d’incanto i negrieri. Ma per loro sarà molto più dura negare i diritti a chi lavora. Sarà dura anche per quegli editori che non accedono alle varie forme di finanziamento pubblico. I magistrati hanno, adesso, dei riferimenti molto precisi”.

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Figli di un’editoria minore: il compenso per i giornalisti non dipendenti è meno equo http://ifg.uniurb.it/2014/01/15/ducato-online/equo-compenso-giornalisti-iacopino/54445/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/15/ducato-online/equo-compenso-giornalisti-iacopino/54445/#comments Wed, 15 Jan 2014 14:55:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=54445 combo_internaURBINO –  Che differenza c’è tra un giornalista autonomo di una testata cartacea e quello di una testata online? La differenza è che il primo con i suoi articoli potrebbe arrivare a guadagnare più del doppio rispetto al suo collega 2.0. È uno dei punti controversi del dibattito sull’equo compenso per giornalisti freelance e collaboratori autonomi, che si trascina ormai da tempo. Più di un anno fa era stata adottata la legge 233/2012 che ancora oggi non ha trovato piena applicazione. Era stata anche istituita una Commissione all’interno del dipartimento Editoria della presidenza del Consiglio che avrebbe dovuto aggiornare i parametri economici relativi alle retribuzioni minime dei giornalisti non dipendenti, fermi al 2007. Così è stato: i tariffari sono stati stilati, ma l’accordo tra giornalisti ed editori non è stato ancora raggiunto.

Guardando alla nuova tabella dei compensi minimi, pubblicata dall’Ordine dei giornalisti, si nota una significativa differenza, in termini economici, tra le varie tipologie di produzione giornalistica: take di agenzia, fotonotizie, servizi radiofonici, ecc. Tale diversità emerge, ad esempio, tra ciò che verrebbe corrisposto per un articolo destinato al cartaceo (100 euro) e uno realizzato per una testata online (40 euro).

Chi scrive per il web è figlio di un’editoria minore? Come si giustifica questa disparità di trattamento? “Perché si dovrebbe giustificare?”, risponde il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino. Dopo aver sottolineato che esiste una differenza sostanziale che riguarda la disponibilità economica delle diverse testate, dei diversi media, e “una valutazione dei costi dell’avviamento” del tipo di produzione editoriale, ha aggiunto: “È naturale che un articolo scritto per un quotidiano delle dimensioni del Corriere della Sera abbia un compenso diverso rispetto a uno scritto per l’online. Anche perché se aggiorni cinque volte lo stesso pezzo, in teoria, non ti verrebbero corrisposti 40 euro ma 200, dato che l’aggiornamento implica un intervento di lavoro che va compensato. Magari non a prezzo pieno, ma va compensato”.

Come si è detto, per il momento l’accordo sui pagamenti minimi è slittato, se ne riparlerà il prossimo 27 gennaio. Motivo del disaccordo non è la tabella in sé, ma chi ne beneficerebbe. Questo documento, spiega Iacopino, “era stato preparato da due gruppi dell’Ordine: quello dei precari freelance e quello della Carta di Firenze. Il 3 gennaio c’è stato un incontro con il segretario e il presidente della Fsni (Federazione nazionale stampa italiana, ndr), che è anche presidente della Commissione lavoro autonomo. Avevamo convenuto che questa fosse la base comune per un confronto con la Federazione italiana editori giornali (Fieg), in sede di Commissione equo compenso”.

Una posizione condivisa che però sembra esser venuta meno, parzialmente, durante la riunione di due giorni fa, quando c’è stato un repentino cambio di rotta da parte della Fnsi. “Il cambiamento – chiarisce il presidente dell’Ordine – riguarda chi è inserito in quella tabella. Il testo che la Fnsi voleva inserire in delibera durante la riunione escludeva i lavoratori autonomi, cioè quasi tutti. Perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, alla scadenza dello stesso, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato. È evidente, perché se li togli fuori dai minimi…”. In altre parole, Iacopino spiega che tirar fuori dai minimi tariffari gli autonomi equivale a dire agli editori di non rinnovare alla scadenza tutti i contratti in essere, invitando i colleghi ad aprire una partita Iva, “un modo perfetto per aggirare l’equo compenso”.

Il documento di cui si parla, “scritto dalla direzione generale della Fieg, e poi accettato dalla Fsni”, recita: “Per i rapporti di lavoro, i quali, in ragione della completa autonomia di svolgimento della prestazione, sono qualificabili a pieno titolo come autonomi il compenso professionale non si presta ad essere assoggettato ai minimi tariffari, ma resta affidato alla libera contrattazione delle parti, anche nell’ambito di linee guida opportunamente dall’ordinamento professionale”.

Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti un accordo così concepito non s’ha da fare perché “vanifica di fatto la legge sull’equo compenso”. E aggiunge: “Sono sconcertato del fatto che la Fsni non abbia colto il significato di quella proposta della Fieg”. Già lunedì Enzo Iacopino aveva espresso su Facebook il suo disappunto: “Hanno tentato di convincermi in ogni modo che la proposta era conveniente. Per chi? Per gli editori, senza dubbio”. E ancora: “La libera contrattazione si può fare tra parti eguali, non tra giornalisti sfruttati e editori”. È questione di un comma, uno solo, ma cruciale e per trovare una soluzione si terrà una nuova riunione il 27 gennaio. E se il giorno seguente la Commissione non dovesse trovare un accordo, una proposta di retribuzioni condivise, il governo entro il 10 marzo ne presenterà una sua alla stessa commissione per l’approvazione, eventualmente a maggioranza.

Precariato e paghe vergognose sono molto comuni tra i giornalisti. Da qui l’urgenza di mettere nero su bianco un sistema che argini lo sfruttamento della categoria. I numeri parlano chiaro: su 106 mila giornalisti iscritti all’Ordine, solo il 19,1% ha un contratto di lavoro dipendente, 1 su 5, mentre la restante parte, migliaia di colleghi, viene pagata una miseria. “Anche 50 centesimi ad articolo”, sottolinea Enzo Iacopino. Certo, c’è anche chi riesce ad ottenere compensi significativamente più alti, anche a tre cifre. Ma sono in 14.000 ad avere redditi inferiori a 5.000 euro annui lordi. Un lavoratore autonomo o parasubordinato su cinque dichiara compensi compresi tra lo zero e i mille euro all’anno, per una retribuzione media di 433 euro per 2.096 Co.co.co e 477 euro per 3.231 “liberi professionisti” (rapporto Lsdi). Qual è invece il compenso per un “articolo 1”, un assunto? I dati li fornisce l’Fnsi: un redattore con più di 30 mesi ha una retribuzione lorda di 2.177,84 euro mensili (circa 83 euro al giorno); uno con meno di 30 mesi 1.551,61.

I lavoratori hanno diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, lo dice la Costituzione. E 50 centesimi ad articolo non evocano il concetto di dignità, piuttosto ricordano fame e precarietà. E gli editori possono non essere a conoscenza di questa situazione? Iacopino su Facebook scrive: “Bisogna impedire che si comportino come negrieri. Hanno bisogno degli schiavi perché senza di loro i giornali non andrebbero in edicola”.

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Assunzioni in Rai, da giugno ancora nessuna traccia del bando http://ifg.uniurb.it/2014/01/14/ducato-online/assunzioni-in-rai-concorso-annunciato-a-giugno-ma-nessuna-traccia-del-bando/54442/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/14/ducato-online/assunzioni-in-rai-concorso-annunciato-a-giugno-ma-nessuna-traccia-del-bando/54442/#comments Tue, 14 Jan 2014 16:34:32 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=54442 rai_cavalloTempi duri per gli aspiranti giornalisti. Tra crisi economica e editoria a picco, trovare un lavoro in una redazione è diventata un’utopia e il massimo che si possa sperare sono collaborazioni risicate e saltuarie. Per questo motivo la notizia dell’accordo stipulato lo scorso 28 giugno tra la Rai, il sindacato nazionale della Rai Usigrai e la Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa) poteva sembrare una boccata d’ossigeno per tutti i precari e i disoccupati.

Nel  contratto si parlava di stabilizzazione degli interni all’azienda e di nuove assunzioni di giornalisti, sia provenienti “dalle scuole”, sia attraverso un concorso pubblico. In particolare, si legge nell’accordo, “l’Azienda avvierà entro settembre un’iniziativa di selezione pubblica per future esigenze di nuovo personale giornalistico”.

Lo stesso segretario nazionale del Usigrai Vittorio Di Trapani aveva confermato la scadenza a settembre su Facebook mentre il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino aveva scritto sulla stessa piattaforma: “A qualcosa l’incontro con Gubitosi (a.d. della Rai ndr) è servito. Il bando del concorso interno sarà diffuso entro il 15 ottobre (ci sono circa 100 domande) e quello per il concorso generale prima della fine dell’anno”.  Iacopino aggiungeva poi alcune informazioni non ufficiali sul concorso, che dovrebbe essere senza limite di età e destinato al reclutamento di 100 giornalisti da inserire in un bacino al quale la Rai attingerà nei prossimi tre anni.

Purtroppo però settembre è passato già da un pezzo e sul bando Rai ancora nessuna novità. “È in corso una trattativa tra la Rai e l’Usigrai per definire tempi, criteri e modalità – ha detto Di Trapani al Ducato – sono fiducioso che la situazione si risolverà in tempi brevi“.

Come mai dopo sette mesi non si è ancora riusciti a trovare un accordo? “In passato abbiamo avuto esperienza di selezioni bloccate – ha risposto il segretario nazionale – stavolta vogliamo essere sicuri di non incappare in situazioni analoghe e quindi di creare un bando di selezione che rispetti tutti i giusti criteri”.  Di Trapani si riferisce al bando pubblico aperto nel 2010 attraverso il quale l’azienda avrebbe assunto dei giornalisti professionisti residenti nelle 19 sedi regionali Rai e province autonome con contratto a tempo determinato. La selezione però escludeva i residenti nel Lazio perché in quella regione le “eventuali esigenze di personale” sarebbero state soddisfatte “tramite il ricorso a tutte le risorse già utilizzate a tempo determinato a Roma”, si leggeva nell’avviso. Il ricorso al Tar e al Consiglio di Stato da parte di due giornalisti, poi bocciato perché non di competenza di questi due tribunali, ha fatto sospendere il concorso. I lavori per stabilire le caratteristiche del nuovo bando, assicura Di Trapani, sono “intensi” e a un “buon punto”.

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Equo compenso: dopo tre mesi dalla Fieg ancora nessun nome http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/equo-compenso-dopo-tre-mesi-dalla-fieg-ancora-nessun-nome/49508/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/03/ducato-online/equo-compenso-dopo-tre-mesi-dalla-fieg-ancora-nessun-nome/49508/#comments Mon, 03 Jun 2013 15:47:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49508 LEGGI ANCHE Equo compenso: ecco chi decide
La protesta dei precari]]>
URBINO – È ancora al palo la Commissione che ha il compito di stabilire l’equo compenso per i giornalisti freelance e i collaboratori  sprovvisti di un contratto da lavoratore subordinato. Sono passati più di tre mesi dalla prima riunione della commissione, dopo l’approvazione della legge 233/2012 ma la Fieg (federazione italiana editori di giornali) dopo 100 giorni non ha ancora nominato il suo delegato unico.

In vista della riunione che si terrà il 13 giugno, il nuovo sottosegretario all’Editoria del governo, Giovanni Legnini,  ha strigliato il sindacato degli editori con  una dura lettera: fare una scelta subito,  questo il contenuto del messaggio.

Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, ha riportato oggi la notizia su Facebook  (in foto).  “Cento giorni rubati alla vita di migliaia di colleghi”, scrive sul social network.

La commissione è presieduta dal sottosegretario all’editoria Giovanni Legnini ed è composta da Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani), Giovanni Rossi, segretario generale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) e dallo stesso Enzo Iacopino. L’unico nome che manca è proprio quello espresso dal sindacato degli editori, quelli cioè che in futuro dovranno rispettare il vincolo imposto di un ‘prezziario’ o comunque di un minimo compenso per la prestazione giornalistica.

Francesco Cipriani, responsabile dell’area lavoro e welfare della Federazione,  contattato a inizio maggio dopo la nomina di Legnini, aveva detto che la riunione per la scelta del delegato sarebbe avvenuta entro pochi giorni. “È come chiedere a Confindustria, Confapi, Confartigianato, quattro, cinque associazioni di designare un unico rappresentante” aveva dichiarato a fine aprile Arcangelo Iannace, responsabile relazioni esterne dell’associazione degli editori.

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Per un pugno di euro: quando freelance vuol dire sfruttato http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/#comments Thu, 25 Apr 2013 00:26:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44703

Ernest Hemingway

C’era una volta il freelance. Si potrebbe cominciare il pezzo così ma già al secondo periodo bisognerebbe cambiare soggetto perché pare che di freelance in Italia non ce ne siano quasi più. Almeno non di quelli che potremmo definire puri.

Se freelance è il giornalista libero professionista che scova le notizie, le confeziona e le vende a più committenti traendone una commisurata e consistente retribuzione, allora possiamo dire con certezza che l’Italia non è un paese per freelance.

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

“Prima – spiega la Calicchio – il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi – continua la giornalista – di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi”.

L’INTERVISTA “Altro che libertà, siamo solo collaboratori sottopagati”

DI LIBERO C’E’ SOLO IL FREE DEL NOME
“La scelta di essere indipendenti e autonomi  – afferma Giovanni Rossi, presidente della Fnsi, Federazione nazionale stampa italiana – è patrimonio di pochissimi colleghi, ammesso che ce ne siano. Ci sono giornalisti che aspirano a rimanere senza vincoli ma non di certo tra le ultime generazioni: per questi lo stato di lavoratore indipendente è obbligato. Non si trova lavoro all’interno delle redazioni, perciò se si vuole fare questo lavoro non c’è alternativa: lo si fa da autonomo o da falso autonomo”.

I giornalisti freelance nella Penisola sono tanti e farne una stima puntuale è quasi impossibile: giovani o meno giovani obbligati all’indipendenza, sottopagati – o non pagati affatto – che vedono ogni giorno svilita la propria professione e la propria dignità lavorativa.

“I freelance in genere – continua Giovanni Rossi – hanno diversi committenti. Se un giornalista lavora tutto il giorno per un solo committente, e magari lo fa pure da casa, in realtà è di fatto un lavoratore dipendente. E questo è il caso anche di giornalisti precari in nero che affollano le redazioni”.

Una falla nel sistema evidenziata anche da Stefano Tesi, giornalista che ha lanciato nel suo blog un censimento di giornalisti freelance italiani: “Sui 2000 stimati hanno risposto solo in 57. E perché? Perché molti non sanno neanche cosa voglia dire freelance o, se lo sanno, scoprono di non esserlo. Mi pare – continua Tesi – che ci sia la volontà di non fare emergere l’esistenza di categorie diverse di giornalisti da quelle codificate e riconosciute finora”.

Lavoro autonomo e lavoro precario dovrebbero essere sue cose distinte”, afferma Giovanni Rossi, che esprime la necessità di convocare gli stati generali dell’informazione precaria per conoscere in profondità il fenomeno, monitorarlo e normarlo nel modo più giusto possibile. “Abbiamo chiesto alla Giunta esecutiva federale di convocare gli stati generali o il 26 e 27 giugno o l’11 e il 12 luglio. Abbiamo raccolto diverse sottoscrizioni – continua Rossi – ma adesso sta alla Giunta deliberare”.

Fabrizio Morviducci, giornalista toscano dell’Osservatorio sul precariato dell’Ordine che ha sottoscritto l’appello della Fnsi, ribadisce quest’anomalia tutta italiana:  “I freelance sono una fetta del precariato. Sono persone che svolgono lavoro a tempo pieno ma in condizioni non dignitose. Fino a quando ci saranno persone che pensano di poter scrivere senza remunerazione solo in cambio di visibilità, non andremo molto lontano. Lo slogan del coordinamento dei giornalisti precari pugliesi è sacrosanto: l’informazione non è un hobby”.

SCRIVERE PER LA GLORIA
La visibilità è il panem et circensem che gli editori elargiscono ai giornalisti precari adducendo la scusa – in buona parte fondata – della crisi che sta investendo ormai da anni il settore. Ma molti non ci stanno più e denunciano con i mezzi più disparati. E’ di pochi giorni fa la notizia di un giornalista americano Nate Thayer che ha pubblicato online la conversazione con Olga Khazan, editor de The Atlantic che gli aveva chiesto di inserire un suo pezzo sui rapporti tra basket e diplomazia con la Corea del Nord a titolo gratuito.

La lettera ricevuta dal The Atlantic e resa pubblica da Thayer: “Grazie per la risposta. Per il fine settimana? 1200 parole? Purtroppo non possiamo pagarti, ma raggiungiamo 13 milioni di lettori al mese. Capirei se questo accordo non ti interessasse, ma volevo sapere se eri interessato. Grazie per il tuo tempo, bellissimo articolo!

Svilimento della professione che vola anche oltreoceano e arriva in Italia. Gabriele Barbati, giornalista freelance corrispondente dalla Striscia di Gaza che ha scritto a Franco Abruzzo per lamentare la scarsa considerazione e le remunerazioni inique o inesistenti da parte dei media italiani.

LA RETE NON E’ UN POSTO FREELANCE-FRIENDLY
A mettercisi di mezzo è poi anche la Rete che lungi dall’essere risorsa, spesso si trasforma in vetrina abbagliante e luogo di sfruttamento dei giornalisti appassionati che esercitano la professione.

Il web è frontiera – afferma Morviducci – è il futuro ma al momento è solo far west, non ci sono margini definiti. La gente non è incline a pagare contenuti in rete. Proprio per questo è lì che assistiamo a forme di precariato ancora più striscianti rispetto alle testate tradizionali”.

Una delle grandi pecche del giornalismo online, sarebbe secondo Rossi, la mancanza di un giornalismo ‘industriale’, ovvero “un giornalismo professionista che consente a chi lo esercita di trarre un reddito sufficiente per la vita sua e della sua famiglia”.

Secondo Stefano Corradino, presidente dell’associazione Articolo 21, “se effettivamente nel 2043 l’ultima copia del New York Times verrà stampata, decretando la fine del giornale cartaceo, la situazione è destinata a peggiorare progressivamente. Già oggi – continua Corradino – le testate giornalistiche locali esercitano vere e proprie forme di caporalato, marciando sulla passione connaturata a questo mestiere”.

TUTELE DI UNA CATEGORIA “INDIVIDUALISTICA”
Di fronte a una situazione caotica e di indiscriminato precariato e svilimento della professione, ci si chiede quali tutele abbiano i freelance. “Sulla carta ne avrebbero anche – afferma Rossi – ma se prendiamo il caso della recente riforma del lavoro introdotta dal Ministro Fornero ci accorgiamo che non è così. Questa infatti prevede – continua Rossi – che le partite iva il cui reddito deriva per l’85% da un solo committente siano dichiarate false e che il lavoratore venga assunto. Questo chiaramente vale per tutti meno che per i giornalisti”.

Eppure sembra che ci siano frizioni anche all’interno della stessa categoria: “Il sindacato deve assolvere alla sua missione – spiega Morviducci – ovvero garantire diritti a chi non ne ha. Attualmente noi abbiamo una fetta minoritaria di persone tutelate dal sindacato a fronte di una massa critica di colleghi che stanno fuori, i quali non solo non hanno diritti ma non hanno nemmeno la più lontana ipotesi di averne nel medio termine”.

“Articolo 21 lavora proprio per costruire anche una sorta di solidarietà mediatica da parte dei colleghi – dice Corradino – nei confronti dei giornalisti precari che si trovano spesso isolati all’interno delle redazioni e che sono più ricattabili e oggetto di intimidazioni e querele”.

Passi in avanti sono stati fatti e anche di una certa importanza. La Carta deontologica di Firenze, che regolamenta lo sfruttamento del precariato giornalistico e l’approvazione della legge sull’equo compenso sono due punte di una battaglia combattuta da tanti per riconoscere dignità a una professione delegittimata a più livelli e da più attori del vivere civile.

LEGGI Equo compenso, è tutto fermo: manca ancora il delegato Fieg

“Con la Carta di Firenze abbiamo voluto fare passare il messaggio – spiega Morviducci – che sfruttare i colleghi è disdicevole e sanzionabile a livello deontologico”. Ma anche queste conquiste rischiano di rimanere vane se non si monitora lo stato attuale delle diverse professionalità.

“L’equo compenso non è una soluzione al problema dei lavoratori in nero – afferma Rossi – né di quello dei precari. Vale per i freelance, ma se uno lavora a tempo pieno per una redazione non è un freelance e va contrattualizzato”.

Per cambiare il sistema dall’interno e richiamare l’attenzione sul tema del precariato, poi, alcuni giornalisti precari hanno deciso di candidarsi alle prossime elezioni dell’Ordine. Ciro Pellegrino è uno di questi: “La candidatura è nata da un’esigenza, ovvero perché chi si era candidato a governare l’Ordine regionale, pur avendo preso in considerazione il discorso dei precari non aveva deciso ancora di abbracciare in maniera forte la causa”.

Nelle intenzioni di Pellegrino c’è quella di porre in agenda le tematiche scottanti che riguardano la categoria a prescindere dall’elezione o meno. Per questo insieme al Coordinamento dei giornalisti precari campani hanno scelto di proporre dei video di campagna elettorale – uno dei quali presentato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – per suscitare la curiosità di un pubblico sempre più vasto.

IDEE CHE CAMBIANO LA PROFESSIONE
Esistono poi delle realtà di reazione alla crisi dilagante che fanno ben sperare per il futuro e che danno il polso della passione che muove questa professione. E’ il caso di esperienze come quella di Next New Media, service giornalistico multimediale che offre servizi giornalistici per qualsiasi piattaforma.

Andrea Battistuzzi, uno dei fondatori, racconta: “Ho fatto diverse esperienze di precariato giornalistico fino ad arrivare alla constatazione che il mercato del lavoro italiano per questo settore non va. Così abbiamo deciso di mettere insieme un network di professionisti dell’informazione che realizzassero contenuti multimediali, rispondendo così alla necessità di molte testate giornalistiche che vogliono essere presenti sul web ma non ne hanno i mezzi o le risorse”.

Come qualsiasi freelance, sfruttando i contatti a disposizione, la redazione di Next New Media è riuscita a imporsi nel mercato e a prendere diversi appalti per la gestione di intere testate o di canali tematici di queste. “Abbiamo reso più stabile la professione del freelance – spiega Battistuzzi – l’abbiamo industrializzato, creando una struttura imprenditoriale in quello che il freelance in genere fa autonomamente”.

Next New Media non è l’unica realtà a porsi in questo modo nel mercato dell’informazione: Spazi Inclusi e Fps Media per l’Italia applicano la stessa mentalità imprenditoriale alla professione, seppur declinandola in maniera diversa.

Ad esempio, Fps Media, costituita da un gruppo di professionisti provenienti dalla scuola di giornalismo Carlo De Martino di Milano, realizza inchieste e servizi multimediali messi a disposizione delle grandi testate giornalistiche italiane.

Anche Spazi inclusi, uno studio associato torinese che si occupa di fornire contenuti multimediali per testate giornalistiche oltre a creare progetti editoriali – dai contenuti alla grafica – per enti e aziende, nasce nel 2011 come reazione a un mercato del lavoro che sbarra le porte ai freelance. “In Italia freelance non vuol dire libero professionista, al massimo sfigato. Essere assunti – dice Clara Attene, una delle socie di Spazi Inclusi – è molto più che un terno al lotto. Così visto che collaboravo per il Sole 24 Ore, dividendo fisicamente la scrivania con una collega oltre che condividendo i lavori, abbiamo deciso di metterci in proprio e continuare a fare quello che avevamo sempre fatto in un modo diverso: più stimolante, più libero e flessibile”.

Sfruttando i contatti raccolti durante l’attività di freelance e partecipando a eventi-vetrina come la Social media week, lentamente Spazi Inclusi ha cominciato a farsi conoscere. “Lavorare con le redazioni implica una pratica di educazione reciproca – continua Attene – non è facile estendere il rapporto di fiducia personale costruito negli anni al resto del gruppo. Ma è proprio questo il punto di forza di Spazi Inclusi: il freelance da solo magari riesce a prendere un certo numero di lavori e con quelli non è detto riesca a vivere. Lavorando all’interno di un gruppo ci si organizza e dove non arriva uno va l’altro garantendo sempre la massima professionalità. Io mi alzo la mattina e sono contenta di lavorare in un posto che ho contribuito a creare. Non so se sarebbe così lavorando in una redazione”.

All’estero invece è di nuovo conio Newsmodo, una piattaforma web fondata dal giornalista australiano Rakhal Ebeli, che collega i media attraverso una rete mondiale a professionisti dell’informazione. Una piattaforma di committenza e vendita, secondo le regole della deontologia che si sta espandendo in Europa, America, Medio Oriente e Asia.

In uno scenario simile verrebbe voglia di pensare che, come sottolineava ieri il Wall Street Journal, fare il giornalista sia il mestiere peggiore del mondo. “Terzani diceva di voler fare il giornalista – racconta Morviducci – perché gli piaceva l’idea di avere un posto in prima fila sui fatti del mondo. A mio avviso, vale ancora la pena fare questo lavoro: è un esercizio di intelligenza e permette di essere meno indottrinabile di tanti altri cittadini”.

Sullo stesso argomento:

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Riforma Fornero anche per i giornalisti. Ma le tutele restano forti http://ifg.uniurb.it/2012/04/17/ducato-online/la-riforma-fornero-si-applica-anche-ai-giornalisti-ma-le-tutele-restano-forti/31185/ http://ifg.uniurb.it/2012/04/17/ducato-online/la-riforma-fornero-si-applica-anche-ai-giornalisti-ma-le-tutele-restano-forti/31185/#comments Tue, 17 Apr 2012 16:40:01 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=31185

Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi

URBINO – La riforma del lavoro voluta dal ministro Fornero è stata per settimane un argomento chiacchierato in quasi tutte le redazioni. “Al centro del dibattito”, come diremmo noi giornalisti, le modifiche all’articolo 18.

Il timore era che la riforma falcidiasse con raffiche di licenziamenti le redazioni dei principali giornali e media. Redazioni che, diciamocelo, un po’ troppo piene lo sono davvero, rispetto ad altri paesi: lo abbiamo scritto qui.

Sono state fatte parecchie speculazioni: dall’estremo di chi ha sostenuto che dalla riforma Fornero fossero esclusi gli iscritti agli albi professionali (e quindi anche i giornalisti) a quello di chi, come Massimo d’Alema, ha lanciato l’inquietante monito: “Sarete i primi ad essere licenziati!” (intendendo i giornalisti). Dimenticando forse per un attimo che giornalista lo è anche lui.

Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi, sindacato unico dei giornalisti italiani, fa un po’ di chiarezza. “Lo statuto dei lavoratori si applica ai lavoratori subordinati – spiega Tartaglia – quindi si applica appieno ai giornalisti”.

Ne discende che ai giornalisti si applica l’articolo 18 con tutte le sue eventuali modifiche. Le voci secondo cui gli iscritti agli Albi erano destinati a schivare la riforma Fornero sono prive di fondamento, afferma Tartaglia.

Ma nessuna paura: non è ancora giunto il momento di svuotare le scrivanie. “La modifica dell’articolo 18 non incide affatto”, afferma ancora Tartaglia. Facciamo l’esempio di un’azienda editoriale che si voglia liberare, per motivi economici, di una decina di dipendenti. Questa azienda “dovrebbe per forza presentare un piano di riorganizzazione, un piano dettagliato. Occorrerebbe un accordo con il Comitato di redazione. C’è un percorso previsto dalla contrattazione collettiva. Non ci si può alzare una mattina e decidere di licenziare dieci persone perché non è previsto dal contratto”.

Insomma: a proteggere l’inviolabilità del posto in redazione non è soltanto il fragile scudo dell’articolo 18. Nel contratto nazionale giornalistico ci sono ben altre armi che tutelano le ‘cadreghe’ dei giornalisti. “Ci sono procedure – spiega ancora il direttore dell’Fnsi – che vanno rispettate. In caso contrario l’azienda può essere condannata per comportamento antisindacale e costretta a reintegrare tutti i giornalisti licenziati”. E queste procedure, senza farla tanto lunga, sono piuttosto complesse e prevedono una costante consultazione tra l’editore e i giornalisti, rappresentati dal sindacato e dai comitati di redazione (l’organo sindacale che viene eletto dai giornalisti di una testata) .

C’è una minaccia in più per i giornalisti però: si può essere licenziati per motivi tecnico-professionali, cioè perché il tal giornalista lavora poco o male. Ma le procedure non sono molto più semplici. Intanto l’unico che può decidere in proposito è il direttore (non l’editore, quindi). E una volta che avesse deciso di licenziare Caio sarebbe obbligato a chiedere cosa ne pensi il cdr, il cui parere non è vincolante. Ma se il direttore procedesse con il licenziamento, il giornalista potrebbe ricorrere a un giudice del lavoro. Il quale sentirebbe nuovamente il parere del comitato. E se i compagni di redazione del giornalista sostenessero che si tratta di un ottimo professionista licenziato “senza giusta causa”,  ci sarebbero buone probabilità di un reintegro.

La riforma Fornero – almeno per i giornalisti – è quindi gattopardesca: sembra che tutto cambi, per non cambiare nulla.

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Donne giornaliste, i numeri lievitano ma pochi nomi rosa ai vertici http://ifg.uniurb.it/2012/03/07/ducato-online/donne-giornaliste-i-numeri-lievitano-ma-pochi-nomi-rosa-ai-vertici/27477/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/07/ducato-online/donne-giornaliste-i-numeri-lievitano-ma-pochi-nomi-rosa-ai-vertici/27477/#comments Wed, 07 Mar 2012 13:54:32 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27477 LEGGI Lucia Visca (Fnsi): "Chiediamo parità"]]>

Norma Rangeri, direttore del Manifesto

URBINO – Donne e giornalismo. Il binomio funziona alla base della professione, ma i vertici le testate rimangono al maschile. Se da un lato le donne giornaliste aumentano di anno in anno, dall’altro faticano a conquistare i ruoli di responsabilità, hanno salari più bassi e carriere molto spesso congelate.

QUOTE ROSA – In Germania una mobilitazione a favore delle quote rosa si sta attivando tra le giornaliste tedesche. Pochi giorni fa, 250 tra editori, direttori di testate ed emittenti televisive hanno ricevuto una lettera, firmata da 350 reporter e conduttrici, con la richiesta di garantire alle donne il 30% delle posizioni di responsabilità nel mondo dell’informazione.

L’auspicio è di raggiungere il traguardo in cinque anni, ma l’impresa sembra piuttosto difficile visto che oggi solo il 2% dei direttori sono donne tra gli oltre 360 quotidiani e settimanali.

L’Italia, invece, punta al 50% di poltrone importanti sia all’interno delle aziende, sia negli organi di rappresentanza. Una battaglia che la Commissione Pari Opportunità della Federazione nazionale della stampa italiana sta combattendo dal 2009.

LEGGI Il presidente Lucia Visca: “Chiediamo parità di rappresentanza, salari e carriere”

I DATI DEL 2010 – Le donne giornaliste con contratto di lavoro subordinato iscritte all’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) sono il 37,72%, ossia 11.016 su un totale di 26.552. Il numero è raddoppiato in termini assoluti rispetto a dieci anni fa, quando erano 5.592 e rappresentavano il 33,93% della professione.

Nel lavoro autonomo i numeri sono lievitati di più. Le donne iscritte all’Inpgi2 (Gestione previdenziale separata per i liberi professionisti) sono 13.444, il 42% del totale, il 6% in più rispetto al 2000 quando erano appena 3.362.

Sedia rosa nella direzione di quasi il 21% delle testate: 104 su 501.  
LEGGI Lavoro subordinato e autonomo: le giornaliste crescono del 97% e 300%

CARTA, RADIO E TV - Osservando i dati colpisce il netto squilibrio tra i direttori uomini e donne: 10 i quotidiani guidati da donne a fronte di ben 124 diretti da uomini. Comunque il trend è positivo: nel 2008 le sedie femminili erano 5, l’anno dopo 8. Alla vicedirezione troviamo 9 donne nel 2010, cinque in più rispetto al 2009.

Le caporedattrici sono 80, numero esiguo rispetto ai 445 uomini. Diminuiscono le direzioni femminili dei periodici, dalle 82 del 2008 alle 67 di due anni dopo, stabili a 30 unità le vicedirettrici.

La Rai rimane un’azienda al maschile, almeno nelle posizioni che contano: se nel 2008 erano 3 i direttori donna su 19, due anni dopo ne è rimasta solo una su 12; sempre 3 i vicedirettori che, però, sono diminuiti da 42 a 36.

Il grosso dei numeri femminili sta nei redattori ordinari, che sono 480 contro 418 uomini. Restano maschili i ruoli del corrispondente (solo una donna a fronte di 10 uomini) e dell’inviato (25 donne e 60 uomini). Tra 43 emittenti radio e tv private, erano 8 le donne direttore, una in più rispetto al 2008. Aumentano da 3 a 7 i vicedirettori in rosa.

Nulla si muove nelle agenzie di stampa: cinque erano nel 2008 e cinque sono rimaste su 18 testate. Raddoppiate le giornaliste nel Consiglio generale dell’Inpgi che sono passate da sette a 19 per la Gestione principale. Scendono da quattro a due invece le elette nella Gestione Separata.

LE GERENZE – Spulciando le struttura delle redazioni dei 10 principali quotidiani italiani (il Corriere della Sera, La Repubblica, il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Messaggero, l’Unità, il Manifesto, il Giornale, il Riformista e Libero) spunta solo il nome di Norma Rangeri alla direzione del Manifesto. Dopo l’addio di Concita di Gregorio all’Unità, prima direzione femminine della storia del giornale, è tornato un uomo, Claudio Sardo, ad occupare la sedia. Tra i vicedirettori troviamo Barbara Stefanelli, una dei quattro vice del Corriere della Sera.

Nella categoria dei periodici qualche nome femminile in più. Tra nove settimanali (L’Espresso, Panorama, Internazionale, il Venerdì, Vanity Fair, Tv sorrisi e canzoni, Famiglia cristiana, Gente e Oggi), solo Monica Mosca a Gente occupa la poltrona della direzione.

Daniela Hamaui è direttore editoriale dei periodici della Repubblica dopo aver ricoperto il ruolo di direttore a L’Espresso, dove oggi Loredana Bartoletti coordina l’Ufficio centrale. Rosanna Mani, invece, è condirettore di Tv Sorrisi e Canzoni e Roberta Visco è uno dei due capiredattori del Venerdì.

A Vanity Fair Michela Gattermayer è vicedirettore style e immagine, mentre Ingrid Sischy e Sandra Brant sono International editors. Due vicedirettori donne su quattro all’Internazionale, Elena Boille e Chiara Nielsen.

Un po’ più rosa è il colore della televisione. Due direttori donne: Bianca Berlinguer dal 2009 al Tg3 e Sara Eugenia Varetto dal 2011 a Sky Tg 24. Tra i vicedirettori troviamo Susanna Petruni al Tg1, Ida Colucci al Tg2, Cesara Buonamici al Tg5 e Anna Brogliato a Studio Aperto. Nei posti alti di Rai News solo il nome di Raffaella Soleri come caporedattore.

PERIODICI FEMMINILI – Una piccola isola tutta al femminile è rappresentata dai periodici rivolti al mondo delle donne. Riviste patinate dove la gonna è al comando. Ecco le direttrici dei periodici rosa più famosi: Cristina Lucchini (Amica), Raffaella Carretta (Gioia), Maria Latella (A), Diamante D’Alessio (Io donna), Cristina Guardinelli (D – Donna di Repubblica), Vera Montanari (Grazia), Antonella Antonelli (Marie claire), Valeria Corbetta (Myself), Franca Sozzani (Vogue Italia), Daniela Hamaui (Velvet), Patrizia Avoledo (Donna Moderna), Danda Santini (Elle), Paola Centomo (Glamour).

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“Rappresentanza, carriere e salari: vogliamo il 50% di quote rosa” http://ifg.uniurb.it/2012/03/07/ducato-online/rappresentanza-carriere-e-salari-vogliamo-il-50-di-quote-rosa/27518/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/07/ducato-online/rappresentanza-carriere-e-salari-vogliamo-il-50-di-quote-rosa/27518/#comments Wed, 07 Mar 2012 13:33:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27518 URBINO – “Anche in Italia c’è bisogno di quote rose nei piani alti del giornalismo. Stiamo combattendo per ottenere il 50% di presenza nelle posizioni di responsabilità”. Lo rivendica Lucia Visca, presidente della Commissione Pari opportunità della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana).

LEGGI Sempre più donne, ma poche ai vertici

Di fronte a un mondo dell’informazione dominato dalla presenza degli uomini nei ruoli di comando, le giornaliste chiedono un peso maggiore. “Oggi le donne rappresentano – spiega la Visca – circa la metà della professione, ma ancora non hanno gli stessi stipendi né le stesse possibilità di avanzamento di carriera degli uomini”.

Quali sono le vostre richieste?
“Dal 2009 stiamo portando avanti una vera battaglia per avere una rappresentanza, dei salari e delle prospettive professionali che rispecchino la situazione reale. L’obiettivo è arrivare a conquistare una presenza davvero significativa sia nei vertici delle aziende, sia negli enti di rappresentanza. E’ il primo passo per riuscire a sbloccare gli avanzamenti di carriera e, di conseguenza, raggiungere salari che grazie alla parte variabile siano paragonabili a quelli degli uomini”.

Qualcosa è cambiato in questi anni?
“Sì, la situazione si sta muovendo, ma molto, troppo lentamente. I risultati più soddisfacenti li abbiamo avuti sul piano della democrazia interna e dei rapporti con i colleghi maschi. Pochi sono gli effetti concreti, ci vorrà un intero ricambio generazionale prima di arrivare al 50% nei posti che contano. Si parla di ancora almeno dieci anni”.

LEGGI Lavoro subordinato e autonomo: le giornaliste crescono del 97% e 300%

Quali sono le difficoltà più grandi?
“Sarà più difficile ottenere risultati negli organi di rappresentanza che all’interno delle testate. Se nelle aziende la scalata è necessariamente connessa alla nostra presenza sempre più numerosa, nelle rappresentanze deve cambiare completamente la mentalità. Spesso infatti sono le donne stesse a tirare il freno, perché sono restie a candidarsi o a votare altre donne. In troppe sono rassegnate a un mondo al maschile”.

Ci sono state novità nelle ultime elezioni dell’Inpgi?
“Abbiamo avuto un buon successo sul piano delle candidature: quasi tutte le liste presentate avevano la metà di nomi femminili e questo è un bel cambiamento rispetto al passato. Purtroppo la presenza nelle liste non ha portato neanche stavolta a confermare la stessa quota tra le persone elette”.

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Italia: il paese dei giornalisti invisibili http://ifg.uniurb.it/2012/01/27/ducato-online/italia-il-paese-dei-giornalisti-invisibili/17001/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/27/ducato-online/italia-il-paese-dei-giornalisti-invisibili/17001/#comments Fri, 27 Jan 2012 16:55:58 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=17001 In Italia c’è una divisione che si può quasi toccare tra il giornalismo delle tessere e il giornalismo reale. Sulla carta siamo il Paese con più giornalisti di tutta Europa. Sono 110 mila, tra pubblicisti e professionisti, gli iscritti all’Ordine. Ma questo numero è, appunto, soltanto sulla carta.

GIORNALISTI FANTASMA. Nel 2010 solo in 58 mila hanno versato i contributi obbligatori: in altre parole solo la metà dei giornalisti italiani ha lavorato regolarmente nel corso dell’anno (questa cifra include sia chi è assunto in redazione e paga i contributi all’Inpgi, sia i precari, i co.co.co e tutti gli altri collaboratori che sono iscritti alla gestione separata dell’Inpgi, l’Inpgi 2).

Gli altri? Delle tre l’una: o non sanno che l’iscrizione alla previdenza è obbligatoria, o sono evasori contributivi oppure hanno cambiato mestiere. “Vista la natura dell’industria dei media in Italia è probabile che nella grande maggioranza dei casi si tratti di quest’ultima ipotesi”, spiega Guido Besana, componente della giunta esecutiva della Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti. Sono giornalisti trasparenti per il mercato del lavoro: giornalisti fantasma.

LA SITUAZIONE IN EUROPA. Se andiamo a guardare la situazione in Europa viene da pensare che Besana abbia ragione: nel nostro Paese non c’è spazio per tutti. In Italia c’è un giornalista ogni 545 abitanti. In Inghilterra, secondo le stime più recenti, sono 40 mila (cioè un giornalista ogni 1.645 abitanti).

Situazione simile in Francia dove la circolazione di quotidiani e altri media è in linea con quella del Regno Unito e la popolazione è la stessa: ci sono appena 37.400 giornalisti (un giornalista ogni 1.737 abitanti).

Cifre paragonabili a quelle tedesche: la Germania, con circa venti milioni di abitanti in più rispetto a Francia e Regno Unito, ha 48 mila giornalisti a tempo pieno (ai quali però vanno aggiunti circa 25 mila freelance: in tutto un giornalista ogni 1.176 abitanti).

TROPPI GIORNALISTI IN UN PICCOLO MERCATO. Non bastano questi dati per dire che in Italia ci sono troppi giornalisti. Una statistica ancora più indicativa è il rapporto tra giornalisti e copie di giornali vendute giornalmente.

Poca sorpresa: l’Italia è in fondo a questa classifica. Secondo una ricerca Ocse del 2010 in Germania ogni 100 mila copie di quotidiani o periodici ci sono 75 giornalisti di carta stampata. In Francia per vendere lo stesso numero di copie ne bastano 72. In Italia ne occorrono ben 127.

Guido Besana, delegato della Giunta esecutiva della Fnsi

Sono numeri che sarebbero giustificati se gli italiani fossero un popolo affamato di notizie. Ma non è così: anche nella classifica di diffusione dei periodici l’Italia è il fanalino di coda. In Germania ogni mille abitanti si vendono 244 giornali al giorno, in Francia 117. Nell’Italia delle penne solo 88.

LA MOLTIPLICAZIONE DELLE TESSERE. I giornalisti in Italia sono due volte il numero che il mercato dei media può assorbire. Metà di loro sono degli invisibili: giornalisti soltanto perché conservano ancora la tessera. Ma non c’è una spiegazione che metta tutti d’accordo sul perché siamo arrivati a questa situazione.

Secondo Besana la causa potrebbe essere il funzionamento dell’Ordine dei giornalisti. Non è detto, dice il sindacalista, che gli Ordini regionali abbiano interesse a usare lo strumento di cui sono dotati per sfoltire quegli iscritti che, per un motivo per l’altro, non esercitano più la professione: la revisione degli elenchi.

“Dico una cattiveria – premette il sindacalista – per un Ordine regionale avere tanti iscritti vuol dire avere tante quote. Se non svolgo attività giornalistica, per l’Ordine non sono un costo, ma una quota che arriva”.

Non solo: “Avere tanti iscritti significa avere maggior peso nel Consiglio nazionale dell’Ordine (Cnog)”. Il Consiglio è eletto su base proporzionale: più iscritti ha un Ordine regionale, più consiglieri può mandare al Cnog. “Ci sono stati Ordini regionali – continua Besana – che hanno pensato che fosse importante fare il massimo numero di iscritti”.

Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

IACOPINO: LA COLPA È DELLA LEGGE. Non è d’accordo Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine. “Questa è demagogia parolaia – ha dichiarato – di chi, soprattutto nel sindacato, è abituato a dare giudizi senza conoscere i fatti. Quelli che fanno questi discorsi nel sindacato dovrebbero occuparsi del perché i ragazzi vengono sfruttati all’interno dei giornali nell’indifferenza dei Cdr e a volte con il loro silenzio e la loro complicità”.

Il problema secondo Iacopino è tutto nella legge che istituisce l’Ordine. “È una legge antica che prevede una procedura per diventare giornalisti. L’Ordine non ha discrezionalità quando qualcuno rispetta i parametri per ottenere l’iscrizione”.

E sulle revisioni: “Possono esserci ritardi in alcuni casi. Certe realtà, come Lazio e Lombardia, possono essere più severe di altre, ma che il problema degli iscritti sia legato a questo è falso”.

Il margine nel quale si possono fare queste revisioni, poi, è ridotto. Dice il presidente: “Dopo quindici anni di iscrizione all’elenco dei pubblicisti non è possibile essere cancellati. Fino a che questa norma è nella legge noi la dobbiamo rispettare”.

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Giornalisti italiani “vecchi e poveri” i dati dello studio di Lsdi http://ifg.uniurb.it/2012/01/15/ducato-online/media-ducato-online/non-ce-solo-la-casta-giornalisti-italiani-vecchi-e-poveri-lo-studio-lsdi/15836/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/15/ducato-online/media-ducato-online/non-ce-solo-la-casta-giornalisti-italiani-vecchi-e-poveri-lo-studio-lsdi/15836/#comments Sun, 15 Jan 2012 21:07:56 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=15836 Il giornalismo è vecchio, povero e maschio nelle posizioni più fortunate. Questo è il quadro poco rassicurante uscito dal report di Pino Rea, giornalista impegnato nell’esperienza di Lsdi, un sito di metagiornalismo: notizie per difendere la Libertà di Stampa e il Diritto all’Informazione (da questo la sigla).

La ricerca fotografa una situazione poco confortante: circa la metà degli iscritti all’Ordine è inattivo (49,6%) e tra quelli che riescono a collezionare contributi c’è un divario enorme tra chi esercita la professione come autonomo (freelance, co.co.co e co.co.pro) e chi è subordinato e quindi lavora con un contratto di quelli alla vecchia maniera, poche sigle, due possibilità: tempo determinato o indeterminato.

PANORAMICA GENERALE. I dati si riferiscono al 2010, anno in cui gli iscritti all’Ordine dei giornalisti superano quota 110.000. In Francia la popolazione giornalistica è un terzo (37.415). Di questi 110.000 la maggior parte sono pubblicisti (70,7%), solo l’1,9% praticanti e il restante 27,4% professionisti. I praticanti subiscono rispetto al 2009 un impressionante calo del 31%, mentre professionisti e pubblicisti crescono di pari passo: +3,3% per i primi, +2,1% per i secondi. Per assottigliare la naturale differenza che sempre si produce tra la realtà e la sua rappresentazione, è però più utile fare qualche conto sulla base dei giornalisti attivi, e non di tutti gli iscritti, tenendo in considerazione il ruolo giocato da autonomi e subordinati. La maggior parte dei giornalisti che svolge la professione in maniera effettivamente visibile è professionista e subordinata, seguono i pubblicisti autonomi e quelli subordinati, mentre la percentuale di professionisti che sceglie di non essere inquadrata da un contratto è veramente poca:

REDDITO: Il paragone con i cugini d’oltralpe aiuta anche a capire il progressivo impoverimento della categoria italiana. In Francia per ottenere la carte de presse bisogna percepire almeno la metà del salario minimo (lo Smic, che quest’anno è di 1073€ al mese). Se dovessimo avere una regola simile in Italia sono 16.000 quelli che non ce la farebbero. Infatti 6 giornalisti su 10 percepiscono un reddito inferiore ai 5.000 euro lordi annui. Ad avere redditi così bassi sono il 62% degli autonomi (che sono il 55% dei giornalisti attivi). I subordinati se la passano meglio: scende la percentuale di chi è nella fascia più bassa di reddito e il 66,6% denuncia più di 30.000 € annui. Ad aumentare, solo numericamente, sono però gli autonomi: +7,7% contro il 3,85% dei subordinati. Questa congiuntura porta all’impoverimento della professione. Secondo Pino Rea, l’aumento degli autonomi è un ovvio segnale della crisi: “Gli editori preferiscono non assumere e affidarsi a qualcuno di esterno. E’ necessario scardinare questo sistema” ed uno dei metodi che suggerisce è quello dell’equo canone che porterebbe a disincentivare l’uso di freelance: “Bisogna portare l’editore a ritenere conveniente assumere un giornalista”. E a chi in una situazione tale avrebbe paura dell’effetto boomerang (se il giornalista costa di più non verrà pagato di più, verrà semplicemente non pagato) Rea dà una semplice risposta, le sovvenzioni pubbliche “perché il mercato è un parametro giusto per le testate commerciali, ma l’informazione intesa come servizio pubblico ha bisogno di sovvenzioni”.

DONNE: Boom di presenze femminili, ma solo tra le giornaliste autonome, a confermare che nel giornalismo la cravatta è ancora più apprezzata della gonna. Le autonome crescono del 190% rispetto al 2002, mentre tra i subordinati la percentuale è nettamente inferiore: solo il 6% in 10 anni, dal 27% nel 2000 al 33% nel 2010. Il confronto con il 2009 ci fa ben sperare in entrambi i casi, ma non troppo: siamo infatti in presenza di un incremento, ma lievissimo: dal 42.1% al 42.4% nel caso delle autonome, dal 38.7% al 39% in quello delle subordinate.

PENNE VECCHIE: Rimanendo all’interno delle categorie deboli, passiamo dal gentil sesso a chi non è proprio più giovanissimo per affrontare l’ultimo dato poco incoraggiante: il progressivo invecchiamento della professione. Il 25% dei giornalisti autonomi ha più di 50 anni ed è un dato destinato a crescere visto il blocco del turn over: dalle redazioni si esce, ma non si entra e così il bianco è destinato a diventare il colore dominante. Le cose non cambiano molto se si passa a considerare gli autonomi, dove gli over cinquanta rappresentano il 16,7% con una crescita relativa soprattutto agli ultrasessantenni che conquistano un punto percentuale in più rispetto all’anno prima attestandosi al 7,4%.

Una volta finita la battaglia quotidiana con i colleghi non tutti possono godersi il meritato relax: i dati sulle pensioni raccontano di 15.000 persone percepiscono meno di 500€ lordi all’anno.

Lo studio completo si può trovare sul sito di Lsdi.







 

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