il Ducato » freelance http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » freelance http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Tante spese e zero garanzie: la vita dei freelance italiani http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/#comments Thu, 16 Apr 2015 17:23:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70795 Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

PERUGIA – Duecento euro per prendere un taxi, quasi 2mila per autista, traduttore e altri servizi, di fronte alla prospettiva di guadagnarne 50. Essere un giornalista freelance oggi non è facile, ma spesso è una scelta obbligata. Molte testate italiane sono in crisi, non offrono contratti e non finanziano reportage all’estero. Non resta che raccontare storie in modo indipendente e poi venderle ai media.

E’ quello che fanno Gabriele Micalizzi, fotografo milanese, e Alessandro Di Maio, giornalista freelance siciliano che hanno partecipato al convegno “Vita da freelance” il 16 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

“I freelance sono lasciati da soli – spiega Micalizzi fotoreporter di guerra – con i media italiani funziona così: prima realizzi le foto e poi le vendi, alcuni giornali esteri ti fanno firmare un contratto prima e a volte anticipano dei soldi”. Ma anche i media esteri non vogliono prendersi responsabilità: “A volte decidono di non pubblicare fotografie da zone di guerra come la Siria, per non incoraggiare giornalisti a partire e rischiare. Anche questo è sbagliato”.

Ma i giornalisti freelance sono poco tutelati anche dal punto di vista giuridico: “Dobbiamo fare molta attenzione perché siamo direttamente responsabili di ciò che scriviamo – spiega Alessandro – Quando ho iniziato in Sicilia mi occupavo di cronaca locale e avevo paura di essere denunciato per qualche motivo, anche perché scrivevo di mafia. Ho sempre cercato di essere il più neutrale possibile, di non dare giudizi, cosa che spesso accade”. E riguardo la copertura assicurativa, le cose non vanno meglio: “Essere assicurati è fondamentale – conclude il giornalista – tre anni fa a Gerusalemme ho fatto una copertura sanitaria privata che dovevo rinnovare ogni tre mesi. Sfortunatamente ho avuto una colica renale proprio nel periodo del rinnovo, e il costo della notte in ospedale è stato enorme”.

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Alessandro Di Maio, che da Gerusalemme collabora con Libero e Il Fatto Quotidiano, racconta che “i problemi del freelance sono tre: la grande competizione, lo sfruttamento dei giornalisti da parte delle testate e la crisi mediatica italiana.

Io amo il giornalismo, ma in questa maniera è veramente difficile”. Alessandro ha iniziato giovanissimo a collaborare in Sicilia con alcune testate locali, occupandosi di cronaca e di mafia. “Non mi pagavano, così mi sono trasferito a Gerusalemme, mi sono iscritto all’università e ho iniziato a collaborare con un giornale Canadese. Con i media italiani all’inizio è stato difficile trovare collaborazioni, poi c’è stata la Primavera araba, ed è aumentato l’interesse per le questioni mediorientali.”

Per Gabriele, che lavora per il New York Times e il Corriere della Sera, il lavoro del giornalista freelance deve essere una passione: “E’ difficile, ma nessuno ci obbliga a farlo, si corrono dei rischi, bisogna meritarselo. E’ vero, c’è tanta competizione, ma così emergono i lavori di qualità”. Gabriele ha iniziato a fare il freelance per caso, ma poi la sua è diventata una scelta: “Non lavorerei mai per un agenzia di stampa, devi produrre foto standard, coprire gli eventi che ti dicono loro, non hai libertà. A me piace dare un taglio d’autore e una prospettiva personale alle mie foto e questo è quello che me le fa vendere ai giornali”.

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Alessandro racconta che facendo il freelance conosce tanta gente nuova, viaggia, impara le lingue. “Ma è una vita che si può fare solo per un periodo, per come funziona il giornalismo in Italia”. Nel nostro paese i freelance vengono pagati poco: “I giornali esteri pagano dieci volte di più. Ma non è solo una questione economica. Le nostre testate non forniscono press card, non ti seguono nel lavoro sul campo, non offrono garanzie. I giornali chiedono articoli di cronaca, non storie o reportage. Sono pubblicista, lavoro come analista politico dei giornali del mondo arabo per una azianda privata e quando ho tempo libero e i soldi necessari parto e mi dedico a raccontare storie”.

La passione di chi fa il giornalista di guerra è tanta ma ci sono testate che se ne approfittano. “Devi continuamente negoziare- racconta Gabriele- ma è importante non svendersi mai, proporre un prodotto di qualità e pretendere di essere pagati in modo giusto. Io mi dico: il mio è ‘made in Italy’, quindi se un cliente lo vuole, deve pagare”. Ci sono però tante testate che promettono di pagare e poi dopo qualche anno falliscono, per poi rimettersi sul mercato con lo stesso nome. Tutte le collaborazioni effettuate nel periodo precedente la bancarotta decadono. “A me questo scherzetto l’ha fatto una rivista scientifica- racconta Alessandro- ha preso alcune mie foto ma al momento del pagamento non si sono più fatti vivi, salvo poi scoprire che era fallita e rinata magicamente.”

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Equo compenso per i giornalisti, primo passo in commissione http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/equo-compenso-per-i-giornalisti-primo-passo-in-commissione/55965/#comments Wed, 29 Jan 2014 15:48:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=55965 LEGGI Figli di un'editoria minore]]> precari_stanca-e1386155609929

Equo compenso per tutti. O meglio, equo compenso per tutti – Atto primo. Stamattina la Commissione all’interno del dipartimento dell’Editoria ha approvato, con sei voti su sette, la delibera quadro che stabilisce che le modalità di attuazione dei compensi minimi per i giornalisti non subordinati.

È un primo passo concreto per l’applicazione della legge 233/2012 che stabilisce la remunerazione proporzionata alla quantità e al lavoro svolto da tutti i freelance e gli autonomi che svolgono lavoro non dipendente nelle testate giornalistiche nazionali, a più di un anno dall’entrata in vigore della norma.

A favore della delibera sei componenti della Commissione: il sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, il presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, il segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, oltre che Paola Urso, rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Eva Spina, rappresentante del Ministero dello sviluppo economico. Unica astenuta durante la votazione la Fieg, Federazione italiana editori giornali

“Si tratta di una decisione molto importante – ha commentato il Sottosegretario Legnini – che andrà completata con la definizione dei parametri numerici dell’applicazione dell’equo compenso. Mi auguro che l’astensione costruttiva delle parti datoriali possa preludere ad una definizione positiva anche della seconda ed ultima decisione che dovrà essere assunta”. Tradotto: sarà possibile terminare i lavori solo se gli editori, come in questo caso, non ostacoleranno i prossimi passaggi.

Rimangono, infatti, da approvare le tabelle contenenti i compensi minimi (fermi al momento al 2007), che dovranno essere prodotte entro il 28 febbraio. Sui parametri economici relativi alle retribuzioni minime dei giornalisti non dipendenti la parola definitiva arriverà il prossimo 10 marzo.

iacopino

Il “tutti” in maiuscolo nel post scritto da Iacopino sul suo profilo Facebook, una volta conclusa la riunione della Commissione non è casuale. Nei giorni scorsi, infatti, era nata una polemica tra il presidente dell’Ordine  e la Fnsi. Il sindacato dei giornalisti voleva escludere dalle tabelle riguardanti i pagamenti minimi, i lavoratori autonomi. “Cioè quasi tutti – ha spiegato al Ducato lo stesso Iacopino – perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato”. Gli editori infatti potrebbero aggirare l’obbligo dell’equo compenso, chiedendo ai lavoratori parasubordinati di aprire una partita Iva.

Ma è la legge stessa che definisce la platea di giornalisti cui è rivolta

“In attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge e’ finalizzata a promuovere l’equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo di cui all’articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”.

Mentre assegna alla Commissione due compiti diversi

  • Definire il compenso minimo per i giornalisti
  • Compilare un elenco di tutte le pubblicazioni (quotidiani, periodici, anche telematici, agenzie stampa, emittenti radiotelevisive) che garantiscono l’equo compenso

LEGGI ANCHE - Figli di un’editoria minore: il compenso per i giornalisti non dipendenti è meno equo

Inoltre la legge 233/2012 prevedeva sia che la Commissione venisse istituita entro trenta giorni dall’entrata in vigore (era il 31 dicembre 2012), sia che questa valutasse i parametri numerici dell’equo compenso entro due mesi dall’insediamento. Da allora di tempo ne è passato.

Un primo passo, anche se tardivo, comunque importante: “L’abolizione della schiavitù – ha scritto oggi sul suo profilo Facebook Enzo Iacopino  – non fa sparire d’incanto i negrieri. Ma per loro sarà molto più dura negare i diritti a chi lavora. Sarà dura anche per quegli editori che non accedono alle varie forme di finanziamento pubblico. I magistrati hanno, adesso, dei riferimenti molto precisi”.

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Susan Dabbous: “La Siria è un Paese ormai fuori controllo” http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/#comments Wed, 01 May 2013 17:42:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44877

Susan Dabbous

Un conflitto sporco fatto di tutti contro tutti: la Siria di Assad brucia, ma le informazioni che riescono ad oltrepassare la barriera del silenzio sono frammentate. I giornalisti che vogliono raccontare la rivoluzione siriana devono lavorare in clandestinità e rischiano ogni giorno di essere rapiti.

L’ultimo giornalista di cui si sono perse le tracce è l’inviato della Stampa Domenico Quirico: il giornale di Torino non ha sue notizie da due settimane, quando si trovava nella zona di Homs.

Ad aprile erano scomparsi altri giornalisti, tra cui Susan Dabbous, che in questi anni ha seguito gli scontri tra l’esercito ribelle e il regime di Assad: lei è stata la prima a raccogliere le testimonianze apparse sui giornali italiani dei disertori torturati dal regime di Damasco. Il 4 aprile scorso è stata rapita, insieme a tre colleghi (Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali), da un gruppo islamista, per essere poi liberata dopo 8 giorni. Lei e i suoi colleghi erano stati accusati di spionaggio perché probabilmente avevano ripreso qualcosa che i ribelli non volevano si vedesse.

In Siria la diffidenza verso gli stranieri è alta e i giornalisti sono quelli più a rischio. Chi decide di partire per la Siria lo fa sapendo quello che rischia, ma in questo lavoro non vale improvvisare.

Qual è stata la tua preparazione prima di partire?
Quando ero al quotidiano Terra ho reperito informazioni lavorando dal desk: ho preso contatto con la comunità siriana in Italia, ho studiato il territorio e poi sono stata in Turchia per approfondire la situazione siriana da quella parte del confine. Ero una neofita in questo tipo di giornalismo e prima di entrare fisicamente in Siria mi sono creata una rete di contatti che ho avuto tramite colleghi. In casi come questi bisogna essere solidali con gli altri giornalisti, anche perché farsi concorrenza non porta da nessuna parte. La lunghezza del conflitto non permette di essere in competizione. Andare allo sbaraglio non conviene, si rischia la pelle; ti può andare bene, come ti può andare molto male. C’è chi l’ha fatto: ci sono alcuni freelance americani che sono scomparsi da 7 mesi e non si sa dove siano finiti. È fondamentale chiamare dei professionisti già presenti sul territorio per avere una rete: in questo modo si riesce a fare un lavoro straordinario.

Come hai fatto concretamente ad entrare in Siria?
La Siria ha proposto dei problemi abbastanza inediti: il regime non rilascia visti, perciò se vuoi entrare nel Paese lo devi fare illegalmente, nelle totale clandestinità. Per farlo ti devi affidare a qualcuno che può farti passare il confine. Una volta dentro devi affidarti ai tuoi contatti. Questi ti portano dalle persone da intervistare o dove c’è qualcosa da raccontare: campi profughi spontanei, città senza elettricità, villaggi bombardati e feriti senza assistenza. Tutte storie che ho raccontato in questi anni. All’inizio chi voleva entrare in Siria doveva affidarsi a dei contatti presenti sul territorio in grado di garantirti una protezione, ma a due anni di distanza quelle stesse persone non possono più darti protezione perché la situazione è totalmente fuori controllo.

In che senso “senza controllo”? Che tipo di conflitto è quello siriano?
Il conflitto siriano è una guerra civile, senza dubbio. Ma nell’ultimo periodo le cose stanno cambiando; si è aperta una nuova fase in cui non ci sono più solo due schieramenti ben distinti: l’esercito ribelle non è più compatto e l’opposizione siriana si è frammentata in molti gruppi che perseguono diversi scopi e sono in guerra fra loro. Non esiste più un blocco unico fatto di ‘tutti contro Assad’ come invece era all’inizio.

Chi sta prendendo le redini dell’opposizione? I gruppi laici o quelli islamici?
I gruppi islamici sono armati meglio e stanno avendo un ruolo da protagonisti nel conflitto militare. L’anima laica della Siria è in minoranza perché oppressa dalla propaganda islamista, ma è comunque presente sul piano politico. Ci sono molte figure interessanti all’interno dei gruppi laici che avranno sicuramente un peso nella leadership futura del Paese. Molti di questi esponenti sono in esilio e quando rientreranno si aprirà sicuramente una nuova partita. Ma per il momento questa prospettiva è ancora lontana, visto che la situazione militare è bloccata.

Avevi delle guardie del corpo in Siria?
All’inizio non avevo una scorta militare, poi quando mi sono unita ad una troupe televisiva è diventato necessario avere delle guardie armate. Eravamo molti e davamo nell’occhio, per questo avevamo due uomini delle sicurezza e una guida. Ma è servito a poco, dato che alla fine ci hanno preso…

Che ruolo hanno i paesi confinanti in questo conflitto?
In Iraq, il governo ufficiale appoggia il regime di Assad, ma Al-Qaeda sta con i ribelli islamici. La Turchia è la nazione confinante più potente e cerca di sfruttare questa situazione, anche politicamente. Il Libano, invece, è uno Stato troppo debole per avere una sua linea autonoma ed è sotto l’influenza del governo di Damasco. Però al suo interno, la comunità sunnita appoggia l’opposizione.

Ribelli siriani tra le strade di Aleppo

Quale potrebbe essere il futuro politico della Siria? Il nuovo governo sarà composto da islamici moderati sul modello egiziano di Morsi?
È veramente difficile fare un pronostico in questo momento, la composizione etnico sociale della Siria è molto diversa da quella dell’Egitto: lì c’è una quasi totalità di musulmani sunniti, circa il 90%, mentre in Siria questa componente è al 70%. La restante parte è fatta di altre confessioni religiose. Oltre a una consistente comunità cristiana c’è anche la minoranza musulmana alawita, di cui fa parte la famiglia di Assad, al potere da 40 anni. Prima questa comunità era la più svantaggiata e marginalizzata, mentre adesso è diventata classe media. Il colpo di Stato le ha fatto fare un salto di qualità e gli alawiti fanno di tutto per mantenere i privilegi acquisiti.

Tornando alla tua specifica esperienza, per una donna giornalista è più difficile lavorare in zone di guerra e raccontare un conflitto in prima persona?
Non credo che sia più difficile per una donna lavorare in una zona di conflitto. E non ci sono problemi per una giornalista lavorare in un Paese islamico: in Marocco, in Egitto o altri lo fai tranquillamente. Il problema è quando ci sono gruppi fondamentalisti islamici: loro vedono la donna come qualcosa di ‘impuro’, per semplificare. Nel mio caso, quando vieni rapita da uno di questi gruppi hai l’aggravante di essere una donna. Da parte loro c’è il rispetto del corpo, ma non quello dell’individuo”.

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Equo compenso, è tutto fermo. Manca ancora il delegato degli editori http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/equo-compenso-e-tutto-fermo-manca-ancora-il-delegato-fieg/44821/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/equo-compenso-e-tutto-fermo-manca-ancora-il-delegato-fieg/44821/#comments Thu, 25 Apr 2013 01:20:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44821 Si allungano i tempi per la definizione dell’equo compenso per il lavoro giornalistico: la Commissione che deve stabilire le modalità di retribuzione del lavoro di questa categoria non è ancora riuscita a riunirsi. I tempi si dilatano e, a due mesi dal primo incontro infruttuoso,  quando già si sarebbe dovuti essere giunti a una conclusione, tutto è paralizzato.

La Commissione composta dal sottosegretario all’Editoria, Paolo Peluffo, dal presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, dal segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, da Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, oltre che da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e uno dello sviluppo economico è rimasta bloccata proprio per via della scelta di un rappresentante unico degli editori.

“Abbiamo chiesto al sottosegretario Peluffo – spiega Francesco Cipriani, responsabile dell’area lavoro e welfare della Fieg, Federazione italiana editori giornali – di allargare la base rappresentativa; è difficile trovare un unico rappresentante per settori disomogenei come i quotidiani, i periodici e l’editoria radiotelevisiva”.

La richiesta della Fieg è stata rigettata e sono state fornite indicazioni utili alla scelta del rappresentante degli editori che parteciperà alla Commissione, tra le quali la verifica quantitativa del settore che ha più peso nel mercato.

“Troveremo un designato a breve – continua Cipriani – già nelle prossime due settimane potremmo essere pronti per la prossima riunione”. Riunione che potrebbe aver luogo, secondo la legge, anche senza la presenza del rappresentante degli editori. Secondo Enzo Iacopino: “Se lo nominano va bene, altrimenti possiamo andare avanti lo stesso. Non c’è un diritto di veto. Resta il fatto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dopo un invito formale rivoltogli da me, ormai un mese fa, ha ritenuto di non convocare la Commissione. Il mio parere – continua Iacopino – è questo: il governo Monti ha sempre avuto delle forti difficoltà a litigare con gli editori”.

Lamentele per la situazione stagnante, che stride con i tentativi di convocazione degli stati generali dell’informazione precaria, arrivano anche dalla Fnsi: “La questione dell’applicazione dell’equo compenso giornalistico è sostanzialmente paralizzata in questo momento. Il sottosegretario della presidenza del Consiglio, Peluffo, sottosegretario di un governo in carica non si sa ancora per quanto – afferma Giovanni Rossi – ha promosso in modo formale un’imminente convocazione ma niente è ancora avvenuto”.

E se da una parte i lavori della Commissione rimangono sospesi, la battaglia per l’equo compenso non perde il suo valore essenziale di tutela della professione giornalistica: “Un cronista che viene pagato 50 centesimi lordi per un pezzo pubblicato sul web – spiega Stefano Corradino, direttore dell’associazione Articolo 21 – è un insulto alla dignità del lavoro ma anche della Costituzione, che prevede il diritto di essere informati. Oltre a rappresentare un rischio: questi colleghi sono spesso vittime di minacce, pressioni, atti intimidatori e querele. Vanno salvaguardati non lasciati soli”.

Forse però non c’è da stupirsi per i tempi epici della burocrazia italiana, qualsiasi aspetto essa tocchi. Arcangelo Iannace, responsabile relazioni esterne della Fieg, commenta così la difficoltà nella scelta di un unico rappresentante per gli editori: “E’ come chiedere a Confindustria, Confapi, Confartigianato, quattro, cinque associazioni di designare un unico rappresentante. Abbiamo impiegato sessanta giorni per fare un presidente del Consiglio, cosa ci aspettiamo”.

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Per un pugno di euro: quando freelance vuol dire sfruttato http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/#comments Thu, 25 Apr 2013 00:26:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44703

Ernest Hemingway

C’era una volta il freelance. Si potrebbe cominciare il pezzo così ma già al secondo periodo bisognerebbe cambiare soggetto perché pare che di freelance in Italia non ce ne siano quasi più. Almeno non di quelli che potremmo definire puri.

Se freelance è il giornalista libero professionista che scova le notizie, le confeziona e le vende a più committenti traendone una commisurata e consistente retribuzione, allora possiamo dire con certezza che l’Italia non è un paese per freelance.

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

“Prima – spiega la Calicchio – il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi – continua la giornalista – di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi”.

L’INTERVISTA “Altro che libertà, siamo solo collaboratori sottopagati”

DI LIBERO C’E’ SOLO IL FREE DEL NOME
“La scelta di essere indipendenti e autonomi  – afferma Giovanni Rossi, presidente della Fnsi, Federazione nazionale stampa italiana – è patrimonio di pochissimi colleghi, ammesso che ce ne siano. Ci sono giornalisti che aspirano a rimanere senza vincoli ma non di certo tra le ultime generazioni: per questi lo stato di lavoratore indipendente è obbligato. Non si trova lavoro all’interno delle redazioni, perciò se si vuole fare questo lavoro non c’è alternativa: lo si fa da autonomo o da falso autonomo”.

I giornalisti freelance nella Penisola sono tanti e farne una stima puntuale è quasi impossibile: giovani o meno giovani obbligati all’indipendenza, sottopagati – o non pagati affatto – che vedono ogni giorno svilita la propria professione e la propria dignità lavorativa.

“I freelance in genere – continua Giovanni Rossi – hanno diversi committenti. Se un giornalista lavora tutto il giorno per un solo committente, e magari lo fa pure da casa, in realtà è di fatto un lavoratore dipendente. E questo è il caso anche di giornalisti precari in nero che affollano le redazioni”.

Una falla nel sistema evidenziata anche da Stefano Tesi, giornalista che ha lanciato nel suo blog un censimento di giornalisti freelance italiani: “Sui 2000 stimati hanno risposto solo in 57. E perché? Perché molti non sanno neanche cosa voglia dire freelance o, se lo sanno, scoprono di non esserlo. Mi pare – continua Tesi – che ci sia la volontà di non fare emergere l’esistenza di categorie diverse di giornalisti da quelle codificate e riconosciute finora”.

Lavoro autonomo e lavoro precario dovrebbero essere sue cose distinte”, afferma Giovanni Rossi, che esprime la necessità di convocare gli stati generali dell’informazione precaria per conoscere in profondità il fenomeno, monitorarlo e normarlo nel modo più giusto possibile. “Abbiamo chiesto alla Giunta esecutiva federale di convocare gli stati generali o il 26 e 27 giugno o l’11 e il 12 luglio. Abbiamo raccolto diverse sottoscrizioni – continua Rossi – ma adesso sta alla Giunta deliberare”.

Fabrizio Morviducci, giornalista toscano dell’Osservatorio sul precariato dell’Ordine che ha sottoscritto l’appello della Fnsi, ribadisce quest’anomalia tutta italiana:  “I freelance sono una fetta del precariato. Sono persone che svolgono lavoro a tempo pieno ma in condizioni non dignitose. Fino a quando ci saranno persone che pensano di poter scrivere senza remunerazione solo in cambio di visibilità, non andremo molto lontano. Lo slogan del coordinamento dei giornalisti precari pugliesi è sacrosanto: l’informazione non è un hobby”.

SCRIVERE PER LA GLORIA
La visibilità è il panem et circensem che gli editori elargiscono ai giornalisti precari adducendo la scusa – in buona parte fondata – della crisi che sta investendo ormai da anni il settore. Ma molti non ci stanno più e denunciano con i mezzi più disparati. E’ di pochi giorni fa la notizia di un giornalista americano Nate Thayer che ha pubblicato online la conversazione con Olga Khazan, editor de The Atlantic che gli aveva chiesto di inserire un suo pezzo sui rapporti tra basket e diplomazia con la Corea del Nord a titolo gratuito.

La lettera ricevuta dal The Atlantic e resa pubblica da Thayer: “Grazie per la risposta. Per il fine settimana? 1200 parole? Purtroppo non possiamo pagarti, ma raggiungiamo 13 milioni di lettori al mese. Capirei se questo accordo non ti interessasse, ma volevo sapere se eri interessato. Grazie per il tuo tempo, bellissimo articolo!

Svilimento della professione che vola anche oltreoceano e arriva in Italia. Gabriele Barbati, giornalista freelance corrispondente dalla Striscia di Gaza che ha scritto a Franco Abruzzo per lamentare la scarsa considerazione e le remunerazioni inique o inesistenti da parte dei media italiani.

LA RETE NON E’ UN POSTO FREELANCE-FRIENDLY
A mettercisi di mezzo è poi anche la Rete che lungi dall’essere risorsa, spesso si trasforma in vetrina abbagliante e luogo di sfruttamento dei giornalisti appassionati che esercitano la professione.

Il web è frontiera – afferma Morviducci – è il futuro ma al momento è solo far west, non ci sono margini definiti. La gente non è incline a pagare contenuti in rete. Proprio per questo è lì che assistiamo a forme di precariato ancora più striscianti rispetto alle testate tradizionali”.

Una delle grandi pecche del giornalismo online, sarebbe secondo Rossi, la mancanza di un giornalismo ‘industriale’, ovvero “un giornalismo professionista che consente a chi lo esercita di trarre un reddito sufficiente per la vita sua e della sua famiglia”.

Secondo Stefano Corradino, presidente dell’associazione Articolo 21, “se effettivamente nel 2043 l’ultima copia del New York Times verrà stampata, decretando la fine del giornale cartaceo, la situazione è destinata a peggiorare progressivamente. Già oggi – continua Corradino – le testate giornalistiche locali esercitano vere e proprie forme di caporalato, marciando sulla passione connaturata a questo mestiere”.

TUTELE DI UNA CATEGORIA “INDIVIDUALISTICA”
Di fronte a una situazione caotica e di indiscriminato precariato e svilimento della professione, ci si chiede quali tutele abbiano i freelance. “Sulla carta ne avrebbero anche – afferma Rossi – ma se prendiamo il caso della recente riforma del lavoro introdotta dal Ministro Fornero ci accorgiamo che non è così. Questa infatti prevede – continua Rossi – che le partite iva il cui reddito deriva per l’85% da un solo committente siano dichiarate false e che il lavoratore venga assunto. Questo chiaramente vale per tutti meno che per i giornalisti”.

Eppure sembra che ci siano frizioni anche all’interno della stessa categoria: “Il sindacato deve assolvere alla sua missione – spiega Morviducci – ovvero garantire diritti a chi non ne ha. Attualmente noi abbiamo una fetta minoritaria di persone tutelate dal sindacato a fronte di una massa critica di colleghi che stanno fuori, i quali non solo non hanno diritti ma non hanno nemmeno la più lontana ipotesi di averne nel medio termine”.

“Articolo 21 lavora proprio per costruire anche una sorta di solidarietà mediatica da parte dei colleghi – dice Corradino – nei confronti dei giornalisti precari che si trovano spesso isolati all’interno delle redazioni e che sono più ricattabili e oggetto di intimidazioni e querele”.

Passi in avanti sono stati fatti e anche di una certa importanza. La Carta deontologica di Firenze, che regolamenta lo sfruttamento del precariato giornalistico e l’approvazione della legge sull’equo compenso sono due punte di una battaglia combattuta da tanti per riconoscere dignità a una professione delegittimata a più livelli e da più attori del vivere civile.

LEGGI Equo compenso, è tutto fermo: manca ancora il delegato Fieg

“Con la Carta di Firenze abbiamo voluto fare passare il messaggio – spiega Morviducci – che sfruttare i colleghi è disdicevole e sanzionabile a livello deontologico”. Ma anche queste conquiste rischiano di rimanere vane se non si monitora lo stato attuale delle diverse professionalità.

“L’equo compenso non è una soluzione al problema dei lavoratori in nero – afferma Rossi – né di quello dei precari. Vale per i freelance, ma se uno lavora a tempo pieno per una redazione non è un freelance e va contrattualizzato”.

Per cambiare il sistema dall’interno e richiamare l’attenzione sul tema del precariato, poi, alcuni giornalisti precari hanno deciso di candidarsi alle prossime elezioni dell’Ordine. Ciro Pellegrino è uno di questi: “La candidatura è nata da un’esigenza, ovvero perché chi si era candidato a governare l’Ordine regionale, pur avendo preso in considerazione il discorso dei precari non aveva deciso ancora di abbracciare in maniera forte la causa”.

Nelle intenzioni di Pellegrino c’è quella di porre in agenda le tematiche scottanti che riguardano la categoria a prescindere dall’elezione o meno. Per questo insieme al Coordinamento dei giornalisti precari campani hanno scelto di proporre dei video di campagna elettorale – uno dei quali presentato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – per suscitare la curiosità di un pubblico sempre più vasto.

IDEE CHE CAMBIANO LA PROFESSIONE
Esistono poi delle realtà di reazione alla crisi dilagante che fanno ben sperare per il futuro e che danno il polso della passione che muove questa professione. E’ il caso di esperienze come quella di Next New Media, service giornalistico multimediale che offre servizi giornalistici per qualsiasi piattaforma.

Andrea Battistuzzi, uno dei fondatori, racconta: “Ho fatto diverse esperienze di precariato giornalistico fino ad arrivare alla constatazione che il mercato del lavoro italiano per questo settore non va. Così abbiamo deciso di mettere insieme un network di professionisti dell’informazione che realizzassero contenuti multimediali, rispondendo così alla necessità di molte testate giornalistiche che vogliono essere presenti sul web ma non ne hanno i mezzi o le risorse”.

Come qualsiasi freelance, sfruttando i contatti a disposizione, la redazione di Next New Media è riuscita a imporsi nel mercato e a prendere diversi appalti per la gestione di intere testate o di canali tematici di queste. “Abbiamo reso più stabile la professione del freelance – spiega Battistuzzi – l’abbiamo industrializzato, creando una struttura imprenditoriale in quello che il freelance in genere fa autonomamente”.

Next New Media non è l’unica realtà a porsi in questo modo nel mercato dell’informazione: Spazi Inclusi e Fps Media per l’Italia applicano la stessa mentalità imprenditoriale alla professione, seppur declinandola in maniera diversa.

Ad esempio, Fps Media, costituita da un gruppo di professionisti provenienti dalla scuola di giornalismo Carlo De Martino di Milano, realizza inchieste e servizi multimediali messi a disposizione delle grandi testate giornalistiche italiane.

Anche Spazi inclusi, uno studio associato torinese che si occupa di fornire contenuti multimediali per testate giornalistiche oltre a creare progetti editoriali – dai contenuti alla grafica – per enti e aziende, nasce nel 2011 come reazione a un mercato del lavoro che sbarra le porte ai freelance. “In Italia freelance non vuol dire libero professionista, al massimo sfigato. Essere assunti – dice Clara Attene, una delle socie di Spazi Inclusi – è molto più che un terno al lotto. Così visto che collaboravo per il Sole 24 Ore, dividendo fisicamente la scrivania con una collega oltre che condividendo i lavori, abbiamo deciso di metterci in proprio e continuare a fare quello che avevamo sempre fatto in un modo diverso: più stimolante, più libero e flessibile”.

Sfruttando i contatti raccolti durante l’attività di freelance e partecipando a eventi-vetrina come la Social media week, lentamente Spazi Inclusi ha cominciato a farsi conoscere. “Lavorare con le redazioni implica una pratica di educazione reciproca – continua Attene – non è facile estendere il rapporto di fiducia personale costruito negli anni al resto del gruppo. Ma è proprio questo il punto di forza di Spazi Inclusi: il freelance da solo magari riesce a prendere un certo numero di lavori e con quelli non è detto riesca a vivere. Lavorando all’interno di un gruppo ci si organizza e dove non arriva uno va l’altro garantendo sempre la massima professionalità. Io mi alzo la mattina e sono contenta di lavorare in un posto che ho contribuito a creare. Non so se sarebbe così lavorando in una redazione”.

All’estero invece è di nuovo conio Newsmodo, una piattaforma web fondata dal giornalista australiano Rakhal Ebeli, che collega i media attraverso una rete mondiale a professionisti dell’informazione. Una piattaforma di committenza e vendita, secondo le regole della deontologia che si sta espandendo in Europa, America, Medio Oriente e Asia.

In uno scenario simile verrebbe voglia di pensare che, come sottolineava ieri il Wall Street Journal, fare il giornalista sia il mestiere peggiore del mondo. “Terzani diceva di voler fare il giornalista – racconta Morviducci – perché gli piaceva l’idea di avere un posto in prima fila sui fatti del mondo. A mio avviso, vale ancora la pena fare questo lavoro: è un esercizio di intelligenza e permette di essere meno indottrinabile di tanti altri cittadini”.

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“Altro che libertà da freelance, siamo solo collaboratori sottopagati” http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/#comments Wed, 24 Apr 2013 23:24:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44462 [continua a leggere]]]> Il sito di Errori di Stampa

Il sito di Errori di Stampa

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

Esiste realmente in Italia la categoria “pura” dei freelance?
Parlare di freelance in Italia oggi è difficile. Prima, in effetti, il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi.

Quindi, a differenza degli altri paesi, essere freelance da noi non è il risultato di una scelta libera.
Non lo è o almeno non lo è più. Essere freelance in questo momento in Italia vuol dire essere sottoposti a un ricatto. Sono le aziende per le quali lavori che ti costringono ad aprire la partita iva. Così in pratica sei un libero professionista ma un libero professionista che prende al mese 800 euro netti, 1000 lordi. A mio avviso questa non è una scelta e non vuol dire essere libero professionista. E’ un settore così drammaticamente in crisi che non so cosa possa aiutarlo in questo momento. Siamo 110mila giornalisti in Italia e il 60/70 % non arriva a 5000 euro all’anno. I disoccupati non si contano perché non c’è un censimento reale. Non c’è nemmeno il polso della situazione.

Valeria Calicchio

Quali sono le “chiavi”  per accedere da freelance al mercato giornalistico?
Non so quali siano le strategie. Questo lavoro funziona molto per conoscenza e cooptazione. Non è così immediato vendere. Poi la questione del citizen journalism ha aperto altri grandissimi problemi perché le testate comprano a pochissimo – o anche gratis in cambio di visibilità – pezzi, servizi, foto da gente che non è professionista, che non vive di giornalismo. Quindi l’asticella della collaborazione si è abbassata ancora di più perché le redazioni riescono a trovare contenuti e materiali gratis. Molto probabilmente riescono a vendere i pezzi quelli che lavorano all’estero ma nemmeno tanto in fondo: ci sono dei blogger famosissimi, giornalisti, colleghi che stanno in Siria che raccontano quelle situazioni da anni e che in Italia non hanno mercato.

La categoria però non è lasciata a se stessa: c’è il sindacato. In che modo tutela i freelance?
Tre anni fa è nata la commissione nazionale freelance, un organismo che si occupa di studiare e porre dei rimedi alla condizione della categoria. E’ composta da rappresentanti di tutte le regioni di Italia ed è una commissione di studio e di valutazione dei problemi relativi alla precarizzazione del lavoro giornalistico. Precarizzazione e non precariato. Perché il precario è qualcuno che già ha un contratto che gli verrà rinnovato o che comunque ha delle tutele. Invece poi c’è tutta una schiera di persone che non avendo contratti, non avendo appigli di nessun tipo, non ha diritto nemmeno al paracadute. Questa commissione cerca, quindi, di studiare il fenomeno e di porre dei rimedi con le vertenze, con il rinnovo del contratto giornalistico, con la questione dell’equo compenso.

Eppure sembra che ci siano delle correnti contrarie anche all’interno dello stesso sindacato.
Questa è una parte del sindacato. Un’altra parte in maniera ufficiosa rema contro perché schiava ancora dell’idea che sia necessario tutelare chi è già tutelato. La vertenza quindi si apre se si va in crisi e rischiano il posto di lavoro i contrattualizzati; i precari e i collaboratori, invece, sono sempre all’ultimo posto. Chiaramente la Commissione nazionale freelance è in aperto scontro perenne con la segreteria nazionale del sindacato. E’ una lotta fratricida tra contrattualizzati e nuovo sottoproletariato giornalistico.

Che aria tira nelle redazioni? Si avverte ostilità tra schieramenti opposti di giornalisti?
Certo, perché i cdr non si interessano minimamente ai collaboratori eccetto rarissimi casi. Si sono creati dei coordinamenti di collaboratori precari in molte testate tra cui il Messaggero, L’Unità, Repubblica, Rai. Lo scopo di questi coordinamenti è far sentire la voce anche di chi è collaboratore. Però fino a quando non ci sarà un rappresentante dei precari nei cdr non otterremo grandi conquiste.

Tu fai parte di Errori di Stampa, il coordinamento di giornalisti precari romani da tempo attivo nella capitale in difesa dei diritti della categoria. Pensi che combattere per cambiare questa situazione serva? 
La lotta è l’unica cosa che può salvarci da questo sistema. Il primo coordinamento dei precari è nato in Friuli nel 2006. Negli ultimi quattro anni sono nati in Italia coordinamenti in tutte le regioni e sicuramente questo ha contribuito ad richiamare l’attenzione sul tema del precariato. Prima non se ne parlava o comunque si pensava fosse una prassi dovuta: per diventare giornalista dovevi fare la gavetta. Il problema è che facevi la gavetta e poi avevi un contratto. Adesso no. La lotta serve: in due anni e mezzo siamo riusciti a ottenere grandi successi. Abbiamo scritto una carta deontologica, abbiamo ottenuto l’equo compenso per i giornalisti che è un traguardo storico perché riconosce che il lavoro intellettuale debba essere pagato equamente. Sono conquiste e le abbiamo ottenute facendo manifestazioni, petizioni, di tutto insomma.

Ora c’è un appello, che tu hai firmato, per la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria…
Sì, ho firmato perché ritengo si debba discutere per trovare degli strumenti all’interno delle nostre associazioni di categoria per monitorare il fenomeno. Cioè non basta soltanto parlarne, bisogna monitorare con dati certi. Se la Federazione e l’Ordine non hanno il polso della situazione ma non riusciremo mai a pensare ai rimedi giusti da prendere. Stiamo chiedendo con forza la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria per capire lo stato delle cose attualmente e discutere di soluzioni.

Una situazione drammatica, eppure la politica continua ad attaccare i giornalisti perché sono una casta.
Sono attacchi demagogici a una categoria che dalla maggior parte delle persone viene definita come casta quando invece la casta in realtà è meno del 10 %: il resto sono servi della gleba. Si attaccano persone che prendono meno di un operaio metalmeccanico. Prendere 1200 euro al mese sarebbe già un traguardo, non li prende nessuno. La maggior parte di noi è disperata.

Tirando le somme, sembra che essere giornalisti oggi non convenga. Perché invece tu lotti tanto per difendere la professione?
Perché la vita democratica di un Paese si basa sulla libera informazione dei cittadini. E’ una funzione importantissima come può essere quella del medico, quella dell’insegnante. Se non c’è informazione corretta, non c’è nemmeno democrazia. Credo che oggi più che mai ci sia bisogno di informare in maniera corretta: nel mondo globalizzato dove i canali dell’informazione si sono moltiplicati in maniera esponenziale c’è bisogno di una guida, di chi ti dia delle chiavi di lettura del reale. La professione, quindi, si è modificata ma ce n’è più che mai bisogno proprio perché si sono allargate così tanto le possibilità per essere informati che forse il rischio è di esserlo meno. C’è bisogno di mediatori, di persone che sappiano fare informazione, che è un’operazione complessa, delicata: devi trovare le notizie, verificarle. Non è facile nonostante ormai oggi ci siano blogger, Twitter, Facebook. C’è bisogno di chi rispetti la deontologia, di chi rispetti le regole che ci siamo dati negli anni per poter fare informazione in maniera corretta.

Hai mai pensato di andare all’estero?
No. Assolutamente no. Questo è il mio Paese e questo è il Paese che voglio cambiare e nel quale voglio vivere.

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Notizie disegnate: per gli illustratori un futuro dal tratto incerto http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/notizie-disegnate-per-gli-illustratori-un-futuro-dal-tratto-incerto/42637/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/13/ducato-online/notizie-disegnate-per-gli-illustratori-un-futuro-dal-tratto-incerto/42637/#comments Sat, 13 Apr 2013 17:04:34 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=42637 Affettare libri, volare via dalla propria mente con un palloncino, stendere un telo con un cielo azzurro in una stanza grigia: nel mondo dell’illustrazione tutto è possibile. Ad una condizione, però: che dietro al disegno si nasconda sempre, nuda e cruda, la realtà.

Ma quanto è difficile la vita per chi ha scelto di raccontare il mondo con matita e colori? “Gli illustratori a tempo pieno in Italia – dichiara Dario Albini ex presidente dell’Associazione illustratori italiani – sono 600 mentre i ‘simpatizzanti’, cioè tutti gli appassionati non professionisti del disegno, sono circa 4000”.

Negli anni, però, sono diminuiti i professionisti del settore: “E’ sempre più difficile campare facendo solo l’illustratore”. Se l’85% degli autori disegna per l’editoria dell’infanzia, “il mondo del giornalismo illustrato in Italia – afferma Dario Albini – occupa solo una piccola fetta, visto che i quotidiani preferiscono le fotografie”.

“Ho sempre disegnato anche da bambino. Mio papà dipingeva per passione: nei weekend la cucina si riempiva di colori”: è stata questa la prima ispirazione che ha fatto di Beppe Giacobbe un illustratore di successo. Pubblicato in cinque nazioni, in Italia collabora con diverse case editrici e testate giornalistiche, tra cui l’inserto culturale “La lettura” del Corriere della Sera. Un lungo percorso iniziato con la cartella degli originali sotto il braccio, quando bastava aprire il proprio portfolio o fare una decina di telefonate per farsi commissionare un lavoro. Oggi tutto è cambiato.

Se gli stipendi fissi sono rari, non è raro trovare giovani promettenti. E’ a loro che Beppe Giacobbe consiglia di mettersi in gioco, soprattutto sul web. “Qualche anno fa, immaginare di lavorare per editori stranieri era quasi impossibile – afferma l’illustratore – dagli anni ’90 in poi, invece, tutto è diventato più facile: la rete ha gettato ponti, ha allargato il mercato”.

Ma cosa possono fare i giovani oltre a puntare sulla tecnologia? Scommettere su se stessi, elaborando uno stile personale che li renda unici agli occhi degli editori. “Aprire la mente, leggere, andare al cinema, arricchirsi, guardare al lavoro di quelli più bravi: sono tutti modi – spiega Giacobbe – per acquisire consapevolezza di quello che si è e di quello che si vuole esprimere. E’ su questo che si forma lo stile”.

È necessario, dunque, creare un archivio culturale dal quale attingere le proprie idee. Tratteggiate sul foglio, e senza l’aiuto di parole, queste idee saranno poi capaci di spiegare la realtà, più di qualsiasi testo. “L’immagine illustrata è un’immagine che diventa a sua volta un commento, è un punto di vista”, afferma Giacobbe. Ma è insostituibile: “E’ quel tipo di linguaggio che nessuna fotografia può eguagliare”.

illustrazioni di Roberto La Forgia e Dario Campagna

La nicchia degli illustratori non è fatta solo da mostri sacri del disegno ma anche da ragazzi giovani, pieni di talento e di tecnica. Tra loro c’è chi coltiva da sempre questa passione come Roberto La Forgia, conosciuto all’estero per le sue illustrazioni, e chi invece ha iniziato a cimentarsi di recente nel disegno.

Uno di questi è Dario Campagna, ‘killer della satira’ e redattore della rivista satirica “Il Male di Vauro e Vincino”. “Ho iniziato come giornalista poi sono passato al disegno – afferma Campagna – mi considero un allievo di Vincino. Sono d’accordo con lui quando dice: ‘Se nella prima pagina di un giornale c’è una vignetta stai sicuro che l’occhio cadrà sempre prima su quella che sul testo’. D’altronde il disegno è la prima forma di comunicazione umana”.

Ma nell’epoca dei social network, dove tutto è veloce e condivisibile, c’è ancora tempo per soffermarsi sulle immagini? Secondo La Forgia, no: “Ormai le immagini non dicono più nulla agli utenti. Bisognerebbe insegnare a comprenderle ai bambini nelle scuole”. Al contrario Dario Campagna crede che l’utente preferisca le immagini a tutto il resto: “Le persone non hanno più tempo di leggere un pezzo di approfondimento. L’immediatezza nelle vignette è fondamentale”.

illustrazione di Beppe Giacobbe

Bisogna, quindi, cercare di essere incisivi. Ma è uno sforzo che spesso non viene ripagato. Ogni mese i disegnatori freelance devono scovare nuovi clienti a fronte di bassi compensi, per via delle vendite scarse di libri e riviste. “Lavorando sia in Francia che in Italia – spiega La Forgia – posso dire che all’estero i lavori vengono pagati un po’ di più, ma lì c’è più concorrenza”. I vignettisti che cercano collaborazioni sono moltissimi: “O sei già conosciuto, magari perché sei esploso sul web – dice Campagna – oppure è molto difficile farsi notare”.

Divisi tra voglia di emergere e una realtà che lascia poco spazio alle speranze, i giovani illustratori disegnano un quadro fosco del proprio futuro. Ma chi ce l’ha fatta li rassicura: “Di cultura si può vivere e sarà sempre di più così – afferma Giacobbe – quando l’Italia finalmente capirà che deve investire sulle sue ricchezze, ci sarà tanto da fare. Tanto da lavorare. Dobbiamo valorizzare quello che abbiamo. Altrimenti siamo proprio dei fessi”.

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Una vita multitasking: il difficile equilibrio delle mamme giornaliste freelance http://ifg.uniurb.it/2013/02/28/ducato-online/una-vita-multitasking-il-difficile-equilibrio-delle-mamme-giornaliste-freelance/36651/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/28/ducato-online/una-vita-multitasking-il-difficile-equilibrio-delle-mamme-giornaliste-freelance/36651/#comments Thu, 28 Feb 2013 14:39:33 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=36651 Sia il giornalismo che la maternità vengono spesso definite attività a tempo pieno. Dati in parte confermati da uno studio appena presentato a Milano dal titolo Donne freelance: la famiglia è un lusso?, a cura di  Nuova Informazione. Oltre 600 giornaliste lombarde hanno risposto a un questionario sul loro status sociale e occupazionale. Quasi il 60% non ha figli e la maggior parte del tempo delle intervistate è dedicato agli impegni professionali.

Ma esiste anche una consistente minoranza di professioniste dell’informazione che divide la giornata tra finire il pezzo per la redazione e riprendere il figlio a scuola, mantenere i buoni rapporti con le testate e chiedere il congedo parentale.

Una di loro è Leila Ben Salah, di Fabriano, cittadina italiana e tunisina. Ex allieva dell’Ifg di Urbino, ora ha 35 anni e da 4 è la mamma di Maya. “Hai fatto bene a chiamare adesso, è il mio giorno libero e mia figlia è a scuola.” Dallo studio di Nuova Informazione il rapporto di lavoro più diffuso risulta quello della collaborazione occasionale, mentre Leila ha un contratto di sostituzione.

“Sono giornalista dal 2007, ora sono nella redazione cronaca del Corriere Adriatico. Fino a poco tempo fa ho lavorato come freelance, ma è difficile. Riesci a conciliare meglio gli impegni lavorativi con quelli familiari ma non ci tiri fuori da vivere, a livello economico è impossibile, per fortuna ho avuto questa possibilità del contratto”.

Della stessa opinione Monia Cappuccini, romana, 41 anni. Antropologa e giornalista, madre da 14 anni, che diventa freelance dopo il licenziamento da Liberazione: “Purtroppo una sola testata non basta. I pezzi sono pagati anche dopo tre mesi, e poco. L’altra difficoltà è stabilire e portare avanti con successo le relazioni professionali. C’è una lista d’attesa anche per sapere quando pubblicheranno il pezzo. Poi non è facile gestire cinque collaborazioni diverse con target diversi, anche farsi pagare richiede una lunga trafila, ulteriore motivo di frustrazione”.

Secondo i dati dello studio Donne freelance: la famiglia è un lusso?, il 70% delle intervistate non ha mai avuto un contratto a tempo indeterminato, ma Chiara Brilli, fiorentina, con una figlia di 4 anni e mezzo, dimostra che il  “posto fisso” esiste ancora. “Nata l’11 maggio 1978, sono giornalista professionista dal 2008 e dal 2001 lavoro a Controradio Toscana, che fa capo al circuito di Radio Popolare.”

Il suo percorso in radio parte all’università, quando “dopo un anno di registrazione di finti giornali radio, è stato istituito uno dei primi stage, eravamo in dodici e ci davamo il cambio in redazione: due per ogni giorno della settimana. Per dare seguito a quell’esperienza hanno scelto due di noi e la mia situazione professionale si è regolarizzata strada facendo, fino al contratto a tempo indeterminato“. Ma non un contratto da giornalista professionista,ma l’ Aeranti- Corallo per l’emittenza radiofonica locale.

La precarietà incide per oltre il 70% sulle decisioni in ambito privato delle single, per oltre il 60% su quello delle conviventi/sposate” si legge in una delle tabelle presentate da Nuova Informazione. Leila racconta di quando era costretta a spostarsi più volte al giorno da Ancona a Fabriano per seguire eventi e conferenze. “Quell’anno è stato faticosissimo. Non potendo pagare nessuno per tenere Maya , la portavo con me. Guadagnavo 12 euro lordi ad articolo, ed era già tanto. La babysitter doveva essere pagata con almeno 8 euro. Mi chiedevo spesso: vale la pena che io vada a scrivere l’articolo?”

Su questo Monia prosegue con una riflessione: “Il problema di fondo secondo me non riguarda l’avere un figlio, ma la possibilità di conciliare vita privata e professionale in maniera dignitosa: quando devi occuparti anche di un figlio organizzare il lavoro di freelance diventa più difficile, perché oltre a questo hai altre priorità, anche economiche. Per fortuna nei momenti peggiori, per esempio subito dopo il licenziamento da Liberazione, ho sempre potuto contare sulla mia famiglia d’origine”

Anche Chiara parla di difficoltà nella conciliazione, che nemmeno un contratto può garantire: “A parte l’avere un figlio, è la condizione di precarietà e instabilità che accomuna tutti noi”. L’organizzazione familiare diventa ancora più difficile con l’intreccio di relazioni familiari e professionali: “Io ho un collega compagno, e non è stato facile nemmeno impostare i nostri turni in modo da andare a prendere il bambino a scuola. A noi manca una rete collaterale di amici e parenti, così le difficoltà si moltiplicano”.

Sul capitolo relazioni professionali e figli Monia dice. “Durante i colloqui non mi è capitato mi chiedessero della mia gestione familiare. A lavoro non mi hanno mai fatto vivere la maternitàcome un peso”. Diverse le ultime esperienze di Leila: “Prima di ottenere il mio posto attuale, io e mio marito stavamo pensando di andare all’estero. Negli ultimi colloqui mi chiedevano non cosa sapessi fare, quali fossero le mie esperienze, ma dove avrei lasciato Maya durante il lavoro”. Leila si dice “fortunata, grazie a questa sostituzione, altrimenti chi mi avrebbe preso con una bimba di tre anni?”

Chiara invece racconta di come abbia faticato per far valere il suo diritto alla maternità: “Ho preso un mese prima della nascita di mia figlia e altri 4 dopo. Al mio rientro ho avuto molto da fare per imporre il mio diritto all’allattamento (il contratto nazionale prevede due ore). Chiedevo l’accorpamento di queste ore e soprattutto regolarità negli orari. Il confronto è stato abbastanza serrato. A quel punto ho minacciato congedi parentali a scacchiera, sapendo che avrei messo in difficoltà il lavoro dell’azienda. Siamo comunque riusciti a trovare un accordo, ma non è stato facile”.

A condurre “una vita multitasking” e a rischiare il cortocircuito sono molte donne italiane tra i 25 e i 40 anni che, secondo l’Istat (nello studio Il lavoro femminile in tempi di crisi 2012) svolgono di più tutti i tipi di lavori part-time, tempo determinato e orari atipici .

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Equo compenso, ecco chi deciderà: prima riunione il 4 marzo http://ifg.uniurb.it/2013/02/20/ducato-online/equo-compenso-ecco-chi-decidera-prima-riunione-il-4-marzo/35353/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/20/ducato-online/equo-compenso-ecco-chi-decidera-prima-riunione-il-4-marzo/35353/#comments Wed, 20 Feb 2013 15:15:34 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=35353 È quasi tutto pronto, anche se con qualche giorno di ritardo rispetto alle scadenze stabilite, per la prima riunione della commissione per l’equo compenso nel lavoro giornalistico, che si insedierà il 4 marzo alle 10, presso il dipartimento Editoria e Informazione.

Durante la riunione si dovranno definire le modalità di retribuzione da riconoscere ai free lance e ai collaboratori autonomi, e si dovrà redigere l’elenco dei media che garantiranno il rispetto di questa equità.

Presidente della commissione sarà il sottosegretario all’Editoria, Paolo Peluffo. Presenti anche il presidente dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti Italiani) Andrea Camporese, il segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Giovanni Rossi, ed Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti.

Faranno parte della commissione anche un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e uno dello sviluppo economico. Ancora sconosciuto il nome del rappresentante in commissione della Fieg (Federazione italiana editori giornali).

La legge, che sembrava essersi bloccata a luglio dell’anno scorso, quando il ministro del lavoro Elsa Fornero aveva dato parere negativo, dichiarando di avere “molte riserve e perplessità”, fu approvata dalla commissione cultura di Montecitorio lo scorso dicembre con voto unanime.

La necessità di una regolamentazione seria, che sancisca il valore economico e sociale della professione in questo momento di convivenza fra analogico e digitale, balza all’occhio osservando gli altri paesi europei: in media una giornalista in Germania guadagna circa 2.147.00 euro al mese, e per un reportage viene pagato 127 euro al giorno, mentre in Inghilterra il prezzo medio di un articolo è di 170 sterline. La Svizzera paga gli articoli dei suoi giornalisti circa 78 euro l’uno e sale a 200 euro o anche di più se si tratta di un reportage.

Se guardiamo l’Italia, invece, le ultime ricerche dell’Inpgi ci mostrano come il 75% dei freelance guadagni in media meno di 10.000 euro lordi l’anno e il 62% meno di 5.000 euro, e spesso il prezzo di un articolo viene pagato dalle testate non più di 5 euro lordi.

LA LEGGE E I RITARDI

Nell’articolo 1 della legge è scritto che per compenso equo si intende la remunerazione del lavoro giornalistico proporzionato alla quantità e alla qualità, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione, nonché dalla coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria.

L’articolo 2 prescrive che entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge sia insediata una commissione di sette membri, in carica per tre anni, presieduta dal Sottosegretario all’editoria, presso il dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che provvede al suo funzionamento con le risorse di cui dispone. Il termine ultimo per l’insediamento è in realtà scaduto da giorni e, da qui, le molte critiche dei giornalisti, anche sui social network.  Tanti hanno scritto messaggi come questi al presidente Mario Monti direttamente su Twitter.

Fabrizio Morviducci, giornalista professionista de “La Nazione”

Simone d’Antonio, giornalista e addetto stampa

Andrea Menagò, giornalista freelance

Entro due mesi dal suo insediamento la Commissione dovrebbe definire il compenso equo e valutare le prassi retributive. Inoltre dovrebbe redigere un elenco, costantemente aggiornato, dei quotidiani, anche online, dei periodici, delle agenzie di stampa e delle emittenti radiotelevisive che garantiscono il rispetto di un equo compenso, dandone adeguata pubblicità.

Infine l’articolo 3 prevede che la mancata iscrizione nell’elenco per un periodo superiore a sei mesi, entro il 1° gennaio 2013 (data ovviamente posticipata per il ritardo dovuto al mancato insediamento) comporti la decadenza dal contributo pubblico a favore dell’editoria nonché di eventuali altri benefici pubblici, fino a successiva iscrizione.

Insomma, tutti sono in attesa di sapere quali saranno gli esiti della riunione del 4 marzo, intanto in una nota sul sito dell’Ordine del Presidente Enzo Iacopino si legge questa dichiarazione: “Non è stato semplice guadagnare l’attenzione che il problema merita, ma la mobilitazione dei colleghi ha determinato anche questo risultato. Sento il bisogno di ringraziarli tutti singolarmente e di manifestare un apprezzamento affettuoso per l’essenziale lavoro svolto dai coordinamenti dei precari e dei freelance in Italia. Senza il loro aiuto e senza quello di tanti singoli, vittime di uno sfruttamento insopportabile, non sarebbe stato possibile”.

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Incontro “crisi del giornalismo e dell’editoria” http://ifg.uniurb.it/2010/04/14/ducato-notizie-informazione/incontro-crisi-del-giornalismo-e-delleditoria/2448/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/14/ducato-notizie-informazione/incontro-crisi-del-giornalismo-e-delleditoria/2448/#comments Wed, 14 Apr 2010 09:00:59 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2448 [continua a leggere]]]> URBINO – Venerdì 16 aprile si discuterà di crisi del giornalismo e dell’editoria all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (in via della Stazione 62). Giorgio Baglio e Ugo Barbàra, autori del progetto To Report, presenteranno la loro iniziativa, una piattaforma online per la vendita e l’acquisto di contenuti giornalistici professionali.

All’incontro “crisi del giornalismo e crisi dell’editoria: giornalisti editori di se stessi? Il ruolo dei freelance per un nuovo modello di business” interverranno anche Giuseppe Granieri (de La Stampa), Mario Tedeschini Lalli (di Kataweb), Massimo Russo (direttore di Kataweb) e Lella Mazzoli (direttore dell’Istituto di comunicazione, media, linguaggi e spettacolo dell’Università di Urbino).

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