il Ducato » giornali http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » giornali http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it L’edicola e lo “slow journalism”: la doppia sfida di pagina99 http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/ledicola-e-lo-slow-journalism-la-doppia-sfida-di-pagina99/55963/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/29/ducato-online/ledicola-e-lo-slow-journalism-la-doppia-sfida-di-pagina99/55963/#comments Wed, 29 Jan 2014 12:29:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=55963 Come Jack Kerouak, iniziare a raccontare la propria avventura o giudicare la qualità di un libro dalla novantanovesima pagina. In questo caso, arrivare al novantanovesimo giorno di vita di una nuova impresa editoriale per sapere se ha avuto successo.

Ma non bisognerà aspettare maggio per capire cosa rende la nuova testata pagina99 diversa dagli altri esperimenti editoriali lanciati finora. Avrà un’uscita cartacea quotidiana dal martedì al venerdì. Promuoverà un giornalismo lento, di qualità e di approfondimento e punterà, almeno in partenza, su un pubblico di nicchia. In edicola così come in rete. 

Per il momento si tratta di una sfida editoriale su più fronti, ma soprattutto su un terreno scivoloso come quello del giornalismo cartaceo in un periodo di generale crisi dei giornali: pagina99 sbarcherà in edicola l’11 febbraio. Il laboratorio virtuale è online, seppure ancora in versione beta, già da un paio di giorni.

“Siamo consapevoli di essere parte di una grande prova  – spiega Roberta Carlini, direttore della testata assieme a Emanuele Bevilacqua e Jacopo Barigazzi – ma partiamo dal presupposto che i lettori stiano abbandonando i giornali soprattutto perché vogliono un giornalismo diverso. Vogliamo cambiare l’informazione, riflettere su cosa chiedono le persone,  cosa ha stancato e cosa è addirittura inutile e costoso trattare”.

L’edizione cartacea, in 16 pagine,  sarà in edicola al costo di 1,50 euro non avrà una grande tiratura: l’intenzione, infatti, non è quella di competere con i grandi colossi dell’editoria ma di dare un’alternativa valida a chi chiede e desidera un cambiamento. Nel fine settimana ci sarà poi l’edizione di approfondimento di 56  pagine al costo di 3 euro. Il piano industriale si baserà sull’equilibrio tra pubblicità e vendita.

Roberta sottolinea che non tutta la stampa italiana è in crisi, basti pensare a Il Fatto Quotidiano e a Internazionale: “Bisogna iniziare da un pubblico di nicchia, quello che chiede un  giornalismo di qualità e approfondimento. Abbiamo aperto un blog su Tumblr per chiedere ai lettori cosa volessero da un nuovo giornale. Un’interazione che continueremo a nutrire attraverso i social network e una vasta community collegata al sito”.

Due le risposte: affidabilità e correttezza. Che si traducono in verifica puntuale delle notizie, nel controllo incrociato e nel largo spazio dedicato al data journalism.

Per avere un’idea dell’impostazione editoriale basta affacciarsi in rete e dare uno sguardo alla versione beta del sito. Il punto di osservazione è legato all’economia e al lavoro “non intesi come scienze precise e spesso indecifrabili ma come modi di guardare e interpretare la realtà”, spiega Roberta Carlini. “Mentre in passato i lettori acquistavano i giornali per decidere da che parte stare, oggi vogliono crearsi un personale punto di vista. Per farlo, hanno bisogno di chi gli fornisca con chiarezza e affidabilità dati e informazioni sulla realtà. Uscendo dal vittimismo e dal sensazionalismo per lasciare spazio ai fatti”.

Tutto in una redazione di 20 giornalisti – tra i quali alcuni transfughi de Linkiesta e del gruppo Espresso – e numerosi collaboratori impegnati nella realizzazione “multicanale” di pagina99 “per creare un ecosistema in cui carta e web non si sovrappongano e non siano in competizione. Una stessa redazione per diversi media”.

La formula online di pagina99 ha un sapore internazionale. Si ispira al Financial Times per i contenuti e al meglio dell’editoria digitale per quanto riguarda la grafica, a partire dal modello di Newsweek: contributi  multimediali, grafica dinamica  e approfondimento.

Perché internet non vuol dire solo velocità e brevità: “Vogliamo che ci sia molto spazio per l’ampliamento delle tematiche – sottolinea Roberta – con inchieste, reportage, editoriali. Ma soprattutto cercheremo la qualità, a costo di non pubblicare anche i grandi scoop senza averli prima verificati a fondo. Perché i mezzi tecnologici permettono di fare un giornalismo migliore, ma anche di dare tanto spazio a quello peggiore”.

Tra le novità, la possibilità di scegliere il livello di approfondimento degli articoli attraverso una struttura a fisarmonica (i direttori del sito li chiamano “a contesto variabile”  e l’introduzione della forma del “Dibattito”.

“Gli articoli avranno una sorta di divisione modulare in paragrafi: il lettore può scegliere di aprirli o meno a seconda dei propri interessi e delle proprie competenze senza però perdere l’essenzialità della notizia. Contemporaneamente, però, questo ci permette di aprirci al long-form journalism”. Insomma, una soluzione che va incontro a chi ha poco tempo per leggere e a chi, invece ne ha anche troppo.

E poi, uno stop alla polemica urlata dei talk show e ai commenti molesti degli utenti di internet: sarà introdotta la forma del “Dibattito” in cui, scelto un tema, si darà la parola a esperti che sosterranno tesi  contrapposte a patto di portare sul tavolo della discussione dati e argomentazioni valide, verificate e verificabili. Ovviamente, saranno moderati anche i commenti dall’esterno.

“Vogliamo cercare di uscire fuori dal rumore di fondo che permea la rete – conclude Roberta – e siamo consapevoli che ci stiamo lanciando in un’impresa titanica. Ma non abbiamo fretta, procederemo a piccoli passi creando e migliorando il giornale di giorno in giorno e soprattutto accogliendo i consigli dei lettori. Dove arriverà questo giornale? Lo scopriremo solo facendolo”.

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Giornalismo in crisi: tutti i numeri. In tre anni -3722 contratti di lavoro http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/giornalismo-in-crisi-tutti-i-numeri-in-tre-anni-3722-contratti-di-lavoro/51298/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/giornalismo-in-crisi-tutti-i-numeri-in-tre-anni-3722-contratti-di-lavoro/51298/#comments Thu, 13 Jun 2013 16:12:23 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=51298 Cinque anni di crisi. Contratti di solidarietà in aumento del 193%. Centinaia di migliaia di copie di quotidiani perse. Investimenti pubblicitari che regrediscono ai livelli di ventidue anni fa. Albert Camus definì il giornalismo “il mestiere più bello del mondo”, ma probabilmente con i dati alla mano oggi avrebbe cambiato idea.

In Italia c’è una città grande come Ancona registrata negli albi dell’Ordine dei Giornalisti: è la città di quelli che hanno seguito Camus e armati di telecamere, pc, tablet e le intramontabili carta e penna, hanno deciso di cimentarsi con il giornalismo. I professionisti, ovvero i giornalisti che per legge devono vivere ‘esclusivamente di giornalismo’, sono 27.958. Di questi 7.646 hanno messo penna e calamaio da parte e sono andati in pensione, mentre 17.364 lavorano e versano regolarmente i contributi. Dato che la matematica non è un’opinione, rimangono 3.000 persone in cerca di un editore.

-3,8% I contratti di lavoro giornalistico persi nel 2012
-3722 Rapporti di lavoro giornalistico persi dal 2010 a oggi
-292 Licenziamenti, prepensionamenti e contratti non rinnovati nei quotidiani italiani nel 2012
+193% La crescita dei contratti di solidarietà nelle testate italiane nel 2012
+28,3% La crescita dei giornalisti in cassa integrazione
253 Prepensionamenti nel 2012

Stando ai dati dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) i pensionamenti sono aumentati del 4,3% rispetto al 2011, mentre è sceso del 3% il numero dei giornalisti con un contratto.

I dati più allarmanti riguardano la spesa che l’istituto di previdenza ha sostenuto per ammortizzatori sociali come disoccupazione, cassa integrazione e contratti di solidarietà. Con un +43,23% ovvero 7 milioni in più rispetto al 2011, l’Inpgi ha visto crescere la spesa per i trattamenti di disoccupazione del 9,02% rispetto all’anno precedente. La disoccupazione percepita dai giornalisti a causa di licenziamento è aumentata del 35%, e del 9,7% sono aumentati i trattamenti per disoccupazione in seguito a dimissioni.

Significativo è l’aumento del 193% dei contratti di solidarietà, ovvero quegli accordi stipulati tra l’azienda e i sindacati che prevedono meno ore di lavoro (e stipendi ridotti) per favorire le nuove assunzioni, senza ricorrere ai licenziamenti. Sono aumentate rispetto al 2011 anche le spese per la cassa integrazione, che costano all’Inpgi circa 3,6 milioni di euro. Tra i fortunati che sono riusciti a vivere grazie alla propria professione, 6.101 lavorano nel settore dei quotidiani (-1856 rispetto al 2008), 2872 nei periodici (nel 2008 erano 4000) e 935 lavorano nelle agenzie stampa (contro i 1316 del 2006). Non sono invece disponibili i dati scorporati di radio, tv e giornali online.

I numeri della diffusione dei quotidiani non sono più felici, anzi si tratta proprio di quelli più critici. Nella media generale la Fieg (Federazione italiana editori giornali) parla di un calo delle vendite pari al 6% nell’ultimo anno e al 22% dal 2007 a ora. Tradotto in carta, guardando i dati di Prima online, significa che La Repubblica e il Corriere della Sera, da sempre tra i più venduti nelle edicole, hanno perso insieme 463.948 copie. In particolare La Repubblica ha subito un calo di vendite del 42%, mentre il Corriere si ferma a -37%Il Fatto Quotidiano alla nascita vendeva 69.229 copie, oggi 54.035. Libero e Il Giornale hanno perso rispettivamente il 31% e il 43% delle copie.

Qualche segno positivo è rintracciabile tra i numeri dei settimanali, dove Vanity Fair è riuscita ad aumentare il numero di copie di 32.120 unità. Ma al di là di questa nota positiva, lo storico Oggi ha perso il 49%, Panorama il 45%, l’Espresso il 56%. Perfino Topolino – che è appena arrivato al numero 3000 – se la passa male, con un calo del 59%. In generale la stampa periodica ha registrato una riduzione ininterrotta di ricavi, che nel 2012 è arrivata al 9,5%.

Aggiungiamo anche che, proprio quello appena concluso è il primo anno in cui il segno meno è arrivato anche davanti al numero di chi i giornali li comprava tutte le mattine. Se finora l’aumento dei lettori era servito a compensare l’andamento negativo della diffusione delle vendite, adesso il calo di circa un 15% per i quotidiani e del 9,4% per i periodici rende ancora più difficile immaginare una ripresa, almeno in tempi brevi. Inoltre per la prima volta dal 2003, i fondi derivanti dalla pubblicità sono scesi al di sotto degli 8 miliardi di euro, che in termini reali significa una recessione ai livelli del 1991.  Ciò vale per tutti i mezzi di informazione eccetto internet, dove  gli investimenti sono cresciuti del 147%, anche in virtù dei bassi livelli di partenza e dei prezzi. Per tornare ai numeri: gli utenti unici del Corriere.it sono passati dai 963.605 di tre anni fa ai 1.168.112 dello scorso aprile, quelli di Repubblica.it sono 1.515.242, il 18% in più in un triennio. Numeri che non permettono di compensare, con gli introiti pubblicitari pari a 1,3 miliardi di euro, il crollo dell’advertising sulla carta stampata.

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Il caos calmo della rettifica online: se la deontologia non basta http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/il-caos-calmo-della-rettifica-online-se-la-deontologia-non-basta/48928/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/il-caos-calmo-della-rettifica-online-se-la-deontologia-non-basta/48928/#comments Thu, 13 Jun 2013 12:55:49 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48928 “Il cielo stellato sopra di me – diceva Immanuel Kant – la legge morale dentro di me”. Quando non esistono regole certe, l’unica barriera ad arginare l’istinto degli uomini (e dei giornalisti) è la sottile e variabile linea della moralità. E’ questo il caso del giornalismo online e dell’obbligo di rettifica, sul qual c’è un’assenza di norme che rischiano di produrre squilibri nella tutela dei diritti dei cittadini che la chiedono.

La stampa online è regolata, come il resto dell’informazione italiana, da una legge datata 8 febbraio 1948 . Ben prima della Rete, e quando la tv non era ancora arrivata in Italia. Chiaro quindi che ci siano dei problemi. Cosa deve fare il cittadino che vuole rettificare una notizia su un giornale online? E come deve comportarsi il giornalista?

Come detto, una norma di legge non esiste. La legge del 1948 detta i requisiti per la rettifica sui mezzi d’informazione tradizionali. La testata giornalistica è obbligata a pubblicare tempestivamente le rettifiche – anche qualora contengano informazioni false – entro un certo numero di edizioni, a seconda del tipo di pubblicazione (settimanale, giornale radio, quotidiano).

Nel caso di internet, però, sorgono due grossi problemi:

  1. le edizioni, in senso proprio, non esistono,
  2. il web non è contemplato dalla legge tra i mezzi d’informazione

Di conseguenza, non esistono regole per stabilire quando esista il diritto di replica da parte della persona che si sente offesa da un contenuto e la forma che deve prendere questa rettifica.

“Non c’è nessuna regola – conferma Carlo Melzi D’Eril, avvocato penalista esperto di giornalismo (per la trasparenza: è anche docente dell’Ifg) – salvo il codice deontologico dei giornalisti. Se il giornalista online venisse citato in giudizio per una mancata rettifica, infatti, la sua posizione verrebbe immediatamente archiviata perché non c’è nessuna norma che regola la materia, a differenza di ciò che avviene per gli altri mezzi d’informazione”. È bene precisare che si parla soltanto dell’obbligo di rettifica: il giornalista online, come tutti gli altri, risponde penalmente per il reato di diffamazione.

“Una buona soluzione normativa – sostiene ancora Melzi D’Eril – sarebbe far scattare l’obbligo di rettifica per le testate e i mezzi d’informazione online secondo un criterio temporale, magari con un limite di spazio e con la condizione che la notizia da rettificare sia falsa, come avviene per le televisioni”.

Così la deontologia professionale rimane l’ultimo argine all’anarchia, anche se per l’Ordine dei giornalisti è quasi come fermare la marea con le mani. Dario Gattafoni, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, sostiene che “una norma di legge ben fatta sarebbe utile e auspicabile, ma noi non ne abbiamo bisogno: il codice deontologico parla chiaro, il giornalista è comunque obbligato alla rettifica, quindi se la regola legislativa interviene a fissare un paletto, sicuramente ne beneficeremo tutti, altrimenti comunque ci sono delle norme inderogabili sul comportamento dei giornalisti”.

Va detto, però, che se queste regole sanzionano i giornalisti, non tutelano in modo diretto i cittadini interessati alla rettifica, proprio perché sono norme la cui applicazione spetta all’Ordine che non è un tribunale e che non ha potere sui non iscritti. Il cittadino viene tutelato dall’Ordine solo in via indiretta, attraverso il potere di controllo e censura sui giornalisti, compresi quelli del web (esclusi i blogger).

Fin qui la teoria, ma in pratica, come deve comportarsi il giornalista ? Come si rettifica un pezzo online, per definizione immateriale? Ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi corregge il pezzo originale, chi aggiunge in testa o in coda la rettifica, chi sbarra la frase da rettificare con una riga e scrive accanto in corsivo le parole nuove che correggono il “tiro” della notizia, chi rettifica in un nuovo pezzo, chi – salomonicamente – si toglie dall’imbarazzo cancellando totalmente il pezzo originale.

I giornalisti si muovono quindi in ordine sparso. A  mettere ordine nella faccenda dovrebbe essere il parlamento che, anche se frammentariamente, ci ha anche provato: nel 2009, maggioranza e opposizione presentarono, all’interno del disegno di legge sulle intercettazioni, due emendamenti contraddittori.

Il senatore D’Alia, messinese in quota Udc, presentò un emendamento che fu ribattezzato “ammazza-blog”: prevedeva che i gestori dei siti d’informazione dovessero procedere “immediatamente” alla pubblicazione della rettifica. Ma cosa vuol dire “immediatamente” in un modo che si muove alla velocità dei bit? Il Pd propose invece un periodo di tempo di 48 ore dalla richiesta di rettifica alla sua pubblicazione. Ma il Ddl intercettazioni non vide mai la luce, e gli emendamenti quindi sono finiti nella soffitta di Palazzo Montecitorio. Lasciando da sola la deontologia.

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‘Penna libera tutti': il giornale del carcere che dà voce ai detenuti http://ifg.uniurb.it/2013/05/28/ducato-online/penna-libera-tutti-il-giornale-del-carcere-di-pesaro-che-da-voce-ai-detenuti/48749/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/28/ducato-online/penna-libera-tutti-il-giornale-del-carcere-di-pesaro-che-da-voce-ai-detenuti/48749/#comments Tue, 28 May 2013 00:57:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48749 Penna libera tutti è il mensile prodotto a Villa Fastiggi, casa circondariale di Pesaro, nato dall'iniziativa del direttore del giornale della diocesi e dal responsabile del progetto pedagogico della prigione. Un modo per dare ai detenuti una possibilità di raccontare la vita nell'istituto penitenziario e di dar voce alla loro voglia di riscatto]]> PESARO – Il venerdì non è un giorno come gli altri per Spartaco. Ogni settimana, alle 9 in punto, si precipita in redazione. Ha un appuntamento importante: deve incontrare il caporedattore Francesco Rinaldi e decidere insieme a lui gli articoli per il prossimo mese. Spartaco non è un giornalista e il suo non è  un giornale qualsiasi: lui è un detenuto e scrive su Penna libera tutti, il mensile del carcere di Pesaro.

Quando a ottobre, Raffaele Mazzoli, il direttore del giornale della diocesi di Pesaro-Urbino Il nuovo amico,  ha voluto creare questo inserto insieme a Enrichetta Vilella, la responsabile del progetto pedagogico del carcere, l’entusiasmo tra i detenuti è stato grande.

“Il carcere non è solo un edificio dove sono reclusi i cattivi, ma anche un istituto dove esistono persone che tra un’angoscia e una speranza, aspettano la fine della propria condanna per potersi reintegrare nella società. Nella vita si può cadere, ma si ha il diritto di avere un’ altra chance per riprendersi la propria vita. Ed ecco che questo giornale ci dà l’opportunità di raccontare la vita carceraria, portando riflessioni e sfatando quei luoghi comuni che non aiutano né voi né noi a comprendere questo mondo. Aiutateci a migliorare”.

Così scrivevano i detenuti nel primo editoriale del giornale. Una redazione composta da una decina di persone che ha a disposizione solo due computer senza connessione internet. Prima che il giornale uscisse in edicola, Spartaco, Leonardo, Antonio detto Tony e tutti gli altri redattori si sono preparati a lungo. Hanno seguito un corso di giornalismo tenuto da professionisti per imparare “tutte le regole da seguire”, come dice Tony.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Ma il lavoro più difficile è venuto dopo, quando Francesco Rinaldi e Francesco Mazzoli, il caporedattore centrale de Il nuovo Amico, gli hanno chiesto di scrivere della loro vita passata e della loro condizione attuale. “Non è facile scrivere di sé, ma ti aiuta anche a fare pace con te stesso. L’articolo a cui sono più legato è quello che parla del mio divorzio: da lì in poi tutto si è rovinato nella mia vita”, racconta Leonardo che per anni ha fatto il camionista e che parla correttamente quattro lingue, l’arabo, il francese, il tedesco e l’inglese. “Faccio fatica a esprimermi a parole. Quando scrivo invece è diverso: riesco a dire quello che provo, quello che sento”, dice Alfonso, uno degli ultimi acquisti della redazione.

Penna libera tutti non è solo un piacevole passatempo, utile a riempire le giornate vuote del carcere. Per Spartaco e per tutti gli altri, scrivere su un giornale che poi verrà letto da 7.000 persone rappresenta un modo per non sentirsi soli, per guardare al futuro senza il peso di un passato che fa paura: “È la nostra voce. L’occasione per dire al mondo che non tutti i detenuti sono uguali, per far conoscere la nostra voglia di riscatto”, afferma convinto Spartaco. Prima di un altro venerdì in redazione.

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Picayune e Inquirer: quei giornali che tornano a puntare sull’edicola http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/ducato-online/picayune-e-inquirer-quei-giornali-che-tornano-a-puntare-sulledicola/46894/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/ducato-online/picayune-e-inquirer-quei-giornali-che-tornano-a-puntare-sulledicola/46894/#comments Mon, 13 May 2013 17:45:22 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46894 Se la moda del momento è l’esodo dalla carta al digitale, negli Stati Uniti c’è chi va in controtendenza. È il Times Picayune, giornale di New Orleans dal 1837 che un anno fa decise di tagliare le pubblicazioni cartacee riducendo a tre le uscite settimanali per favorire ed espandere il sito online del giornale, provocando il malcontento tra i lettori. Ma l’ex quotidiano, a distanza di un anno, ha deciso di ritornare sui suoi passi affiancando al cartaceo del mercoledì, venerdì e domenica, un nuovo tabloid il TPStreet che uscirà anche il lunedì, martedì e giovedì.

La notizia di poche ore fa è stata commentata sul New York Times che ha giudicato “arrogante e avventata” la scelta dell’anno scorso da parte degli editori di abbandonare il cartaceo pensando che i numerosi “click” del sito portassero alla conquista di nuovi inserzionisti e di conseguenza a nuove fonti di guadagno.

Ma la convinzione che possedere il monopolio di un’area per fare funzionare un giornale si è rivelata ben presto sbagliata e il vecchio quotidiano di New Orleans ha dovuto ammettere di non essere stata in grado di adottare una strategia digitale moderna.

Critiche sono arrivate anche dal Columbia Journalism Review, la rivista della scuola di giornalistmo della Columbia, che ha giudicato la strategia dell’anno scorso come un “rolling disaster”, letteralmente un disastro rotolante.

Il caso del Times Picayune non è l’unico negli Stati Uniti. Qualche settimana fa il Philadelphia Inquirer, giornale di Philadelphia fondato nel 1829 da John R. Walker (terzo giornale più longevo negli Usa) ha fatto un passo indietro annunciando che, dopo due anni di assenza dalle edicole, sarebbe ritornato con l’edizione del sabato.

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Crisi Rcs, dieci periodici a rischio: protestano centinaia di giornalisti http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/crisi-rcs-dieci-periodici-a-rischio-chiusura-protestano-centinaia-di-giornalisti/45687/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/06/ducato-online/crisi-rcs-dieci-periodici-a-rischio-chiusura-protestano-centinaia-di-giornalisti/45687/#comments Mon, 06 May 2013 13:54:12 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45687 LEGGI Crisi Rcs, la sfida dei Cdr per salvare 800 posti di lavoro ]]> Copie dei giornali gettate a terra e un centinaio di persone che inneggia cori di protesta: i giornalisti dei periodici del gruppo Rcs, i cui posti di lavoro sono a rischio, si sono divisi in due grandi ali di fronte l’entrata del teatro Elfo Puccini di Milano per accogliere al grido di ‘Vergogna’ dirigenti e manager del gruppo, come il presidente Angelo Provasoli e Piergaetano Marchetti, impegnati in una riunione per discutere il futuro delle 10 testate che rischiano di chiudere: Novella 2000, A, Visto, Max, Astra, Ok Salute, Brava Casa, l’Europeo, Yatcht&Sail e Il polo dell’enigmistica.

Le pubblicazioni sono state messe in vendita due mesi fa e non è stato ancora trovato un acquirente.  Il problema è proprio questo, ha spiegato il gruppo: se Rcs non riuscirà a trovare singoli compratori per ognuna delle pubblicazioni entro il 30 giugno le testate verranno chiuse dall’azienda.

Un brutto colpo per i 110 dipendenti che vi lavorano, 90 dei quali sono giornalisti. L’ad del gruppo Pietro Scott Jovane, come riportato dall’Ansa, si è detto solidale con i dipendenti: “È una manifestazione corretta e opportuna”, ha dichiarato prima di entrare in riunione.

Delle dieci testate l’unica che non sarebbe a rischio chiusura è Il polo dell’enigmistica, con un bilancio in attivo non dovrebbe avere problemi nel trovare un nuovo acquirente. Il futuro delle altre pubblicazioni è, invece, strettamente legato al nuovo assetto organizzativo attualmente in discussione. Stando a dichiarazioni di fonti sindacali e finanziarie verrà creato un unico comparto editoriale, si chiamerà “Media Pubblishing” e unirà le due divisioni Quotidiani e Periodici. Una nuova business unit guidata da Alessandro Bompiani, oggi direttore della Divisione Quotidiani. Prevista anche la creazione di una divisione dedicata alla gestione dei fornitori, degli stabili del gruppo e delle infrastrutture.

Era l’11 febbraio scorso quando l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, insieme al capo del personale, annunciò al Comitato aziendale europeo (Cae) il piano per lo sviluppo 2013-2015: un esubero di 800 dipendenti, di cui 600 in Italia (tra questi 200 sono giornalisti), la vendita o la chiusura di 10 periodici e il trasloco del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport dalla storica sede di via Solferino. Da allora sono seguiti una serie di incontri e tavoli negoziali voluti espressamente dal Cdr Periodici per trovare un’alternativa valida alla vendita in blocco delle dieci pubblicazioni. “La cessione è antisindacale perché viola gli accordi presi, con l’attivazione dello stato di crisi, tra azienda e Cdr” dichiarò Marco Persico, membro del Cdr Periodici, in un’intervista al Ducato.

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Dorfles al festival di Urbino: “La polemica ha sepolto la critica” http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/dorfles-al-festival-di-urbino-giornalismo-culturale-autoreferenziale/45232/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/dorfles-al-festival-di-urbino-giornalismo-culturale-autoreferenziale/45232/#comments Sat, 04 May 2013 16:07:09 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45232 VIDEO La rete parla a tutti ma non basta
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LE REAZIONI SU TWITTER]]>

Piero Dorfles

URBINO – Nel suo ‘J’ accuse’ al giornalismo culturale italiano non si è risparmiato guadagnandosi alla fine del suo discorso un’ovazione da stadio. Piero Dorfles, celebre critico letterario, è intervenuto questa mattina al Festival del giornalismo culturale di Urbino.

I motivi della crisi del giornalismo della terza pagina, secondo Dorfles, vanno ricercati nel cambiamento della società italiana. Il significato di cultura, quella con la C maiuscola, nel tempo si è ‘democratizzato’ e da settore specializzato è finito per comprendere anche società e spettacoli perdendo così la sua concezione elitaria. Questa trasformazione avrebbe dovuto contribuire a creare una nuova identità in sintonia con lo spirito del tempo, ma questo non è successo.

“Le grandi firme del giornalismo culturale – dice Dorfles –  esistono ancora, ma il loro spazio è sempre più ristretto. La tv, la radio e le piccole testate hanno eliminato la figura del critico, di conseguenza anche la visione della cultura come settore ‘specialistico’ è affievolita”.

Anche la rivoluzione tecnologica ha contribuito a scansare la ‘terza pagina’. Il giornale cartaceo è stato superato dai nuovi media.  “Oggi uno scrittore deve degnarsi di morire per avere attenzione mediatica – continua il critico – oppure vincere un prestigioso premio letterario”. La crisi ha di certo ha contribuito a esasperare la situazione. Gli investimenti sono sempre minori e chi investe punta a quei settori più redditizi. Purtoppo però la cultura non è tra questi.

In quest’ottica il mestiere del critico rischia di tramutarsi in un lavoro d’altri tempi. ” Il giornalista culturale ha perso la sua autorevolezza. I critici sono sempre meno e meno specializzati e devono sottostare alla logica dei rapporti di forza – continua Dorfles – spesso si è costretti a tralasciare la vera critica culturale per favorire la ‘polemica‘, il giornalista si trasforma in ‘story teller’ per soddisfare la necessità di direttori ed editori di vendere. Credo che dovremmo dispiacerci tutti e imparare a disobbedire di più ai nostri direttori perché solo così potremmo ridare al giornalismo culturale la sua funzione”.

Sempre più spesso la Terza pagina è usata per parlare in modo privato favorendo gli interessi di chi è a capo del giornale. In un’ottica di favoritismi e ‘marchette‘ al critico viene impedito di svolgere la sua funzione sociale. Il problema è che “la società letteraria mangia se stessa – dichiara il critico – questa autoreferenzialità è un grande limite, perché il giornalismo dovrebbe per prima cosa guardare verso l’esterno e dialogare con la società”.

Ma quali sono i rischi? Secondo Piero Dorfles si rischia di trasformare la nostra espressione in qualcosa di confuso, “temo che prima o poi finiremo per confondere Faletti con Proust! La crisi dei valori è così profonda che il ruolo di chi dovrebbe trasmettere il sapere e tutelarlo sta diventando sempre più secondario”.

” La cultura serve a costruire il futuro e a vivere il presente – conclude il critico – chiediamoci dove ci porterà quest’indifferenza collettiva verso la cultura, perché proprio la cultura potrebbe essere una soluzione alla crisi”.

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Addio a Neuharth, l’uomo che con Usa Today capovolse il giornalismo http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/#comments Wed, 24 Apr 2013 13:02:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44333 Usa Today è morto in Florida a 89 anni. Con un'idea di quotidiano nazionale, capace di contenere articoli brevi, di facile lettura e con una grafica brillante, ha cambiato radicalmente il giornalismo statunitense]]>

“Come giornalista, ho avuto una meravigliosa finestra sul mondo. Per quasi 50 anni ho cercato di raccontare storie con precisione e in modo imparziale. Condividere con voi quello che ho visto, quello che mi è piaciuto e non mi è piaciuto, è stata un’occasione fantastica e una grandissima responsabilità”

Allen H. Neuharth, fondatore Usa Today

Allen H. Neuharth ha rigorosamente preteso che queste parole fossero pubblicate solo dopo la sua morte, e chissà che non gli sia scappato un sorriso mentre componeva l’ultimo commovente corsivo della rubrica che teneva sul suo giornale. Non sappiamo se il pensiero sia tornato ai primi anni ’80, quando fondò Usa Today, quando tutti lo disprezzavano accusando quel nuovo quotidiano di aver istupidito il giornalismo americano.

Questo esuberante e visionario magnate dei media – morto il 19 aprile a Cocoa, in Florida, a 89 anni – è il papà di quel giornale che gli garantì pochi applausi  e tante critiche. Un look nuovissimo, fatto di colori vistosi e accattivanti, grafica audace, articoli brevi e di facile comprensione. Si capì immediatamente che quel giornale era diverso da qualsiasi altro quotidiano uscito fino ad allora. Era comprensibile, allora, che tutti si mostrassero così scettici e critici verso quella nuova creatura.

Un pizzico di iniziale fiducia in più Neuharth l’avrebbe forse meritata visto che sotto il suo timone il gruppo Gannett diventò il più grande gruppo editoriale degli Stati Unti. Eppure, al lancio del giornale, gli inserzionisti erano riluttanti a mettere i loro soldi in una scommessa così grande. “Grazie a Neuharth, Usa Today è diventato un prodotto capace di attirare l’attenzione dei lettori senza prendersi troppo sul serio – racconta Raffaele Fiengo docente di giornalismo all’università di Padova ed esperto di giornalismo americano  – e fu proprio lui a voler caratterizzare ogni sezione del giornale con un colore diverso, sfruttando il tipico riquadro al margine in alto della prima pagina, diventato poi elemento tipico di molti quotidiani”.

La sua è la storia di un uomo dalle umili origini che, dopo aver svolto i mestieri più disparati, raggiunge il successo e il potere nel proprio Paese sfruttando idee e coraggio. La sua vita racchiude perfettamente ognuna di queste tappe. Infanzia povera in Sud Dakota, rimasto orfano a due anni, Neuharth si è rimboccato le maniche e si è messo fin da ragazzino a svolgere qualsiasi mestiere gli sia capitato a tiro. Garzone, fattorino e perfino bracciante nella fattoria del nonno. Poi, poco più che ventenne, la partenza per il fronte nella seconda guerra mondiale.

Dopo il conflitto, Neuharth frequentò la University of South Dakota dove iniziò a curare il giornale della scuola, in attesa di fondarne uno tutto suo, il SoDak Sport, settimanale dedicato alla scena sportiva statale. Nonostante una buona popolarità iniziale il settimanale andò però in bancarotta nel giro di un anno, facendo perdere a Neuharth i 50mila dollari che aveva investito. Così nel 1954 si trasferì in Florida per lavorare come reporter al Miami Herald, dove scalò rapidamente le gerarchie della redazione.

Fu a quel punto, precisamente nel 1963, che accettò l’offerta di collaborazione avanzatagli dal Gruppo Gannett, una compagnia che allora possedeva un piccolo gruppo di 16 quotidiani nel nord-est. Sarà la svolta della sua carriera e della sua vita. Perché le sue idee, originali e rivoluzionarie,  non tardarono a farsi notare e gli permisero presto di convincere il Ceo (Chief Executive Officier, l’amministratore delegato) della Gannett, Paul Miller, a fargli dirigere il nuovo quotidiano di Cocoa, il Today, che partì nel 1966 e divenne in poco tempo un grande successo editoriale.

Così, la sua encomiabile determinazione lo portò nel 1970 a diventare presidente della Gannett, diventata nel frattempo uno dei più grandi gruppi editoriali degli Stati Uniti. Durante la sua amministrazione i ricavi del gruppo aumentarono in maniera esponenziale: nel 1979 la Gannett possedeva 78 quotidiani, 21 settimanali, 7 emittenti televisive e più di una dozzina di canali radio.

Qualche anno più tardi Neuharth, spinto dal desiderio di creare un quotidiano nazionale per gli Stati Uniti, cercò di mettere in pratica le sue intuizioni. Avere un’idea è quasi sempre un’ottima cosa. Ma è ancora meglio sapere come portarla avanti. Così, Neuharth si mise pazientemente a studiare la teletrasmissione delle pagine, già utilizzata dall’International Herald Tribune in Europa e dal quotidiano economico Wall Street Journal in America. Gli Stati Uniti infatti, per motivi geografici, non avevano mai avuto un quotidiano nazionale, visto che far arrivare le copie alle edicole fuori dalla regione di provenienza per ferrovia o autostrada era tecnicamente impossibile.

Neuharth, che non aveva alcuna intenzione di fare concorrenza ai grandi quotidiani esistenti, intuì che era arrivato il momento di offrire qualcosa di nuovo al pubblico americano e iniziò  a studiare un prodotto per consumatori dal poco tempo a disposizione, esattamente come aveva fatto in ambito alimentare la McDonald’s 35 anni prima. “Il nostro target – disse  – era la popolazione in età di college, poiché pensavamo che seguissero letture già abbastanza serie durante le lezioni”. Neuharth capì che ogni centimetro della pagina doveva essere riempito di informazioni nello stile più facile da leggere, più comodo e comprensibile già alla prima occhiata.

Fu così che, nel settembre 1982, quelle intuizioni geniali e quella formula semplice ma azzeccata debuttarono nelle edicole statunitensi, stravolgendo le abitudini dei lettori americani. Usa Today, respinto e criticato dai giornali tradizionali che consideravano Neuharth un folle, apparve per la prima volta nel 1982 e da quel giorno ha praticamente reinventato il concetto di quotidiano. Lo scarso interesse per la politica tanto interna quanto internazionale, l’ottimismo a tutti i costi e le notizie utili come le previsioni del tempo hanno permesso al giornale di contendersi con il Wall Street Journal la posizione di quotidiano a maggior diffusione negli Stati Uniti, primato che otterrà nel 2003.

Nella sua autobiografia, Confessioni di un figlio di puttana, Neuharth non fece mistero delle sue spietate tattiche di business, come quando rubava le conversazioni dei suoi concorrenti per sfruttarle a suo piacimento. È per questo che quando se è andato in pensione nel 1989 i redattori di Usa Today lo rincorrevano ancora per chiedergli consigli sulla direzione da prendere nella nuova era digitale. Neuharth nel frattempo ha continuato a scrivere periodicamente sulla rubrica intitolata Plain Talk e ha fondato il Freedom Forum, una fondazione dedicata alla libertà di stampa che tiene tuttora conferenze di giornalismo e offre borse di studi agli studenti.

“Neuharth ha reinventato la notizia – ha detto nel suo necrologio l’editore di Usa Today Larry Kramer – e nei nostri recenti sforzi per tradurre la sua visione nel mondo moderno del giornalismo digitale, abbiamo fatto costante affidamento su di lui per capire se stavamo andando nella direzione giusta. Il suo consiglio è stato, non a caso, quello che ci ha aiutato maggiormente”.

Per Neuharth, esempio calzante della realizzazione del sogno americano, sempre attento a non perdere il suo oceano di fedeli lettori, la stampa non doveva soltanto essere libera, doveva anche essere giusta ed imparziale. Con la sua idea di un giornale capace di contenere articoli brevi e di facile lettura, con una grafica vivace e brillante è stato prima deriso e poi largamente imitato dai giornali di tutto il Paese.

“Usa Today è stato un esperimento di successo  –  spiega il giornalista e autore del libro Il giornalismo americano Fabrizio Tonello – ma è rimasto un esperimento isolato, perché arrivava in un momento particolare, quando il mondo della tv americana era ormai in declino. Ha solamente reso evidente questo cambio di direzione  dei giornali verso un approccio meno impegnativo e più accessibile”. Ma il genio di Neuharth è stato proprio questo, intuire quello che ancora  non era chiaro,  spianare la strada al giornalismo moderno modificando la forma ma lasciando sempre alle notizie il ruolo di protagoniste, ex aequo con i consumatori, s’intende.

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Crisi Rcs, la sfida dei Cdr per salvare 800 posti di lavoro http://ifg.uniurb.it/2013/03/18/ducato-online/crisi-rcs-la-sfida-dei-cdr-per-salvare-800-posti-di-lavoro/38878/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/18/ducato-online/crisi-rcs-la-sfida-dei-cdr-per-salvare-800-posti-di-lavoro/38878/#comments Mon, 18 Mar 2013 13:58:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38878 SCHEDA Recoletos, un autogol da 1,1 mld]]>

“Care lettrici e cari lettori, il giornale che state leggendo oggi è in edicola grazie al senso di responsabilità mostrato dai giornalisti del Corriere della Sera in forza degli avvenimenti eccezionali accaduti ieri”
(Comunicato sindacale del Cdr Corriere della Sera)

corriereseraEra l’11 febbraio, nelle redazioni dei quotidiani e dei periodici del gruppo Rcs probabilmente l’atmosfera era tesa. L’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, insieme al capo del personale, aveva annunciato al Comitato aziendale europeo (Cae) il piano per lo sviluppo 2013-2015, che prevede anche l’esubero di 800 dipendenti, di cui 600 in Italia (tra questi 200 sono giornalisti), la vendita o la chiusura di 10 periodici e il trasloco del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport dalla storica sede di via Solferino.

L’avvenimento eccezionale, invece, era l’annuncio di Papa Benedetto XVI di voler interrompere il suo pontificato. Interessi contrastanti: da un lato il diritto di protestare per la tutela del proprio posto di lavoro; dall’altro il dovere di comunicare ai fedeli e non di tutto il mondo il perché di quel gesto storico. Ha vinto il senso del dovere e il Corriere della Sera, come le altre redazioni giornalistiche, ha iniziato un periodo di intenso lavoro per raccontare tutte le tappe di quell’evento, raro nella storia, che ha portato all’elezione del nuovo pontefice, Papa Francesco. Non è solo “il senso di responsabilità” della professione giornalistica ma anche e soprattutto la voglia intrinseca del giornalista di far parte della storia, anche quando avrebbe tutto il diritto di spegnere il computer e incrociare le braccia.

“Un attacco inaudito e inaccettabile da parte dei vertici di questa azienda (…). Una decisione gravissima che, se applicata fino in fondo, sfregerebbe irrimediabilmente l’identità del Corriere e delle altre testate del gruppo”
(Comunicato sindacale del Cdr Corriere della Sera)

La prossima tappa sarà il Consiglio di amministrazione del 27 marzo in cui, insieme all’assemblea dei soci, verrà delineato l’aspetto finanziario a supporto del piano per lo sviluppo 2013-2015, vale a dire chiarire quanto gli azionisti del patto sindacale saranno disposti a investire nel piano industriale di Jovane. E sembra essere proprio questo l’aspetto più delicato della vicenda Rcs. Il gruppo ha attualmente un indebitamento pari a circa 880 milioni di euro in scadenza tra ottobre e novembre prossimi: che significa otto mesi di tempo per decidere sulla ricostituzione del capitale.

Nel frattempo sta assumendo grande importanza il ruolo svolto all’interno delle redazioni dai rispettivi Comitati di redazione delle divisioni quotidiani e periodici. Dalla settimana scorsa hanno aperto dei tavoli negoziali con i dirigenti e si muovono su due fronti, con richieste in parte differenti, ma con un unico obiettivo: studiare e proporre progetti che favoriscano maggiori ricavi editoriali.

“La crisi del gruppo Rcs – spiega al Ducato Giuseppe Sarcina, membro del Cdr del Corriere della Sera – è una crisi in cui si intrecciano diverse componenti: di mercato, strutturale e finanziaria”. La componente di mercato è la crisi economica che ha portato i ricavi pubblicitari del gruppo, sia del Corriere che della Gazzetta che delle altre testate, in forte diminuzione.

Poi c’è la componente strutturale e cioè la trasformazione tecnologica che spinge i giovani a non leggere più i giornali e a spostarsi su nuove piattaforme: “Da gennaio l’Ads (Accertamento diffusione stampa) ha iniziato a contare anche le nostre copie diffuse sull’iPad ma è chiaro che l’online non dà gli stessi ricavi editoriali della carta, anzi per il momento ne dà zero, perché in Italia ancora nessuno ha sperimentato delle formule tipo il paywall o altri sistemi per far pagare ai lettori le copie digitali”.

Infine c’è la componente finanziaria: “E questo – continua Sarcina – è un problema specifico del gruppo Rcs, subentrato nel 2007 con l’acquisizione del gruppo editoriale spagnolo Recoletos, proprietario del primo quotidiano economico Expansion e il primo quotidiano sportivo Marca». L’intento era quello di creare “insieme a El Mundo, nel quale Rcs era già presente (dal 1999) con una quota, un polo di attività in Spagna che, però, è andato malissimo sia da un punto di vista dei risultati editoriali sia da un punto di vista finanziario”.

SCHEDA Un acquisto (sbagliato) da 1,1 miliardi

Un’operazione rischiosa e poco trasparente effettuata – stando all‘inchiesta che lo stesso Cdr del Corriere ha fatto e pubblicato come comunicato sindacale sul giornale – a prezzi di mercato più alti rispetto ai parametri dell’epoca (l’Rcs ha speso per la Recoletos 1,1 miliardi di euro) e all’ombra di intrecci d’interesse tra compratori e venditori. Uno specchietto per le allodole che “ha trasformando la Rizzoli da impresa sana e senza debiti – nel 2006, prima dell’acquisizione Recoletos, l’Rcs MediaGroup registrava un’utile netto di 219 milioni – a un’impresa molto indebitata (…) che pesa sulla gestione di oggi e ipoteca il futuro del gruppo”.

A questo punto ciò che il Cdr della sezione quotidiani si aspetta dal prossimo Cda di fine marzo è: un immediato aumento di capitale da parte degli azionisti e nuovi progetti editoriali per incrementare i ricavi dal digitale. Riguardo al primo aspetto ancora Sarcina spiega: “A ottobre sembrava che 400 milioni sarebbero potuti bastare, ma con l’aggravarsi della crisi riteniamo che servano almeno 700-800 milioni. Probabilmente ha ragione chi dice che sarà un aumento di capitale in due riprese, una subito di 400 milioni e una più avanti di 200-250 milioni”.

Ma la ricapitalizzazione da sola non basta. “Il problema fondamentale – continua Sarcina – è quello di trovare progetti per aumentare i ricavi. Se non si rompe l’incantesimo di Internet o del digitale a pagamento si può tagliare tutto quello che si vuole, ma nel giro di due o tre anni ci si ritrova allo stesso punto”.

Il piano industriale dell’ad Jovane prevede di far convergere carta e digitale, passando entro il 2015 a ottenere dalla carta il 75% dei ricavi totali del gruppo e dal digitale il 25% (oggi sono rispettivamente l’86% e il 14%).

Riguardo la questione degli 800 esuberi l’azienda ha escluso che si tratti di licenziamenti, anche se non ha chiarito se pensa a prepensionamenti o ad altro. Aspetto delicato che riflette l’incertezza della situazione politica nazionale, perché gli ammortizzatori sociali, previsti in stato di crisi secondo la legge fondamentale dell’editoria n. 416 del 1981, dal 2009 sono a carico dello Stato che mette a disposizione un Fondo statale per i prepensionamenti dei giornalisti, con un budget di 20 milioni di euro l’anno. Ma al momento la Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) ha invitato i Cdr delle diverse redazioni a non firmare nessun tipo di accordo, perché pare che i soldi siano finiti.

Di altra natura è la questione cessione periodici. Sono 10 le testate del gruppo Rcs su cui l’amministratore delegato Jovane sta valutando l’ipotesi di vendita o chiusura: A, Brava Casa, Astra, Max, Ok Salute, l’Europeo, Visto, Novella 2000, Yacht & Sail e il polo dell’enigmistica. Anche qui c’è stata, ovviamente, una dura reazione del Cdr della divisione periodici che, definendo antisindacale il comportamento assunto dall’azienda, ha chiesto e ottenuto l’apertura di tavoli negoziali con l’ad Jovane per evitare la vendita.

“La cessione – spiega al Ducato Marco Persico, membro del Cdr Periodici – è antisindacale perché viola gli accordi presi, con l’attivazione dello stato di crisi, tra azienda e Cdr”. Accordi che furono siglati in seguito al fallimentare tentativo di vendita che Rcs mise in atto nel 2010  per otto testate, tra cui quattro (Astra, Max, Ok Salute e Novella 2000) rimesse in discussione anche adesso. All’epoca l’amministratore delegato era Antonello Perricone e fu con lui che la delegazione sindacale siglò gli accordi per l’attivazione dello stato di crisi, in vigore dal 20 gennaio 2012 al 15 febbraio 2014, come impulso ad un piano di riorganizzazione alternativo alle dismissioni.

Negli incontri di questi ultimi giorni, “l’azienda – afferma Persico – ha confermato l’intenzione di verificare la possibilità di vendere le 10 testate, ma si è detta disponibile a esaminare ogni proposta alternativa alla cessione. Noi pensiamo che la fase vada affrontata in un altro modo, senza mettere a rischio il valore di un patrimonio professionale enorme con operazioni di vendita dall’orizzonte discutibile. Parliamo sempre di 10 testate che costituiscono il 18-20% del fatturato dell’azienda e impiegano oltre 100 giornalisti”.

Le trattative ufficiali tra azienda e Comitati di redazione riprenderanno solo dopo il consiglio di amministrazione del 27 marzo. Giuseppe Sarcina ha confermato la possibilità di uno sciopero qualora le aspettative di una ricapitalizzazione da parte degli azionisti venissero disattese, mentre Marco Persico spera che dai tavoli negoziali di questa settimana si possa arrivare ad una soluzione più equilibrata. Abbiamo anche provato a contattare Pietro Scott Jovane, ma l’azienda in questa fase non rilascia dichiarazioni.

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Crisi Rcs, l’acquisto (sbagliato) del gruppo Recoletos http://ifg.uniurb.it/2013/03/18/ducato-online/crisi-rcs-lacquisto-sbagliato-del-gruppo-recoletos/38896/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/18/ducato-online/crisi-rcs-lacquisto-sbagliato-del-gruppo-recoletos/38896/#comments Mon, 18 Mar 2013 10:34:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38896 [continua a leggere]]]>

L’acquisto del gruppo editoriale spagnolo Recoletos è la causa della grande crisi che ha investito il gruppo Rcs, almeno secondo le ricostruzioni effettuate dai giornalisti e dal Comitato di redazione del Corriere della seraQuella decisione ha causato l’indebitamento dell’azienda, che oggi ammonta a 880 milioni di euro.

Il Cdr e la redazione del Corriere hanno messo sotto la lente d’ingrandimento quell’acquisto, facendo una vera e propria inchiesta pubblicata poi sul giornale stesso, sotto forma di comunicati sindacale. Un’operazione, si legge, iniziata nel 2006 sotto l’ombra di intrecci di interessi tra azionisti del gruppo Rcs e venditori, una mancata trasparenza che è costata all’azienda una multa di 200mila euro da parte della Consob.

Ma facciamo un passo indietro, sempre seguendo l’analisi del Corriere.  Nel 2006 l’Rcs MediaGroup era una società in attivo con un utile netto pari a 219 milioni di euro e un indebitamento vicino allo zero. Il gruppo editoriale Recoletos invece, presente in Spagna con importanti testate tra cui il primo quotidiano economico Expansiòn e il primo quotidiano sportivo Marca, nel 2006 aveva un patrimonio netto di 35 milioni di euro e debiti per 272 milioni. Controllata dall’inglese Pearson, casa editrice del Financial Times, viene venduta prima alla finanziaria Retos Cartera che ne compra, per 743 milioni di euro, il 79% delle quote. Già in questo primo passaggio di consegne si registra un sovrapprezzo del 19% rispetto al reale valore di mercato del gruppo spagnolo. Un sovrapprezzo che cresce ulteriormente quando entra in gioco il gruppo Rcs che acquista il 100% delle quote di Recoletos per 1,1 miliardi di euro, ma con un perimetro aziendale ridotto perché non entra in possesso della testata free press Què!

L’operazione di acquisizione viene portata a termine nell’aprile del 2007, nonostante due mesi prima la Deutsche Bank ne avesse rilevato i rischi: “Deboli investimenti pubblicitari, aumento dei costi del lavoro e sovrapprezzo nell’operazione di acquisizione e fusione”. E nonostante la disapprovazione dell’allora amministratore delegato Vittorio Colao che si dimise lasciando il posto a Antonello Perricone.

Quello che segue è storia, con due stati di crisi varati nei quattro anni successivi all’acquisizione Recoletos e una grave situazione attuale in cui al forte indebitamento si uniscono le perdite dovute alla diminuzione dei ricavi pubblicitari. Un momento difficile per il gruppo Rcs dove un ruolo fondamentale è giocato dell’attuale amministratore delegato Pietro Scott Jovane, a lui il compito di ottenere un notevole aumento di capitale dai soci azionisti, rinegoziare un debito elevatissimo e fronteggiare la reale crisi industriale.

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