il Ducato » giovanni legnini http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » giovanni legnini http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Legnini: “Equo compenso anche senza editori, è il mio dovere” http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/#comments Wed, 12 Jun 2013 07:01:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50786 Ducato: l'importanza dell'accordo sulle tariffe minime per i freelance ("ma se serve più tempo, va concesso"), l'ipotesi di un accordo con Google e l'importanza dell'Ordine dei giornalisti]]>

Il sottosegretario con delega all’editoria Giovanni Legnini

L’equo compenso va attuato con o senza gli editori. Giovanni Legnini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’editoria, sente pesare sulle spalle il dovere dell’attuazione della legge che dovrebbe garantire dei compensi minimi ai freelance. Una legge approvata a gennaio, che prevedeva entro tre mesi i primi risultati, e ad oggi è ancora inattuata.

Legnini vorrebbe tempi brevi e l’accordo di tutte le parti. Un’utopia? Gli abbiamo chiesto come intende muoversi nel mare di questo e degli altri problemi dell’editoria italiana: contributi pubblici alle testate, accordo con Google, crisi della stampa, controllo dell’informazione online e abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Legnini parla della notizia come di una “merce preziosissima” e crede nell’Ordine come la migliore tutela dell’attività giornalistica.

Sottosegretario Legnini, la commissione che dovrebbe definire l’equo compenso per i giornalisti precari non riesce a riunirsi per la mancanza di un delegato unico degli editori. Come pensa di risolvere il problema?
Abbiamo parlato con gli editori per persuaderli a sbloccare questa situazione e abbiamo ricevuto una certa disponibilità. La Commissione è stata riconvocata per giovedì 13 giugno: lì vedremo se questa volontà è concreta. Se dovesse persistere la diserzione, noi andremo avanti ugualmente.

Quindi procederete senza gli editori?
Sono convinto che procederemo con gli editori. Ciò che è certo è che c’è una norma di legge che va attuata. Io sono anche titolare della responsabilità di attuazione del programma di governo: ho il dovere di attuarla. Punto. Se il tema è quello di favorire una più estesa partecipazione degli editori, si possono trovare altre forme, anche di consultazione extra-commissione.

La commissione ha una composizione mista: editori, rappresentanti dell’ordine, sindacati. Quanto tempo ci vorrà per mettere d’accordo tutte le parti?
Fosse per me chiuderei i lavori nel giro di poche settimane. Ma se le parti mi chiedessero più tempo per raggiungere un accordo, io glielo concederei. Ho la ferma intenzione di privilegiare la via negoziale: vorrei che i diversi soggetti si mettessero d’accordo nell’individuare i criteri per l’equo compenso. Se non ci riusciranno, o se non vorranno farlo, o se si creeranno ostacoli, allora individueremo una soluzione che non sia unanime o consensuale.

La norma prevede che le testate che non aderiscono alle tariffe dell’equo compenso perdano i contributi pubblici. Ma il 90% delle testate italiane non li prende. In questo caso, non c’è alcuna sanzione?
Le testate che non accedono ai contributi dovranno applicare la norma comunque. Se non la applicheranno i soggetti eventualmente lesi potranno agire giudizialmente. Il mio timore è che se non si definisce bene la natura giuridica del risultato del lavoro della commissione, possano generarsi dei conflitti: per questo voglio privilegiare il negoziato, così si attenuerebbe il rischio di impugnazione.

I contributi pubblici all’editoria sono un tema molto dibattuto e c’è chi chiede di abolirli del tutto. Ma perché l’industria editoriale deve essere diversa da altri settori e ha bisogno di sostegno? Non può essere autosufficiente?
La ragione giuridica e costituzionale di questo sostegno è favorire il pluralismo. Negli altri settori non si producono idee o notizie, ma beni o servizi: lì la liberalizzazione fa bene al mercato e ai consumatori. Ma qui la merce è preziosissima: è la notizia, l’informazione che orienta l’opinione pubblica. Quindi il trattamento deve essere necessariamente differente.

Lei ha ipotizzato un accordo con Google sul modello francese per sostituire con quei soldi i fondi per il finanziamento pubblico. Ma non c’è il rischio che – invece di aiutare la digitalizzazione dei giornali italiani – così si sovvenzioni la carta stampata, a ‘fondo perduto’ diciamo?
Non è così, non ho mai ipotizzato che con quelle risorse si debba sostituire il finanziamento pubblico e quindi dare soldi alla carta stampata. Quei fondi eventualmente servono per finanziare l’innovazione dell’editoria, non la conservazione. Progetti innovativi, che consentono di accrescere la quota dell’informazione online e di far entrare in questo comparto i giovani, per rendere l’editoria italiana al passo coi tempi, più dinamica, più attrattiva.
Inoltre le eventuali risorse saranno messe a disposizione come corrispettivo del fatto che Google attinge ai prodotti editoriali che oggi si producono: quindi è anche una sorta di compensazione, diciamo così, del diritto d’autore.

Il giornalismo online oggi è meno regolamentato di quello cartaceo, e le leggi sulla stampa creano una disparità di trattamento tra i giornalisti della carta e dell’online. Ci sono delle proposte per disciplinare anche il mondo dell’online e per livellare la normativa rivolta ai giornalisti?
Il fatto che i giornali online crescano è un bene e da parte mia non c’è la volontà – attraverso una migliore regolamentazione – di “controllare” le notizie, come qualcuno ipotizza. Ci mancherebbe altro: io sono un fermissimo assertore del pluralismo, della totale libertà di espressione del pensiero. Detto questo, che ci sia la necessità di un regolamento più preciso sulla nascita e la vita dei giornali online è pacifico. Il fatto che sulla Rete circolino sistematicamente notizie inventate è un problema serio, che impone la rivisitazione della disciplina relativa, anche quella penalistica.

L’Ordine dei giornalisti, come associazione di categoria, riceve molte critiche. Crede che nel prossimo futuro possano esserci proposte per la sua abolizione?
Personalmente credo che gli ordini debbano essere mantenuti per quelle professioni che hanno un rilievo costituzionale; per gli altri settori, no. L’attività giornalistica ha un indiscutibile rilievo costituzionale, e ha bisogno di una regolamentazione e di una tutela. Ogni tanto invochiamo i modelli di altri paesi, ma non è detto che siano migliori dei nostri.

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Non più tagli: l’editoria italiana vuole ripartire da un accordo con Google http://ifg.uniurb.it/2013/06/08/ducato-online/non-piu-tagli-leditoria-italiana-vuole-ripartire-da-un-accordo-con-google/50030/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/08/ducato-online/non-piu-tagli-leditoria-italiana-vuole-ripartire-da-un-accordo-con-google/50030/#comments Sat, 08 Jun 2013 19:25:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50030

Il Manifesto, uno dei giornali che riceve finanziamenti

Finanziamenti pubblici sì, finanziamenti pubblici no. L’Italia si divide tra i paladini del sostegno pubblico all’editoria e chi la combatte da sempre. Un confronto inevitabile in un periodo in cui Beppe Grillo attacca la stampa quasi ogni giorno, con dure accuse (se non minacce) ai giornalisti e fa della cancellazione dei contributi un suo cavallo di battaglia.

L’Italia e il nuovo governo di Enrico Letta non ha intenzione di chiudere i rubinetti. Il nuovo sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, lo ha fatto capire chiaramente. Il suo primo obiettivo è strappare a Google quello che François Hollande ha ottenuto per l’editoria francese. Il colosso di Mountain View verserà nelle casse transalpine 60 milioni di euro ogni anno, che verranno destinati a un fondo, il digital publishing fund, dedicato alla digitalizzazione delle imprese editoriali. Un modello che, se applicato all’Italia, potrebbe coprire i 70 milioni di euro attualmente previsti per le imprese editoriali italiane.

Un’altra idea che Legnini vorrebbe portare avanti è quella di certificare la qualità dei giornali online distinguendo l’informazione professionale dal “marasma” dei blog e dei social network. Con questo provvedimento anche il giornalismo online potrà trarre beneficio dall’accordo con Google che si basa, come in Francia, sul fatto che se l’azienda americana ha dei ricavi economici dall’indicizzazione, buona parte del merito è dei quotidiani online. In questo modo i quotidiani avrebbero tutto l’interesse a investire sull’informazione digitale. In un’intervista al Corriere della sera, il sottosegretario ha detto che “una quantità rilevante di non notizie circolano in rete senza verifiche né controlli” e che “occorre una rigorosa strutturazione della filiera”. Quali saranno i criteri di qualità che certificheranno la qualità dell’informazione online e chi sarà a stabilirlo (un’altra commissione?) non è chiaro.

Legnini ne ha parlato il 3 giugno durante un tavolo tecnico con le associazioni di categoria, alla quale hanno partecipato anche Giulio Anselmi, presidente della Fieg, Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, Franco Siddi, segretario generale dell’Fnsi, e Paolo Serventi Longhi dell’Inpgi. “I fondi arriveranno, a patto che il loro stanziamento sia legato a misure per l’innovazione e l’ingresso di giovani”, ha scritto poi su Twitter il sottosegretario.

Vito Crimi, capogruppo del Movimento 5 stelle al Senato, ha presentato un disegno di legge per l’abolizione di quello che resta, circa 70 milioni di euro, dai tagli dell’ultima spending review del governo Monti (si partiva dai quasi 175 milioni del 2012). La battaglia del movimento lanciato da Beppe Grillo per l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria è da far risalire già al 2008. Durante il secondo “Vaffa day”, quando il Movimento 5 stelle ancora non esisteva, Grillo parlò per la prima volta in pubblico di abrogazione di ogni finanziamento pubblico ai giornali.

Ma a chi vanno i soldi? I grossi quotidiani nazionali (come Repubblica, Corriere della sera, La Stampa, Libero, Il Giornale) non ricevono finanziamenti pubblici, destinati per la maggior parte a organi di partito, quotidiani editi da cooperative di giornalisti, pubblicazioni di fondazioni o enti morali,  quotidiani italiani all’estero, stampa periodica e radio generaliste o di organi di partito.

Secondo i dati del 2011 – gli ultimi disponibili, consultabili sul sito del Governo – in testa a tutti c’è Radio Radicale con ben 4 milioni di euro di fondi a suo carico, mentre tra i giornali i più foraggiati sono Avvenire e L’Unità con circa 3,7 milioni a testa.

Testata Fondi assegnati (in euro)
Radio Radicale 4.000.000
Ecoradio 1.825.830
Il Foglio 2.251.696
Il Manifesto 2.598.362
Il Denaro 1.261.583
Avvenire 3.769.672
Italia Oggi 3.162.411
Europa 2.343.678
La Padania 2.682.304
Il Secolo d’Italia 1.795.148
L’Unità 3.709.954
Motocross 263.033
Left 268.334
Il Salvagente 367.900
Tempi 354.757
Famiglia Cristiana 208.178

Le sovvenzioni pubbliche all’editoria non sono certo un unicum italiano, anzi. In molti paesi europei alle imprese editoriali arrivano fondi o aiuti sotto altre forme, seppur per cifre molto diminuite negli ultimi anni. La Francia è il paese che in Europa spende più di tutti per la propria stampa, secondo i dati dell’Ocse. In Spagna non ci sono stati aiuti dallo Stato fino ad ora, ma il partito Socialista di Alfredo Perez Rubalcaba (l’erede di Luìs Zapatero) ha presentato una proposta di legge di sovvenzioni dirette al mercato editoriale.

Spagna. Nel 2007 l’industria dell’editoria di quotidiani spagnola aveva fatturato 1461 milioni di euro, nel 2012 la cifra si è esattamente dimezzata. In Spagna non esistono aiuti all’editoria come avviene in Italia, ma qualche comunità autonoma li prevede a sue spese. Una proposta del Psoe (partido socialista obrero espanol) di aiuti alle imprese editoriali, firmata dai deputati Juan Luis Gordo e Ramòn Jaùregui, è arrivata un po’ in tardi ed è stata bocciata dalla Camera bassa spagnola. A pesare i voti contrari del Pp (Partido popular), del premier Mariano Rajoy. Pochi giorni fa il governo ha promesso la creazione di un gruppo di studio con le associazioni professionali e i grandi editori per trovare una soluzione alla crisi. Tra le proposte un accordo con Google sul modello di quello francese. Il Fape (Federazione delle associazioni dei giornalisti spagnoli) ha criticato fortemente il veto posto dal Partito popolare sul disegno di legge di aiuti diretti all’editoria proposto dai socialisti.

Francia. Il presidente della Repubblica François Hollande ha stretto in febbraio l’accordo con Google che, come detto, garantirà 60 milioni di euro ai quotidiani d’oltralpe per la digitalizzazione . Secondo i dati del 2010, riportati nel dossier di Enzo Ghionni e Fabiana Cammarano, edito dal Centro consulenze editoriali, il governo francese, tramite gli aiuti diretti previsti dai programmi 180 “presse” (aiuti alla diffusione, al pluralismo e alla modernizzazione) e 134 “sviluppo delle imprese e dei servizi”, e quelli indiretti (Iva agevolata al 2,1%), versa ogni anno ai quotidiani 1,2 miliardi di euro. Praticamente il paradiso della carta stampata in Europa, che non durerà perché è in fase di studio una riforma che potrebbe mettere fine ai privilegi dell’informazione cartacea, equiparandola a quella online. Lo Spiil (sindacato della stampa online) da anni porta avanti una battaglia per il riconoscimento del regime di Iva agevolata.

Germania. Non sono previsti finanziamenti pubblici diretti ma esistono dei fondi erogati dai lander (i distretti federali della Repubblica tedesca) e un’aliquota sull’ Iva agevolata al 7%.

Gran Bretagna. Non esistono leggi sulla stampa all’ombra del Big Ben: i giornali sono, per lunga tradizione indipendenti e quindi non sono previsti aiuti pubblici all’editoria. Stesso discorso vale per l’Irlanda.

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