il Ducato » giuseppe laterza http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » giuseppe laterza http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Elena Stancanelli al festival di Urbino: “Gli insegnanti italiani? Non certo dei fini intellettuali” http://ifg.uniurb.it/2014/04/27/ducato-online/elena-stancanelli-al-festival-di-urbino-gli-insegnanti-italiani-non-certo-dei-fini-intellettuali/62127/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/27/ducato-online/elena-stancanelli-al-festival-di-urbino-gli-insegnanti-italiani-non-certo-dei-fini-intellettuali/62127/#comments Sun, 27 Apr 2014 11:43:04 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=62127 Tutti i tweet del Festival]]> laterza_stancanelliURBINO –  Cinque parole per descrivere il ruolo dell’intellettuale in Italia: pedagogia, ascolto, responsabilità, bellezza e autorevolezza. Così l’editore Giuseppe Laterza e la scrittrice giornalista Elena Stancanelli hanno tracciato l’identikit di chi oggi produce visioni del mondo e orienta l’opinione pubblica nel nostro Paese. Un ritratto a pennellate contrastanti, quello che è emerso questa mattina al Legato Albani, durante uno degli incontri conclusivi del Festival del giornalismo culturale.

Partiamo dalla pedagogia. “Insegnare significa saper orientare ma anche disorientare il lettore – dice Giuseppe Laterza –  ma come fai a fare pedagogia senza avere una visione del mondo? Non basta la competenza se non viene contestualizzata.  Benedetto Croce non è solo la somma delle sue competenze ma è stato in grado di formare le coscienze delle classi dirigenti italiane. Come lui tanti altri che consideriamo tecnici ma in realtà sono intellettuali”.

Secondo l’editore determinante in questo senso è il ruolo degli insegnanti, parere non condiviso dalla Stancanelli che si relaziona tutti i giorni con professori ed educatori grazie al suo ruolo di presidente dell’associazione “Piccoli maestri”, un gruppo di scrittori che vanno di scuola in scuola a raccontare i grandi classici agli studenti. “Non credo che il corpo insegnanti italiano –  dice la giornalista –  sia tra i più fini intellettuali del Paese. Se non si ha idea di cosa è successo in Italia negli ultimi 40 anni, come puoi essere in grado di spiegare la contemporaneità? La cultura è un elastico tra quello che è stato è quello che è”.

L’esperienza di “Piccoli Maestri” dimostra l’importanza della presenza dell’intellettuale all’interno di una realtà. Presenza fisica che si lega alla loro autorevolezza. “Quando andiamo nelle scuole, dimostriamo ai ragazzi che gli autori esistono – dice la Stancanelli –  e nell’era del virtuale è importante sapere che posso fidarmi di una persona che guardo negli occhi”.

Ma in realtà, non tutti gli intellettuali hanno questa consapevolezza. Giuseppe Laterza la pensa così: “Gli intellettuali italiani ascoltano poco e usano la cultura in maniera esclusiva. Invece l’argomentazione è un dovere dell’intellettuale”. Secondo l’editore questa categoria dovrebbe abdicare alla autoreferenzialità in nome della responsabilità democratica che ha. Responsabilità che comporta la misura del potere, il dubbio e soprattutto la loro autonomia perché l’intellettuale deve essere dissidente, spiazzante e in alcuni casi anche spiacevole. E sta qui il paradosso del suo ruolo: deve conquistare persone alle sue idee ma senza metterle per forza a loro agio.

Fra gli altri compiti degli intellettuali, infine, secondo la Stancanelli c’è la produzione di bellezza. “Non si può produrre bellezza se non ci si mette in relazione con il presente –  conclude la giornalista –  gli intellettuali hanno il dovere della manutenzione della contemporaneità, devono cioè stabilire dei criteri di ‘classicità’ all’interno dell’epoca in cui vivono”.

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Laterza: “L’Europa e l’Italia hanno ancora bisogno di idee” http://ifg.uniurb.it/2014/04/23/ducato-online/laterza-leuropa-e-litalia-hanno-ancora-bisogno-di-idee/61784/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/23/ducato-online/laterza-leuropa-e-litalia-hanno-ancora-bisogno-di-idee/61784/#comments Wed, 23 Apr 2014 06:53:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=61784 LEGGI Moscati: "Nostra cultura si fonda sui morti"]]> Giuseppe Laterza

Giuseppe Laterza

“Come tutte le epoche anche la nostra è un’epoca ideologica. E miope. Nel senso che siamo imbevuti di ideologia ma non ce ne accorgiamo, ci illudiamo di non esserlo. Ci professiamo laici. Dobbiamo stare attenti a riconoscere le ideologie e a smascherarle. E questo è il tipico compito degli intellettuali”. Giuseppe Laterza, uno dei più grandi editori italiani, ospite a Urbino per il Festival del giornalismo culturale, non ha dubbi: di intellettuali la società contemporanea ha bisogno. Il perché è presto detto: sono loro che aprono a visioni del mondo più approfondite e inconsuete e ci traghettano verso una percezione della realtà meno limitata. E poi perché, citando Keynes, non ci si può orientare nel mondo senza idee e l’elaborazione di queste è compito degli intellettuali.

Proprio per spiegare costruzioni complesse come quella europea, Laterza ha avviato il progetto di Eutopia, una rivista multilingue nata dalla collaborazione con le case editrici S. Fischer Verlag (Germania), Editorial Debate (Spagna), Édition du Seuil (Francia) all’interno della quale si confrontano i maggiori intellettuali europei. A quale scopo?

Eutopia vuole rimettere al centro il dibattito sull’Europa. Per molti anni è sembrato che questa fosse stata pensata solo per necessità economica. Ma non è quello che in realtà volevano i padri fondatori, tra cui Altiero Spinelli. Loro desideravano un’Europa nella quale si realizzassero ideali di giustizia, libertà e socialità. Invece durante questi anni di crisi economica l’Europa è stata usata maldestramente dalle classi dirigenti per giustificare politiche di tagli e sacrifici, con il risultato della disaffezione di una larga parte dell’opinione pubblica. La rivista parte dal presupposto che tutto vada discusso ciclicamente, anche la politica europea. Le limitazioni nell’autodeterminazione dei paesi che l’adesione alla comunità europea comporta possono giustificarsi solo in nome di un grande progetto intellettuale, culturale e quindi anche politico ed economico”.

Ritiene che queste idee non circolino all’interno dei 28 paesi dell’Unione?
“Sì, ma la loro elaborazione non si può fare solo attraverso dibattiti nazionali, come avviene oggi, i tedeschi discutono tra tedeschi, gli italiani tra italiani, alimentando peraltro pregiudizi reciproci e diffidenza. Attraverso Eutopia, invece, il dibattito diventa intraeuropeo e accessibile a tutti non solo a circuiti accademici e specialistici”.

Quindi, secondo lei, gli intellettuali sono mediatori tra grandi tematiche e problemi della società contemporanea e opinione pubblica.
“Non proprio in questi termini. Gli intellettuali non parlano a tutti. A me basta che siano in grado di svolgere un ruolo nei confronti della classe dirigente, per come la intendeva Piero Calamandrei, ovvero una classe che comprende politici, imprenditori e insegnanti. Gli intellettuali devono convertire le proprie competenze specialistiche in un’analisi critica della società che consenta, poi, a politici, imprenditori e insegnanti di tradurre a loro volta questa in contenuti attivi”.

E pensa che ci sia qualcuno in Italia in questo momento a svolgere questo tipo di lavoro?
“Certo. Abbiamo tantissimi intellettuali che si spendono nel dibattito pubblico in Italia. Stefano Rodotà, Tullio De Mauro, Gustavo Zagrebelsky, Sergio Romano, Ernesto Galli della Loggia, Luciano Canfora, solo per dirne alcuni. Che ne dice di Tito Boeri? È un grande intellettuale: interviene su La Repubblica, ha fatto festival di economia, ha creato un sito Lavoce.info. È un economista, sì, ma che fa un lavoro pubblico. Ma sono solo alcuni. Ho citato finora solo uomini di penna ma ci sono intellettuali anche tra musicisti, registi o altro. Fiorella Mannoia, per esempio, o ancora Gino Strada sono intellettuali ma non nell’accezione stretta del termine. Nel momento in cui ciascun specialista svolge un’attività che non è costretta entro i confini del suo lavoro tecnico e fa un servizio per la collettività attraverso l’analisi e il dibattito, fa lavoro intellettuale. Ed è un bene che ce ne siano tanti perché la società ha bisogno di visioni del mondo e non possiamo relegarle ai politici, che perseguono spesso una logica di breve periodo”.

E gli intellettuali che sposano determinate cause politiche? Penso ai casi di Barbara Spinelli e Moni Ovadia candidati nella lista Tsipras per le prossime elezioni europee.
“Credo che gli intellettuali possano scegliere di entrare nell’arena politica, di diventare essi stessi politici. Però questo significa che cambiano mestiere. In questi casi l’intellettuale smette il suo habitus perché egli per definizione non ha partiti presi, anzi ha una geografia mobile dal punto di vista del suo impegno pubblico. L’intellettuale deve essere una persona libera, deve dare fastidio a tutti, non può costringersi in logiche di efficacia politica”.

Per quanto riguarda il linguaggio del dibattito culturale invece? Non crede che ci si sia spostati dalla critica all’invettiva?
“Sì, direi che c’è stato un condizionamento dei mezzi di comunicazione che ci ha spinto tutti al grido, all’urlo, come nei talk show in cui non si può ragionare perché tutto va buttato in caciara”.

Colpa dei social network? Hanno condizionato il modo di esprimersi di chi fa lavoro intellettuale?
“Penso che i social network siano un mezzo molto interessante ma sappiamo ancora poco come utilizzarli. Sono sicuro che però troveremo un equilibrio. Dobbiamo stare attenti a non perdere la qualità in nome della velocità. Io uso Twitter, per esempio, ma se pensassi che il mio universo mentale si concentri solo in un tweet limiterei le mie modalità espressive. È come mangiare al McDonald’s. Certo ha dei vantaggi, costa poco e mangio un prodotto di sicuro gusto. Però se mangio sempre e solo quello divento come quegli americani obesi che passano tutto il loro tempo davanti alla televisione”.

 

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GUARDA IL VIDEO: DALLA TERZA PAGINA ALLA CULTURA POP

Il giornalismo culturale deve avere anche una funzione sociale? Si può, attraverso la cultura, stimolare la coscienza critica delle persone? Il giornalismo culturale può produrre dibattito? Cinque ‘osservatori’ diversi: dal mondo del web arriva l’incitamento a rendere la cultura ancora più pop; la televsione vuole continuare ad essere un mediatore tra la cultura e i cittadini attraverso l’approfondimento i canali tematici; chi scrive e fa cultura ha bisogno del supporto dell’informazione e di più promozione anche attraverso il dibattito critico; dal punto dei vista dei dati l’analisi si concentra sui cambiamenti epocali che stanno interessando il paese: più del 50% della popolazione si informa oramai su internet ed è quindi in quel luogo virtuale che bisogna promuovere la cultura.

Giuseppe Laterza

“Io do un giudizio positivo del giornalismo culturale italiano: io faccio libri e la loro sorte dipende anche da come i giornali affrontano la cultura. Nei giornali ci sono molte recensioni fatte anche molto bene”. Giuseppe Laterza apre il suo intervento con un pensiero positivo per poi spostare l’attenzione su ciò che manca: “Ciò che manca è la recensione critica, cioè quel momento di confronto in cui chi scrive prende sul serio il libro che ha letto. Spesso nei giornali italiani c’è la stroncatura oppure il silenzio: questo è un problema perché io credo che solo dal confronto, anche acceso, si possa crescere. Nessuno di noi ha la verità in mano: l’avvicinamento alla verità avviene solo attraverso la dialettica. Ecco il punto: il giornalismo culturale deve essere confronto senza demolizione”. In chiusura il pensiero di Laterza sulla “cultura di tutti”: “E’ sbagliata l’idea secondo cui la cultura sia un mezzo di esclusione: la cultura deve essere accessibile a tutti senza perdere capacità critica”.

Giuseppe Roma

“L’Italia è un paese pieno di cultura ma gli italiani non se ne interessano: dovremmo iniziare a chiederci perché”. Giuseppe Roma concentra il suo intervento sul problema dell’assenza di cultura nella “marmellata mediale” in cui viviamo oggi. “Il soggetto è il contenuto stesso che viene trasmesso, basti vedere i social network. Le stesse pagine culturali spesso riportano articoli di interpreti-protagonisti: questo genera molta confusione”. Secondo Roma il problema non è di spazio per la cultura, perché oggi ci sono più inserti di quando esisteva solo la “terza pagina”, né di giornalismo culturale ma di come far diventare la cultura interesse prevalente di tutti: “Per aiutare anche l’economia la cultura deve diventare interesse di tutti. E’ necessario darle appeal facendola scendere dal piedistallo”.

Isabella Donfrancesco

Concentrato sul ruolo della televisione nel processo di interazione cultura-informazione l’intervento di Isabella Donfrancesco: “Noi (Rai Educational) abbiamo creato una serie di canali tematici che sono un luogo di scambio e approfondimento; attraverso la tv si può mediare la cultura e in questo senso il mezzo deve avere solo un approccio di servizio”. Lo scambio di cui parla la Donfrancesco è soprattutto di tipo culturale rispetto alle diversità: “Abbiamo un portale dedicato alla lingua italiana per gli stranieri. Chi vuole fare cultura attraverso i servizi deve necessariamente parlare a chi è diverso: c’è bisogno di interattività”. Vantaggio della televisione specializzata il fatto di poter mostrare cose che normalmente non sarebbero di interesse comune: “Si possono vedere in faccia gli scrittori, cosa che prima non era possibile. Ci possono scrutare i loro volti con i loro tic e i loro vizi. In questo senso la tv si deve porre come mediatore ma in un garbato secondo piano”.

Massimo Russo

“Spiazzerò la platea iniziando il mio intervento con una provocazione: la rete è stupida”. Massimo Russo, che sta per diventare direttore di Wired ed è un esperto giornalista informatico, parla di rete, informazione e cultura. “La cultura è diventata ormai di massa e secondo me dovrebbe essere ancora più pop. Attraverso il passaggio al digitale il processo di apertura si è completato. Ciò che è cambiato è il verso della reazione: se prima la cultura era un sistema che dall’alto si spostava verso il basso ora con il web la cultura si sposta da nodi periferici verso altri nodi. Non c’è nessuno che regolamenta”. E sul recente ‘intervento di Laura Boldrini, presidente della Camera sulla regolamentazione dell’ “anarchia del web”, Russo fa questa riflessione: “Se restiamo legati alla vecchia idea di cultura che dall’alto viene regolata e pensiamo di trasferirla alla rete ci trasformiamo in un regime autoritario. Solo in paesi come la Cina, la Corea del Nord questo può avvenire. La ricchezza della rete sta proprio nel fatto che non sindaca sui contenuti”. E conclude: “Nella rete devono valere le stesse regole che ci sono nella vita reale, non ne servono altre. La verità è che tutto ciò che di brutto si vede sul web non è più confinato e può uscire alla luce del sole. Ma per rispondere ai problemi profondi è necessario che ci sia un cambiamento umanosenza mortificare la realtà”.

Nicola Lagioia

Il punto di vista di Nicola Lagioia chiude il dibattito: “Nelle redazioni dei quotidiani vigono delle regole stupide: è incredibile pensare ancora che per scrivere di cultura bisogna ‘stare sul pezzo’”. Per interesse dei quotidiani prima dell’uscita di un romanzo l’autore viene intervistato o recensito ma questo comporta una perdita di riflessione a discapito della qualità. “Altra cosa che non capisco- continua Lagioia- è la gara a chi arriva prima sulla recensione: l’agenda dei capiredattori è più importante dei contenuti”. Nell’ultima riflessione cita Pasolini: “Molti si lamentano del fatto che oggi manca una figura come quella di Pasolini. La realtà è che non manca Pasolini ma manca lo spazio su cui scrivere ciò che scriveva Pasolini. Nessun quotidiano oggi permette di esprimere opinioni diverse dalla linea del quotidiano stesso”.

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