il Ducato » google http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » google http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Legnini: “Equo compenso anche senza editori, è il mio dovere” http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/legnini-equo-compenso-anche-senza-editori-ma-se-serve-tempo-va-concesso/50786/#comments Wed, 12 Jun 2013 07:01:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50786 Ducato: l'importanza dell'accordo sulle tariffe minime per i freelance ("ma se serve più tempo, va concesso"), l'ipotesi di un accordo con Google e l'importanza dell'Ordine dei giornalisti]]>

Il sottosegretario con delega all’editoria Giovanni Legnini

L’equo compenso va attuato con o senza gli editori. Giovanni Legnini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega all’editoria, sente pesare sulle spalle il dovere dell’attuazione della legge che dovrebbe garantire dei compensi minimi ai freelance. Una legge approvata a gennaio, che prevedeva entro tre mesi i primi risultati, e ad oggi è ancora inattuata.

Legnini vorrebbe tempi brevi e l’accordo di tutte le parti. Un’utopia? Gli abbiamo chiesto come intende muoversi nel mare di questo e degli altri problemi dell’editoria italiana: contributi pubblici alle testate, accordo con Google, crisi della stampa, controllo dell’informazione online e abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Legnini parla della notizia come di una “merce preziosissima” e crede nell’Ordine come la migliore tutela dell’attività giornalistica.

Sottosegretario Legnini, la commissione che dovrebbe definire l’equo compenso per i giornalisti precari non riesce a riunirsi per la mancanza di un delegato unico degli editori. Come pensa di risolvere il problema?
Abbiamo parlato con gli editori per persuaderli a sbloccare questa situazione e abbiamo ricevuto una certa disponibilità. La Commissione è stata riconvocata per giovedì 13 giugno: lì vedremo se questa volontà è concreta. Se dovesse persistere la diserzione, noi andremo avanti ugualmente.

Quindi procederete senza gli editori?
Sono convinto che procederemo con gli editori. Ciò che è certo è che c’è una norma di legge che va attuata. Io sono anche titolare della responsabilità di attuazione del programma di governo: ho il dovere di attuarla. Punto. Se il tema è quello di favorire una più estesa partecipazione degli editori, si possono trovare altre forme, anche di consultazione extra-commissione.

La commissione ha una composizione mista: editori, rappresentanti dell’ordine, sindacati. Quanto tempo ci vorrà per mettere d’accordo tutte le parti?
Fosse per me chiuderei i lavori nel giro di poche settimane. Ma se le parti mi chiedessero più tempo per raggiungere un accordo, io glielo concederei. Ho la ferma intenzione di privilegiare la via negoziale: vorrei che i diversi soggetti si mettessero d’accordo nell’individuare i criteri per l’equo compenso. Se non ci riusciranno, o se non vorranno farlo, o se si creeranno ostacoli, allora individueremo una soluzione che non sia unanime o consensuale.

La norma prevede che le testate che non aderiscono alle tariffe dell’equo compenso perdano i contributi pubblici. Ma il 90% delle testate italiane non li prende. In questo caso, non c’è alcuna sanzione?
Le testate che non accedono ai contributi dovranno applicare la norma comunque. Se non la applicheranno i soggetti eventualmente lesi potranno agire giudizialmente. Il mio timore è che se non si definisce bene la natura giuridica del risultato del lavoro della commissione, possano generarsi dei conflitti: per questo voglio privilegiare il negoziato, così si attenuerebbe il rischio di impugnazione.

I contributi pubblici all’editoria sono un tema molto dibattuto e c’è chi chiede di abolirli del tutto. Ma perché l’industria editoriale deve essere diversa da altri settori e ha bisogno di sostegno? Non può essere autosufficiente?
La ragione giuridica e costituzionale di questo sostegno è favorire il pluralismo. Negli altri settori non si producono idee o notizie, ma beni o servizi: lì la liberalizzazione fa bene al mercato e ai consumatori. Ma qui la merce è preziosissima: è la notizia, l’informazione che orienta l’opinione pubblica. Quindi il trattamento deve essere necessariamente differente.

Lei ha ipotizzato un accordo con Google sul modello francese per sostituire con quei soldi i fondi per il finanziamento pubblico. Ma non c’è il rischio che – invece di aiutare la digitalizzazione dei giornali italiani – così si sovvenzioni la carta stampata, a ‘fondo perduto’ diciamo?
Non è così, non ho mai ipotizzato che con quelle risorse si debba sostituire il finanziamento pubblico e quindi dare soldi alla carta stampata. Quei fondi eventualmente servono per finanziare l’innovazione dell’editoria, non la conservazione. Progetti innovativi, che consentono di accrescere la quota dell’informazione online e di far entrare in questo comparto i giovani, per rendere l’editoria italiana al passo coi tempi, più dinamica, più attrattiva.
Inoltre le eventuali risorse saranno messe a disposizione come corrispettivo del fatto che Google attinge ai prodotti editoriali che oggi si producono: quindi è anche una sorta di compensazione, diciamo così, del diritto d’autore.

Il giornalismo online oggi è meno regolamentato di quello cartaceo, e le leggi sulla stampa creano una disparità di trattamento tra i giornalisti della carta e dell’online. Ci sono delle proposte per disciplinare anche il mondo dell’online e per livellare la normativa rivolta ai giornalisti?
Il fatto che i giornali online crescano è un bene e da parte mia non c’è la volontà – attraverso una migliore regolamentazione – di “controllare” le notizie, come qualcuno ipotizza. Ci mancherebbe altro: io sono un fermissimo assertore del pluralismo, della totale libertà di espressione del pensiero. Detto questo, che ci sia la necessità di un regolamento più preciso sulla nascita e la vita dei giornali online è pacifico. Il fatto che sulla Rete circolino sistematicamente notizie inventate è un problema serio, che impone la rivisitazione della disciplina relativa, anche quella penalistica.

L’Ordine dei giornalisti, come associazione di categoria, riceve molte critiche. Crede che nel prossimo futuro possano esserci proposte per la sua abolizione?
Personalmente credo che gli ordini debbano essere mantenuti per quelle professioni che hanno un rilievo costituzionale; per gli altri settori, no. L’attività giornalistica ha un indiscutibile rilievo costituzionale, e ha bisogno di una regolamentazione e di una tutela. Ogni tanto invochiamo i modelli di altri paesi, ma non è detto che siano migliori dei nostri.

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Non più tagli: l’editoria italiana vuole ripartire da un accordo con Google http://ifg.uniurb.it/2013/06/08/ducato-online/non-piu-tagli-leditoria-italiana-vuole-ripartire-da-un-accordo-con-google/50030/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/08/ducato-online/non-piu-tagli-leditoria-italiana-vuole-ripartire-da-un-accordo-con-google/50030/#comments Sat, 08 Jun 2013 19:25:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50030

Il Manifesto, uno dei giornali che riceve finanziamenti

Finanziamenti pubblici sì, finanziamenti pubblici no. L’Italia si divide tra i paladini del sostegno pubblico all’editoria e chi la combatte da sempre. Un confronto inevitabile in un periodo in cui Beppe Grillo attacca la stampa quasi ogni giorno, con dure accuse (se non minacce) ai giornalisti e fa della cancellazione dei contributi un suo cavallo di battaglia.

L’Italia e il nuovo governo di Enrico Letta non ha intenzione di chiudere i rubinetti. Il nuovo sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, lo ha fatto capire chiaramente. Il suo primo obiettivo è strappare a Google quello che François Hollande ha ottenuto per l’editoria francese. Il colosso di Mountain View verserà nelle casse transalpine 60 milioni di euro ogni anno, che verranno destinati a un fondo, il digital publishing fund, dedicato alla digitalizzazione delle imprese editoriali. Un modello che, se applicato all’Italia, potrebbe coprire i 70 milioni di euro attualmente previsti per le imprese editoriali italiane.

Un’altra idea che Legnini vorrebbe portare avanti è quella di certificare la qualità dei giornali online distinguendo l’informazione professionale dal “marasma” dei blog e dei social network. Con questo provvedimento anche il giornalismo online potrà trarre beneficio dall’accordo con Google che si basa, come in Francia, sul fatto che se l’azienda americana ha dei ricavi economici dall’indicizzazione, buona parte del merito è dei quotidiani online. In questo modo i quotidiani avrebbero tutto l’interesse a investire sull’informazione digitale. In un’intervista al Corriere della sera, il sottosegretario ha detto che “una quantità rilevante di non notizie circolano in rete senza verifiche né controlli” e che “occorre una rigorosa strutturazione della filiera”. Quali saranno i criteri di qualità che certificheranno la qualità dell’informazione online e chi sarà a stabilirlo (un’altra commissione?) non è chiaro.

Legnini ne ha parlato il 3 giugno durante un tavolo tecnico con le associazioni di categoria, alla quale hanno partecipato anche Giulio Anselmi, presidente della Fieg, Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, Franco Siddi, segretario generale dell’Fnsi, e Paolo Serventi Longhi dell’Inpgi. “I fondi arriveranno, a patto che il loro stanziamento sia legato a misure per l’innovazione e l’ingresso di giovani”, ha scritto poi su Twitter il sottosegretario.

Vito Crimi, capogruppo del Movimento 5 stelle al Senato, ha presentato un disegno di legge per l’abolizione di quello che resta, circa 70 milioni di euro, dai tagli dell’ultima spending review del governo Monti (si partiva dai quasi 175 milioni del 2012). La battaglia del movimento lanciato da Beppe Grillo per l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria è da far risalire già al 2008. Durante il secondo “Vaffa day”, quando il Movimento 5 stelle ancora non esisteva, Grillo parlò per la prima volta in pubblico di abrogazione di ogni finanziamento pubblico ai giornali.

Ma a chi vanno i soldi? I grossi quotidiani nazionali (come Repubblica, Corriere della sera, La Stampa, Libero, Il Giornale) non ricevono finanziamenti pubblici, destinati per la maggior parte a organi di partito, quotidiani editi da cooperative di giornalisti, pubblicazioni di fondazioni o enti morali,  quotidiani italiani all’estero, stampa periodica e radio generaliste o di organi di partito.

Secondo i dati del 2011 – gli ultimi disponibili, consultabili sul sito del Governo – in testa a tutti c’è Radio Radicale con ben 4 milioni di euro di fondi a suo carico, mentre tra i giornali i più foraggiati sono Avvenire e L’Unità con circa 3,7 milioni a testa.

Testata Fondi assegnati (in euro)
Radio Radicale 4.000.000
Ecoradio 1.825.830
Il Foglio 2.251.696
Il Manifesto 2.598.362
Il Denaro 1.261.583
Avvenire 3.769.672
Italia Oggi 3.162.411
Europa 2.343.678
La Padania 2.682.304
Il Secolo d’Italia 1.795.148
L’Unità 3.709.954
Motocross 263.033
Left 268.334
Il Salvagente 367.900
Tempi 354.757
Famiglia Cristiana 208.178

Le sovvenzioni pubbliche all’editoria non sono certo un unicum italiano, anzi. In molti paesi europei alle imprese editoriali arrivano fondi o aiuti sotto altre forme, seppur per cifre molto diminuite negli ultimi anni. La Francia è il paese che in Europa spende più di tutti per la propria stampa, secondo i dati dell’Ocse. In Spagna non ci sono stati aiuti dallo Stato fino ad ora, ma il partito Socialista di Alfredo Perez Rubalcaba (l’erede di Luìs Zapatero) ha presentato una proposta di legge di sovvenzioni dirette al mercato editoriale.

Spagna. Nel 2007 l’industria dell’editoria di quotidiani spagnola aveva fatturato 1461 milioni di euro, nel 2012 la cifra si è esattamente dimezzata. In Spagna non esistono aiuti all’editoria come avviene in Italia, ma qualche comunità autonoma li prevede a sue spese. Una proposta del Psoe (partido socialista obrero espanol) di aiuti alle imprese editoriali, firmata dai deputati Juan Luis Gordo e Ramòn Jaùregui, è arrivata un po’ in tardi ed è stata bocciata dalla Camera bassa spagnola. A pesare i voti contrari del Pp (Partido popular), del premier Mariano Rajoy. Pochi giorni fa il governo ha promesso la creazione di un gruppo di studio con le associazioni professionali e i grandi editori per trovare una soluzione alla crisi. Tra le proposte un accordo con Google sul modello di quello francese. Il Fape (Federazione delle associazioni dei giornalisti spagnoli) ha criticato fortemente il veto posto dal Partito popolare sul disegno di legge di aiuti diretti all’editoria proposto dai socialisti.

Francia. Il presidente della Repubblica François Hollande ha stretto in febbraio l’accordo con Google che, come detto, garantirà 60 milioni di euro ai quotidiani d’oltralpe per la digitalizzazione . Secondo i dati del 2010, riportati nel dossier di Enzo Ghionni e Fabiana Cammarano, edito dal Centro consulenze editoriali, il governo francese, tramite gli aiuti diretti previsti dai programmi 180 “presse” (aiuti alla diffusione, al pluralismo e alla modernizzazione) e 134 “sviluppo delle imprese e dei servizi”, e quelli indiretti (Iva agevolata al 2,1%), versa ogni anno ai quotidiani 1,2 miliardi di euro. Praticamente il paradiso della carta stampata in Europa, che non durerà perché è in fase di studio una riforma che potrebbe mettere fine ai privilegi dell’informazione cartacea, equiparandola a quella online. Lo Spiil (sindacato della stampa online) da anni porta avanti una battaglia per il riconoscimento del regime di Iva agevolata.

Germania. Non sono previsti finanziamenti pubblici diretti ma esistono dei fondi erogati dai lander (i distretti federali della Repubblica tedesca) e un’aliquota sull’ Iva agevolata al 7%.

Gran Bretagna. Non esistono leggi sulla stampa all’ombra del Big Ben: i giornali sono, per lunga tradizione indipendenti e quindi non sono previsti aiuti pubblici all’editoria. Stesso discorso vale per l’Irlanda.

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Ue, diritto all’oblio legge nel 2015. Ma per i giornali qualche eccezione http://ifg.uniurb.it/2013/04/12/ducato-online/ue-diritto-alloblio-legge-nel-2015-ma-per-i-giornali-qualche-eccezione/41370/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/12/ducato-online/ue-diritto-alloblio-legge-nel-2015-ma-per-i-giornali-qualche-eccezione/41370/#comments Fri, 12 Apr 2013 06:20:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=41370

Parlamento europeo

Abbiamo il diritto di essere dimenticati. Ma a scordarselo è la legge italiana, almeno per ora. Il cosiddetto diritto all’oblio è al centro del dibattito che in sede europea dovrebbe portare all’adozione di una nuova legge unitaria in materia di privacy. La proposta è sul tavolo delle trattative da circa un anno e dovrebbe essere approvata e poi recepita dagli Stati membri entro il 2015.

Ma cosa significa diritto all’oblio? La possibilità, soprattutto per chi è stato protagonista di vicende  giudiziarie pregiudizievoli, di richiedere la cancellazione dei propri dati, una volta che sia passato un congruo lasso di tempo e non siano più pertinenti. Una piccola rivoluzione ai tempi del web, quando basta una semplice ricerca su Google per ritrovare storie ormai dimenticate e spesso superate.

Un po’ diversa la questione per quanto riguarda gli archivi dei giornali: come si concilia l’oblio con l’attività giornalistica? Su questo punto la Cassazione, il Garante per la privacy e l’Ordine dei giornalisti  (nella Carta di Milano sui detenuti) hanno tracciato qualche ‘linea guida’.

SE RICORDI TI CONDANNO
L’importanza del diritto all’oblio l’hanno imparata a loro spese i colleghi abruzzesi di Primadanoi.it, obbligati non solo a sborsare 17.000 euro, ma anche a rimuovere dal loro portale e dall’archivio del giornale una notizia datata, seppur aggiornata, ritenuta lesiva. Questo vicenda giudiziaria, che ha sollevato non poche polemiche, non suona come una verità immutabile. In altre parole, ogni caso fa storia a sé e ogni volta sarà necessario un bilanciamento tra i diritti in contrasto, quello di cronaca e quelli individuali, tra cui privacy e oblio.

Un problema serissimo, soprattutto se si parla di web: un motore di ricerca potrebbe portare l’utente su pagine vecchie, che non rappresentano una persona per come è oggi, ledendone quindi i diritti. Una distorsione della realtà.

Recente la sentenza della Cassazione in cui sembra che un parziale compromesso sia stato raggiunto: sì al diritto di ottenere l’aggiornamento delle informazioni riportate dal giornale. Questa sorta di rettifica, anche secondo il Garante per la privacy serve per “garantire alle persone il rispetto della propria identità, così come si è evoluta  nel tempo, consentendo al lettore di avere un’informazione attendibile e completa”.

UN FRENO AI MOTORI DI RICERCA
L’Autorità per la privacy ha cercato di modulare lo scontro tra diritto all’oblio e libertà d’espressione: divulgare, ma, trascorso un certo lasso di tempo, impedire la diretta reperibilità delle informazioni mediante l’uso di un comune motore di ricerca. Questa soluzione ‘tecnica’ chiarisce, in parte, il principio della pertinenza: i fatti possono essere riproposti, anche a distanza di tempo, solo se hanno una stretta relazione con nuovi avvenimenti di cronaca e se vi è un interesse pubblico alla loro diffusione.

Usando le parole dell’avvocato Carlo Melzi D’Eril (per la trasparenza: insegna all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino),  “il diritto all’oblio è l’altra faccia dell’interesse pubblico e dell’essenzialità dell’informazione: quando tale interesse scema e la notizia non è più attuale si ha la possibilità di richiedere la cancellazione dei propri dati personali”. 

LE FUTURE NORME UE E I GIORNALI
Una svolta sul diritto all’oblio è nell’aria. Uno degli aspetti più innovativi della proposta europea (Data Protection regulation) riguarda la possibilità che “i propri dati siano cancellati o trasferiti altrove e non siano più processati laddove non siano più necessari in relazione alle finalità per cui erano stati raccolti”. In altre parole, il solo proprietario dei dati è il cittadino a cui appartengono. Inoltre, per proteggere ulteriormente la privacy delle persone, i gestori dovranno, dopo aver ottenuto un esplicito consenso al trattamento dei dati, tenere sempre aggiornati i loro utenti circa il tipo di informazioni in loro possesso, gli scopi d’uso, il periodo in cui questi verranno conservati e l’eventuale trasferimento a terzi. E se, su richiesta dell’interessato, i dati non verranno cancellati scatterà una multa che potrà arrivare fino a 500.000 euro.

Questa regola generale ha un’eccezione: non sarà possibile richiedere la cancellazione delle notizie presenti all’interno dei database delle testate giornalistiche.  Infatti la rivoluzione dell’oblio potrebbe infliggere soprattutto al web un duro colpo se venisse concessa la possibilità di cancellare, anche a distanza di anni, dagli archivi online, il materiale considerato sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca.

Ma d’altra parte ci sono anche casi che fanno capire quanto sia importante il diritto all’oblio: molte sono le storie di persone intrappolate nel loro passato digitale. Emblematica quella di Marta Bobo, ginnasta spagnola che paga, ancora oggi, il prezzo per un articolo del Paìs uscito nel 1984 in cui veniva dipinta come un’anoressica (e non era vero). La vicenda è tornata a galla perché il quotidiano spagnolo, come molti altri, ha digitalizzato il suo archivio e tutte le notizie in esso contenuto sono diventate facilmente fruibili attraverso l’uso dei motori di ricerca.

Sulla questione degli archivi digitali dei giornali Viviane Reding, membro della Commissione europea, ha chiarito: “Sono una eccezione, il diritto a essere dimenticati non può significare il diritto a cancellare la storia”. La finalità storicistica può giustificare la conservazione, da parte dei giornali, di notizie ormai prive di interesse pubblico precedentemente raccolte per finalità di cronaca giornalistica.

GOOGLE E LA PRIVACY
I motori di ricerca restano quindi il nemico numero uno perché rendono accessibili, virtualmente, per un periodo di tempo indeterminato, notizie (di cronaca o vicessitudini giudiziarie) che altrimenti sarebbero di difficile reperibilità. A questo proposito, proprio di questi giorni è la notizia della nascita di una task force europea, composta dalle Autorità per la protezione dei dati di Francia, Italia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna, formatasi per verificare che il colosso americano Google  rispetti la disciplina sulla protezione dei dati personali e, in particolare, la conformità dei trattamenti effettuati dalla società di Mountain View ai principi di pertinenza, necessità e non eccedenza dei dati trattati nonché agli obblighi riguardanti l’informativa agli utenti e l’acquisizione del loro consenso.

Le nuove regole privacy adottate da Google consentono, tra l’altro, alla società californiana di incrociare in via generalizzata i dati degli utenti che utilizzano i servizi offerti, tra gli altri, da Gmail a YouTube a Google Maps e questo, sembrerebbe non essere in linea con i requisiti fissati nella Direttiva europea sulla protezione dei dati (95/46/CE).

RICORDARE E DIMENTICARE
“La conoscenza è basata sulla dimenticanza. Il bello della mente umana è che cancella”. Viktor Mayer-Schönberger professore di internet governance dell’Oxford Internet Institute la pensa così: ricostruiamo il nostro passato basandoci sui valori di oggi. La memoria digitale, invece, procede in direzione opposta,“ci ricorda solo i nostri fallimenti passati”. Eliminare dai ricordi alcuni dettagli ci consente di esercitare la nostra capacità di astrazione per “vedere la foresta, non gli alberi”. Ma non sono in pochi quelli che affermano esattamente il contrario. C’è chi difende a spada tratta il flusso senza limiti che la rete offre, sostenendo che l’oblio sia una minaccia alla libertà d’informazione.

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Corea del Nord: com’è difficile spiegare un paese senza giornalismo http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/corea-del-nord-come-difficile-raccontare-un-paese-senza-giornalismo/41231/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/05/ducato-online/corea-del-nord-come-difficile-raccontare-un-paese-senza-giornalismo/41231/#comments Fri, 05 Apr 2013 16:58:16 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=41231 I missili a medio raggio coreani

I missili a medio raggio coreani che sarebbero puntati verso la Corea del Sud e le basi Usa

Anche quest’anno è penultima nella classifica mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere (l’ultima è l’Eritrea). Uno dei pochi Stati ancora dichiaratamente autoritario, la Corea del Nord  non gode dell’attenzione costante di media ed opinione pubblica, tranne in momenti particolari come questo. L’altro ieri infatti, dopo un’escalation di tensioni diplomatiche, il Caro Leader Kim Jong-un, minacciando Corea del Sud e Stati Uniti con l’atomica, ha riconquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Oggi la Corea del Nord avrebbe due missili a medio raggio puntati su Seul e sul Giappone.

“Purtroppo paesi come questi, la cui situazione particolare meriterebbe spesso di essere al centro dell’attenzione, sembrano essere dimenticati dai media, in particolare da quelli italiani”. A dirlo è Ludovico Tallarita, 22 anni, studente italiano di Relazioni Internazionali alla London School of Economics, che, grazie a una visita organizzata dall’università, ha ottenuto un lasciapassare di due settimane per Pyongyang. Lui ha raccontato la sua esperienza sulle pagine del Corriere della Sera, insieme a un altro studente italiano, Giovanni B. Conte.

Boom di ricerche per Corea del Nord su Google

La crescita delle ricerche su Google sulla Corea del Nord

Un articolo pubblicato su Foreign Policy mostra la crescita di attenzione per la Corea del Nord nell’ultimo mese: stando ai dati di Google Search, dall’inizio di marzo, le ricerche su questo Stato si sono raddoppiate. L’autore dell’articolo, John Hudson, mostra che l’escalation mediatica si è già verificata nel 2004, quando a governare lo “Stato canaglia” più a oriente c’era Kim Jong-il, padre dell’ attuale leader, che minacciava allo stesso modo Seul per venire a patti con l’Occidente.

“La Corea è un sistema chiuso – spiega Tallarita – forse la più grande vittoria del regime è l’aver tenuto la popolazione distante dalla maggior parte di quello che accade fuori dai confini nazionali. Le parate militari, i pianti commossi della popolazione, il passaggio ereditario della dittatura cui abbiamo assistito (i 100 giorni di lutto per la morte di Kim Jong-il, ndr) ci hanno restituito l’immagine di un paese 50 anni indietro”.

Soltanto nel gennaio 2012 l’Associated Press è riuscita ad aprire il suo primo ufficio a Pyongyang, a coprire grandi eventi mediatici organizzati dal regime, come le parate del venerdì. Fino a quel momento, per raccontare uno degli ultimi regimi rossi, i giornalisti si sono dovuti infiltrare, rubando informazioni, scatti e video. “Ancora oggi molti giornalisti occidentali non si dichiarano tali per girare più liberamente”. Santiago Lyon, direttore dell’Ap fotografia, sottolineando le difficoltà nel fare informazioni sulle dittature, ha dichiarato all’Huffington Post che in Corea del Nord: “Non esiste una tradizione di giornalismo indipendente”.

Tallarita racconta: “Non mi è capitato di vedere veri e propri giornalisti. Si trattava di annunciatori in televisione, organizzatori di eventi ufficiali, ma niente di più. I giornali sono tutti uguali e i titoli di apertura più o meno recitano tutti la stessa formula: oggi Kim Jong-un ha fatto questo. Il regime ha vietato i cellulari, il mio infatti l’ho ripreso il giorno del ritorno, mentre è possibile scattare foto.”

Le guide sono il tramite obbligato tra gli stranieri ed il governo: “Gli unici coreani – continua Tallarita – con cui abbiamo potuto scambiare qualche parola, funzionari del governo autorizzati a studiare altre lingue, ad entrare in contatto con gli stranieri e mostrare loro solo ciò che il governo vuole venga mostrato”. A parte l’ostacolo linguistico, per i giornalisti, così come per i turisti, è difficile ottenere l’autorizzazione per parlare con le persone in strada: secondo Santiago Lyon, grazie all’Ap è stato introdotta la vox populi, ancora di difficilissima realizzazione.

Ludovico e la sua guida hanno passato una brutta mezz’ora perché lui si è allontanato e ha preso un’altra metro rispetto a quella della sua delegazione, scendendo alla stazione successiva. “Nel vagone mi guardavano tutti con stupore: non sono abituati a vedere stranieri. Io ero colpito da quanta gente in divisa mi circondasse: quasi un coreano su tre ha ruolo nell’esercito”. Proprio uno dei passeggeri in divisa lo ha fatto scendere dal treno e, grazie al cartellino identificativo, lo ha ricondotto dalla sua guida. “Si sono allontanati a parlare, dopo un quarto d’ora circa sono ricomparsi. ‘Puoi stare tranquillo’, mi ha detto sorridendo la guida, che credo abbia pagato il militare per chiudere un occhio. Ho veramente temuto il peggio”.

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