il Ducato » #ijf15 http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » #ijf15 http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Settecento morti nel Canale di Sicilia, “La stagione dei barconi non è nemmeno cominciata” http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/settecento-morti-nel-canale-di-sicilia-la-stagione-dei-barconi-non-e-nemmeno-cominciata/71144/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/settecento-morti-nel-canale-di-sicilia-la-stagione-dei-barconi-non-e-nemmeno-cominciata/71144/#comments Sun, 19 Apr 2015 14:19:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71144 VIDEO All'incontro "I volti umani dell'immigrazione" durante il Festival del giornalismo, Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre parla della nuova strage di migranti davanti alla costa libica: "La stagione dei barconi non è ancora cominciata". Assieme a lui anche Suleman Diara, maliano, che il viaggio attraverso il Mediterraneo lo ha vissuto sulla propria pelle]]> Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre per i migranti

PERUGIA – Settecento morti in una sola notte, tra il 18 e il 19 aprile. Siamo all’inizio della primavera, quindi “la stagione dei barconi non è ancora cominciata”. Il naufragio, che si è consumato a 70 chilometri dalle coste della Libia (un peschereccio di 30 metri si sarebbe ribaltato mentre arrivava una nave cargo a soccorrerli) potrebbe essere la più grande tragedia nella storia dell’immigrazione del Mediterraneo. Chi pensava che i 366 morti del 3 ottobre 2013 sarebbero stati impossibili da superare, oggi deve ricredersi.

All’incontro “I volti umani dell’immigrazione” durante l’ultima giornata del Festival del giornalismo di Perugia, era presente anche Tareke Brhane, presidente del comitato 3 ottobre, nato in memoria della tragedia del 2013: “Per loro viaggiare era un sogno per il loro futuro e per quello dei loro figli. A quante vittime vogliamo arrivare per smuovere la nostra umanità? Questa gente ha bisogno di una risposta immediata. Di protezione. Vogliono garanzie di poter uscire di casa domani senza esser rapiti e violentati. Non si può continuare a fare allarmismo su quanta gente stia arrivando e quanta ne sia già morta. Le stagioni vere degli sbarchi non sono ancora iniziate. ”

Su questa nuova tragedia Brhane non risparmia critiche all’Occidente e lancia un messaggio: “Dobbiamo prima preservare la vita delle persone, poi i confini. È una vergogna per tutta la Comunità europea perché parliamo di persone costrette, non hanno una scelta. Dal 3 ottobre a oggi almeno 6000 persone sono morte tentando di arrivare sulle coste italiane. Donne, bambini, uomini con sogni e voglia di sopravvivere. Per questo noi abbiamo proposto la giornata della memoria per i migranti”.

Quello che è successo riguarda anche i sistema di controllo e soccorso nel Canale, come Triton: “Serve un progetto a lungo termine da cui ottenere dei risultati. Non è sempre possibile intervenire nei paesi di provenienza o di transito. Come si può ad esempio intervenire in Siria se ci sono i bombardamenti? Io l’anno prossimo non so se Triton verrà rinnovata o no – conclude Brhane – ma certamente serve una politica di immigrazione comunitaria”.

All’inicontro era stato chiamato a intervenire anche Suleman Diara, in Italia dal 2008, che il viaggio attraverso il Mediterraneo lo ha vissuto sulla propria pelle: “Il fatto che la Comunità Europea investa i soldi in Libia o Algeria non è sufficiente perché in questi paesi c’è una forte corruzione che non indirizza nel modo giusto i fondi occidentali. Quando sono arrivato a Roma, trovandomi in difficoltà ho creato questa cooperativa con cui produciamo lo yogurt e che mi è stata utile per imparare la lingua. La condivisione è fondamentale tra i migranti perché spesso gli italiani non ci aiutano”.

La conferenza. “I volti umani dell’immigrazione” è stato un incontro dedicato all’ascolto di alcune storie di “nuovi italiani” che sono riusciti, non senza fatica, ad integrarsi nella nostra società. Le loro storie sono delle odissee moderne. Testimonianze di un viaggio troppo spesso senza fine, come nel caso di questa notte.

“Pensavamo di favorire la memoria della tragedia del 3 ottobre – spiega Luca Attanasio, giornalista freelance e moderatore dell’incontro – invece dobbiamo rivedere questi numeri in eccesso. E’ una strage che urla il dolore di una parte del mondo e il mondo più ricco deve fare qualcosa per accogliere queste persone. Non si tratta di essere di destra o sinistra ma di applicare delle direttive comunitarie che esistono. “Mare Nostrum – continua Attanasio – è stata un’operazione che ha mostrato il lato umano del nostro paese. Non possiamo però dimenticare che mentre era attivo sono morte comunque 3.400 migranti nel Mediterraneo. Non era quindi sufficiente così come non lo è Triton. Bisogna pensare a delle misure che comprendano canali umanitari e che intervengano direttamente nel paese da cui partono queste persone per vagliarne la richiesta di asilo”.

Durante il convegno è intervenuto anche Michele Cercone, portavoce della Commissione Europea, che ha difeso le azioni messe in atto dalle istituzioni comunitarie: “La legislazione su questo tema esiste ed è anche molto completa, il problema è che in alcuni paesi funziona meglio e in altri di meno. Oggi gli immigrati regolari hanno gli stessi diritti dei cittadini europei e questo è possibile solo grazie ad un percorso di riforme che abbiamo portato avanti nel corso degli anni”. Cercone riconosce le evidenti difficoltà, sopratutto nell’area del Mediterraneo, causate dalle crisi politiche ed economiche nei paesi di provenienza ma allo stesso tempo difende il ruolo dell’UE: “Si parla di un’Italia abbandonata a se stessa dall’Europa, ma la Commissione ha stanziato 530 milioni di euro tra il 2007 e il 2013 e ne concederà altrettanti fino al 2020. Magari non risolvono il problema, ma sono comunque cifre importanti”.

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Un giornalista a distribuire cuffie e cioccolatini: il festival vissuto tra i volontari della logistica http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/un-giornalista-a-distribuire-cuffie-e-cioccolatini-il-festival-vissuto-tra-i-volontari-della-logistica/71108/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/un-giornalista-a-distribuire-cuffie-e-cioccolatini-il-festival-vissuto-tra-i-volontari-della-logistica/71108/#comments Sun, 19 Apr 2015 10:14:04 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71108 IL DIARIO DEI VOLONTARI Tra lo staff del Festival del giornalismo di Perugia ci sono anche dieci allievi dell'Ifg di Urbino. Oggi raccontiamo come funziona la logistica. Distribuendo cuffie e microfoni, un giornalista può imparare qualcosa ogni giorno PUNTATE PRECEDENTI 3 | 2 | 1 ]]> Il nostro Claudio intento a sistemare le cuffie per la traduzione simultanea

Il nostro Claudio intento a sistemare le cuffie per la traduzione simultanea

PERUGIA – “Cosa ci vai a fare a logistics, con la ‘s’?”. Me l’avranno chiesto tutti i miei colleghi, da quando ho deciso di vivere l’esperienza del Festival del giornalismo 2015 da addetto ai lavori. Un’attività magari poco intellettuale, ma indispensabile per il buon funzionamento di tutto l’evento.

La mia giornata tipo da volontario ha inizio relativamente presto. Sveglia alle otto, doccia e via all’Hotel Brufani, il quartier generale del festival. L’hotel domina lo spiazzo antistante il belvedere della città di Perugia. È un cinque stelle L, di quegli hotel che difficilmente avrei avuto modo di vivere così intensamente per tanti giorni, non fosse stato per il festival. Ha quell’aria da hotel che vive di occasioni come queste, anzi: che vive davvero solo in occasioni come queste. Alcuni membri dello staff me l’hanno confermato, fra uno sbuffo e l’altro per il carico di lavoro extra cui devono far fronte per rendere possibile un evento così impegnativo.

Nei giorni del Festival internazionale del giornalismo le sale del Brufani si popolano di ragazzi, di giornalisti, di stagisti, turisti e curiosi fin dalla mattina. Le conferenze iniziano infatti alle nove e capita che siano affollate già le prime. Spesso sono in lingua inglese, per cui al volontario di turno toccherà distribuire le cuffie che permetteranno a chi vorrà prendere parte ai vari panel, gli incontri della giornata, di avere la traduzione simultanea dell’evento. A noi il compito di assegnarle, dietro consegna di un documento.

Per me ha significato imparare che il tesserino per i giornalisti, in un festival di giornalismo, non vale come documento di identità; realizzare che in molti sono disposti a lasciarti la carta di credito senza alcun problema, pur di avere la propria cuffia; constatare che la mia vecchia carta d’identità, lisa e stracciata ormai da anni, è come nuova rispetto a quella di tanti; che davvero pochi giornalisti capiscono l’inglese. Che le conferenze sui media in Russia e sulla propaganda dell’Isis tirano più di un carro di buoi, a giudicare da quanti son rimasti senza traduzione perché le cuffie erano finite. E che una bottiglia d’acqua naturale sul tavolo davanti all’ingresso di sala Raffaello è sufficiente perché qualcuno possa pensare di chiederti: “Dell’acqua frizzante, per favore. Magari fredda di frigorifero”.

I panel prevedono spesso il coinvolgimento del pubblico, e spesso mi sono ritrovato a dare il microfono a quanti volevano fare domande. Stefano, il responsabile della sala Raffaello, dice che ho un talento naturale nel dare i microfoni; dice che sembra l’abbia sempre fatto. E io sono soddisfatto, anche se forse non era un complimento.

Ma il crocevia del Brufani è la sala dell’Infopoint, da cui i giornalisti passano per un accredito, gli affamati per un pranzo al sacco, gli speakers per avere i buoni pasto e i rimborsi da Francesca Cimmino, che tutto vede e provvede. Ci ho visto passare moltissimi fra i più noti giornalisti italiani e non solo. Spesso molto disponibili, anche se non tutti. L’impressione è che si conoscano tutti da secoli, e che molti siano anche amici ma come quei parenti che si frequentano solo alle feste comandate. Ho visto Marco Travaglio salutare affettuosamente uno stagista che per il Fatto Quotidiano ha lavorato due mesi, anni fa. Ho dato l’accredito a un giornalista di cui non avevo mai visto il viso, ma il cui nome mi è sempre stato familiare. E ho scoperto che quel nome l’ho sempre pronunciato con l’accento sulla vocale sbagliata: Alberto Puliàfito.

All’info-point ho dispensato chili di Baci Perugina e di Kit Kat, che Fulvio Abbate ha esclamato essere “meglio di una scopata”. Ho messo a durissima prova il mio inglese arrugginito dando indicazioni che in genere consistevano in: “The restrooms are over there, on the left”, che mi esce sempre bene.

Certo, qualcuno potrebbe avermi visto nella hall a caricare il mio smartphone nella -preziosa – colonnina Tim per più del tempo necessario. Ma è perché le batterie del mio cellulare durano il tempo di un panel, non perché effettivamente avessi troppo tempo libero.

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Il futuro del giornalismo investigativo? Sono le buone notizie http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/il-futuro-del-giornalismo-investigativo-sono-le-buone-notizie/70906/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/il-futuro-del-giornalismo-investigativo-sono-le-buone-notizie/70906/#comments Fri, 17 Apr 2015 17:37:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70906 Sean Dagan Wood, co-fondatore CJP

Sean Dagan Wood, co-fondatore CJP

PERUGIA – È più difficile scrivere una buona notizia rispetto a una cattiva. E sì, un giornale fatto di sole buone esiste, è nato nel 1993 nel Regno Unito, si chiama Positive News e ha ispirato decine di progetti editoriali simili, anche in Italia.

Il cosiddetto “giornalismo costruttivo” ha delle regole precise. Anzi, ne ha persino aggiunta una alle canoniche “5 W”: “What now?”. “Il giornalista che si approccia al giornalismo costruttivo deve andare oltre i ragionamenti convenzionali e chiedersi: ‘What now?”, e adesso?” spiega Danielle Batist, co-fondatrice del Constructive journalism project (Cjp) insieme a Sean Dagan Wood. Entrambi sono stati relatori del convegno “Le buone notizie non fanno notizia, oppure sì” al Festival del giornalismo di Perugia.

“Bisogna saper lavorare sulle possibili soluzioni e cercare di capire come evolverà una vicenda. Come un vero detective” continua Danielle.

Un esempio presentato durante il panel è stato “Crying for empathy” (Piangere per empatia), un reportage di Batist su Positive News che analizza un metodo innovativo per l’educazione infantile con una chiave completamente diversa rispetto a quella proposta dal The Guardian.

Il caso italiano. Le buone notizie stanno cominciando a trovare spazio anche nel nostro Paese. Buonenotizie.it è l’unica realtà italiana ad essere diventata partner del Tmi (Transformational media initiative) network globale che ha l’obiettivo di divulgare il giornalismo costruttivo.

Alessia Marsigalia ha lavorato come freelance per il sito: “Grazie al giornalismo costruttivo anche da una tragedia possiamo ottenere informazioni utili. Prendete come esempio il naufragio della Costa Concordia. In quanti si sono informati su tutte le nuove norme che sono nate grazie a quell’episodio? Chiaramente il nostro lavoro diventa ancora più complesso perché dobbiamo verificare più in profondità le notizie rispetto ad altri”. Alessia ha passato un mese in Inghilterra per imparare le regole base di questo approccio e viaggerà tutta la prossima estate per completare il percorso iniziato lo scorso anno.

Le “good news”. Ma come si costruisce una “buona notizia”? Secondo i fondatori di Cjp ci sono una serie di regole basilari:

• Riflettere sul fatto che dietro a una notizia ci sono sempre delle persone;
• Evitare toni sensazionalistici ma scavare nella notizia senza fermarsi alla superficie;
• Spiegare chi sta facendo qualcosa per risolvere un problema e in che modo;
• Avere un approccio critico, ma costruttivo non distruttivo.

Buone notizie… e contagiose. Un nuovo modello, quello del giornalismo costruttivo, che negli ultimi anni si è sviluppato in molti paesi del mondo. In IndiaInghilterra, Francia, Olanda, Stati Uniti (con Daily Good, What’s Working di Huffington Post) e Spagna hanno aperto diversi siti di informazione dedicati a buone notizie e spunti costruttivi.  Tutte realtà che oggi fanno parte del Transformational media initiative.

“In Italia anche alcuni importanti siti di informazione hanno creato delle sezioni dedicate alle notizie positive. Diciamo che questo è un primo passo ma abbiamo molta strada da fare per raggiungere gli altri paesi”.

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Quando il data journalism spiega l’informazione italiana http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/hackathon-quando-il-data-journalism-spiega-linformazione-italiana/70854/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/hackathon-quando-il-data-journalism-spiega-linformazione-italiana/70854/#comments Fri, 17 Apr 2015 11:09:58 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70854 hackathonPERUGIA – Al Festival internazionale del giornalismo di Perugia capita anche di passare al di là della cattedra ed essere parte attiva dell’evento. È quello che può succedere durante una maratona di informatici e giornalisti, in gergo “hackathon”.

Come si fa informazione con i dati? Quali domande si pongono gli esperti di informatica prestati al giornalismo? Cercano i loro “fatti” in tabelle, database, archivi in giro per l’universo web. Leggono i dati, li organizzano e li rendono accessibili a tutti i lettori attraverso infografiche. Il passaggio in più è nella mente del giornalista, che anche da una serie di numeri o un grafico di Twitter sa cogliere la “notizia”.

DataMediaHub ha organizzato il primo hackathon dedicato ai media italiani. Un evento in due giornate, la prima il 16 aprile dalle 9.30 alle 20 con il laboratorio e il 17 aprile con una presentazione in un pitch pubblico.

Un appuntamento aperto a tutti. Basta scegliere il tema e inserirsi in uno dei gruppi di lavoro. A gestire le fila della giornata alcuni dei giornalisti che lavorano nei principali giornali online di datajournalism: Alessio Cimarelli, cofondatore di Dataninja, Mara Cinquepalmi, coordinatrice GiUliA Emilia Romagna, Francesca Clementoni, Radio Città Fujiko, Andrea Nelson Mauro, cofondatore Dataninjia, Pier Luca Santoro, DataMediaHub e Lelio Simi, cofondatore di DataMediaHub.

I quattro team sono nati intorno ad alcune tematiche calde del giornalismo italiano: bilanci dei gruppi editoriali, audience web, media e genere e social.

Follow the money. Il primo gruppo analizza i bilanci dei sei principali gruppi editoriali italiani: che dati emergono dai rendiconto di chi dell’informazione oggi è padrone? A partire da un lavoro già pubblicato da DataMediaHub a metà 2014 si è provato a rispondere.

“Tutto inizia con una buona domanda” spiega Lelio Simi, cofondatore del sito. E l’interrogativo che si è posto il giornalista nei mesi che hanno preceduto il festival è stato: “Qual è lo stato di salute dei quotidiani italiani?”. Da qui nasce l’idea di fotografare l’andamento economico dei sei maggiori gruppi editoriali (Rcs, Mondadori, 24Ore, Poligrafici, Espresso e Caltagirone Editore) attraverso grafici che permettano ai lettori di capire immediatamente e senza sforzo la situazione. Il tutto basato su tre parametri: fatturato, spese operative e ricavi da pubblicità.

Il quadro che emerge dall’indagine è impietoso: i ricavi complessivi dei quo­ti­diani e dei perio­dici in Italia, per quanto attiene l’advertising, è pas­sato dai 1.588 milioni di euro del 2012 ai 1.252 milioni del 2013 con una fles­sione in un solo anno di 306 milioni, che per­cen­tual­mente cor­ri­sponde a un meno 21,2. Gli investimenti pubblicitari tra il 2009 e il 2013 sono calati del 31%, per un mancato introito di circa 600 milioni, fattore che ha spinto i sei gruppi a fare ingenti tagli al personale, diminuito complessivamente negli anni in questione del 25%.

Quanti lettori? La seconda track butta l’occhio sull’audience in costante crescita: coloro che s’informano sul web. DataMediaHub si è già occupata dell’argomento analizzando i dati fino ad aprile 2014. La fonte di riferimento è il sito Audiweb, che mette a disposizione di tutti, basta registrarsi, alcune rilevazioni sulle testate online: media di ingressi giornalieri, mensili, da dove arrivano le entrate – pc, mobile, totale – in homepage e sui siti collegati al principale e che spesso trattano questioni non per forza inerenti all’informazione.

Degli 820 brand presenti su Audiweb DataMediaHub ne ha selezionati 50, di cui 15 all digital (nati e cresciuti sul web), e 35 che hanno la versione cartacea. Il periodo analizzato durante l’hackathon va da maggio 2014 a febbraio 2015.

L’homepage? Superata. Un altro elemento di analisi riguarda l’accesso homepage, in questo caso il campione di riferimento è stato di 15 siti pure players: quanto pesa l’homepage sul totale degli utenti unici? I dati confermano la tendenza: l’homepage ha sempre meno importanza per arrivare  a una notizia. Siamo intorno al 20%. Gli utenti quindi non arrivano passando per l’entrata principale, e quindi in base al brand, ma da canali diversi, in primis i social.

Oggi le notizie sono sempre più unbranded. Interessante anche la differenza tra quotidiani puramente online e cartacei/online: nel primo caso gli ingressi unici in homepage sono sempre inferiori ai secondi. Nelle testate all digital si attestano in media intorno al 10%: segno che i lettori sono meno fedeli e spesso queste non hanno raggiunto, perché nate da pochi anni, il grande pubblico, ancora legato ai principali quotidiani.

Quante donne? La terza track ha riguardato media e genere: quanto valgono le donne nel mondo dell’informazione italiana? Mara Cinquepalmi e Francesca Clementoni hanno cercato di capirlo individuando chi dirige quotidiani e riviste, proseguendo un lavoro già cominciato su DataMediaHub: dei 65 censiti solo quattro donne sono risultate a comando di una redazione e di queste una è a capo di quattro testate (Pierangela Fiorani direttore del Mattino di Padova, La Nuova di Venezia e Mestre, La Tribuna di Treviso e Corriere delle Alpi, tutti del Gruppo Espresso).

Pur essendo – numericamente – in parità o quasi, i direttori donna spesso gestiscono testate e redazioni di minore importanza nel panorama dell’informazione italiane. Altre volte invece riviste prettamente femminili sono capeggiate da uomini, ma con un team di donne al loro seguito.

I dati sono stati presi dall’Osservatorio di Pavia, dalla Federazione internazionale giornalisti e da Global media project. Alcuni importanti trend: la stampa continua a essere il mezzo più “maschile”, anche se le giornaliste sono in costante aumento e predominano in scienza, salute, cultura e sport.

I numeri del festival. L’ultimo gruppo invece ha affrontato il tema social: Twitter e Facebook tra i principali. Analisi che sono applicate anche a questi giorni di festival, con un focus che verrà pubblicato ogni giorno sul sito di DataMediaHub. Capire come circola sui social e che spazio ha in questi giorni il festival, grazie numero di tweet, i luoghi dove si addensano e gli articoli prodotti sull’argomento.

Al centro di tutto c’è la social media analysis. I primi dati raccolti: in 14 giorni #ijf15 ha ottenuto 90 articoli, una media di oltre 6 articoli al giorno, 15.000 tweet in tre giorni e che hanno come protagonisti gli utenti maggiormente attivi, detti influencer.

I dati spesso sono analizzati da agenzie specializzate come Waypress e The Fool Social Monitor. Ma chiunque può provare ad essere data-journalist. Esistono alcune risorse, i più conosciuti sono Infogr.am (open source) e Illustrator (a pagamento), capaci di dar vita a grafici di ogni tipo. Basta aver la voglia di cimentarsi con i numeri.

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