il Ducato » italo moscati http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » italo moscati http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Moscati: “Come Jep Gambardella, il giornalismo culturale è immobile, scollegato dalla realtà” http://ifg.uniurb.it/2014/04/26/ducato-online/moscati-come-jep-gambardella-il-giornalismo-culturale-e-immobile-scollegato-dalla-realta/62012/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/26/ducato-online/moscati-come-jep-gambardella-il-giornalismo-culturale-e-immobile-scollegato-dalla-realta/62012/#comments Sat, 26 Apr 2014 17:16:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=62012 La dolce vita al protagonista de La grande bellezza: sono le metafore che il regista Italo Moscati usa per tracciare il suo ritratto di un giornalismo che in sessant'anni è rimasto legato alle commemorazioni di un passato che non ha saputo elaborare
Dorfles: "Bisogna stare sul mercato"]]>
Italo-Moscati2URBINO – È l’immagine di un Paese e di un giornalismo immobile, retrogrado, legato a un passato che non ha saputo elaborare quella disegnata da Italo Moscati. Nella lectio tenuta al teatro Sanzio, che ha aperto la sessione pomeridiana della seconda giornata del Festival del giornalismo culturale, il regista, autore e critico cinematografico ha tracciato un percorso che, dal cinema all’informazione, mette in risalto il manierismo della cultura italiana e il senso del “nuovismo” che fa perdere tempo. Una provocazione intuibile già dal titolo di quello che lui stesso ha definito un racconto e non una lectio: “Coccodrilli e sfere di cristallo. Il giornalismo culturale affascinato dalle commemorazioni e dal nuovismo anche senza futuro.

“I coccodrilli mi sono venuti in mente – spiega Moscati – pensando al 25 aprile. Quando Bologna fu liberata dall’occupazione nazista. Io ero lì, ero piccolissimo. Ho il ricordo di una città che non aveva luce elettrica, dove le case erano illuminate con le candele. Quando ci annunciarono l’arrivo delle truppe polacche ci affacciammo alle finestre e vedemmo una grande festa. La gente era in piazza, sotto i portici, esultava, erano tutti felici. Quella stessa mattina però rimasi impressionato dal fatto che nel nostro paese la morte avesse più importanza della vita: mentre la gente festeggiava la Liberazione, in radio venivano lette delle targhe funebri dei caduti in guerra”.

Moscati ha scelto un ricordo d’infanzia per affermare l’idea che oggi come ieri “la nostra stampa d’informazione culturale vive di suggestioni che vengono dal passato, che indugia sui caduti, sui lutti e sulle cose funebri”. E per esprimere questo senso di immobilismo dell’informazione culturale ha messo a confronto due grandi film che in modi diversi hanno raccontato la figura del giornalista italiano: La dolce vita di Federico Fellini e La grande bellezza di Paolo Sorrentino. “Cosa è cambiato da Marcello Rubini, giornalista che sembra quasi un Fabrizio Corona dei nostri tempi, a Jep Gambardella, l’uomo con l’identità fissata negli anni ’60 che non riesce a vivere nella contemporaneità?”, ha chiesto al pubblico Italo Moscati, rispondendo che “non è cambiato nulla, l’Italia immobile è ben espressa dal grandissimo senso di vuoto della Roma di Sorrentino”.

A questa immagine Italo Moscati ha voluto che la platea associasse una frase che Indro Montanelli pronunciò durante una sua intervista e che per lui è stata illuminante. “Montanelli disse di non ‘desolidarizzare con la propria generazione’, allora io mi sono chiesto quanti giornalisti, negli anni intercorsi tra Marcello Rubini e Jep Gambardella, hanno avuto il coraggio di farlo e portare avanti le proprie idee? Forse una frattura – afferma Moscati – c’è stata negli anni di piombo, gli anni in cui il giornalismo ha dovuto necessariamente staccarsi dalla letteratura e sporcarsi le mani con la cronaca, perché era la gente che lo chiedeva”.

La letteratura, che per Marcello Rubini era l’obiettivo della sua carriera, diventa in Jep Gambardella un fallimento espresso nell’insuccesso dell’unico libro pubblicato in gioventù. “Questa è la metafora di come la società italiana abbia iniziato a pretendere una necessità di verità che il giornalismo non ha potuto ignorare – ha detto Moscati – non solo abbandonando la letteratura, ma anche desolidarizzando con la propria generazione”.

Ma per il regista gli anni ’70 hanno comportato anche un’altra svolta del giornalismo in generale e di quello culturale in senso stretto: “Il nostro è un paese malato – ha detto – che giudica le cose non per la loro attualità, ma dalle interpretazioni preventive degli eventi. Tutto quello che viviamo ora lo viviamo perché c’è stato un manierismo giornalistico inqualificabile. Scalfari quando lanciò le pagine culturali de La Repubblica parlò di ‘una zona tranquilla dove si potesse fare cultura’, una zona neutra tra la politica e lo sport. Ma che cosa significa fare cultura se ci limitiamo alle recensioni dei libri e dei film? La cultura, più di ogni altra cosa, deve essere collegata all’attualità”.

Italo Moscati, che oltre a essere autore e regista è prima di tutto un giornalista, ha chiuso il suo racconto definendo festival e convegni sulla cultura una copertura che spesso mette davanti alla tragicità dell’informazione culturale italiana: “I giornali non danno nessuna soluzione, ratificano il principio di una democrazia che non sa più dove andare. Non siamo un paese alfabetizzato, siamo spettatori che non si fanno coinvolgere da nulla se non dai talk show. E io che ho cominciato come giornalista ho l’orgoglio di un giornalista che pensa che l’alfabetizzazione debba iniziare prima di tutto da se stesso”.

 

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Italo Moscati e i ‘coccodrilli': “La cultura italiana? Si fonda sui morti” http://ifg.uniurb.it/2014/04/23/ducato-online/italo-moscati-e-i-coccodrilli-la-cultura-italiana-si-fonda-sui-morti/61779/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/23/ducato-online/italo-moscati-e-i-coccodrilli-la-cultura-italiana-si-fonda-sui-morti/61779/#comments Wed, 23 Apr 2014 07:05:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=61779 Italo Moscati

Italo Moscati

URBINO – “Abbiamo una cultura atroce, pesante e nefasta. Che frequenta un po’ troppo i cimiteri”. Italo Moscati è regista, scrittore, giornalista. Ha alle spalle molte pubblicazioni, ha lanciato alcuni tra i maggiori registi italiani, ha dato vita a programmi televisivi sperimentali. La cultura la conosce bene, l’ha sempre fatta e la fa ancora. E quando dice che la nostra è una informazione di commemorazione, non lascia spazio a equivoci. Per lui il nostro Paese è formato sui caduti della prima guerra mondiale e sugli eroi del Risorgimento. “Come direbbe lo storico Emilio Gentile – chiosa – i nostri fondamenti sono mortuari”.

L’autore terrà al Festival del giornalismo culturale di Urbino una lectio dal titolo “impressionistico” – così l’ha commentata – che parlerà di coccodrilli, di persone che leggono il futuro nelle sfere di cristallo e di nuovismo. Il coccodrillo, in gergo giornalistico, è quell’articolo che si scrive con largo anticipo e che si pubblicherà alla morte di un personaggio, di norma ben conosciuto. Il suo uso è un abuso che Moscati denuncia per tutta la cultura che passa nei media italiani. “Se si sfogliano – spiega – le pagine culturali dei quotidiani, dei settimanali, se si guardano i programmi tv si nota un’abbondanza di commemorazione per chi se ne va. Sono pagine riempite con i ricordi, di un rimpianto molto spesso giusto e articolato. Ma quel che si nota davvero è una ripetizione, negli anni, che sa di nostalgia e attaccamento al passato”. E che denota, in tutte quelle parole dedicate alla scomparsa, la necessità di assolverci dalla nostra realtà. “I giornali ne sono pieni – continua – forse perché oggi mancano i giusti riferimenti”.

È proprio qui, nella mancanza di punti solidi, che subentra il nuovismo. “Ovunque – spiega ancora Moscati – troviamo cose che sanno di novità. Provengono soprattutto dagli Stati Uniti e finiscono per diventare per noi un focus obbligatorio. I media, ma anche il cinema italiano, da molti anni guardano laggiù come a una guida. Stiamo riempiendo il vuoto che abbiamo con riferimenti che provengono da una cultura che ha sicuramente cose da raccontare, ma stiamo dimenticando la nostra, la forza delle nostre radici, delle nostre tradizioni”. Il motivo? Per lui siamo sostanzialmente impreparati. E forse lo siamo sempre di più. “Basta guardare – prosegue – a quanto spazio viene dedicato a questo modo di costruire, che tiene forse in piedi la fortuna del mercato, ma che somiglia più a consigli per gli acquisti”.

Il riferimento, non troppo lontano, è rivolto in particolare agli scrittori. A quelli che c’erano, al centro di quegli articoli dedicati al defunto e al compianto, e a quelli che dovrebbero esserci e non ci sono. “Gli editori – dice – lavorano sulla promozione dei giovani autori, ma non sempre li cercano. Affidano loro un compito, una formula di consumo. E così abbiamo tantissime collane letterarie e concorsi che fioccano come mai successo prima. Ma i premi Strega muoiono uno dopo l’altro, la loro gloria è effimera”. E il risultato è una intellettualità che non sta in piedi da sola. “Come direbbe Gillo Dorfles, un fattoide, qualcosa che non esiste ma si costruisce nelle intenzioni. I risultati non confortano. Confermano, piuttosto, la solitudine, la chiusura e l’empasse della cultura”.

Digerita la suggestione iniziale, insomma, attorno a sé Moscati non vede che fallimenti clamorosi: “Non vedo scrittori – spiega – di qualità risoluta e indiscussa. Qualche libro, in fondo si potrebbe anche saltare”.

Moscati, però, si dice ottimista. E alla domanda se e cosa allora potrebbe salvare la cultura da una copia in carta carbone riproposta di anno in anno risponde che è necessaria una maggiore ricerca. “Tutto sommato – dice – i giornali passano un buon momento. Le maggiori denunce della condizione del nostro Stato vengono dai giornalisti. A smascherare la cattiva politica, la gestione degli enti, la burocrazia, sono stati i giornali. Sia quelli di sinistra, sia quelli più moderati, hanno capito il nostro senso di smarrimento. Hanno mostrato la gracilità di questo Paese e l’uso che se n’è fatto”.

Un barlume di speranza potrebbe quindi esserci. “Stiamo invertendo la rotta, ma ci vuole tempo”. Perché leggere una pagina culturale può ancora avere il suo senso, ma solo se è ben fatta. “Quando la funzione è di reale scoperta – conclude – e non si tratta di cose note, né del trionfalismo di portare acqua al proprio mulino, allora va bene. Ma succede raramente”.

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