il Ducato » la stampa http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » la stampa http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Il nuovo algoritmo di Facebook: via le foto, lunga vita ai video http://ifg.uniurb.it/2015/02/24/ducato-online/il-nuovo-algoritmo-di-facebook-via-le-foto-lunga-vita-ai-video/66180/ http://ifg.uniurb.it/2015/02/24/ducato-online/il-nuovo-algoritmo-di-facebook-via-le-foto-lunga-vita-ai-video/66180/#comments Tue, 24 Feb 2015 16:19:22 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=66180 URBINO – Dimenticate i bei tempi in cui bastava postare qualche immagine virale, raggiungendo migliaia di persone con ogni singolo post: la timeline di Facebook non valorizza più le foto come accadeva fino a poco tempo fa. Il nuovo algoritmo ideato dal team di Zuckerberg ha cambiato le carte in tavola, dando maggiore visibilità ai video. I social media editor delle principali testate italiane non si sono fatti trovare impreparati. E anche all’estero c’è chi, pur di sfruttare al massimo la novità, pubblica addirittura le copertine del magazine in edicola in versione video, come Time.

Dall’ultima analisi di Socialbakers (sito specializzato in analisi sui social media) su un campione di 670.000 post presi da più di 4.000 fan page diverse, è emerso che le immagini sono il contenuto meno performante in termini di reach organica (portata gratuita di utenti di ogni singolo post): se le foto raggiungono il 3,7% degli utenti e il 2,3% di fan, con i video la percentuale riscontrata è più del doppio, 8,7%, con il 5,7% dei fan iscritti. Una differenza, tra i due dati, del 135%:

Se per status e link la percentuale resta costante, il predominio assoluto dei video è testimoniato anche da questa tabella relativa alle interazioni generate dai post:

Il social media editor. Come hanno reagito i social media editor alla luce di questi dati? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esperti del settore: Alessio Balbi, responsabile social media del gruppo Espresso, Carola Frediani esperta di social network ed ex social media editor de La Stampa, e Fabiano Medugno, social media editor del sito fantagazzetta.com.

“La strategia di Facebook è stata chiara sin dal principio – racconta Balbi – noi ci siamo già attivati in questo senso, aumentando i contenuti video rispetto al passato. L’importante è non abusarne. Bisogna trovare il formato giusto per il proprio target di riferimento”.

Un pensiero condiviso anche da Carola Frediani: “Il cambiamento c’è stato, ma non solo sui social network. Il web si sta spostando sempre più verso i contenuti video, una tendenza in corso già da qualche tempo. Noi ci siamo adeguati, senza mai strafare. L’obiettivo è trovare il mezzo giusto rispetto al contenuto da presentare”.

Sulla stessa scia Fabiano Medugno: “Sono a conoscenza del nuovo algoritmo. Stiamo preparando quasi ogni giorno dei video virali che, anche se non portano visite al sito, rientrano nel discorso di brandizzazione del marchio. Resta questo il mio vero obiettivo. Sono contrario alla pubblicazione di contenuti video ad ogni costo, preferisco creare uno zoccolo duro di utenti fedeli che conoscono perfettamente i contenuti delle nostre pagine”.

Marketing. Grande importanza, dunque, agli utenti e al target da raggiungere: “Aumentare le visualizzazioni ad ogni costo non è sempre la strada giusta da percorrere – prosegue Balbi -, va fatto con cognizione di causa. Un esempio vincente è quello delle copertine animate di Time pubblicate sui social: sfruttando il rating dei video, hanno riscosso un grande successo sul pubblico di riferimento senza sminuire il marchio.
Più interazione. Secondo i giornalisti che abbiamo interpellato il nuovo algoritmo non ha fatto altro che assecondare una tendenza che era già in atto. “Facebook è una piattaforma dinamica – aggiunge Frediani – la nostra équipe è sempre al lavoro per creare dei meccanismi virtuosi. L’interazione con il pubblico è fondamentale. L’algoritmo ha le sue regole, ma è un semplice contenitore. Il contenuto giornalistico non deve mai passare in secondo piano”.

“Valorizzare il brand è fondamentale – ribadisce Medugno – Fantagazzetta ha un alto numero di fan tra i 18 e i 24 anni, tutti amanti del calcio e del fantacalcio. Mi diverto a condividere i loro stati d’animo, gioco sui doppi sensi e uso spesso foto dei vari eroi della domenica, che possono essere oggetto di dibattito tra il pubblico. L’algoritmo conta, certo, ma il nostro “pubblico” vive di foto e io non posso non tenerne conto”.

C’è futuro per il social media editor? All’interno delle redazioni, negli ultimi anni si è sviluppato un dibattito su chi debba occuparsi di pubblicare le notizie sugli account social. Secondo alcuni la direzione è quella del giornalista-tuttofare. Alessio Balbi ribadisce però l’imprescindibilità del suo ruolo: “Non si può pretendere che tutti sappiano fare tutto. Chi lavora sui social deve tenere sempre sotto controllo l’universo del web. Il social media editor ha delle competenze specifiche ed è giusto che il suo lavoro resti indipendente”.

Diverso il parere di Carola Frediani, secondo la quale si va verso un’integrazione totale con la figura del giornalista: “A La Stampa i social media editor sono giornalisti. Certo, ci vogliono delle competenze specifiche per ricoprire questo ruolo. Ma ciò non vuol dire che la divisione debba essere netta. Poco a poco l’integrazione sarà totale”.

“Per la mia esperienza lavorare a stretto contatto con la redazione è fondamentale – conclude Fabiano Medugno – un bravo social media editor deve essere prima un acuto giornalista, nel senso più ampio del termine: capire le tendenze, guardare le apparenze, scoprire la notizia anche tra i commenti di un post. Il ruolo del giornalista è in evoluzione, c’è il pericolo di una possibile scomparsa della mia figura. Non credo, però, che succederà nel breve periodo. Per le grandi testate il nostro continua ad essere imprescindibile”.

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Edizione straordinaria: sono scomparse le notizie dalle prime pagine dei quotidiani http://ifg.uniurb.it/2014/02/19/ducato-online/edizione-straordinaria-sono-scomparse-le-notizie-dalle-prime-pagine-dei-quotidiani/57300/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/19/ducato-online/edizione-straordinaria-sono-scomparse-le-notizie-dalle-prime-pagine-dei-quotidiani/57300/#comments Wed, 19 Feb 2014 10:23:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57300 Analisi, commenti, approfondimenti, inchieste, opinioni politiche, previsioni economiche: se si apre un quotidiano nazionale (ma anche internazionale) si trova tutto questo (e anche di più). Ma le hard news, le notizie vere, quelle che una volta gli “strilloni” divulgavano agli angoli delle strade e facevano correre i cittadini a comprare il giornale, dove sono finite? Dall’altra parte dell’oceano atlantico la scomparsa delle notizie dalle prime pagine dei quotidiani è una questione molto dibattuta.

Proprio qualche settimana fa la public editor del New York Times,  Maragaret Sullivan, su segnalazione dei lettori, aveva “scoperto” che tra i sette titoli principali del suo giornale solo uno si poteva considerare hard news e aveva polemizzato col suo stesso giornale.

Ma esiste in Italia un problema di questo tipo? “I ritmi dell’informazione non sono più compatibili con la carta stampata – spiega Paolo Mancini docente di Sociologia della Comunicazione all’università di Perugia – già nel 2006 Travaglio aveva scritto un libro intitolato La scomparsa dei fatti. In Italia i giornali, ma anche i telegiornali, sono abituati a dare spazio alle dichiarazioni, si raccontano opinioni non fatti. I giornali sono costretti a fornire commenti e analisi perché le notizie le danno altre fonti”.

Noi abbiamo deciso di fare la stessa verifica fatta dalla Sullivan su 6 quotidiani italiani in tre giorni scelti in modo casuale:

Le analisi e gli approfondimenti hanno più del 50% dello spazio in prima pagina e le notizie sono difficili da isolare. Accanto al racconto della notizia infatti c’è sempre qualcos’altro e le cose si fanno ancora più chiare se si analizzano le prime pagine dopo un evento politico rilevante, come il vertice tra Renzi e Letta del 12 febbraio e il probabile avvicendamento tra i due alla guida del governo.

Ecco alcuni titoli:

– Pacco di coalizione (Marco Travaglio editoriale)
IL FATTO QUOTIDIANO

– La partita di Matteo (analisi di Claudio Tito)
LA REPUBBLICA

– Lo scontro fra due velocità (analisi di Mario Calabresi)
LA STAMPA

– Giochi pericolosi (analisi di Ernesto Galli della Loggia)
CORRIERE DELLA SERA

– Il retroscena: la notte del leader, conta da evitare ma stacco la spina
IL MESSAGGERO

– Enrico e Matteo, divorzio con sgambetti
IL MESSAGGERO

– Il grande imbalsamatore (cucù di Veneziani su Renzi)
IL GIORNALE

– Attento Matteo fare flop è facile (di Vittorio Feltri)
IL GIORNALE

Sono tutti esempi di notizia-analisi: la notizia c’è, ma si dà per scontato che il lettore già la sappia perché la televisione, la radio, i siti di informazione o i social network l’hanno già data prima. Così si passa direttamente allo step successivo, quello dell’approfondimento. Stessa cosa succede ai giornali il giorno successivo, quando le indiscrezioni sulla staffetta Renzi-Letta sono diventate una realtà.

– Dentro la crisi: 4 approfondimenti ( Matteo ai suoi “no ai brindisi qui si rischia” L’esecutivo che spaccò il centrodestraVecchi alleati e nuovi patti per la svolta– Domenica già possibile l’incarico)
CORRIERE DELLA SERA

– Renzi si nomina premier (Il Pd licenzia Letta che si dimette. Nasce il governo del segretario. La nuova era politica parte col trucco. E riserverà colpi di scena)
IL GIORNALE

– “Ambizione smisurata” ma Renzi quanto dura?
IL FATTO QUOTIDIANO

– La forza di un gesto e le sue incognite (L’analisi di Carlo Fusi)
IL MESSAGGERO

– L’eterna anomalia italiana (di Cesare Marinetti)
LA STAMPA

– L’azzardo dell’acrobata (di Ezio Mauro)
LA REPUBBLICA

Nei quotidiani apertamente schierati come Il Fatto Quotidiano e Il Giornale la ricerca della notizia è una partita persa in partenza, o comunque molto difficile da giocare perché anche quando le notizie ci sono stanno talmente nascoste dietro l’editoriale del direttore, o il pezzo analitico di qualche firma illustre che sono quasi impossibili da vedere. Ma in realtà “tutti i giornali per non morire devono spostarsi sull’approfondimento e l’analisi – spiega il professor Mancini – anche quelli meno schierati come il Corriere della Sera. Poi il lettore sceglie in base ai suoi gusti ma sa già quello che troverà”. Come dire che la notizia sul giornale c’è ma deve essere condita da qualcos’altro che piaccia agli utenti (notizia e analisi della notizia, approfondimento sulla notizia stessa o commento illustre sempre restando nei “pressi” della notizia).

Questa “commistione di genere”, tratto caratteristico del giornalismo italiano, ha radici profonde: “Il modello mediterraneo, ripreso dal giornalismo in Italia, è un tipo di giornalismo indirizzato a pochi educati che fornisce approfondimenti, commenti e interpretazione dei fatti. Non è per tutti, è nato per essere elitario” spiega il professore.

Tornando alla polemica scoppiata di recente tra i lettori del New York Times, viene da chiedersi perché i cittadini americani si siano lamentati mentre in Italia la prassi è accettata e ben digerita. Probabilmente c’è anche il fatto che in Italia non c’è nessuno con cui potersi lamentare e che faccia solamente l’interesse dell’utente perché il “garante del lettore”, la Margaret Sullivan nostrana, non esiste. Ma più importante, il lettore anglosassone è abituato a un tipo di giornalismo freddo e molto più rigido del nostro (la famosa regola delle 5 W, la base del giornalismo anglosassone: who, what, when, where, why). Solo fatti, niente opinioni. Mentre “in Italia il giornalismo è sempre stato giornalismo d’opinione, qui il pubblico è sofisticato e vuole approfondimenti. Basti guardare Repubblica -  conclude Paolo Mancini – è un giornale nato per dare opinioni, non notizie”.

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Santoro al posto della Masera:è lui il nuovo social media editor http://ifg.uniurb.it/2014/01/13/ducato-online/la-stampa-sceglie-santoro-il-nuovo-social-media-editor-e-un-non-giornalista/54278/ http://ifg.uniurb.it/2014/01/13/ducato-online/la-stampa-sceglie-santoro-il-nuovo-social-media-editor-e-un-non-giornalista/54278/#comments Mon, 13 Jan 2014 16:25:36 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=54278 Nella redazione del giornale a Torino

Santoro nella redazione della Stampa (foto Marco Bardazzi)

TORINO – Il primo social media editor non giornalista è italiano e lavora a La Stampa. Pier Luca Santoro, blogger ed esperto di marketing, ha preso il posto di Anna Masera, da poco nominata responsabile della comunicazione alla Camera dei Deputati. Santoro è noto sul web per il blog “Il Giornalaio”, nel quale ospita analisi e riflessioni sul mondo dei media con l’occhio attento ai numeri. Esperto di marketing, ha lavorato per grandi aziende come Star, Bonomelli e Galbani, ecollabora anche con l’European journalism Observatory, il centro studi no profit dell’Università Svizzera Italiana.

L’annuncio è stato dato dal direttore Mario Calabresi in un articolo intitolato: “Porte aperte agli innovatori della Rete”.

La Stampa è stato il primo quotidiano italiano ad avvalersi di una figura dedicata ai social sin dal gennaio del 2012. Il direttore Mario Calabresi aveva scelto una persona della redazione che conoscesse le dinamiche interne del quotidiano torinese. Una giornalista che facesse da ponte tra chi le notizie le scrive e chi le recepisce e le condivide sui social network. L’idea era di avviare una graduale integrazione tra le due realtà puntando ad avere una redazione di giornalisti “social media editor di se stessi”, un meccanismo già naturale per i redattori più giovani. Ora il quotidiano torinese è andato oltre, scegliendo un esterno alla redazione e per di più un esperto di marketing.

Negli Stati Uniti il Social Media Editor è una presenza consolidata nelle redazioni da molti anni. Nel 2009 il New York Times aveva scelto la giornalista Jennifer Preston, alla quale è subentrata la collega Liz Heron. Lo scorso anno il suo titolo è cambiato in “editor of emerging media”. Al Wall Street Journal lo Sme Neil Mann è diventato “multimedia innovations editor”. Il giornalista Anthony De Rosa ha lasciato il comando dei social della Reuters per diventare editor in chief della startup Circa. Davanti a questi eventi l’ex sme dell’Huffington Post statunitense, oggi a BuzzFeed, Rob Fisherman, si è aggiunto alla schiera di chi vede il ruolo del social media editor destinato a sparire, vista la crescente integrazione dell’uso dei social nell’attività giornalistica di ogni redattore. Lo aveva già annunciato Liz Heron nel 2011 quando scriveva sul suo blog che il suo lavoro “è destinato a sparire nel giro di cinque anni”.

Che non sia sparito il social media editor è evidente. Che sia un po’ cambiato il ruolo lo è altrettanto. La scelta de La Stampa dice chiaramente che non ci si può concentrare sui soli contenuti, ma è indispensabile conoscere le dinamiche delle relazioni nelle community social e saperne sfruttare le potenzialità.

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Dalla terza pagina alla cultura “pop”: com’è cambiata l’informazione culturale http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/dalla-terza-pagina-alla-cultura-pop-come-cambiata-linformazione-culturale/45400/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/dalla-terza-pagina-alla-cultura-pop-come-cambiata-linformazione-culturale/45400/#comments Sun, 05 May 2013 13:11:41 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45400 [continua a leggere]]]> URBINO – Come si è evoluto il giornalismo culturale italiano e quale sarà il suo futuro nel mondo del web? Al Ducato Giuseppe Roma del Censis, Massimiliano Panarari de La Stampa, Massimo Russo del gruppo l’Espresso fanno un quadro chiaro della situazione: se la cultura è un paradosso in Italia perché presente ma poco valorizzata, la nuova informazione culturale digitale può tentare di risollevarne le sorti rendendola più ‘pop‘.


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Dalla pagina ingiallita al web: i social rilanciano gli archivi http://ifg.uniurb.it/2013/03/21/ducato-online/dalla-pagina-ingiallita-al-web-i-giornali-rilanciano-gli-archivi-sui-social/39553/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/21/ducato-online/dalla-pagina-ingiallita-al-web-i-giornali-rilanciano-gli-archivi-sui-social/39553/#comments Thu, 21 Mar 2013 02:42:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39553 Nei corridoi delle redazioni si dice che con il giornale di oggi potrebbe essere incartato il pesce di domani; ma nel mondo dei bit tutto cambia e le regole del gioco possono essere stravolte facilmente. Grazie al restyling del web, i giornali del passato potrebbero non essere più inutili reperti storici ma piuttosto trovare nelle mille vie della Rete una nuova identità.

È finita, insomma, l’era in cui gli archivi si presentavano come luoghi bui, polverosi e difficilmente accessibili: sul web l’archivio può diventare un link, una galleria o una timeline.

Pionieri dell’iniziativa sono stati alcuni giornalisti americani che ormai da qualche anno si impegnano a valorizzare sulla rete l’enorme mole di materiale sepolto negli archivi di quotidiani e riviste. Così navigando su internet può accadere di trovarsi a sfogliare la pagina del Pittsburgh Post-Gazette del 1969  in cui si annuncia l’approdo dell’uomo sulla luna o di seguire su Twitter l’account del sindaco newyorkese Fiorello La Guardia, morto nel  1947 ma che continua a twittare contenuti audio dei suoi interventi radiofonici durante la seconda guerra mondiale.

Nel web non esistono confini e le notizie di ieri e di oggi, impigliandosi nelle infinite ramificazioni della rete, possono facilmente interagire tra di loro. Dal 2008 alcuni giornali, per renderli facilmente accessibili ai propri lettori, hanno avviato un’operazione di digitalizzazione e trasferimento sul web dei propri archivi storici. Ma dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra giunge l’eco di nuove iniziative.

Inutile dirlo: per restituire il soffio vitale alle pagine ingiallite dei vecchi quotidiani il passaggio per i social è quasi obbligatorio.

TWITTER
L’Economist è uno dei pochi giornali che utilizza Twitter per lanciare degli spunti di approfondimento ai propri lettori twittando link che rimandano al proprio archivio digitale.

Sulla stessa scia si è mossa anche l’emittente pubblica newyorkese più ascoltata negli Stati Uniti, la Wnyc, che ha creato un account Twitter di Fiorello La Guardia, sindaco di New York durante la seconda guerra mondiale. Numero di follower? 499. Il sindaco “defunto” cinguetta quotidianamente alcuni contributi radiofonici dei suoi discorsi pubblici.

FACEBOOK
La Repubblica, in occasione del festival La Repubblica delle idee, organizzato a Bologna l’anno scorso, ha allestito una mostra con le prime pagine in assoluto di quotidiano, inserti ed edizioni locali ma anche di alcuni degli eventi più importanti dell’ultimo trentennio. Una galleria fotografica che vive anche sull’account Facebook del quotidiano.

Non mancano poi le operazioni fatte da Google News che, oltre a mettere in rete gli archivi di numerosi giornali, ha reso possibile la visualizzazione delle pagine dei quotidiani, sfogliabili come se fossero di carta. “Archivio” chiaramente non significa soltanto articoli di giornale: foto e immagini vanno a nozze con le ultime tendenze invalse nei social network dove aumentano le condivisioni di scatti fotografici da parte degli utenti.

TUMBLR, INSTAGRAM, PINTEREST
Per i fanatici del vintage Vanity Fair ha creato #Vfvintage , una raccolta di foto degli anni ’50,’ 60’ e ’70 condivise sugli account Tumblr  e Instagram della rivista.

Il New York Times ha portato sui social anche il suo obitorio fotografico: foto e immagini raccolte nei lunghi anni di attività adesso, grazie all’account Tumblr , sono a portata di click.

A proposito del New York Times. Due scienziati del Microsoft and the Technion-Israel Institute of Technology stanno creando un software che analizzi i 22 anni di archivi del giornale, quelli di Wikipedia e altre 90 risorse web per predire epidemie, tumulti e morti. I ricercatori sono convinti che l’attenta analisi del materiale conservato dal New York Times potrebbe far luce su alcune dinamiche sottese a fenomeni e malattie diffusi nelle periferie del mondo.
Per valorizzare la propria memoria storica c’è chi, come il Wall Street Journal, ha creato su Pinterest un itinerario di prime pagine del quotidiano con gli eventi più importanti del secolo, dal primo numero del giornale nel 1889 all’elezione di Obama nel novembre 2008, passando per l’attacco a Pearl Harbor nel 1941.

La Stampa.it ha utilizzato materiale fotografico dall’archivio del giornale per ripercorrere, attraverso una fotogalleria, le fasi di realizzazione della sede storica del quotidiano.

E-BOOK
Tra le proposte più originali per dare voce a quegli articoli sepolti dalla polvere del tempo, alcuni quotidiani hanno tentato la strada della raccolta antologica. Se l’archivio è il luogo in cui la cronaca quotidiana muta in memoria storica, allora perché non raccontare i grandi eventi della storia recente attraverso la narrazione dei cronisti vissuti in quegli anni? L’Atlantic nel 2011 ha pubblicato l’e-book The Civil War, una raccolta di articoli scritti dai testimoni diretti della guerra (tra cui Mark Twain, Nathaniel Howthorne e Henry James) a cui fanno da cornice articoli di giornalisti contemporanei.

Il  New Yorker, invece, ha curato e pubblicato After 9/11, una miscellanea di analisi, riflessioni e proposte sul post 11 Settembre.

Le caratteristiche strutturali della rete offrono ai giornali numerose possibilità per soffiare via la polvere dagli archivi. La cronaca del passato è uno strumento indispensabile per comprendere il presente e gli archivi, oltre a offrire un contributo fondamentale alla memoria collettiva, possono aiutare i giornalisti ad affondare meglio i bisturi nel mondo che raccontano.

L’archivio interattivo e “a portata di link” per il giornalismo italiano è quasi fantascienza ma se la digitalizzazione degli archivi dei quotidiani italiani può essere paragonata ad un primo passo sulla luna, allora sarà meglio non disperare: nel mondo del web non esiste utopia che non possa trasformarsi in realtà.

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Diffusione stampa, ora conta anche il digitale: il Sole primo su tablet e pc http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/diffusione-stampa-ora-conta-anche-il-digitale-il-sole-primo-su-tablet-e-pc/38379/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/diffusione-stampa-ora-conta-anche-il-digitale-il-sole-primo-su-tablet-e-pc/38379/#comments Thu, 14 Mar 2013 11:43:20 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38379 Il digitale entra nel conteggio delle vendite e della diffusione dei giornali. E anche se non hanno ancora la forza di rivoluzionare la classifica, le copie acquistate via internet fanno comunque sentire il loro peso. Nelle statistiche sulla diffusione dei quotidiani nazionali, che vedono da sempre sul podio il Corriere della Sera, la Repubblica e l’edizione del lunedì della Gazzetta dello Sport, è Sole24Ore che stacca tutti per copie digitali diffuse su pc, smartphone e tablet.

Secondo i dati di Ads – Accertamento Diffusione Stampa – pubblicati ieri, a gennaio 2013 il Sole24Ore ha venuto più di 46.000 versioni digitali del proprio quotidiano, più del Corriere e Repubblica, che rimangono comunque in testa per diffusione totale (cartacea più digitale).

Il Sole, grazie alla tecnologia, scala quindi la classifica scavalcando la Gazzetta dello Sport e la Stampa. L’edizione digitale, secondo il nuovo regolamento di Ads del 20 dicembre 2012, è “una replica esatta e non riformattata dell’edizione cartacea in tutte le sue pagine, pubblicità inclusa” e deve essere “distribuita elettronicamente come unità inscindibile ed esclusiva”. Requisito per il conteggio è anche il prezzo: la copia di un’edizione digitale deve avere un costo non inferiore al 30% rispetto al prezzo della versione cartacea. L’Ads distingue inoltre la vendita di copie digitali singole, quelle “multiple” (offerte in stock) e quelle “abbinate”, cioè vendute insieme all’edizione cartacea. Il Corriere della Sera detiene il primato per quanto riguarda le copie digitali vendute in forma singola: 40.616. Subito sotto la Repubblica con 40.207. Più in basso, la Gazzetta dello Sport, con 14.525.

Diffusione cartacea Copie digitali singole Copie digitali multiple+ abbinate Totale copie digitali Diffusione cartacea+ digitale
Corriere della sera 411.400 40.612 5.004 45.616 457.016
Repubblica 360.522 40.207 5.789 45.996 406.519
Gazzetta dello sport (lunedì) 261.872 14.525 1.024 15.549 277.420
La Stampa 234.856 6.920 0 6.920 241.776
Sole 24 Ore 233.997 9.621 36.569 46.190 280.187

Il Sole24Ore vende meno di 10.000 copie singole, ma con le oltre 36.000 copie in abbinamento con il cartaceo e in offerta che guadagna il primato e diventa il primo quotidiano a diffusione digitale. Seconda la Repubblica e terzo il Corriere. La Stampa vende meno di 7.000 copie digitali singole, e nessuna multipla o in abbinamento. Stampa e Gazzetta scendono così anche nella classifica della diffusione totale: se in quella cartacea (che considera vendite, abbonamenti e omaggi) erano in quarta e terza posizione, con il conteggio del digitale si ritrovano più in basso di un posto. Nella lista completa dei 65 quotidiani, sono solo cinque quelli che non vendono nessuna edizione digitale: Avvenire, il Giornale, Italia Oggi, la Gazzetta di Parma e l’edizione del sabato del Quotidiano di Sicilia (che però, nell’edizione normale, si distingue per la vendita di 1 copia digitale).

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Social media editor: il giornalista di ieri, oggi o domani?/STORIFY http://ifg.uniurb.it/2012/03/01/ducato-online/social-media-editor-il-giornalista-di-ieri-oggi-o-domanistorify/27102/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/01/ducato-online/social-media-editor-il-giornalista-di-ieri-oggi-o-domanistorify/27102/#comments Thu, 01 Mar 2012 12:38:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=27102 [continua a leggere]]]>

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Un link dalla carta al digitale http://ifg.uniurb.it/2010/04/13/ducato-online/un-link-dalla-carta-al-digitale/2397/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/13/ducato-online/un-link-dalla-carta-al-digitale/2397/#comments Tue, 13 Apr 2010 16:29:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2397

Avete mai visto questo simbolo?

No? Allora è bene sapere che questo strano disegnino – conosciuto come codice QR – nei prossimi anni potrebbe apparire più o meno ovunque.

In Italia quasi nessuno li ha mai sentiti nominare. In Giappone invece si possono vedere nelle facciate dei grattacieli, la Pepsi in Danimarca li mette sul fondo delle lattine e qualche temerario all’avanguardia li ha impressi pure sulle tombe dei parenti. Attenzione: non si tratta dell’ennesima diavoleria per smanettoni ossessionati dalla tecnologia, ma di qualcosa che in certi casi può essere utile oltre che divertente. Si tratta di una specie di codici a barre a due dimensioni: basta fotografarli con un telefonino, dotato di un opportuno programma e collegato a internet, per avere accesso a qualunque tipo di contenuti.

Da qualche anno sono spuntati come funghi un po’ ovunque, al punto che nelle ultime settimane sono apparsi anche in giornali e riviste italiane. Colossi come la Gazzetta dello Sport prima, PanoramaMilano Finanza poi e ora anche Repubblica e L’espresso, hanno deciso di sperimentare i codici QR (sigla che sta per quick response, risposta rapida) per allungare la vita dei propri prodotti cartacei, da tempo in crisi di vendite.

L’innovazione è un modo per dare al lettore una serie di contenuti che non possono apparire nel giornale di carta, realizzando un vero e proprio quotidiano multimediale da acquistare in edicola.

“Proviamo a pensare alla notizia di un treno che deraglia e si schianta contro un edificio in un centro abitato”, spiega Alessio Sgherza, vicecaposervizio di Kataweb. “Sul quotidiano un fatto simile lo si può raccontare fin nei minimi particolari, ma nulla come un video dell’incidente in questo caso può soddisfare il bisogno di informazione del lettore. Le immagini possono essere meglio di mille parole”.

I codici QR sono stati inventati oltre 15 anni fa da Denso-Wave, una multinazionale giapponese. All’inizio erano impiegati nel settore automobilistico per identificare i pezzi dei veicoli. Poi hanno finito per accompagnare centinaia di prodotti, dalle t-shirt ai biglietti da visita.

A chi prende in mano un giornale recentemente sarà capitato di vedere in fondo ad alcuni articoli il simbolo quadrato. Fotografando questa specie di disegnino con uno smartphone dotato di connessione a internet e applicazione per leggere il codice (si installa in pochi minuti), è possibile accedere ad un universo multimediale di video, fotografie e suoni che fanno da approfondimento alla notizia.

“Così da mezzo statico la carta diventa dinamico”, spiega Elia Blei di Rcs Mediagroup. “E’ un modo per aumentare la diffusione dei contenuti. L’utente medio è un po’ pigro, ma con un tocco sul proprio iPhone può scoprire qualcosa che gli interessa sul serio”.

Il codice QR è un esempio di quella “realtà aumentata” di cui i media parlano da qualche tempo e con la quale ci si troverà a fare i conti in futuro. Ovvero un flusso di informazioni digitali destinato a seguire l’utente ovunque, in giro per la strada come davanti a un Caravaggio durante una mostra. In futuro probabilmente tutti faremo i conti con innovazioni del genere. D’altra parte se nei McDonald’s di Tokyo si trovano nelle confezioni di cheeseburger per conoscerne gli ingredienti, se Roberto Formigoni li ha usati sui manifesti della campagna elettorale, se Giovanni Rana li ha voluti sui pacchetti di tortellini al cioccolato, se Baci e Abbracci ci ha infarcito i cataloghi della propria linea di abbigliamento per giovani, vorrà pur dire che i codici QR servono a qualcosa. E che fanno girare quattrini, anche perché l’utilità commerciale di questi simboli è evidente: una volta fotografato il codice basta ad esempio far partire uno spot pubblicitario prima del video richiesto dall’utente.

Forse anche per questo motivo qualche giornale si limita a guardare il fenomeno da lontano. Marco Pratellesi del Corriere della Sera ne parla con distacco: “Non abbiamo mai parlato di introdurli in nessuna riunione. Per ora è solo una nicchia: staremo a vedere”. Anna Masera della Stampa spiega che il suo quotidiano ha altre priorità: “Sono cose che hanno uno scopo pubblicitario fortissimo. In futuro non escludiamo nulla, ma per il momento puntiamo a realizzare edizioni del giornale per qualsiasi piattaforma”. Poi aggiunge: “Se l’obiettivo è far vedere un contenuto multimediale pazzesco, allora questi codici ci possono stare. Ma molto spesso danno poco valore aggiunto e servono solo ad attirare pubblicità”.

Che si tratti di un prodotto destinato per ora a una nicchia di utenti è evidente. Non tutti hanno uno smartphone e soprattutto non tutti hanno il traffico internet incluso nel piano tariffario per accedere al web con il cellulare. Però è anche vero che i codici QR in Giappone e negli Stati Uniti hanno sfondato. “Nel 1997 – conclude Sgherza – anche internet era destinato a una cerchia di eletti. Poi abbiamo visto come sono andate le cose”.

Guida alla rete:

Quirify

Qr-Code generator

I.nigma

Qr-Code

Come si legge un QR-Code

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