il Ducato » media http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » media http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Tante spese e zero garanzie: la vita dei freelance italiani http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/#comments Thu, 16 Apr 2015 17:23:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70795 Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

PERUGIA – Duecento euro per prendere un taxi, quasi 2mila per autista, traduttore e altri servizi, di fronte alla prospettiva di guadagnarne 50. Essere un giornalista freelance oggi non è facile, ma spesso è una scelta obbligata. Molte testate italiane sono in crisi, non offrono contratti e non finanziano reportage all’estero. Non resta che raccontare storie in modo indipendente e poi venderle ai media.

E’ quello che fanno Gabriele Micalizzi, fotografo milanese, e Alessandro Di Maio, giornalista freelance siciliano che hanno partecipato al convegno “Vita da freelance” il 16 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

“I freelance sono lasciati da soli – spiega Micalizzi fotoreporter di guerra – con i media italiani funziona così: prima realizzi le foto e poi le vendi, alcuni giornali esteri ti fanno firmare un contratto prima e a volte anticipano dei soldi”. Ma anche i media esteri non vogliono prendersi responsabilità: “A volte decidono di non pubblicare fotografie da zone di guerra come la Siria, per non incoraggiare giornalisti a partire e rischiare. Anche questo è sbagliato”.

Ma i giornalisti freelance sono poco tutelati anche dal punto di vista giuridico: “Dobbiamo fare molta attenzione perché siamo direttamente responsabili di ciò che scriviamo – spiega Alessandro – Quando ho iniziato in Sicilia mi occupavo di cronaca locale e avevo paura di essere denunciato per qualche motivo, anche perché scrivevo di mafia. Ho sempre cercato di essere il più neutrale possibile, di non dare giudizi, cosa che spesso accade”. E riguardo la copertura assicurativa, le cose non vanno meglio: “Essere assicurati è fondamentale – conclude il giornalista – tre anni fa a Gerusalemme ho fatto una copertura sanitaria privata che dovevo rinnovare ogni tre mesi. Sfortunatamente ho avuto una colica renale proprio nel periodo del rinnovo, e il costo della notte in ospedale è stato enorme”.

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Alessandro Di Maio, che da Gerusalemme collabora con Libero e Il Fatto Quotidiano, racconta che “i problemi del freelance sono tre: la grande competizione, lo sfruttamento dei giornalisti da parte delle testate e la crisi mediatica italiana.

Io amo il giornalismo, ma in questa maniera è veramente difficile”. Alessandro ha iniziato giovanissimo a collaborare in Sicilia con alcune testate locali, occupandosi di cronaca e di mafia. “Non mi pagavano, così mi sono trasferito a Gerusalemme, mi sono iscritto all’università e ho iniziato a collaborare con un giornale Canadese. Con i media italiani all’inizio è stato difficile trovare collaborazioni, poi c’è stata la Primavera araba, ed è aumentato l’interesse per le questioni mediorientali.”

Per Gabriele, che lavora per il New York Times e il Corriere della Sera, il lavoro del giornalista freelance deve essere una passione: “E’ difficile, ma nessuno ci obbliga a farlo, si corrono dei rischi, bisogna meritarselo. E’ vero, c’è tanta competizione, ma così emergono i lavori di qualità”. Gabriele ha iniziato a fare il freelance per caso, ma poi la sua è diventata una scelta: “Non lavorerei mai per un agenzia di stampa, devi produrre foto standard, coprire gli eventi che ti dicono loro, non hai libertà. A me piace dare un taglio d’autore e una prospettiva personale alle mie foto e questo è quello che me le fa vendere ai giornali”.

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Alessandro racconta che facendo il freelance conosce tanta gente nuova, viaggia, impara le lingue. “Ma è una vita che si può fare solo per un periodo, per come funziona il giornalismo in Italia”. Nel nostro paese i freelance vengono pagati poco: “I giornali esteri pagano dieci volte di più. Ma non è solo una questione economica. Le nostre testate non forniscono press card, non ti seguono nel lavoro sul campo, non offrono garanzie. I giornali chiedono articoli di cronaca, non storie o reportage. Sono pubblicista, lavoro come analista politico dei giornali del mondo arabo per una azianda privata e quando ho tempo libero e i soldi necessari parto e mi dedico a raccontare storie”.

La passione di chi fa il giornalista di guerra è tanta ma ci sono testate che se ne approfittano. “Devi continuamente negoziare- racconta Gabriele- ma è importante non svendersi mai, proporre un prodotto di qualità e pretendere di essere pagati in modo giusto. Io mi dico: il mio è ‘made in Italy’, quindi se un cliente lo vuole, deve pagare”. Ci sono però tante testate che promettono di pagare e poi dopo qualche anno falliscono, per poi rimettersi sul mercato con lo stesso nome. Tutte le collaborazioni effettuate nel periodo precedente la bancarotta decadono. “A me questo scherzetto l’ha fatto una rivista scientifica- racconta Alessandro- ha preso alcune mie foto ma al momento del pagamento non si sono più fatti vivi, salvo poi scoprire che era fallita e rinata magicamente.”

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Ogunlesi (Africa Report): “Una Al Jazeera africana contro i pregiudizi occidentali” http://ifg.uniurb.it/2015/04/15/ducato-online/una-al-jazeera-africana-per-combattere-i-pregiudizi-delloccidente/70680/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/15/ducato-online/una-al-jazeera-africana-per-combattere-i-pregiudizi-delloccidente/70680/#comments Wed, 15 Apr 2015 19:04:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70680 anna_tolu_2

Toli Ogunlesi, giornalista di Africa Report

PERUGIA – Un continente, 54 stati, tante lingue e differenze enormi tra una regione e un’altra. Ma per giornali e tv occidentali – e non da oggi – è tutto un unico grande Paese. Le sfumature si perdono. I lettori non conoscono l’Africa e per questo i media si sentono legittimati a dire quasi qualsiasi cosa. “Raccontare l’Africa senza stereotipi è una sfida per i giornalisti occidentali, ma anche in Africa dobbiamo sviluppare i media locali e renderli una fonte affidabile per le testate occidentali. In Africa ci informiamo sui siti della Bbc e della Cnn anche per sapere cosa succede a casa nostra e questo è un problema”, spiega Tolu Ogunlesi, giornalista nigeriano di Africa Report e corrispondente per il New York Times e il Financial Times.

Tolu ha parlato al Ducato a margine del convegno“L’Africa rappresentata nei media occidentali: errori, approssimazioni, omissioni” che si è svolto al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia il 15 aprile. “Bisogna trovare nuovi modi di comunicare l’Africa – ha spiegato Tolu – è importante raccontare le storie locali da una prospettiva africana, lontana dai luoghi comuni”.

Quali sono gli errori più comuni che i media occidentali fanno quando parlano di Africa?
In occidente giornali e tv spesso partono dai una determinata idea che hanno dell’Africa e che vogliono raccontare al loro pubblico. Quando sono sul posto i giornalisti cercano conferme a queste idee e raccolgono testimonianze che possano supportarle. Spesso evidenziano cose che non sono rilevanti agli occhi degli africani. Per esempio, appena è stato eletto il nuovo presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan molti media occidentali hanno dato risalto soltanto alle sue intenzioni di combattere Boko Haram anziché analizzare l’evento da un punto di vista politico e spiegare i motivi che hanno portato alla sua vittoria.

Quando si parla della divisione religiosa in Nigeria si presenta il paese come spaccato in due: musulmani a nord e cristiani a sud. Ma la realtà è più complessa, spesso ci sono questioni più gravi e profonde all’interno della stessa comunità religiosa, tra etnie diverse.

Altre volte vengono omesse delle informazioni importanti: recentemente l’inglese ha sostituito il francese come lingua ufficiale del Ruanda perché il paese voleva lasciarsi alle spalle il passato coloniale. Di questo in Europa non se ne è parlato.

Come sono coperti dai media africani i grandi eventi nell’occidente?
Imprecisioni ed errori non esistono solo nella stampa occidentale, anche noi cadiamo in stereotipi e luoghi comuni per spiegare realtà diverse dalla nostra. L’Italia viene collegata ai problemi di mafia, gli Stati Uniti a quelli di criminalità. Ma in realtà i media africani non parlano tanto dell’occidente, la maggior parte dei giornali e delle tv non hanno fondi per mandare inviati all’estero. Sarebbe bello se ci fosse una tv nigeriana a seguire le elezioni americane, ma oggi chi si vuole informare sui grandi eventi dell’occidente li segue su internet o direttamente sulla Cnn e la Bbc.

Il linguaggio usato dai media occidentali parlando di Africa è corretto?
Il linguaggio è un altro elemento che contribuisce a creare informazione imprecisa sulle realtà africane. In alcune testate occidentali spesso emergono discorsi quasi coloniali e paternalisti. Si parla di cosa andrebbe fatto in Africa, ma non vengono intervistate persone sul posto. Ho letto diversi articoli sulla diffusione dell’Ebola in Liberia in cui non veniva riportata alcuna testimonianza. Per migliorare l’informazione in occidente un primo passo sarebbe lo sviluppo dei media locali in Africa.

Cosa manca ai media locali africani per ottenere la stessa visibilità e influenza che hanno i grandi media internazionali?
Mancano inanzitutto soldi. Bisogna trovare i fondi e investire nello sviluppo tecnologico dei media e nella formazione dei giornalisti. Solo in questa maniera si può produrre un’informazione che possa competere con quella dei grandi media stranieri e ottenere credibilità. Ma, per far sì che i paesi occidentali si interessino a ciò che succede in Africa è necessario che gli stati si sviluppino economicamente. La speranza è che i media locali africani possano produrre informazioni sempre più approfondite e accurate e avere un giorno la stessa influenza dei grandi media internazionali. Creare un punto di vista africano per un pubblico africano e internazionale.

Ci sarà un Al Jazeera africana?
Sì, ci vorrà tempo, ma come insegna l’esperienza mediorientale un canale come Al Jazeera offrirebbe al mondo e all’Africa una prospettiva nuova e lontana dai luoghi comuni.

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Spin doctor e fundraiser, tanta tv e poco web: così si crea consenso. Lo insegna il corso di Diamanti http://ifg.uniurb.it/2015/03/12/ducato-online/spin-doctor-e-fundraiser-tanta-tv-e-poco-web-cosi-si-crea-consenso-lo-insegna-il-corso-di-diamanti/66634/ http://ifg.uniurb.it/2015/03/12/ducato-online/spin-doctor-e-fundraiser-tanta-tv-e-poco-web-cosi-si-crea-consenso-lo-insegna-il-corso-di-diamanti/66634/#comments Thu, 12 Mar 2015 18:23:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=66634 Brochure OPeRAURBINO – Gli Stati Uniti sono ancora distanti. Lo dimostrano anche le differenze tra le campagne elettorali nostrane e quelle a stelle e strisce. Barack Obama ha saputo usare sapientemente i social network durante la corsa alla presidenza americana. In Italia invece prevale, ancora, nettamente la televisione. Il programma didattico di OPeRA, il corso di media e comunicazione di Ilvo Diamanti, è una sorta di cartina di tornasole. Un percorso rivolto a politici, consulenti e operatori della comunicazione sui rapporti con i media e la creazione del consenso, diviso tra la strategia che sfrutta canali consolidati e le ‘istruzioni per l’uso’ di figure come lo spin doctor o il ghost writer. Una fotografia di come, lentamente, cambia il modo di informarsi e di seguire la politica nel nostro Paese. “L’80% degli italiani si informa ancora attraverso la TV. Il 23% addirittura lo usa come unico mezzo: e tra questi ci sono gli elettori più indecisi, coloro che solo all’ultimo scelgono chi votare. Solo il 40% invece si informa sulla rete” spiega il docente di Scienza politica alla facoltà di Sociologia di Urbino, editorialista de la Repubblica e tra i massimi esperti del settore.

Il corso darà grande attenzione proprio alla televisione, con seminari di personalità del calibro di Massimo Giannini, conduttore di Ballarò, Paolo Gentiloni, attuale ministro degli Esteri ed esperto di comunicazione televisiva, e Bruno Luverà, volto noto del Tg1. Internet, il web e i social media hanno ancora un rilievo marginale.

Un tema centrale sarà anche quello del funzionamento della macchina del consenso. I professionisti della consulenza e della campagna elettorale sono certamente figure ormai consolidate negli Usa. In Italia si stanno ritagliando ultimamente una loro importanza. Ecco che quindi nell’entourage di un politico trovano sempre maggior spazio il ghost writer (colui che scrive i discorsi per un politico),  il fundraiser (il responsabile della raccolta fondi per le campagne elettorali) e lo spin-doctor (il responsabile della costruzione e della cura dell’immagine ). A testimonianza del ruolo chiave che hanno queste figure, a tenere delle lezioni ci saranno anche Filippo Sensi, responsabile dell’ufficio stampa del premier Matteo Renzi, e Dino Amenduni, già curatore della campagna elettorale di Nichi Vendola. Si discuterà anche di personaggi come il lobbista, “un uomo che nel sistema americano rappresenta e difende gli interessi di una certa categoria, ma che in Italia viene visto con un occhio di sospetto” ha continuato il direttore dell’iniziativa.

Il corso è indirizzato agli amministratori, a chi ricopre ruoli di responsabilità ed a politici più che a giornalisti o esperti della comunicazione. Per questo motivo un occhio di riguardo è riservato all’uso dei sondaggi e dell’analisi dell’intenzione di voto. “Non a caso il direttore scientifico del corso è Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, nota società che effettua ricerche di mercato. Continuando con il parallelo con gli States notiamo come oltreoceano ci sia uno studio capillare delle scelte elettorali ma non solo: uno dei problemi affrontati dagli analisti politici è quello di invogliare ad andare a votare chi si asterrebbe” ha aggiunto il professore. In un contesto in cui all’ideologia del partito è subentrata la logica del marketing e della comunicazione diventa fondamentale capire come confezionare messaggi politici. Il tutto per andare a plasmare l’opinione pubblica indirizzandola a proprio piacimento.

Il corso, organizzato dal centro studi LaPolis, non si limita ad offrire competenze teoriche su queste tematiche ma vuole anche ragionare sulle nuove frontiere della comunicazione. Le 375 ore di formazione saranno suddivise tra lezioni e seminari che affronteranno gli argomenti relativi all’opinione pubblica e la rappresentanza politica. Per partecipare all’iniziativa, il cui costo complessivo è di 500 euro, ci si dovrà iscrivere entro il 16 marzo. Saranno ammessi i primi 40 che presenteranno la domanda. Porte aperte anche ai giovanti studenti: saranno riconosciuti loro 15 crediti formativi dopo una verifica finale.

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Corsi di formazione per giornalisti: dal 2016 obbligo anche per i nuovi iscritti http://ifg.uniurb.it/2015/03/10/media-home/corsi-di-formazione-per-giornalisti-dal-2016-obbligo-anche-per-i-nuovi-iscritti/67672/ http://ifg.uniurb.it/2015/03/10/media-home/corsi-di-formazione-per-giornalisti-dal-2016-obbligo-anche-per-i-nuovi-iscritti/67672/#comments Tue, 10 Mar 2015 16:54:41 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=67672 immagine-copertinaURBINO – Freschi di iscrizione all’albo, i neo giornalisti usciti dalle scuole dell’Ordine o iscritti al registro dei pubblicisti dovranno tornare sui banchi di scuola. Il regolamento pubblicato lo scorso 28 febbraio 2015 sul bollettino ufficiale del ministero della Giustizia parla chiaro: a partire dal 1 gennaio 2016, la formazione professionale continua “diventa obbligo deontologico per tutti i giornalisti in attività”, al contrario delle disposizioni precedenti, che risalgono al 2013, e che prevedevano tale dovere solo per i giornalisti iscritti da più di tre anni.
Così, esattamente come avviene per gli altri albi, professionisti e pubblicisti neoiscritti dovranno attivarsi subito per guadagnare i 60 crediti che la legge Severino del 2012, che regolamenta gli ordini professionali, prescrive debbano essere acquisiti nell’arco di tre anni.

Secondo le norme, l’organizzazione dei corsi di formazione è affidata ai singoli Ordini regionali che devono garantire, nei limiti del possibile, la gratuità dei corsi, in modo particolare per quelli relativi alla deontologia. Nel caso delle Marche, però, su 17 corsi in calendario da qui al 24 giugno 2015, è prevista in 16 casi una quota di 10 euro per spese di segreteria. “Quello marchigiano è un piccolo ordine – spiega Franco Elisei, consigliere nazionale  e componente del comitato tecnico scientifico dell’Ordine – e l’organizzazione ha costi elevati”. D’altra parte, ogni corso conferisce un numero di crediti, che oscilla da 4 a 10, sufficientemente alto da permettere di raggiungere facilmente l’obbiettivo minimo di 15 crediti annuali.
Ordini di regioni con numeri simili di iscritti come quelli di Abruzzo e Umbria forniscono un numero maggiore di appuntamenti gratuiti previsti in calendario, anche se spiccano le eccezioni di corsi come “Tutto l’internet da indossare”, organizzato dall’Ordine umbro,  per cui il costo è di 100 euro.

Ogni Consiglio regionale può poi decidere se affidare la formazione a soggetti privati, accreditati dal Consiglio nazionale, che abbiano una consolidata esperienza nel settore, o organizzarli direttamente. Ma il coinvolgimento di agenzie di formazione private, ha suscitato polemiche fin dal 2013, anno di approvazione del primo regolamento, perché le modalità di individuazione non sarebbero sempre trasparenti, così come la qualità dei corsi erogati, come denunciato da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera lo scorso 30 novembre 2014.
Secondo Elisei, le polemiche derivano da due diversi problemi: da una parte le difficoltà organizzative dell’Ordine, che si è trovato a gestire un sistema formativo che deve soddisfare i bisogni di tutti i 120000 iscritti; dall’altra le diffidenze da parte degli stessi giornalisti, in molti casi restii a frequentare i corsi. “In termini organizzativi, un’assenza pesante è quella degli editori – aggiunge Elisei – che dovrebbero essere chiamati in causa nella macchina organizzativa. La qualità dell’informazione dipende anche da loro”.

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Arabo, cinese, francese e inglese. Radio1 ‘parla’ tutte le lingue del mondo http://ifg.uniurb.it/2015/01/21/ducato-online/radio1-parla-anche-arabo-e-cinese/63006/ http://ifg.uniurb.it/2015/01/21/ducato-online/radio1-parla-anche-arabo-e-cinese/63006/#comments Wed, 21 Jan 2015 10:44:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=63006 Paolo Salerno, conduttore Voci del Mattino

Paolo Salerno, conduttore Voci del Mattino

URBINO – Le voci del mondo si aggiungono alle Voci del Mattino. Dal 19 gennaio i sommari dei tg internazionali sono entrati nella programmazione regolare di Radio1 Rai, dopo due settimane di sperimentazione. Aperture in cinese, arabo, inglese e francese riproposte e tradotte in studio dai giornalisti della trasmissione Voci del Mattino, l’appuntamento con le rassegne stampa italiane e internazionali.

Dalle 7.36 alle 8 l’ascoltatore radio può sintonizzarsi per conoscere i temi caldi trattati dai media esteri. Grazie a questa novità si “possono scoprire notizie che non trovano spazio sui media italiani”. A raccontarlo a Il Ducato è Paolo Salerno, che conduce  il programma tutti i giorni fino al venerdì.

Per portare nelle case degli italiani notizie dal mondo ancora inedite, in redazione si inizia a lavorare alle 4.40 del mattino selezionando i file audio dei tg internazionali. Le registrazioni vengono poi tradotte e affiancate dai testi in italiano letti in studio dal giornalista.

I microfoni si accendono alle 6.05, con l’attualità internazionale, seguita alle 6.39 dalle notizie dall’Italia. Le aperture dei telegiornali stranieri vengono inserite nella terza parte del programma, alle 7.36, e le testate scelte cambiano ogni giorno in base all’interesse delle notizie. Per l’universo arabo si possono ascoltare al-Mayadeen, al-Alam, al-Arabiya e al-Jazeera. Per la Cina, Voci del Mattino propone l’apertura del tg del canale 13 della Cctv. Ci sono poi Russia Today e Abc (Australia). Non mancano network europei e statunitensi. Il lavoro della redazione porta ad avere una “fotografia in movimento” dei fatti, come la definisce Paolo Salerno. Quelle selezionate sono fonti “molto utili” e servono a far capire come uno stesso fatto venga analizzato da altri Paesi e culture, da Canberra a San Francisco.

La scaletta si intreccia ai fusi orari. Dall’America arriva l’ultimo tg disponibile. Il notiziario cinese è della sera precedente ed è accompagnato da una traduzione scritta in francese. La redazione deve quindi rendere tutto in italiano.

Alla rassegna dei telegiornali stranieri si lavora in squadra: “Insieme a me, ci sono un assistente, il regista, e due collaboratrici che si occupano, rispettivamente, dei tg in lingua anglofona e di quelli arabi” spiega il conduttore. Lui stesso pensa alla conversione di alcuni dei file audio in testo italiano. Il risultato finale è una rassegna in lingua straniera: qualche secondo di lancio dell’audio originale e subito la traduzione del conduttore. Ecco un esempio tratto dalla puntata del 19 gennaio:

Gli ascoltatori stanno reagendo bene alla proposta. “Anche se è troppo presto per fare una valutazione di questo genere – dice Paolo Salerno – l’accoglienza sembra positiva, almeno a giudicare dalla crescita del seguito della pagina Facebook della trasmissione“.

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Pochi giornalisti e redazioni: l’informazione a Urbino è dei giovani http://ifg.uniurb.it/2014/03/14/ducato-online/pochi-giornalisti-e-redazioni-linformazione-a-urbino-e-dei-giovani/59229/ http://ifg.uniurb.it/2014/03/14/ducato-online/pochi-giornalisti-e-redazioni-linformazione-a-urbino-e-dei-giovani/59229/#comments Fri, 14 Mar 2014 12:05:00 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=59229 radio-urcaURBINO – Nella città ducale mancano la ferrovia e un negozio di elettronica, ma anche le redazioni. I quotidiani nazionali più letti nel territorio, come ad esempio il Messaggero, il Resto del Carlino e il Corriere Adriatico, hanno quasi tutti un solo corrispondente nella città ducale. A fare informazione (o anche solo intrattenimento) in modo continuativo sono soprattutto i giovani, legati o meno al mondo universitario, mentre scarseggiano giornalisti professionisti. È questa l’istantanea della rete informativa di Urbino, che molti giudicano insufficiente al punto da chiedersi se in città manchino abili cronisti o piuttosto non succeda nulla.

Un esempio di redazione in cui i giovani hanno un ruolo fondamentale è quello della testata online dell’università di Urbino Carlo Bo, gestita da alcuni membri dell’ufficio Relazioni con il pubblico dell’ateneo, ma che vanta anche una rosa di redattori composta da docenti e studenti. “Non facciamo cronaca cittadina – spiega Anuska Pambianchi, membro della redazione e giornalista professionista – cerchiamo piuttosto di parlare della città dal nostro punto di vista, partendo dagli spunti e dalle iniziative degli universitari”. Se, ad esempio, una ragazza calabrese studia a Urbino e vuole raccontare tutti i disagi e le difficoltà in cui si imbatte nei viaggi di ritorno a casa, UniurbPost le dà la possibilità di farlo.

Sempre dall’università arrivano i giovani di radio URCa, che il 12 ottobre 2014 festeggerà il suo settimo compleanno. “In questo periodo la nostra web radio è gestita da 15-20 persone – racconta lo station manager Giacomo Penserini – andiamo in onda ogni giorno e abbiamo nove programmi che affrontano temi di ogni tipo”. Da Hair Cream – interamente dedicato alla musica anni ’50 – a La casa dei ricordi, che permette agli ospiti invitati in studio di raccontarsi. “Purtroppo non abbiamo un giornale radio – spiega Penserini – ma vorremmo provare a dare a radio URCa una continuità che negli anni non ha avuto”. La maggior parte dei ragazzi, infatti, lascia Urbino dopo aver terminato gli studi e la redazione si è dovuta continuamente reinventare. Oggi i ragazzi di radio URCa ce la stanno mettendo tutta per riuscirci: “Una volta alla settimana facciamo la rassegna stampa, in cui due psicologi commentano le principali notizie nazionali – sottolinea il manager – allo stesso tempo ci occupiamo soprattutto di temi sociali e abbiamo invitato nei nostri studi le rappresentanti del centro antiviolenza di Pesaro-Urbino”.

Per il resto, l’unica redazione ancorata a Urbino – tra tutte quelle che coprono il territorio provinciale – è quella di Tele2000. Nata nel 1981 e attualmente composta da sei persone, questa piccola tv locale trasmette due telegiornali al giorno (alle 21 e alle 23.30) ed è la sola a occuparsi anche dei piccoli centri attorno alla città ducale, come Mercatello e Lamoli. Più ci si allontana dai confini della provincia, più diventa difficile trovare emittenti che si occupino di Urbino. “La nostra sede è ad Ancona e Urbino è molto scomoda da raggiungere – racconta un giornalista di ÈTv Marche – quindi seguiamo solo avvenimenti particolari o comunque legati alla Regione”.

Nel panorama radiofonico locale, la situazione non cambia molto. Radio Incontro, ad esempio, ha sede a Pesaro e va in onda con quattro notiziari al giorno, ma a Urbino dedica una media di 1-2 servizi alla settimana. “Fisicamente non veniamo quasi mai – spiega la giornalista Tania Stocchi – facciamo tutto telefonicamente. Seguiamo costantemente la pallavolo urbinate e, ultimamente, abbiamo anche dato più spazio alla politica. In occasione delle primarie Pd abbiamo ospitato in studio i quattro candidati”. Nella redazione di radio Città, Urbino arriva ancora di meno: tre giornali radio al giorno per una media di due servizi al mese dedicati alla città del Duca.

I quotidiani, online e non, per le notizie da Urbino tendono ad affidarsi a un solo giornalista, fatta eccezione per PU24.it. Questo giornale, che è solo sul web e che è nato nel settembre 2011, non solo ha un corrispondente per la cronaca e la politica locale, ma anche uno che si occupa esclusivamente della Robur Tiboni, la società sportiva che allena la squadra di pallavolo femminile urbinate. “Siamo gli unici a dare la cronaca dei risultati del volley e a fare gallery fotografiche delle partite in tempo reale”, sottolinea il direttore Gianluca Murgia.

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Arriva TGym, il telegiornale dei ginnasti http://ifg.uniurb.it/2014/03/05/ducato-online/arriva-tgym-il-telegiornale-dei-ginnasti/58848/ http://ifg.uniurb.it/2014/03/05/ducato-online/arriva-tgym-il-telegiornale-dei-ginnasti/58848/#comments Wed, 05 Mar 2014 18:07:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=58848 David Ciaralli, conduttore di TGym

David Ciaralli, conduttore di TGym

Di solito se ne parla in un trafiletto a pagina 48 della Gazzetta dello Sport, oppure hanno risalto quando c’è da celebrare qualche vittoria italiana, alla fine di un telegiornale. Ginnastica artistica e ritmica hanno sempre avuto poco spazio nella programmazione e nelle pagine della stampa. TGym, il nuovo telegiornale della Federazione italiana di ginnastica, cerca di coprire questo vuoto grazie a un canale d’informazione alternativo a quello mainstream.

La puntata zero, condotta e realizzata da David Ciaralli, giornalista pubblicista e responsabile dell’ufficio comunicazione e relazioni esterne della Federazione, è andata in onda ieri sera su Youtube.

“Da gennaio scorso abbiamo fatto partire questo nuovo canale scegliendo una piattaforma che si discostasse dai mezzi televisivi classici – spiega Ciaralli – e da ieri ci siamo lanciati anche nella sfida di realizzare un vero telegiornale”.

Secondo Ciaralli oggi è sempre più difficile per sport considerati minori come la ginnastica, ma anche la scherma, il canottaggio o il pugilato ritagliarsi degli spazi su reti come la Rai o Sky. Per questo l’idea di crearsi un canale tematico con un proprio Tg è un’opportunità da non perdere.

“Tutto nasce da un profondo cambiamento nel modo di comunicare – continua Ciaralli – e le nuove tecnologie, per altro perfettamente maneggiate dalle nuove generazioni, ci permettono di renderci autonomi e di sfruttare al massimo le nostre potenzialità. Piuttosto che vederci relegati in una fascia oraria secondaria o vederci tagliati, abbiamo preferito reinventarci creando un nuovo modo per gestire i nostri contenuti”.

Il primo TGym dura quasi 30 minuti, densi di interviste, immagini e infografiche che spiegano i punteggi delle gare. David Ciaralli si occupa di tutto, o quasi: ideatore, conduttore, inviato e in alcuni casi montatore. La sua squadra è composta da un grafico e da un altro ragazzo che lo aiuta nella realizzazione dei servizi.

“Mezz’ora è un tempo infinito per un telegiornale – ammette Ciaralli – dobbiamo senz’altro lavorare sul ritmo, l’ideale sarebbe realizzare un mensile della durata di una ventina di minuti”.

La prima puntata del TGym ha raggiunto le 1.600 visualizzazioni, un risultato non certo eclatante, ma Ciaralli è fiducioso: “Noi ci rivolgiamo soprattutto a un pubblico di giovanissimi e se riusciamo a trovare una formula per coinvolgerli, siamo sicuri che ci seguiranno”.

Ogni puntata del TGym prevede un ospite speciale. Il primo è stato il presidente della Federazione Riccardo Agabio che ha così battezzato il telegiornale: “Vogliamo puntare sull’innovazione. La Federazione Ginnastica d’Italia, la decana delle Federazioni Sportive, nata nel 1869, dimostra non solo di essere al passo con i tempi, ma anche di saper rispondere alla domanda della sua base, costituita per l’80% da atleti sotto i 18 anni, sempre connessi a internet”.

“Il telegiornale è a costo zero – assicura Ciaralli – abbiamo utilizzato tutte risorse interne alla Federazione. Non abbiamo un vero e proprio studio, ci siamo appoggiati nell’anticamera della segreteria del presidente. In più, utilizziamo una telecamera della redazione e montiamo con le nostre forze, utilizzando Final Cut”. Per adesso non ci sono introiti diretti, ma uno degli obiettivi è quello di acquisire sempre una maggior visibilità per attirare sponsor.

“Il successo di Ginnaste: vite parallele trasmesso su Mtv ci ha dimostrato che un cambiamento è possibile – conclude Ciaralli – e che questo sport, se fatto conoscere, può coinvolgere tantissimo. Ci auguriamo di promuovere una disciplina che richiede fatica e dedizione e di far conoscere le imprese straordinarie che questi atleti e atlete portano avanti ogni giorno”.

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Edizione straordinaria: sono scomparse le notizie dalle prime pagine dei quotidiani http://ifg.uniurb.it/2014/02/19/ducato-online/edizione-straordinaria-sono-scomparse-le-notizie-dalle-prime-pagine-dei-quotidiani/57300/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/19/ducato-online/edizione-straordinaria-sono-scomparse-le-notizie-dalle-prime-pagine-dei-quotidiani/57300/#comments Wed, 19 Feb 2014 10:23:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57300 Analisi, commenti, approfondimenti, inchieste, opinioni politiche, previsioni economiche: se si apre un quotidiano nazionale (ma anche internazionale) si trova tutto questo (e anche di più). Ma le hard news, le notizie vere, quelle che una volta gli “strilloni” divulgavano agli angoli delle strade e facevano correre i cittadini a comprare il giornale, dove sono finite? Dall’altra parte dell’oceano atlantico la scomparsa delle notizie dalle prime pagine dei quotidiani è una questione molto dibattuta.

Proprio qualche settimana fa la public editor del New York Times,  Maragaret Sullivan, su segnalazione dei lettori, aveva “scoperto” che tra i sette titoli principali del suo giornale solo uno si poteva considerare hard news e aveva polemizzato col suo stesso giornale.

Ma esiste in Italia un problema di questo tipo? “I ritmi dell’informazione non sono più compatibili con la carta stampata – spiega Paolo Mancini docente di Sociologia della Comunicazione all’università di Perugia – già nel 2006 Travaglio aveva scritto un libro intitolato La scomparsa dei fatti. In Italia i giornali, ma anche i telegiornali, sono abituati a dare spazio alle dichiarazioni, si raccontano opinioni non fatti. I giornali sono costretti a fornire commenti e analisi perché le notizie le danno altre fonti”.

Noi abbiamo deciso di fare la stessa verifica fatta dalla Sullivan su 6 quotidiani italiani in tre giorni scelti in modo casuale:

Le analisi e gli approfondimenti hanno più del 50% dello spazio in prima pagina e le notizie sono difficili da isolare. Accanto al racconto della notizia infatti c’è sempre qualcos’altro e le cose si fanno ancora più chiare se si analizzano le prime pagine dopo un evento politico rilevante, come il vertice tra Renzi e Letta del 12 febbraio e il probabile avvicendamento tra i due alla guida del governo.

Ecco alcuni titoli:

– Pacco di coalizione (Marco Travaglio editoriale)
IL FATTO QUOTIDIANO

– La partita di Matteo (analisi di Claudio Tito)
LA REPUBBLICA

– Lo scontro fra due velocità (analisi di Mario Calabresi)
LA STAMPA

– Giochi pericolosi (analisi di Ernesto Galli della Loggia)
CORRIERE DELLA SERA

– Il retroscena: la notte del leader, conta da evitare ma stacco la spina
IL MESSAGGERO

– Enrico e Matteo, divorzio con sgambetti
IL MESSAGGERO

– Il grande imbalsamatore (cucù di Veneziani su Renzi)
IL GIORNALE

– Attento Matteo fare flop è facile (di Vittorio Feltri)
IL GIORNALE

Sono tutti esempi di notizia-analisi: la notizia c’è, ma si dà per scontato che il lettore già la sappia perché la televisione, la radio, i siti di informazione o i social network l’hanno già data prima. Così si passa direttamente allo step successivo, quello dell’approfondimento. Stessa cosa succede ai giornali il giorno successivo, quando le indiscrezioni sulla staffetta Renzi-Letta sono diventate una realtà.

– Dentro la crisi: 4 approfondimenti ( Matteo ai suoi “no ai brindisi qui si rischia” L’esecutivo che spaccò il centrodestraVecchi alleati e nuovi patti per la svolta– Domenica già possibile l’incarico)
CORRIERE DELLA SERA

– Renzi si nomina premier (Il Pd licenzia Letta che si dimette. Nasce il governo del segretario. La nuova era politica parte col trucco. E riserverà colpi di scena)
IL GIORNALE

– “Ambizione smisurata” ma Renzi quanto dura?
IL FATTO QUOTIDIANO

– La forza di un gesto e le sue incognite (L’analisi di Carlo Fusi)
IL MESSAGGERO

– L’eterna anomalia italiana (di Cesare Marinetti)
LA STAMPA

– L’azzardo dell’acrobata (di Ezio Mauro)
LA REPUBBLICA

Nei quotidiani apertamente schierati come Il Fatto Quotidiano e Il Giornale la ricerca della notizia è una partita persa in partenza, o comunque molto difficile da giocare perché anche quando le notizie ci sono stanno talmente nascoste dietro l’editoriale del direttore, o il pezzo analitico di qualche firma illustre che sono quasi impossibili da vedere. Ma in realtà “tutti i giornali per non morire devono spostarsi sull’approfondimento e l’analisi – spiega il professor Mancini – anche quelli meno schierati come il Corriere della Sera. Poi il lettore sceglie in base ai suoi gusti ma sa già quello che troverà”. Come dire che la notizia sul giornale c’è ma deve essere condita da qualcos’altro che piaccia agli utenti (notizia e analisi della notizia, approfondimento sulla notizia stessa o commento illustre sempre restando nei “pressi” della notizia).

Questa “commistione di genere”, tratto caratteristico del giornalismo italiano, ha radici profonde: “Il modello mediterraneo, ripreso dal giornalismo in Italia, è un tipo di giornalismo indirizzato a pochi educati che fornisce approfondimenti, commenti e interpretazione dei fatti. Non è per tutti, è nato per essere elitario” spiega il professore.

Tornando alla polemica scoppiata di recente tra i lettori del New York Times, viene da chiedersi perché i cittadini americani si siano lamentati mentre in Italia la prassi è accettata e ben digerita. Probabilmente c’è anche il fatto che in Italia non c’è nessuno con cui potersi lamentare e che faccia solamente l’interesse dell’utente perché il “garante del lettore”, la Margaret Sullivan nostrana, non esiste. Ma più importante, il lettore anglosassone è abituato a un tipo di giornalismo freddo e molto più rigido del nostro (la famosa regola delle 5 W, la base del giornalismo anglosassone: who, what, when, where, why). Solo fatti, niente opinioni. Mentre “in Italia il giornalismo è sempre stato giornalismo d’opinione, qui il pubblico è sofisticato e vuole approfondimenti. Basti guardare Repubblica -  conclude Paolo Mancini – è un giornale nato per dare opinioni, non notizie”.

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Social network Francesco, il volto innovativo di un brand antico http://ifg.uniurb.it/2013/12/01/ducato-online/social-network-francesco-il-volto-innovativo-di-un-brand-antico/52590/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/01/ducato-online/social-network-francesco-il-volto-innovativo-di-un-brand-antico/52590/#comments Sat, 30 Nov 2013 23:08:34 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=52590 vignetta

La vignetta di Sergio Staino

URBINO – Una conversazione con i fedeli di tutto il mondo scandita a ritmo di lessico familiare e quotidiano. Bergoglio è il Papa dai gesti “virali” e dalla comunicazione diretta, dal “fratelli e sorelle, buonasera” alla “Misericordina che fa bene al cuore”. Papa Francesco si presenta così come il più grande comunicatore dell’ultimo secolo, quasi giocando la partita del confronto con Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. I tempi sono diversi ma soprattutto sono i mezzi a essere cambiati: dove prima c’erano solo radio e tv, oggi ci sono social network di ogni tipo e, come sostenuto dal cyber teologo padre Antonio Spadaro in un intervista, Bergoglio non usa i social network ma “è un social network perché crea eventi comunicativi e dinamici”.

Un migliore comunicatore. “L’apertura comunicativa della chiesa, e il suo cambiamento, sono iniziate con l’account Twitter di papa Ratzinger e Bergoglio, in un certo senso, è solo un degno successore”, spiega Giovanni Boccia Artieri, professore di Sociologia dei Nuovi Media all’università di Urbino. Si tratterebbe quindi di una storia vecchia, che non porta necessariamente a una pianificazione di marketing a tavolino: “È evidente – continua Boccia Artieri – che se non cambia il mezzo, è la persona a influenzare il tipo di comunicazione. Francesco si fa portavoce della Chiesa in modo scherzoso e provocatorio insieme. È uno stile di grande impatto perché più ricettivo della sensibilità dei fedeli. Ha mostrato maggiore apertura ed è per questo che è amato dalle persone e soprattutto dai media”.

La Papadipendenza. Si profila il secondo aspetto della questione: quanto il Papa sembri amare i mezzi di comunicazione (nel primo Angelus ha detto “grazie ai media la piazza ha le dimensioni del mondo”), tanto i media sembrano essere innamorati del papa: “è una figura che crea dipendenza – spiega ancora Boccia Artieri – e il suo uso della comunicazione è sapiente, come ad esempio nel caso della risposta a Scalfari: a lettera aperta, ha risposto pubblicamente inserendosi nel piano dei media con forza, ricorrendo a quella che ormai è una sudditanza mediatica”.

Giornali e tv sono ricettivi per tutto quanto riguarda e fa Bergoglio, è un Papa che produce appeal nel pubblico, è di estrema attualità e crea dipendenza e amplificazione: fornisce tanto materiale per farlo ma altrettanto per creare ragionevoli dubbi nella veridicità del suo “personaggio”.
“Anche con Giovanni Paolo II si era vissuta questa de-istituzionalizzazione dei rapporti – aggiunge il professore – e lo stesso è valso per il cosiddetto ‘effetto Obama’. Ora bisogna vedere quanto durerà “il fattore Francesco”, quanto delle sue parole si trasformerà in azioni”.
Rischio di esagerare

Tanta attenzione mediatica, però, lascia spazio a fraintendimenti o quanto meno a visioni distorte di quelle che sono le vere intenzioni del pontefice: “Si rischia di iper interpretare le parole di Bergoglio nella spasmodica ricerca di un cambiamento all’interno della Chiesa: i segnali positivi, ogni parola nuova viene vista in un ottica di esagerazione e la cornice interpretativa è condizionata. Bisognerebbe fare una distinzione tra le parole e il contenuto, capire se si tratta di una questione di costume o politica, distinguere tra un editoriale di Gramellini sul Papa e un articolo di un vaticanista”. In questo modo, la tanto decantata apertura del Papa al mondo omosessuale, quella dei titoloni e della istantanea diffusione in rete, a un’analisi più attenta si trasforma nel semplice affrontare il discorso con un’inedita naturalezza per le sale del Vaticano: “Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla” aveva detto  Francesco implicando quindi una via di pentimento e costrizione non immediatamente percepita da diversi media.

“Non ho parlato molto di queste cose – aveva aggiunto  – e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi».

La mappatura sociale. Chiama in causa direttamente i fedeli, non solo con lettere e telefonate, ma con il questionario di 38 domande sui temi più problematici della pastorale familiare, chiedendo di esprimersi, oltre che su pastorale ed evangelizzazione, su contraccezione, coppie di fatto, etero e gay e comunione ai divorziati risposati. Tutto in preparazione del Sinodo del 2014 e tutto consultabile dal sito del Vaticano grazie a un’improvvisa inversione di marcia (inizialmente la diffusione sarebbe dovuta passare solo attraverso le chiese locali, con il compito di diffonderlo in modo capillare).

Il social “boom”. Intanto, i numeri dei media Vaticani parlano chiaro: più di nove milioni e trecentomila follower per l’account Twitter di papa Francesco; almeno sessanta milioni di persone raggiunte su smartphone e tablet e più di dieci milioni i navigatori che nelle varie lingue visitano ogni mese le pagine del portale news del Vaticano attraverso Facebook: “La Chiesa – conclude il professore Boccia Artieri- è sempre stata dove stanno le persone ed ora ha capito che se le persone stanno in rete, è lì che deve agire. E Francesco è il migliore per arrivarci: con le sue parole e i suoi gesti, che diventano “virali” nel senso virtuale del termine e che si diffondono con grande facilità, è il miglior testimonial di un brand antico che non è cambiato nella sua tradizione ma che sopravvive grazie a un nuovo volto comunicativo”.

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Twitter ai media: “Cari giornalisti usatemi così” http://ifg.uniurb.it/2013/11/26/ducato-online/twitter-ai-media-cari-giornalisti-usatemi-cosi/51859/ http://ifg.uniurb.it/2013/11/26/ducato-online/twitter-ai-media-cari-giornalisti-usatemi-cosi/51859/#comments Tue, 26 Nov 2013 10:09:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=51859 Se siete tra quei giornalisti che pensano che un hashtag sia un’espressione inglese per rispondere a uno starnuto, o che sentendo parlare di Vine rispondono ‘grazie, ma sono astemio’, sappiate che non è mai troppo tardi per cominciare a familiarizzare con il social network più usato dai media mondiali. E’ stavolta è lo stesso Twitter che ha deciso di tendervi una mano.

Il 21 novembre ha debuttato sul web Twitter Media, un portale di ‘istruzioni per l’uso’ elaborato dalla stessa azienda da cui prende il nome. Qui sono radunate e divise per settore tutte le informazioni, le guide e alcuni consigli su come sfruttare a vostro favore ogni angolo del social network dei 140 caratteri.

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Basta entrare nel sito e selezionare dal menù a sinistra il tipo di servizio per cui si richiedono i preziosi consigli. Sì, perché oltre al mondo del giornalismo l’azienda di San Francisco ha pensato anche a tv, enti no profit, sport, musica e religione. Una volta selezionata la sezione dedicata ai giornalisti, è possibile consultare la mappa degli esempi virtuosi di utilizzo del media, dall’aggiornamento delle breaking news attraverso l’utilizzo degli hashtag più battuti, alle istruzioni per sfruttare lo strumento Tweetdeck, passando per i trucchi per aumentare l’engagement dei lettori.

Nella maggior parte delle sezioni si possono trovare esempi di colleghi che, in ogni parte del mondo, sono riusciti a sfruttare al meglio le potenzialità comunicative offerte dai cinguettii. Tra le ‘storie di successo’ ad esempio è riportata l’esperienza del Boston Globe, che durante gli attentati alla maratona di Boston ha twittato in tempo reale tutto quello che stava accadendo, minuto per minuto, dichiarazioni di politici e foto dei testimoni comprese, diventando la prima fonte di informazioni e aumentando in maniera eccezionale l’engagement, il coinvolgimento del lettore nell’attività del proprio profilo. E engagement al giorno d’oggi significa popolarità; e popolarità significa, oltre che massima circolazione delle notizie, fare molto contento il proprio editore.

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Altri due esempi importanti, dal momento che scegliere l’hashtag giusto può rivelarsi impresa più ardua di titolare una prima pagina, sono quelli della Cnn e di FoxNews, due canali che in questo campo sono riusciti a elaborare e mettere in pratica la tecnica giusta.

Insomma, cari estimatori sfegatati e irremovibili della ‘vecchia pratica’, adesso non avete più scuse: su questo nuovo portale Twitter si è proprio spiegato per bene. E se ancora non vi fosse ben chiaro il motivo per cui dovreste usarlo, c’è anche una pagina tutta dedicata a convincervi.

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